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Autore: Annabel_Lee    22/06/2016    1 recensioni
Federico è sempre stato più assorbito dal suo dolore, dalla sua rabbia, per prestare attenzione a quella altrui: ma qualche volta succede, e ti ritrovi uno sguardo intrappolato in testa e non sai più che fartene, perché sembra che niente te lo possa strappare di dosso.
Lo sguardo, neanche a farlo apposta, è quello di Michael.
[Midez]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo
(or the way that gravity pushes on everyone)

Baby it's been a long time coming
Such a long, long time
And I can't stop running
Such a long, long time
Can you hear my heart beating?
Can you hear that sound?
'
Cause I can't help thinking
And I won't stop now

*

 

Londra ad Aprile la prendi un po' così, come viene.
Qualche volta il cielo si tinge di grigio in neanche un quarto d'ora, l'afa soffocata da un vento gelido, la pioggia che comincia a caderti addosso prima ancora che tu riesca ad accorgertene. Oppure la giornata resta in bilico tra un temporale e qualche raggio di sole, e se fissi le nuvole sembrano quasi volerti schiacciare, con l'asfalto delle strade che ribolle dell'umidità incastrata nei polmoni ad ogni respiro. Londra trema col tempo che cambia troppo in fretta, in Aprile, con la Primavera che si aggrappa ai lembi di un Inverno sempre un po' inclemente, che indugia sulla pelle.
I Kensington Gardens risplendono del verde di un sole persino troppo caldo, e alle sette del mattino il parco è ancora immerso nel silenzio. Si sente soltanto il tremare delle foglie, il cinguettare stanco di un giorno che inizia, e l'erba è ancora umida di rugiada, la notte pesa sulle palpebre come sempre di prima mattina, eppure basta chiudere gli occhi, inspirare profondamente, buttare fuori pensieri pensanti con un sospiro. Certo, il dolore soffocato in fondo al petto c'è sempre, ma più il tempo passa più diventa solo un mormorare stanco. Un ricordo.
Melachi ed Amira corrono l'una intorno all'altra, le zampe che si sporcano di terra, le code entusiaste che sferzano l'aria.
Fa ancora un po' freddo, così presto, ma lui continua a guardarle, seduto contro un albero, senza curarsi dell'erba bagnata e della tensione che sente annodata nelle spalle. Michael poggia la testa contro il tronco, gli occhi socchiusi, e ascolta il silenzio con calma, senza fretta, come faceva a undici anni quando sua madre quasi lo costringeva ad andare al parco tutti i pomeriggi, a ritrovarsi. A capirsi.
Londra ad Aprile è anche una mattinata che ti trovi incastrata negli occhi socchiusi, assieme ai contorni di una stanza appena disordinata, quando ti svegli e hai ancora stampato nello sguardo un sogno che non riesci ad afferrare completamente, che sfuma col bip secco dell'orologio digitale poggiato sul comodino. Michael ricorda un cielo grigio e una pioggia sottile, e al pensiero trema un po', perché Londra in Aprile non assomiglia per niente alla città grigia e sfatta che è convinto di aver sognato, immersa nel fumo di sigaretta, soffocata su una bocca carnosa.
Londra in Aprile ha i colori tenui della luce che filtra dalle finestre e illumina il profilo famigliare della persona che dorme accanto a te, il respiro appesantito dal sonno profondo, le lenzuola intrecciate intorno al corpo, Andreas che resta immobile e lui che si dice che in fondo è vero. Che nonostante tutto, il cuore gli esplode ancora di tenerezza.
Quasi lo vede, alle tre del mattino, gli occhi fissi sullo schermo del computer, perso nel suo mondo di inquadrature e piani sequenza, di tagli e montaggio, di spazi aperti e post-produzione. Quasi lo sente, la voce arrochita dal sonno ma addolcita da una serenità che non avevano da mesi. “Vai a letto, io finisco qua.”
Londra ad Aprile è il vento gelido che non ti aspetti e dura soltanto una manciata di minuti, prima che il sole ti esploda ancora contro e torni il primo calore dell'anno a scaldarti l'anima, mentre pensi a quello che hai e sorridi a te stesso, e lasci che il freddo ti accarezzi per tutto il tempo che serve. Ad occhi chiusi Londra ad Aprile ha un sapore diverso, sulle labbra, e improvvisamente sulla pelle sembra un Inverno che ha lasciato cicatrici troppo profonde quasi per caso.
Londra ad Aprile è anche il rimpianto, quando il cielo si annuvola improvvisamente, quando la pioggia comincia a cadere pian piano. Tra pochi minuti il cielo tornerà chiaro, la pioggia affonderà nell'erba, perché Londra ad Aprile gioca col tempo e con le emozioni che ti tieni dentro, ma alla fine splende sempre.
E forse, solo forse, che non sei felice come credi lo sai fin troppo bene.

Milano se l'è lasciata alle spalle. Con il suo cielo grigio e il suo modo di avvolgerti in fretta, con quell'aria stanca che ti si appiccica addosso al mattino e non ti lascia più andare.
Di città ne ha viste tante, Michael. Stampati negli occhi si ritrova i contorni di skyline diversi, di cieli chiarissimi e notti luminose, ma in fondo a Milano ha lasciato un pezzo d'anima ed uno di cuore, e ad occhi chiusi quel cielo grigio gli riempie lo sguardo, gli lacera l'anima dolcemente ad ogni respiro. Con la pioggia che cade così poi, spessa e rada, quasi le sente bruciare le cicatrici che l'Italia gli ha lasciato dentro.
Ogni tanto ci pensa così, come adesso, nella quiete di una mattinata che non vuole spiegarsi, dopo essersi svegliato con la voglia di piangere e ridere allo stesso tempo, con i versi in testa di una canzone che non scriverà. Ha smesso di fare domande alla vita da anni ormai, e neanche ci prova più a gridare contro il cielo, a scavarsi nell'anima per risposte che sa che non esistono, che in fondo non hanno senso, perché quello che conta lo senti sulla pelle.
Ogni tanto pensa anche a Lui. Con tutti quei tatuaggi e quegli occhi incazzati più con loro stessi che col mondo, e gli si muove qualcosa dentro, e cominciano a prudergli le mani.
Di Lui resta un sospiro. Resta il calore che ha trovato su quella pelle, il sapore di sigaretta incastrato in un bacio, la convinzione che in fondo, in un'altra vita, sarebbe stato diverso.
Quando apre gli occhi Amira e Melachi stanno ancora correndo. La pioggia cade, il sole si nasconde.
Qualche volta, Londra ad Aprile è così malinconica che gli fa venire voglia di ballare.

Andreas l'ha lasciato addormentato sul lato sinistro del letto, la sua attrezzatura ancora sparsa sul tavolo della cucina, le valigie ancora da preparare gettate a terra nel salone.
Ripensa a ieri notte, quando sono tornati a casa troppo tardi e troppo stanchi, quando lui ha comunque insistito per rimettersi a lavoro per finire un montaggio che lo sta facendo impazzire da mesi. Lo rivede al suo fianco mentre gli posa una mano sulla spalla e gli lascia un bacio premuto sulle labbra, mentre ridono e si prendono in giro come non facevano da mesi. Lo rivede quando ha aperto gli occhi di scatto, quel sogno negli occhi, e si è reso conto di non averlo sentito sdraiarsi accanto a lui.
Andreas nella sua testa è così tante cose che neanche riesce a pensarle tutte insieme. Un sorriso in controluce, un odore famigliare, quella cosa che hai e che neanche provi più a spiegarti, perché fa parte di te e basta questo. Dell'amore ha imparato che non è il tempo a guarire ogni ferita, che le cose cambiano sempre e non c'è solo l'euforia dei primi mesi, le paure che ti fanno fare stronzate così grandi che poi provaci, a venire a patti con te stesso. C'è il calore che cresce nel petto pian piano e poi esplode quando meno te lo aspetti, ci sono le lacrime di parole gridate, ci sono i rimorsi di avventure vissute a metà. Andreas l'ha travolto con uno sguardo, con un modo di essere spigliato e sarcastico, con quel sorriso un po' malizioso sempre impigliato negli occhi. Erano anni diversi, con l'adrenalina di un sogno appena realizzato che pompava nelle vene e la paura di non essere all'altezza che veniva a trovarlo di notte, tra le ore perse di un jet lag ingestibile o tra i bicchieri svuotati in fretta di feste a cui non avrebbe voluto essere. Andreas era il volto carino dietro una telecamera, le labbra arricciate e una voce profonda che gli si infilava dritta nello stomaco, una risata soffocata contro il collo la prima volta che hanno scopato, stretti in uno stanzino con mezza Universal a festeggiare oltre la porta chiusa. Il giorno dopo si aspettava sguardi imbarazzati e un silenzio senza troppe pretese. Andreas, invece, gli si era presentato davanti con quei suoi occhi azzurri e determinati, con il sorriso sulle labbra e i segni della notte prima ancora impressi sulla pelle pallida del collo. “Insomma, adesso mi inviti ad uscire?”
L'ha imparato subito, Michael. Che Andreas ama la semplicità di una cena insieme, la sicurezza di avere qualcuno accanto, e soprattutto che ad una scopata disordinata dopo aver bevuto troppo preferisce fare l'amore con la luce spenta, con quella risata profonda che di tanto in tanto gli scuote il petto.
La prima volta che hanno litigato, litigato davvero, con le grida incastrate in gola e le mani strette per non farsi del male, il risentimento gli è uscito dalle labbra tutto insieme. Il problema, e Michael lo sa adesso ma al se stesso di neanche ventisei anni non saprebbe neanche spiegarlo, è che alla fine è inutile fingere. Che rimanere bloccati nelle stesse parole ti lascia con la gola secca e le dita bloccate su tasti che non riesci più a suonare. Che la paura di amare, prima o poi, la lasci al caso, perché quando resti solo davvero allora ti senti soffocare.
Gli ci sono voluti un paio di calci in culo e l'incidente di Paloma, per capire: un album intero per rimettere insieme se stesso e quello che erano. Certo, Andreas l'ha quasi preso a pugni quando si sono rivisti, lui immobile sulla porta con le lacrime agli occhi e la demo di Origin of Love in mano, l'altro con quei suoi occhi azzurri induriti, col viso impassibile di chi si è ritrovato tra le mani un cuore spezzato. È stata la prima volta in cui si sono ritrovati.
Alla fine, lo ama. Lo sa mentre apre gli occhi e si incanta tra le gocce di pioggia che cadono rade, lo sapeva mesi fa, quando hanno ricominciato a gridarsi cattiverie addosso perché il tempo non c'era mai, perché forse sono troppo diversi, perché con una vita così trovare il modo diventa difficile. Lo sapeva anche mentre stringeva al petto qualcun'altro e qualcosa dentro cresceva, cresceva, e restava piantato là, sul fondo del cuore.

La prima volta che si sono incontrati fumava contro una porta antincendio, una mano affondata in tasca, la sua ragazza che rideva mentre parlavano sotto la pioggia rada di una Milano senza voglia. Un sorriso, qualcuno che faceva le presentazioni. Quegli occhi scuri e un po' tristi che forse l'avevano colpito subito, che forse non aveva neanche notato con tutti quei piercing e quei tatuaggi.
Qualche volta gli piace pensare di averlo capito subito, con un'occhiata che neanche ricorda anche se sa che non è vero. Ci ha messo quasi un anno a lasciarselo scivolare addosso e a vedere oltre quello sguardo sempre incazzato col mondo: a capire che in fondo Fedez gli ricorda il se stesso di anni fa, con la rabbia di una giovinezza che lascia prosciugati, con le paure di una vita davanti che sembra impossibile da affrontare. Quando ha cominciato a guardarlo davvero, con Andreas sempre più lontano, immaginarsi morire su quelle labbra era diventato un chiodo fisso. La piccola ossessione da consumare in fretta fra le lenzuola stropicciate di un letto vuoto, in una camera d'albergo, nell'appartamento di Milano arredato in fretta senza il profumo di Andreas tra i cuscini.
Ad un certo punto l'ha toccato davvero, Federico. Quando ha smesso di guardarlo e quando ha cominciato a conoscerlo, quando l'ha scoperto con le sue insicurezze, i suoi sogni, quel suo modo di prenderlo in giro per una parola detta troppo in fretta, per una risata troppo sguaiata. L'ha capito quando si è reso conto che tutti quei tatuaggi che si è disegnato addosso sono lì per nascondere il mondo di mostri che si nasconde sottopelle.
Che non sarebbe stato il vizio di un'ora doveva capirlo subito.

Si sente un infame, Michael. In fondo sa di esserlo, perché non è la prima volta che tradisce, anche se Federico è stato diverso. Gli ha sconvolto la vita quando a trent'anni credeva di aver finalmente trovato se stesso.
Di lui gli restano i sospiri. La bocca screpolata, la paura di ritrovarsi un suo segno addosso, l'odore di fumo che si portava in giro ovunque, che si ritrovava impigliato sui vestiti e cercava di lavare via dai capelli dopo ogni incontro, ogni bacio, ogni grido soffocato in fondo al petto. Del suo modo di amare gli restano l'irruenza delle prime notti e la bocca massacrata che vedeva riflessa allo specchio ogni volta miste ai suoi sussurri, alle sue insicurezze mentre faceva di tutto per nascondere il tremito delle mani mentre fumava con l'odore di sesso ancora addosso. Che stava sbagliando tutto Michael l'ha capito nel momento in cui ha smesso di volerlo e basta. In cui per un istante l'ha immaginato stretto a sé, con l'alba che filtrava dalle finestre, col petto ad ascoltare il ritmo tranquillo del suo cuore, le dita perse a percorrere il contorno di tutti quei tatuaggi, di tutte quelle paure nascoste e soffocate in quei baci violenti scambiati per errore.
Che doveva finire l'ha capito subito. Poi ha cominciato ad innamorarsi, e il dolore è rimasto tutto là, in una vita che non potrà mai vivere.

Se fosse stato diverso. Se fossimo stati diversi.
È inutile chiederselo, quando anche a Londra piove in Aprile.

La porta dell'appartamento si chiude alle sue spalle con un tonfo sordo. Amira e Melachi scalpitano qualche istante prima che riesca a togliere loro il guinzaglio, e la casa non è silenziosa come se la aspettava. Nel salone la luce riempie gli occhi, l'odore del caffè appena fatto si appiccica ai vestiti, il rumore lieve di piatti e stoviglie. I suoni famigliari di una quotidianità a cui non si abituerà mai.
“Mica?”
La voce arriva insieme ad occhi ancora assonnati e capelli disordinati, una tazza di caffè troppo grande fra le mani e due occhiaie che fanno paura. Andreas sbatte le palpebre un paio di volte, quando si affaccia alla porta della cucina con ancora il sonno disegnato sul viso, la stanchezza increspata agli angoli degli occhi. Michael sorride appena, mentre si toglie la giacca e si passa una mano tra i capelli. “Già in piedi?”
L'altro si poggia senza troppa convinzione allo stipite, si stringe nelle spalle mentre porta la tazza alle labbra.”Devo lavorare,” Alle sue spalle sul tavolo ci sono due computer accesi, una quantità imbarazzante di appunti sparsi un po' ovunque, l'attrezzatura che si porta dietro da una vita poggiata un po' a terra, un po' sull'isola al centro della stanza. Al disordine di Andreas ormai ci ha fatto l'abitudine, ma continua ad alzare un sopracciglio ogni volta che lo trova immerso in tutto quel caos.
“Hai lasciato di nuovo la finestra aperta, ieri notte.”
“Davvero?”
“Potresti smettere di fumare di nascosto. Smetterò di ricordartelo prima o poi,” ma Michael lo dice col sorriso sulle labbra.
“Non aspetto altro,” ed anche Andreas sorride.
Michael lo sente comunque, il groppo in gola di una bugia. Ma il tempo passa, le ferite svaniscono. Non si racconta cazzate, e un giorno probabilmente gli dirà tutto comunque per quanto male possa fare: ma adesso stanno tornando alla normalità. Rimettono insieme i pezzi, ricominciano da capo.
“Dov'eri?”
Michael alza gli occhi, la giacca leggera ancora tra le mani. “Al parco.”
Andreas annuisce, poi aggrotta le sopracciglia. “Hai fatto uscire i cani con la pioggia?” Melachi gli passa accanto strusciandosi alle sue gambe, Michael si china ad accarezzarle il muso che comincia ad ingrigirsi pian piano. “Non pioveva quando sono uscito. Eravamo già di ritorno quando ha cominciato a venir giù sul serio.”
“Però sta già schiarendo.”
Oltre la finestra della sala ancora spalancata, il cielo si illumina oltre le nuvole. La luce filtra nel bianco e acceca negli occhi, riverbera nella stanza e la macchia di sfumature, mentre gli occhi di Andreas si riempiono di pagliuzze dorate.
“Andy?”
“Mhm?”
“Vieni qua.”
Lo bacia piano sulle labbra, prendendosi il tempo che serve, quello che ci vuole per dimenticare.
L'amore te lo ritrovi appiccicato addosso come un vizio che credevi di poter controllare, come un gioco che sul più bello ti sfugge dalle dita, che ci metti anni a costruire e qualche secondo a perdere, che qualche volta lacera la pelle e ti si conficca nel cuore.
L'ha capito troppo tardi, Michael. Alla fine di un Inverno che non viveva da anni, quando ormai il danno era fatto e allora provaci, a rimettere insieme i pezzi. I cocci restano a terra, e a te resta quello che hai.
I capelli di Andreas sono morbidi, quando ci affonda le dita. Le sue mani calde, quando lascia la tazza di caffè sul mobile accanto all'ingresso e le sente vagare sulla sua schiena.
Che hai amato troppo, alla fine, lo sai fin troppo bene.

 

Per un po' forse continuerò ad urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà.
-David Grossman

 

Note: 
Quando ho cominciato a scrivere questa storia l'ho fatto senza pretese. Un po' incoscientemente, un po' senza sapere dove mi avrebbe portata, un po' perché erano anni che non riuscivo a portare alla fine un progetto, e magari, questa volta...
Alla fine, ci siamo arrivati davvero. 
E' stata un avventura. Con questi personaggi, con queste parole, con le persone meravigliose che ho conosciuto: a partire da emitea. Parlo direttamente con te, perché non fosse stato per i tuoi consigli e le tue parole non sarei qui, adesso, a concludere una storia che mi ha prosciugata nel miglior modo possibile. Grazie a te, sono riuscita a scrivere ancora, senza abbandonare a metà l'ennesimo progetto, senza riuscire a raccontare. Di questo, ti sarò sempre grata. 
Così come sono grata a voi. Che la storia l'avete seguita ed amata, presa un po' così, con la pazienza che ci vuole con un'autrice distratta che non pubblica per mesi. 
Grazie Mille, davvero.

La canzone che ho preso in prestito è Gravity, dei Coldplay. Poco conosciuta, molto struggente, un manifesto al fatto che alla fine non sempre le cose vanno come vogliamo, che il peso della vita sulle spalle lo sentiamo tutti. Per tutto il racconto ho lasciato la parola a Federico: ma certe cose si fanno sempre in due. Ed era giusto che qualcuno dicesse la sua. 
Vorrei queste note non finissero mai. Mi sto commuovendo, sono una persona emotiva. Ma sono certa che ci saranno ancora tante altre occasioni. 

Un bacio, 
e alla prossima. 

 

 

 
  
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