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Autore: Captain Willard    22/06/2016    1 recensioni
Gabriel Gracelyn ha quarantadue anni e si accontenta di lasciarsi passare la vita accanto: l'amore per la sua fidanzata è ormai appassito, la musica non gli dà più soddisfazioni ed è stanco delle solite facce, della solita ipocrisia, di un'esistenza apatica che lo tiene avvinto.
È quando meno se lo aspetta che le fondamenta delle sue abitudini vengono scosse nel profondo: una ragazza a una festa dove entrambi si sentono estranei, un incontro atteso e inaspettato che lo costringe ad affrontare i fallimenti di una vita piena di successi; occhi verdi come i prati d'Irlanda, a guidarlo verso qualcosa di diverso. Sbagliando e cadendo, ma sempre rialzandosi.
“E pensò che forse si era perso più di quanto voleva credere, in tutti quegli anni.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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9

- between my pride and my promise -

 

 

 

 

Alissa dormiva tranquillamente al suo fianco, sulla bocca l'ombra d'un sorriso che Gabriel non vide, lo sguardo fisso sopra di sé, al soffitto.

Quindici notti erano trascorse, senza recargli consiglio; le stelle non gli avevano dato conforto, indifferenti al suo dolore e al suo amaro pentimento: per le parole che aveva rivolto alla sirena, la rabbia, il rancore, l'egoismo di sentirsi vittima d'un copione che recava la sua sola firma.

La donna al suo fianco si mosse nel sonno, gli si strinse contro ma il pianista sospirò e scivolò via con cautela dal suo abbraccio, abbandonando il lato giusto d'un letto sbagliato, rifugiandosi nella camera della musica. Accese alcune delle candele sparse per terra, si avvicinò al pianoforte, raccolse i fogli su cui aveva soffiato le speranze d'un nuovo inizio: per un istante volle stracciarli e gettarli fuori nella pioggia, ma non ebbe la forza; si lasciò scivolare a terra.

Non poteva cancellare anche questo, fingere che non fosse successo niente. Non poteva cadere più in basso di così, tornare a recitare, tornare vuoto e miserabile e senza di lei perché... oh, dio. Come aveva potuto lasciarla andare? Come aveva potuto lasciare andare tutto? Gettarsi la vita alle spalle, perdere le emozioni per strada e strapparsi di dosso quella pelle nuova, pelle migliore che ora non sapeva più come ritrovare.

 

Non era stata un'illusione ma la cosa più vera che l'avesse mai toccato, e lui si era arreso. Aveva gettato via la bussola, tagliato le cime, scelto la via più facile e per cosa?

Per niente!, si maledisse colpendo il mucchio più vicino, una cascata di spartiti gli si rovesciò addosso e con essi qualcosa di pesante, che lo urtò dolorosamente alle cosce. Masticando una bestemmia, l'uomo scansò malamente i fogli finché alla luce della candele non vide una figura di donna, dai lunghi capelli rossi.

Fu come versare acqua fresca sulla sua rabbia; sospirò e tracciò con le dita i contorni del disegno, sorridendo amaramente. Si era dimenticato del Porto proibito.

Esitò per un momento sul bordo della copertina, si chiese se non sarebbe stato meglio cancellare tutto, gettare via le parole scritte, abbandonare il libro nella polvere, tornare all'esercizio di rassegnazione che l'aveva visto maestro per quarant'anni.

Ma il mare disegnato lo chiamava, la donna nel vento gli ricordava così tanto Maebh... e lui non seppe trattenere le lacrime, quando iniziò a leggere.

 

 

Il marinaio si riconobbe presto nel capitano Nathan, nella prostituta Rebecca, e in essi ritrovò anche frammenti della sirena. Le loro parole erano le sue, era lei che gli parlava attraverso voci e sguardi di grafite. C'era uno spazio grigio e sfumato tra i due amanti, dove lui lesse le proprie idiosincrasie, le proprie nebbie.

 

Approda a me come alla terraferma in seguito a una tempesta. Mi bacia come si bacia il suolo dopo aver rischiato la morte in mare. Oh, Dio... che cosa hai fatto di me? Che cosa sono diventata? Che cosa stai cercando di dirmi con le labbra salate di questo amante portato dal vento?

 

Ecco, era Rebecca. Rebecca sconvolta, in quella notte di pioggia col capitano, appena approdato al suo letto. Gabriel tremante, in quella prima notte limpida con la sirena, lontani dalla terraferma.

 

Pensavo al mare. Libero e sconfinato, spietato e indifferente. Basta a se stesso, non si preoccupa di nulla. In tutti questi anni ho sempre desiderato assomigliargli, vivere e pensare come lui: andare alla deriva, lasciarmi portare. Non mi pareva di avere alcun bisogno di un senso, di… una destinazione. Mi illudevo che se non avessi mai avuto a cuore niente, non avrei mai rischiato di perdere alcunché. Sarei stato inattaccabile dalle tragedie.

Inaffondabile…

 

Ora Nathan. Nathan e il ricordo del suo vecchio io, prima della donna dai capelli rossi, prima di qualcosa di meglio. Gabriel e la farsa d'una vita.

 

Si dice che la saggezza non sia tanto questione di ciò che uno fa… quanto di ciò che lascia accadere. Ma cosa è saggio aggiungere a un momento come questo?
Fa’ di me, se vuoi, la tua cima di sicurezza. O, se preferisci, abbandonati pure alla corrente… mi troverai ad attenderti per trarti a riva, quando avrai permesso al mare di diluire anche l’ultima goccia di tanto dolore.

 

Nathan e la perdita. Gabriel e le parole che avrebbe voluto saper dare a Maebh, per suo figlio e i suoi genitori; non sapeva d'avergliele date comunque in un abbraccio.

 

Su strade tracciate, smarrivi la via. Nell’oceano sconfinato, là dove non v’è ombra di sentieri, tu – assetato di cose lontane – ti sentivi a casa. In questo ci somigliavamo: tesi verso l’infinito, bisognosi d’immenso. Come stelle… che solo in cielo, e in mare, trovano lo spazio di essere.

 

Ed ecco Maebh... attraverso la voce più adulta di Rebecca, ma gli stessi capelli, lo stesso canto di sirena. Maebh che gli parlava, e Gabriel dovette soffocare i singhiozzi contro le pagine, il cuore stretto, il respiro mancante.

Pianse per ore, pianse tutte le lacrime soppresse per anni, gettando fuori veleno e rancore, le tossine di una vita vissuta nella resa, in passivo. Sputò fuori tutto, raschiando vene e polmoni, labbra e midollo: si ritrovò più leggero, alle luci dell'alba.

Avrebbe aggiustato le cose, avrebbe avuto il perdono della sirena.

 

Sono brocca vuota, asciutta, incrinata.

Brocca d’arida creta, perduta da un carro sull’infinita distesa di terra spaccata dal sole. A che serve questo recipiente abbandonato, là dove da tempo non cade più una goccia?

Eppure aspetto la pioggia.

 

 

***


 

«Maebh...»

La ragazza sospirò, continuando a sorseggiare la sua Guinness, la sesta della serata. Loren scansò il proprio bicchiere vuoto e guardò l'amica dritto negli occhi, incrociando le braccia. «Che si fa stasera? Vieni da me a guardare un film?»

«Non mi va.»

«Facciamo una passeggiata?»

«Ti pare il caso, con questo tempo di merda?» rispose irritata la rossa, indicando la pioggia che scrosciava fuori del pub. La più piccola sbuffò, facendo cenno al barman di spinarle un'altra pinta. Di solito era lei quella impulsiva, lunatica e in genere la produttrice di cazzate, a cui Maebh poneva argine con infinita pazienza, ma a quanto pareva i ruoli si erano invertiti.

«Allora prendiamo la macchina e andiamo da qualche parte.»

«E dove, sentiamo.»

«In un posto che venda delle cose dolci, ne compriamo una vagonata e te le ficco in gola così ti addolcisci pure tu, eh?» propose Loren a metà fra l'infastidito e il divertito. L'amica, ancora china sulla birra, si girò a guardarla arrossendo di vergogna.

«Mio dio, Lo... scusa, non volevo parlarti così.»

«Non importa tesoro, ma sputa il rospo. Non mi piace quando non mi dici le cose.»

Maebh emise una risata amara. Si portò il bicchiere alle labbra e buttò giù la birra in due sorsi. «Ecco, ora posso dirtelo senza scoppiare a piangere.»

«Oddio» mormorò Loren, facendosi pallida. «È successo qualcosa con Gabe, vero?»

Lei annuì. «Ci siamo lasciati, se così si può dire.»

«Cosa?! Ma... perché?» gemette la mora, cacciandosi le mani nei capelli.

«Ha messo incinta Alissa.»

Loren boccheggiò sconvolta, si fece tutta rossa di rabbia e sbatté i pugni sul bancone. «FIGLIO DI PUTTANA!»

«È quello che gli ho detto anch'io!» si mise a ridacchiare Maebh, ma presto le risate si fecero singhiozzi e le lacrime presero a scorrere, sciogliendole il trucco in lunghe strisce nere.

«Oh, tesoro» sospirò l'amica, stringendola tra le braccia e cullandola dolcemente. «Mi dispiace così tanto...»

«È che io lo amo, capisci?» ululò la rossa, afferrandola per il bavero della giacca. «E lo so che sono una cretina e che non dovevo farmi illusioni, ma io ci speravo, ok? Speravo che avremmo potuto avere di più prima o poi, invece ora lui l'ha messa incinta, e fa lo stronzo e io non lo voglio, ma lo amo! Lo amo così tanto...»

Loren scosse la testa; si girò a prendere dei tovaglioli per asciugarle il viso e incrociò lo sguardo divertito di un gruppo di ragazzini seduti al tavolo accanto. «Be', che cazzo vi guardate?! Se volete faccio piangere pure voi, così poi imparate a farvi i cazzi vostri!»

Prese i tovaglioli e tornò a Maebh, il cui monologo sbronzo si era affievolito in deboli singhiozzi. La rossa sorrise suo malgrado mentre l'amica le tamponava gli occhi e le guance. «Oh, Lo. Tu saresti capace di prendere a male parole anche il Papa.»

«Non è colpa mia se la gente non capisce che chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni» sogghignò Loren, carezzandole il viso e sistemandole i capelli dietro le orecchie.

«Come sto?» chiese Maebh con un debole sorriso.

«Sembri un panda. Dai, vieni che ti accompagno a casa.»

L'altra sospirò e la seguì docilmente fuori del locale, fino alla macchina.

«Ai tuoi hai detto niente?» le domandò Loren, avviando il motore. L'altra scosse la testa.

«No, penso che aspetterò qualche giorno. Se mi vedesse piangere così, Cesare non ci penserebbe due volte ad ammazzare Gabriel» scherzò senza convinzione. L'espressione della moretta si fece maliziosa.

«Oh, spero che lo faccia col suo bastone, quello col manico intarsiato!» sogghignò, cercando di sdrammatizzare. «Gli si addice, un uomo così fascinoso. Chissà se con Marco lo usa...»

«Loren...»

«Magari si dedicano al sadomaso, Cesare è il dominatore e usa il bastone per redarguire il suo schiavetto-»

«LOREN!»

«Ok ok, la smetto! Però che ci posso fare, li shippo!» rise lei, ammiccando. Maebh gemette, cercando di reprimere un sorriso. Trascorsero il resto del tragitto in silenzio, ma una volta sotto casa la rossa le prese la mano.

«Potresti restare a dormire? Non voglio-...» si interruppe, abbassando lo sguardo. Loren sorrise, slacciandosi la cintura di sicurezza.

«Ora entriamo, mangiamo qualcosa e leggiamo fanfiction idiote, ok? Poi dormiamo. Non ti lascio sola.»

E così fecero. Loren aveva il sonno pesante, ma alle prime luci dell'alba non le sfuggirono i singhiozzi soffocati di Maebh, rannicchiata su un fianco; le si strinse alla schiena e le cinse la vita con un braccio, baciandole la nuca.

«Passerà, tesoro. Passerà anche questo.»

 

***

 

Fabio sospirò di malcelato sollievo quando Alissa fu uscita; si allentò il nodo della cravatta e prese a farsi aria con l'ultimo numero di Vogue. Gabriel versò per entrambi del brandy e salirono al piano superiore, alla camera della musica. L'agente si accostò al pianoforte e prese il volume che vi stava sopra.

«Da quando leggi i fumetti?»

«Maebh» fu la stringata risposta del musicista; dal leggio prese dei fogli pinzati e glieli porse. «Ho scritto questo. Voglio inserirlo nel disco. Bonus track.»

Fabio scorse il testo della canzone, sotto il pentagramma. Alzò un sopracciglio e scoccò uno sguardo indagatore al musicista, che si torceva nervosamente le mani. «C'è qualcos'altro, vero? Non mi hai chiamato qui solo per questo, altrimenti saresti semplicemente andato a registrare, facendo il cazzo che ti pare come sempre.»

Gabriel sorrise amaro, sorseggiando il brandy. «Non ti sfugge niente, eh?»

«Sono il tuo migliore amico, stronzetto. Non sottovalutarmi» ghignò il biondo, sedendosi accanto a lui sullo sgabello, stavano stretti ma nessuno dei due si alzò. Gabriel suonicchiò una semplice melodia, finché Fabio non mise una mano sulla sua, fermandolo.

«Che c'è, Gabe?»

«Ho fatto una cazzata.»

«Come sempre.»

«No, questa è una cazzata enorme.»

«...C'entrano qualcosa Alissa e la sua inusuale cordialità?»

«Aspettiamo un bambino.»

Fabio non iniziò a urlare sconvolto, Gabriel ne fu stupito e si girò a guardarlo: l'agente si era fatto pallido come un fantasma, gli occhi sgranati, la bocca aperta senza che alcun suono ne uscisse.

«Fabio...»

Il biondo sussultò e deglutì, portandosi le mani giunte al viso. Emise un lungo sospiro. «Oh, dio. Che cazzo hai combinato?»

«C'è anche di peggio: Maebh mi ha lasciato.»

«E lo credo bene. Cristo santo... ma che cazzo ti è saltato in mente?!»

«Non volevo che succedesse, se potessi tornare indietro... ma ora tutto quello che voglio è tornare con Maebh. Troverò il modo di risolvere la situazione, io sistemerò le cose.»

«Tu vuoi... lasciare Alissa?» domandò incredulo l'agente. Gabriel annuì.

«Non posso andare avanti così. Io voglio stare con Maebh, costi quel che costi. Non posso più stare a metà tra due vite.»

«Lo sai che non sarà facile, vero?»

«Lo so. Ma ci proverò.»

Fabio gli batté una mano sulla spalla, stupefatto. «Be', vecchio mio, adesso ti tocca riconquistare la tua bella.»

«Sempre che voglia riprendermi con sé...» sospirò Gabriel tristemente. «Ho paura di fallire come sempre ho fatto.»

L'amico parve riflettere, poi gli sorrise dolcemente. «Gabe... ricordi quando è morta Miko?»

Il pianista alzò lo sguardo, incrociando quello commosso dell'agente. «Come potrei dimenticarlo?»

«Lei ti voleva così bene, mi diceva sempre di tenerti d'occhio, prendermi cura di te. Forse le ricordavi suo fratello minore, non lo so, ma io ridevo e le dicevo sì, lo farò. E quando poi il tumore me l'ha portata via, io-...» la voce gli si incrinò e si interruppe per un momento, sollevando gli occhi al cielo come per ricacciare indietro le lacrime.

Tossicchiò e si passò una mano tra i capelli, sorrise debolmente. «Io ero così arrabbiato. Pensavo: ecco, ci sono, mi prendo cura dei nostri bambini, di Gabe... ma chi si prenderà cura di me? Ce l'avevo con lei, per avermi lasciato così presto, ma soprattutto ce l'avevo con me stesso perché ero sempre stato così preso dal lavoro, e non l'avevo mai portata a vedere il sole di mezzanotte, le aurore boreali, e tutti i viaggi che lei desiderava tanto. E non avrei più potuto farlo. Ho pensato che non ce l'avrei più fatta ad essere felice, senza Miko. L'amavo così tanto e la amo ancora, come il primo giorno, anche adesso che sono passati sei anni... ma cercai comunque di mantenere la promessa. Badavo ai bambini, tentavo di essere un bravo genitore, cercavo di sostenere te e tenerti lontano dalla depressione, ma mi sentivo un groviglio dentro, un peso che non riuscivo a districare e sciogliere. Ero pieno di rancore, rimpianto per tutte le parole non dette, le cose non fatte, non smettevo di piangere la notte e chiedermi perché non ero stato capace di fare di meglio. Lavoravo, mangiavo, bevevo, ma mi limitavo a sopravvivere, non riuscivo ad andare avanti.»

«Però poi ti sei ripreso...» azzardò timidamente Gabriel. Fabio annuì, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca.

«Una volta, i bambini erano in campeggio. Non mi ero ancora deciso a togliere le cose di Miko, il solo pensiero di mettere in una scatola i suoi vestiti, i gioielli... mi sentivo male. Ma quella sera mi forzai ad aprire l'armadio, iniziai a tirare giù tutto, ma mi fermai a metà, non ce la facevo, mi mancava l'aria. È stato allora che l'ho visto: il nostro album di fotografie, quello che lei mi aveva chiesto di portarle in ospedale. Non avevo più avuto il coraggio di aprirlo, c'era tutto lì dentro e io volevo solo dimenticare, negare e annullarmi. Non volevo più memorie. Ma poi... ne è scivolato fuori un biglietto, piccolo, spiegazzato. La calligrafia era quella piccola e tonda di Miko, ma più tremolante, incerta. L'aveva scritto uno dei suoi ultimi giorni, capii. Furono le sue parole a salvarmi e ridarmi vita.»

Tacque e si infilò una mano in tasca, prese il portafogli e ne tirò fuori una strisciolina di carta plastificata; la porse a Gabriel, che la prese con mani tremanti. Lo sguardo scorse sulle curve d'inchiostro blu.

 

Una barca è al sicuro nel porto, ma non è per questo che le barche sono fatte.

Un giorno attraccherai, amore mio, e sarò lì ad aspettarti. Ma adesso prendi il largo, il mare ti aspetta.

 

Per sempre tua,

Miko

 

Gabriel si asciugò una lacrima che era sfuggita, rese il biglietto a Fabio. Lui gli sorrise. «Getta via la paura del fallimento, e buttati. Non tornare a fondo.»

«Non lo farò... e grazie. A tutti e due.»


 

 

***

 

 

HAH! Visto? Avevo detto che avrei pubblicato presto, e l'ho fatto. Sono un uomo di parola!

Passando alle cose serie: la prima frase del biglietto di Miko (Una barca […] sono fatte) è in realtà una citazione di William G. T. Shedd, quindi non illudetevi che io sia capace di sì begli aforismi.

Le citazioni del Porto proibito invece sono appena rimaneggiate, ho giusto tagliato alcune parole perché altrimenti venivano lunghe due chilometri, non me ne vogliano i fan di Turconi e Radice.

E niente, Fabio è un cutie patootie e Gabriel finalmente inizia a essere meno un bastardo. E Loren è una slasher.

 

 

  
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