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Autore: arsea    22/06/2016    5 recensioni
Post Apocalypse e possibili spoiler!
Charles ed Erik non sono così lontani come è stato in passato, ma l'ennesimo tradimento è troppo vicino per poter essere cancellato. Charles non può permettersi più di perdonare, anche se è certo che il ci sarà presto un'altra occasione per farlo. Non può permettersi di credere alle parole di Erik. Non può più permettersi di credere in Erik e basta.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il giorno dopo la battaglia in Egitto, qualche mese prima
 
Erik era rimasto molto sorpreso da quel che era diventata la scuola.
Non era cambiata molto esteticamente, solo qualche rampa o ascensore in più che non c'erano stati la prima volta che vi aveva messo piede, c'era un campo da basket dove prima era stata solo erba, ma per il resto la villa era esattamente come la ricordava.
Anche la sua stanza era identica.
Era stato sicuro di non avervi lasciato niente di suo, giacché quando l'aveva lasciata, per partire per Cuba quella mattina, era stato già sicuro che non vi avrebbe più fatto ritorno.
E invece eccolo lì, di nuovo, in mezzo a mobili pregiati e tappezzeria antiquata, ospite di Charles Xavier ancora una volta.
In realtà non l'avrebbe nemmeno riconosciuta come propria quella stanza se non fosse stato per quel particolare: sul letto, esattamente dove lo aveva lasciato ormai quasi vent'anni prima, c'era il suo portafogli.
Gli uscì una risatina soffocata mentre lo riconosceva, era stato certo di averlo perso da qualche parte, qualche altra parte, e invece era rimasto lì per tutto il tempo.
Perché era ancora lì?
Una morsa al petto gli ricordò l'importanza che aveva avuto e il modo in cui l'avesse calpestata, ignorandone il valore; a volte era stata insopportabile quella sensazione, soprattutto mentre era rinchiuso in quella cella sotto al Pentagono con nient'altro da fare se non rimpiangere i propri errori, ma aveva sperato di non provarla mai più dopo Washington, dopo aver accettato di vivere come un uomo normale, dopo aver abbandonato la rabbia per la pace.
Non si era pentito di aver scelto una strada diversa da quella di Charles, si era sempre fatto bastare il semplice sapere che quell'uomo tanto simile e diverso fosse soltanto vivo e felice, ma quel portafoglio urlava più che mai che il Professor X non aveva mai smesso di desiderarlo al suo fianco.
E quale grandezza aveva raggiunto!
Quella scuola era la cristallizzazione materiale dei sogni del telepate, quei ragazzi la testimonianza vivente di ciò in cui credeva, gli erano bastati i loro sguardi nel vederlo ancora vivo per esserne certo, erano il vanto del Professore.
E lui la sua più grande delusione invece.
Era stata questa certezza ad impedirgli di restare dopo Washington, e anche adesso, più che mai adesso, lo avrebbe portato a partire di nuovo.
Charles Xavier era una luce troppo accecante per lui, così abituato all'oscurità com'era.
Così forte, così saldo, certo di stare nel giusto come se una verità infusa guidasse i suoi passi. Quell'uomo sembrava composto della fibra più resistente mai creata da Dio, persino dopo aver combattuto contro Apocalisse era stato capace di sorridere e tranquillizzare i suoi ragazzi, anche se era stato lui quello a rischiare la vita più di chiunque altro.
E lui invece… aveva ceduto alla debolezza ancora una volta, si era lasciato inghiottire dal dolore e dalla solitudine, dalla vendetta, aveva seguito quell'essere senza ribellarsi per il semplice desiderio di veder distrutto tutto ciò che nel mondo aveva distrutto lui.
Il potere e l'odio lo avevano prosciugato, non gli era importato né delle vite strappate via né di quanti fra loro avrebbero potuto meritare di vivere, se un tempo aveva ucciso credendosi il giudice e la giuria più adatti adesso era semplicemente morte, solo questo, la morte disinteressata di un uragano o un terremoto.
Come avrebbe potuto restare in quella casa, la casa di Charles Xavier, l'uomo che aveva agito in quel modo?
Improvvisamente non riuscì più nemmeno a respirare in quella stanza.
Prese il portafogli e lo gettò nell'immondizia, quindi uscì con un sospiro trattenuto trai denti, anche se non aveva una vera e propria meta.
Percorse il corridoio del secondo piano imponendosi di calmarsi, presto il rimpianto che gli stringeva la bocca dello stomaco si sarebbe dissolto, l'esperienza glielo assicurava, ma era abbastanza sicuro che qualche bicchiere di scotch avrebbe di molto aiutato il processo e sapeva anche dove poteva trovarne anche in una scuola per giovani dotati.
Lo studio del padre di Charles era immenso, più una biblioteca a dire il vero, con centinaia di volumi a tappezzarne le pareti e un piccolo salotto di divani in pelle a riunirsi confortevoli in mezzo a tappeti dalla foggia orientale, lo ricordava bene e non gli sembrò cambiato mentre superava la prima finestra che dava sul parco, ma prima che potesse raggiungere il mobile dei liquori che era il suo obiettivo si rese conto di non essere affatto solo nella stanza << Erik >> Charles era in un angolo della stanza, per questo non lo aveva visto, di fronte all'ultima vetrata e affianco ad un basso tavolino su cui faceva mostra di sé una bottiglia piena per metà.
Non sembrava sorpreso di vederlo, era impossibile sorprenderlo dopotutto, ma non poteva non trovare strana la sua presenza visto che una sola luce era accesa, lontana da lui per di più, senza scordare che si era congedato per andare a dormire più di un'ora prima.
Aveva mentito per venire lì, oppure il sonno era scomparso, ma ad ogni modo Erik si incamminò con disinvoltura verso di lui << Ce n'è un'altra bottiglia nel frigobar. Puoi portartela in camera se vuoi >> disse il telepate prima che lo raggiungesse, indicando  il bicchiere fra le sue mani, ma questa volta non riuscì a nascondere del tutto la voce roca.
Erik si fermò, chiedendosi se fosse il caso di proseguire, spaventato all'idea di farlo a dire il vero, la morsa sul suo stomaco si fece ancora più feroce, quasi insopportabile << C-Charles? >> la luce era troppo lontana perché potesse scorgere il suo volto, ma quando l'altro sollevò il bicchiere per svuotarlo in un lungo sorso, il baluginio giallognolo della lampada sulla scrivania riuscì ad illuminarlo abbastanza da rivelare le guance bagnate.
Erik si sentì trattenere il fiato, improvvisamente si rese conto che nessun elmetto poteva impedirgli di cadere nelle trappole di quell'uomo, fu dolorosamente ovvio che lui non aveva fatto altro che credere a ciò che chiunque altro credeva, vedere ciò che chiunque altro poteva vedere di Charles, ovvero un bel niente << Oh, non hai nulla di cui preoccuparti, vecchio amico. Vai pure a dormire, sarai stanco. Oppure sei venuto a salutarmi? >> chiunque altro avrebbe cercato di dissimulare, avrebbe finto o se ne sarebbe vergognato, invece lui si limitò a passarsi le dita sottili sul volto, prima sotto un occhio e poi sotto l'altro, asciugandosi le lacrime come fossero solo qualche macchia fastidiosa prima di sorridere come aveva fatto per tutto il giorno << Domani >> fu l'unica cosa che riuscì a dire, sconvolto dalla propria superficialità, i pensieri che aveva fatto poco prima gli parvero incredibilmente meschini adesso << Me ne andrò domani >> << Naturalmente. Lo scotch non ha smesso di conciliarti il sonno, vedo >> aggiunse poi, placido << Nemmeno a te >> commentò Erik indicando la bottiglia con un cenno e il professore ridacchiò scrollando il capo prima di versarsene ancora.
Fece cenno ad uno dei bicchieri ancora puliti sul ripiano poco lontano, quindi lo riempì e lo porse al signore dei metalli << Puoi stare qui finché non farà il suo effetto >> si spostò verso la scrivania, ma si fermò dall'altra parte rispetto alla poltrona nera del padre, così che la sua sedia a rotelle fosse affianco a quella imbottita dove Erik sedette << Stai bene? >> domandò quest'ultimo, anche se sapeva bene che la risposta sarebbe stata una menzogna.
Charles lesse i suoi pensieri probabilmente, perché preferì restare in silenzio.
Almeno lo rispettava ancora abbastanza da concedergli questo privilegio << Non ho mai smesso di rispettarti. Le supposizioni con cui appesantisci il tuo animo sono solo sciocchezze >> e bevve ancora, e se ne versò ancora.
Aveva intenzione di ubriacarsi evidentemente, ma non perdeva la sua compostezza nemmeno adesso << Potevi invitarmi alla tua piccola festa privata >> ironizzò prendendo un sorso, strappandogli un altro sorriso, più timido e contenuto questa volta.
Avrebbe dovuto capire dalla differenza quale fosse quello vero e quale quello falso.
Charles non doveva aver avuto una vita meno difficile della sua, era stato uno sciocco a giudicarlo dalla pacatezza che ostentava; anche lui, proprio come tutti gli altri, si era lasciato ingannare dal Professor X, e senza nemmeno costringerlo ad usare le sue capacità di mutante.
Bevve un altro sorso, si costrinse a mandarlo giù anche se significò lottare con la gola serrata << Non essere così melodrammatico >> lo blandì Charles << Sono io ad esserlo, quindi? >> << Tutti noi dobbiamo imparare a vivere nel mondo, non pensi? Quando mi hai incontrato ero ancora giovane e sprovveduto… ho imparato molto nel frattempo, sono cambiato. A cosa servirebbe mostrare quel che provo ai ragazzi? O a Hank o Raven persino… Ciò che sono e ciò che devo essere sono entità distinte che devo sforzarmi di far combaciare. Non puoi biasimarmi se l'ho fatto anche davanti a te. Non ho mai avuto il benché minimo sentore che sarebbe servito a qualcosa non farlo >> << Ti ucciderebbe mostrarti un briciolo meno saldo di quel che sei? >> << Questa domanda te la rigiro tale e quale, amico mio >> dichiarò l'altro con una risatina << È questo che insegni ai tuoi ragazzi allora? Che effetti ha sul loro adorato Professor X la sua incapacità di reinserirsi in modo proficuo nella società? >> fece, scimmiottando il suo accento, ma di nuovo l'unica reazione fu una breve risata ironica << Direi che hai centrato piuttosto bene il problema >> commentò il telepate, sollevando infine gli occhi su di lui.
Mi hai abbandonato.
Erik fu travolto da quelle vecchie parole con la forza di una cannonata.
Rivide il suo sguardo mentre gliele urlava contro, rivide la sua impotenza, il suo dolore, rivide la supplica che nascondevano.
Era stato lui ad insegnargli a comportarsi a quel modo, lui lo aveva portato a non fidarsi più di nessuno, no, a non affidarsi più a nessuno, a non cercare più in nessuno quel che aveva perso con così tanta sofferenza.
Si era costruito una nuova vita, si era risollevato e aveva imparato a vivere senza Erik, senza Raven, e quel che quello sguardo gli diceva adesso era che non aveva alcun diritto di biasimarlo se il metodo che aveva adottato non gli piaceva << Potevi chiamarmi >> si ritrovò a dire, gli uscì solo un sussurro << Potevi cercarmi >> << A che pro? >> lo sfidò il professore << Io e te siamo diversi, Erik. Inconciliabili. Non hai mai mancato di ricordarmelo >> << Potevo ascoltarti >> << Non avevo niente da dire che tu potessi ascoltare >> cominciava ad innervosirsi, Erik lo capì dall'irrigidirsi dei muscoli del braccio scoperto dalle maniche rimboccate, ma dopo aver svuotato di nuovo il bicchiere tornò a rilassarsi, diede in un respiro profondo e lo sguardo si fece languido e vitreo.
Erik lo imitò quasi meccanicamente, continuando a seguire ogni suo minimo gesto, dalle minuscole rughe d’espressione adesso quasi del tutto distese al movimento degli occhi infossati dalla stanchezza, finanche il lento incedere del suo petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
Aveva pensato di andare da lui quando erano morte.
Una parte di Erik, quella che aveva urlato per l’ingiustizia mentre le stringeva al suo petto, quella che non aveva trovato pace nemmeno nel seminare morte tra gli sventurati aggressori, lo aveva supplicato di raggiungere Charles.
Lui avrebbe capito, l’avrebbe aiutato, avrebbe sopportato di farlo urlare e sfogare, Charles lo avrebbe guarito.
Era stato certo di questo, vi aveva creduto con tale fervore che solo l’enorme vergogna per essere tornato ad essere un assassino, il timore di non venir accettato lo avevano infine convinto che tutto fosse perduto, sprecato, che nemmeno il telepate sarebbe stato capace di dimenticare che aveva ucciso sei innocenti.
E invece Charles non aveva affatto pensato a lui nei momenti di difficoltà, avrebbe potuto contattarlo facilmente ma non l’aveva fatto in tutti quegli anni, anche se la prova che ne avesse avuto bisogno era proprio di fronte a lui.
Improvvisamente si rese conto che lo aveva evocato spesso nella sua memoria, anche nei racconti con sua moglie, aveva anche accettato il fatto che avesse instaurato con lui un legame che trascendeva la mera amicizia fraterna, ma niente gli assicurava che lui invece non fosse solo uno spiacevole ricordo per Charles << Stai leggendo i miei pensieri adesso? >> << No >> poi: << Dovrei? >> << No >> rispose Erik.
Aveva avuto solo Raven quando lo aveva conosciuto, un ragazzo di vent’anni incapace di instaurare un rapporto più duraturo di una notte, e gliel’aveva strappata via, senza preoccuparsi minimamente dello stato in cui lo avrebbe ridotto la solitudine.
Non c’era più il siero e la rabbia era ben celata, ma il Charles furioso e disperato non era scomparso, era solo stato seppellito sotto la sua nuova facciata << Sai Erik... chiamo “dono” la mia telepatia, ma il numero di ricordi terrificanti che mi ha fatto collezionare ha dello sconcertante >> esordì l’altro, lontano anni luce dai suoi pensieri, oppure molto più vicino di quel che immaginasse.
Un tempo era stato più facile immaginare i suoi pensieri << Leggere la mente degli altri dovrebbe evitarmi le brutte sorprese, non pensi anche tu? Aiutarmi a prevedere i colpi più duri o qualcosa del genere, invece... a dirla tutta credo proprio che sia la mia mutazione la causa di alcuni dei miei dolori più atroci. Eppure insegno ai miei studenti proprio il contrario. A volte mi chiedo se io non sia il peggiore degli ipocriti oppure semplicemente il più ottimista >> << È a questo che stiamo “festeggiando”? >> domandò il tedesco indicando i loro bicchieri e Charles strinse le labbra come faceva sempre quando tratteneva un sorriso, anche se non riuscì a fare niente per quello che si liberò dai suoi occhi.
A volte glielo rendeva così facile.
Il semplice fatto che non si fosse mai accorto dei pensieri che faceva su di lui rivelava quanto poco usasse le sue capacità sulla sua mente << Festeggiamo la vittoria, naturalmente! >> esclamò proponendo il brindisi, ma dopo che il vetro ebbe tintinnato per il contatto che ne scaturì sembrò che questo fosse solo l’ennesima scusa per buttar giù gli ultimi sorsi di scotch rimasti nella bottiglia.
Le labbra morbide e rosse erano leggermente bagnate adesso, socchiuse di soddisfazione e per i respiri brevi per il calore dell’alcol << Devi parlare con qualcuno, Charles. Comprendo che tu non voglia farlo con me, non devi essere impazzito del tutto, ma devi... >> << La tua capacità di accettare i mutanti e i loro poteri è direttamente proporzionale alla tua totale incapacità di sopportare l’umanità che non li possiede. Non comprendere l'unicità e l'enorme potenziale di questo tuo pregio però è  anche la tua più grande mancanza >> lo interruppe con voce assente, lo sguardo perso da qualche parte  oltre la spalla di Erik << Nessuno ti ha mai detto quanto sia irritante il tuo continuo pontificare sulla morale e personalità altrui? >> ribatté l'altro facendolo ridacchiare.
La mano che non teneva il bicchiere era stretta sul bracciolo della sedia a rotelle, ma la risata suonò sincera tanto da far rabbrividire << Distorsione professionale, immagino >> commentò il telepate << Deve essere incredibilmente noiosa la vita di Charles Xavier >> lo punzecchiò il tedesco, ma questa volta non ricevette la reazione sperata.
Invece di rispondere, il professore si perse a fissare il vuoto, l'azzurro corrotto da una cupa nota giallognola intorno alla pupilla come a volte gli accadeva, e per un lungo momento non parlò.
Erik avrebbe dato la sua mano destra per scambiarsi le mutazioni in quell'attimo, ma se la sarebbe anche mangiata prima di esprimere a parole la sua curiosità divorante.
Quell'uomo davvero era sempre stato il gigantesco punto interrogativo che era adesso?
Prima però che potesse davvero prendere in considerazione l'idea di rinunciare alla sua mano dominante pur di far cessare il silenzio Charles sembrò tornare in sé, si portò distrattamente una mano alla testa e borbottò qualcosa sul fatto che fosse l'ora di ritirarsi a letto, Erik non lo trattenne perché sapeva di non possederne il diritto, ma mentre lo seguiva fuori dello studio e si congedava da lui dopo pochi passi, comprese che lo studente più impossibile di Charles Xavier era proprio Charles Xavier.



NA: Questo capitolo è un'altra piccola parentesi che mira ad approfondire il rapporto tra questi due testoni. Ho in programma un bel po' di flashback, in oridne sparso però, visto che non sono affatto ordinata come vorrei essere, ma spero comunque di soddisfare le fantasie delle tante Cherik-addicted come me che si sono riempite la testa di "what if" XD XD
A parte questo, spero di compensare la brevità del capitolo con la celerità con cui pubblicherò il prossimo: siamo già ad una prima stesura e tra qualche giorno vedo di mettere la versione definitiva :)
   
 
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