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Autore: Captain Willard    21/06/2016    2 recensioni
Gabriel Gracelyn ha quarantadue anni e si accontenta di lasciarsi passare la vita accanto: l'amore per la sua fidanzata è ormai appassito, la musica non gli dà più soddisfazioni ed è stanco delle solite facce, della solita ipocrisia, di un'esistenza apatica che lo tiene avvinto.
È quando meno se lo aspetta che le fondamenta delle sue abitudini vengono scosse nel profondo: una ragazza a una festa dove entrambi si sentono estranei, un incontro atteso e inaspettato che lo costringe ad affrontare i fallimenti di una vita piena di successi; occhi verdi come i prati d'Irlanda, a guidarlo verso qualcosa di diverso. Sbagliando e cadendo, ma sempre rialzandosi.
“E pensò che forse si era perso più di quanto voleva credere, in tutti quegli anni.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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8

- and the silence of our words -

 

 



 

 

«Domani sera sei impegnata?»

«Mho» mugolò Maebh dal suo nido sotto le coperte. Gabriel finì di allacciarsi la camicia di flanella e salì sul letto, scostando il piumone fino a rivelare una disordinata chioma rossa. Sollevò alcune ciocche e incrociò uno sguardo insonnolito.

«Allora posso prenotarti?» le sussurrò dolcemente. Lei parve considerare a lungo la domanda, infine annuì appena.

«Sì, puoi.»

«Ehi, è un sorriso quello?» mormorò lui, carezzandole una guancia. «Stai meglio?»

«Sì. È grazie a te.»

Gabriel scosse la testa, infilandosi sotto le coperte con lei. «No, hai fatto tutto da sola.»

Lei sbadigliò e gli cinse la nuca con le braccia, l'uomo la strinse al petto, sospirando di malcelato sollievo. Alissa era via a Parigi e sarebbe tornata solo l'indomani; Gabriel aveva approfittato della sua assenza per dedicarsi completamente a Maebh, ma non erano stati giorni facili: metà del tempo l'aveva passata a rassettare il minuscolo appartamento della ragazza, cucinare, tornare alla propria dimora a lavorare nei limiti del possibile (e per fortuna Norman gli aveva concesso una proroga di tre settimane sul disco), l'altra metà a consolare Maebh. Solo quando dormivano insieme, stretti sotto le coperte, lei riusciva a quietarsi. Ma ora stava finalmente meglio. Stavano meglio.

 

Fece una smorfia e si costrinse a scivolare via dal tepore di quell'abbraccio, sforzandosi di non cedere e rimettersi a sonnecchiare con lei; si infilò la giacca e andò alla porta, ma voltandosi per salutare Maebh gli mancò il respiro: aveva scansato le lenzuola e ora lo guardava, solo il pizzo smeraldino degli slip a spezzare il candore della sua pelle.

Era di una bellezza commovente, pensò il pianista, carezzando con lo sguardo i capelli sparsi sulle coperte blu, le braccia abbandonate scompostamente, i seni morbidi che si sollevavano e abbassavano seguendo il respiro, e finalmente quelle fossette che tanto gli erano mancate. Maebh gli sorrise languida, schiudendo le gambe. «Vieni.»

Gabriel non riusciva a distogliere lo sguardo. «Io... ecco, io dovrei andare a casa a lavorare...»

«Vieni» lo chiamò la sirena, allungando una mano verso di lui; si sentì tremare davanti a quelle iridi verdi, quello sguardo che pareva aprirgli il polveroso sipario del petto e scavargli dentro, avviluppargli il cuore in una morsa calda e abissale, scivolandogli come corrente oceanica lungo la schiena; lambendo ogni vertebra fino al ventre, annegando l'ultima parvenza d'indugio nella remora1 di quella mattina greve di pioggia.

Ti amo, avrebbe voluto dirle quando tornò a riva. Ti amo, avrebbe voluto dirle, stringendole le gambe e affondando il viso tra le cosce bianche, ma non era che un marinaio pieno di paure e con la gola raschiata d'acqua salata, non ebbe coraggio di tuffarsi in quel profondo.

Soffocò le parole e i pensieri nella carne della sirena, e preferì non confessarsi quanto ormai le appartenesse, chiuse gli occhi mentre fuori ringhiava il temporale: non voleva vedere quanto fosse lontana la terraferma e vicino il maelstrom; solo per un'ora, voleva ignorare il punto di non ritorno che gli respirava sulla nuca.

 

 

***

 

 

«C'è qualcosa che non mi stai dicendo.»

Maebh alzò la testa dal piatto dove giaceva intatta la sua fetta di torta, incrociando lo sguardo sospettoso di Cesare. Alzò le spalle e arrossì. «Non c'è niente.»

Marco scosse la testa bonario, rubandole il dolce. «Non sai mentire, tesoro. E comunque è facile sgamarti, la torta al cioccolato è la tua preferita ma stasera non l'hai neanche toccata.»

Il compagno annuì, incrociando le braccia. «Ha ragione. Allora, c'è qualcosa di cui vorresti parlarmi?»

«Ecco, io-» iniziò Maebh, ma si interruppe a metà e chinò la testa, i capelli le ricaddero in avanti a nasconderle gli occhi lucidi di lacrime mal trattenute. Cesare le si affiancò e le cinse le spalle, preoccupato, imitato da Marco.

«Ehi bimba, che succede? Problemi con quel tizio?» le domandò quest'ultimo stringendo i pugni. «Giuro che se ti ha fatto qualcosa userò le sue budella per decorare i miei costumi di scena!»

La ragazza non poté reprimere una risatina, nonostante le lacrime che presero a scivolarle sulle guance, bagnandole gli occhiali. «Oh, no! Lui non ha fatto niente, sono io che...»

«Che?» la esortò Cesare bruscamente, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Marco. Maebh gemette, nascondendosi il viso tra le mani.

«Io... credo di essermi innamorata.»

«Cosa?!» esclamò Cesare, sconvolto. Marco lo scansò e strinse Maebh, ridendo deliziato.

«Oh tesoro, sei innamorata! Che cosa romantica, non è vero amore?» cinguettò, dando al compagno uno sguardo eloquente.

«Be', ecco, penso... penso di sì?» borbottò poco convinto lui, ficcandosi le mani nei capelli. «Ma allora perché piangi, bimba?»

«Lui... è fidanzato.»

«Che?!» sbottò Marco, scattando in piedi. «È fidanzato e non te l'ha detto? Io lo ammazzo!»

«No! No, io lo sapevo fin dall'inizio, è solo che... non lo so, non pensavo che mi sarei innamorata, invece è successo. Lui è fantastico, questi giorni mi è stato molto vicino, sapeste.»

«Resta il fatto che il bastardo è fidanzato» ringhiò Cesare, sul piede di guerra. «Non si vergogna a stare con due donne diverse?»

«Noi non stiamo insieme» sospirò Maebh, tirando su col naso e asciugandosi gli occhi con la manica della felpa.

«Fa lo stesso! Non sono affatto contento di questa cosa, sappilo. Finirai per farti male!»

«Non ti ho chiesto un giudizio.»

Cesare sbatté una mano sul tavolo, facendo sussultare lei e Marco. «Ma non lo capisci? Il tuo Gabriel sarà sicuramente uno di quei poveracci insoddisfatti della propria vita che cercano solo distrazioni, ti sta usando e tu ci rimetti!»

Maebh scattò in piedi, furiosa. «Tu non lo conosci affatto! Credi che la storia con Leonardo non mi abbia insegnato nulla? Eppure ti ho dimostrato ampiamente di essere una con la testa sulle spalle. Lo amo, va bene? Mi sono innamorata come una cretina, non l'ho fatto apposta e credimi, se avessi potuto scegliere avrei deciso di non farlo, ma è successo! Così come tu ti sei innamorato di Marco, nonostante avessi deciso di chiudere con l'amore dopo Anita.»

Cesare alzò gli occhi al cielo ed emise un mugolio esasperato, massaggiandosi le tempie. «Io mi preoccupo per te! Va bene, non lo conosco ma allora dimmi: lui ricambia i tuoi sentimenti?»

La ragazza esitò, Marco fece per intromettersi ma il compagno gli fece segno di tacere. «Ebbene?»

«...Non lo so. Non abbiamo mai parlato di sentimenti.»

Cesare ruggì. Marco gli diede uno scappellotto e si avvicinò a Maebh, stringendola a sé. «Sei proprio un troglodita, amore» rimproverò il compagno, scuotendo la testa con disapprovazione; si rivolse poi alla ragazza con voce tenera. «Però devi capire, entrambi ci preoccupiamo. Vogliamo solo il meglio per te, lo sai, vero?»

Lei annuì, strofinando il viso contro il suo petto e singhiozzando appena.

«Ora ci calmiamo tutti e mangiamo la torta che ho preparato con tanto amore, ok? Poi tu cerchi di capire che intenzioni ha questo Gabriel riguardo il futuro prossimo e decidi cosa fare, va bene?»

«Va bene.»

«Brava ragazza. Ora dammi subito un bacio e poi dallo pure a quel troglodita là, che sennò terrà il muso per una settimana.»

«Ehi! Ti ricordo che quel troglodita ci sente benissimo!» protestò Cesare piccato, ma sorrise quando Maebh volò tra le sue braccia, schioccandogli un bacione sulla guancia barbuta. La strinse forte, cullandola. «Scusa se ho alzato la voce.»

«Scusa se ti faccio preoccupare.»

«Be', sono qui per questo, no? Un po' come uno zio.»

«Un po' come un padre.»

Marco sorrise e distolse lo sguardo, fingendo di non vedere una lacrima commossa solcare il volto del compagno; non disse niente, era un momento loro. Uscì in giardino a fumarsi una sigaretta, rivolgendo una flebile preghiera alle stelle affinché vegliassero sulla loro bambina.

 

 

***

 

 

Il disco era praticamente completo, eppure Gabriel sentiva che mancava qualcosa. Aveva deciso di sfruttare il tempo avanzato della proroga per studiare il problema, ma quei giorni – complici il malessere di Maebh – l'avevano visto ben lontano dal pianoforte.

Quel pomeriggio tuttavia, quando rientrò in casa dallo studio di registrazione, si rinchiuse subito nella camera della musica senza nemmeno fermarsi ad appendere la giacca, che gettò per terra con noncuranza; si sedette al pianoforte e sistemò un mazzo di fogli pentagrammati puliti sul leggio, scrocchiò le dita e fece per posarle sulla tastiera, fermandole a mezz'aria.

Era sempre così che cominciava: mani sospese, anima sospesa, il corpo non restava che un mezzo e la mente era libera di vagare, seguendo moti invisibili, fili di ragnatela che gli giravano intorno a creare intrecci imprevedibili e lui si fermava un momento, giusto un istante.

Cristallizzava il pensiero, lo rendeva potenziale, lo rendeva in divenire.

 

Sapeva che c'era qualcosa davanti a sé, chiuse gli occhi per cogliere meglio quell'eco lontana: doveva essere cauto, come avvicinarsi a un animale, niente movimenti bruschi, niente voracità di gesti, ma attenzione e tenerezza. Come avesse dovuto attirare una sirena, le sue mani cominciarono la loro danza sull'avorio e l'ebano.

 

Dapprima furono note quiete, dolci, ecco un re, un la, poi sol. Re minore, l'aveva sempre amato quell'accordo, gli faceva venire da piangere e non sapeva nemmeno perché, ma v'era una tristezza in certi suoni che non aveva bisogno di spiegazioni, per amarla bastava prenderla così com'era, senza domande, e Gabriel non si fece domande neanche sulle parole di quella melodia: gli vennero così, sgorgandogli dal petto e dalla gola come sangue nuovo, pulito.

 

Hai sciolto i tuoi capelli

e vi ho annegato i timori

hai scostato la seta

e ho avuto corpo nuovo

nei tuoi sospiri son sbocciati i trifogli

la mia bocca sulla tua a respirarti

l'anima

 

La musica venne a lui e il marinaio veleggiò sempre più lontano, i flutti delle note più forti, la sua voce più alta ma mai, oh, mai oltre l'orlo, bagnata d'una dolcezza amara di melanconia, e il filo dei suoi pensieri sfiorò vagamente il ricordo di una notte con la sua stella, che ancora nuda e ansante aveva posato sul giradischi un vinile; era stata una voce d'uomo ad accompagnarli nel sonno, cantando loro d'una sirena e un marinaio, ma Gabriel pensò che il loro amore non sarebbe stato infelice come quello di cui cantava Tim Buckley e il suo tono si fece più suadente, colmo di gratitudine.

 

Gemendo hai dato musica

e sul tuo corpo ho inciso

le note dei miei baci

scritto sul tuo seno

parole di vita nuova

e tu

attesa e inaspettata

mi hai fatto tuo

attesa e inaspettata

e tu...

 

«Tesoro?»

Gabriel saltò in piedi e si portò una mano al petto, sul cuore impazzito. «Ali! Oddio, mi hai fatto prendere un colpo...»

La bionda sorrise, avvicinandosi. «Scusa caro, non era mia intenzione, ma almeno ho potuto sentire questa tua nuova canzone. È bella, ma tu sei uno sfacciato...» ridacchiò con fare malizioso, un atteggiamento così inusuale per lei che l'uomo ne ebbe quasi paura.

Lui cercò di ricomporsi, scansandosi i capelli dalla fronte e aggiustandosi la maglietta spiegazzata. «Pensavo tornassi più tardi.»

«La sfilata di stamattina è finita prima del previsto, sono saltata sul primo volo.»

«Ah» fece l'uomo, poi dopo un momento aggiunse «Bene!»

La preoccupazione si fece largo nel suo petto quando notò che lei non accennava a muoversi, anzi restava lì e sorrideva radiosa come mai l'aveva vista.

«Ali, tutto bene? È successo qualcosa?»

Si spaventò quando le si colmarono gli occhi di lacrime, ma rideva e lo strinse in un abbraccio inaspettato che lo fece irrigidire. «Oh, Gabe...» sospirò lei, felice.

«Ali, mi spieghi-»

«Sono incinta

 

Per un attimo pensò a uno scherzo, ma Alissa non aveva mai avuto un gran senso dell'umorismo. Sentì le gambe cedergli e dovette sedersi sullo sgabello, appoggiandosi malamente alla tastiera. La voce gli uscì stentata: «Che... come...»

«Quella notte, alcuni giorni dopo la nostra discussione, ricordi? All'inizio pensavo di essermi sbagliata, ma poi mi sono detta: ho sempre avuto il ciclo puntuale come un orologio. Allora a Parigi ho comprato un test di gravidanza, e ho avuto la conferma: aspettiamo un bambino!»

Alissa quasi saltava di gioia, era irriconoscibile; Gabriel si passò una mano sul viso e cercò di sorriderle. «Oh, Ali, io... proprio non me l'aspettavo. Sono... sono contento.»

«Ti rendi conto? Dobbiamo subito fare spazio per il bambino, magari traslochiamo in una casa più grande che qui non abbiamo stanze, e chissà il nome! Io vorrei che fosse una femmina, potremmo chiamarla Frida, come la pittrice, ma sceglieremo insieme. Oh, spero che abbia i tuoi occhi! Comunque fra tre settimane potrò fare la prima ecografia, mi accompagni vero?»

«Ma certo, certo...» mormorò Gabriel, disorientato. «Ora scusa, io dovrei... devo fare un salto allo studio, ti dispiace?»

«No, figurati caro. Vai pure, io vado a farmi una doccia e disfare i bagagli, ci vediamo più tardi» sorrise lei, dandogli un bacio.

«Attenta a non scivolare» le raccomandò lui d'istinto. Non appena udì lo scatto della porta del bagno, tuttavia, raccolse la giacca e le chiavi e uscì di corsa. Già sentiva la sirena scivolargli tra le mani, come le vestigia d'un sogno troppo bello per essere vero.

 

 

***

 

 

«Arrivo, arrivo!» gridò Maebh, alzando il volume. Strofinandosi i capelli umidi con un asciugamano, andò alla porta e aprì, ma restò di sale quando vide Gabriel, scarmigliato e pallido, la fronte imperlata di sudore. Si fece da parte per farlo entrare, lui sbatté la porta e prese la giovane per un polso, trascinandola fino alla penisola della cucina.

«Siediti» le disse, facendo lo stesso. Maebh eseguì senza una parola, sconvolta e preoccupata. Attese una spiegazione, ma l'uomo si limitò a giungere le mani davanti al viso, muovendo nervosamente una gamba. Il silenzio si fece presto assordante e lei gli toccò esitante una spalla.

«Gabe... che succede?»

«Alissa» replicò seccamente lui, senza guardarla.

«Oddio, lei sa...?»

«No.»

«Oh. Be', meno male, per un istante-»

«È incinta.»

 

Maebh si aggrappò al bordo del tavolo, certa che sarebbe crollata. Fece per dire qualcosa, richiuse la bocca, si portò le mani al viso e gemette. «Oh, dio. Non ci posso credere.»

«Purtroppo è così. Me l'ha detto mezz'ora fa, appena l'ho saputo sono venuto qui, io-»

«Tu sei un bastardo!» gli gridò contro la ragazza, scattando in piedi. Gabriel la guardò con tanto d'occhi.

«Scusa?!»

«Scusa un cazzo, come hai fatto ad essere così idiota? Dici che non vuoi avere un figlio e poi ti scopi Alissa senza preservativo! Devo forse chiamarti genio?»

«È successo in un momento particolare, non ci abbiamo pensato! Ma cosa credi, che io sia felice?!»

«E allora cosa hai intenzione di fare, eh? Sentiamo!»

Gabriel si alzò a sua volta, prese a camminare avanti e indietro per il soggiorno. «Non lo so, va bene? Non lo so. Non posso dirle che non voglio questo figlio, lei... lei ne morirebbe, capisci?»

«Certo. Non puoi farle una cosa del genere, sapendo quanto lo vuole» sospirò Maebh, tristemente. «Povera Alissa.»

«Non è la sola vittima qui!» sbottò esasperato l'uomo, fronteggiandola. La ragazza sgranò gli occhi e si fece rossa di rabbia; Gabriel neanche vide arrivare lo schiaffo ma il dolore lo colpì come una frustata. Si portò una mano al viso, esterrefatto.

«Ma sei pazza?!»

«Sei un figlio di puttana, ecco cosa sei! Un egoista, schifoso, cattivo...» gemette lei con voce spezzata dal pianto, asciugandosi con rabbia le lacrime. «Io sarò pure la tua amante, ma non tradirei mai il mio compagno! Tu invece non solo lo fai regolarmente con Alissa, ma non ti senti nemmeno in colpa! Le menti, fai sesso con lei e- dio, fai sesso con lei! La metti incinta, la illudi di amarla e dici che non è una vittima!»

«In questa situazione lei non è l'unica parte lesa!»

«Se per te assumersi la responsabilità delle tue azioni è una lesione alla tua persona, be', sai che ti dico? Vai a farti fottere da qualcun altro.»

Maebh andò alla porta e la spalancò; Gabriel sospirò, le mani nei capelli.

«Non fai sul serio.»

«Vattene via, Gabriel. Non voglio più vederti.»

«Va bene!» replicò lui, una risata acida a sporcargli la voce. «Va bene.»

Si fermò solo un momento, passandole accanto; fece per carezzarle il viso ma lei si scansò, lanciandogli uno sguardo di fuoco. L'uomo sospirò e sorrise beffardo, amaro.

«Tanto noi due non avremmo mai funzionato.»

Maebh raddrizzò le spalle, altera nonostante i singhiozzi che le scuotevano le spalle. «Spero che Alissa trovi di meglio.»

 

Ci fu un breve istante in cui i loro animi coincisero nell'esitare; la sirena avrebbe voluto richiudere la porta, prendere di nuovo con sé l'uomo del mare e perdonarlo, il marinaio avrebbe voluto gettarsi in ginocchio e implorare una parola misericordiosa, ma l'orgoglio tornò impietoso ad allontanarli: restarono ognuno solo con se stesso, a leccarsi le ferite. Senza preavviso, senza compassione, senza vento.

 

 

 

***

 


 

 

Eeeeeee lo so sono un bastardo. Mi ci è voluta una vita per partorire questo capitolo ma credetemi, non è stato facile e pls non me ne vogliate anche se è pure cortino.

Il prossimo verrà prima, lo giuro. Anche perché altrimenti mia moglie mi scuoia (House Bolton insegna).

 

Ah, la canzone di Tim Buckley a cui si accenna è Song to the siren, se non la conoscete CHE ASPETTATE CORRETE A SENTIRLA ECCO TENETE [https://www.youtube.com/watch?v=vMTEtDBHGY4]

 

1In questo caso “remora” non sta ad indicare un indugio, bensì la zona di mare calma nella scia poppiera di una nave

  
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