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Autore: kiara89    22/06/2016    0 recensioni
< Bauglir però non ha mandato nessuno a cercarlo… perché?> si morse le labbra guardando distrattamente per terra mentre il ragazzo le stringeva le mani in silenzio.
All’improvviso la verità le piombò in testa con tutta la sua ovvietà.
< Ma certo!> disse fissando l’amico < Non era lui che voleva! Lui era solo un espediente per arrivare a qualcun altro>.
I suoi occhi lo scrutarono con intensità. Amlach divenne rosso, poi pallido infine, con la faccia più neutra che in quel momento poté comporre, mormorò:
< Intendi me? Perché mai preferirebbe il figlio minore di un re vassallo al legittimo erede al trono dei Dieci Regni?>.
< Lo sappiamo benissimo entrambi Amlach> gli rispose lasciandogli le mani.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passò una settimana, sette lunghissimi giorni. Yashira non aveva più saputo niente di Archen da quando l’aveva avvertito della trappola. Bauglir ovviamente non poteva dire ciò che era realmente accaduto, quindi fece annunciare che il principe, disperato, era partito di nascosto alla ricerca del fratello. Ben pochi gli credettero. Intanto la vita a palazzo continuava come tutti i giorni, se non fosse stato per l’auto-reclusione della regina, distrutta dalla perdita della sua famiglia, nelle sue stanze. Yashira venne nominata sua ancella personale dopo che Beruthiel, quella precedente, morì in seguito ad una febbre altissima. La sua vita cambiò radicalmente nel giro di un giorno. All’improvviso dovette buttare gli stracci che le facevano da vestito per indossare un abito azzurro lungo fino ai piedi, i suoi capelli furono nascosti da un velo dello stesso colore e le sue braccia si riempirono di stretti bracciali di metallo. Poteva utilizzare per spostarsi il corridoio principale, quello frequentato anche dai nobili, e non doveva più dormire in quella topaia che condivideva con altre quindici persone, ma in un’accogliente stanzetta solamente sua vicino alle camere della regina, con un piccolo bagno personale e una bellissima poltrona di cui si era profondamente innamorata.
La prima notte che passò lì non riuscì a dormire a causa del letto, troppo morbido rispetto a quello di legno con un po’ di paglia a cui era abituata. Ogni mattina doveva alzarsi alle sei in punto, invece che alle quattro, per preparare la vasca con acqua calda ed essenze profumate per la sua signora. Alle otto in punto andava ad aprire le finestre davanti al giaciglio della regina facendo entrare l’aria mattutina e le parlava del più e del meno con voce dolce per conciliare il suo risveglio. Non appena questa apriva gli occhi, Yashira faceva entrare i servi che portavano la colazione. Una volta finito di mangiare la conduceva in bagno, dove l’aiutava a svestirsi e a lavarsi; poi la massaggiava con olii profumati provenienti dalla Regione dei Laghi e le portava i vestiti che aveva scelto di mettersi il giorno precedente. Non c’era nessun programma da leggere: la Regina dopo la scomparsa del figlio minore si era categoricamente rifiutata di partecipare a qualsiasi riunione o evento, senza proteste da parte di nessuno, men che meno dal reggente. Parlava poco e soltanto quando doveva impartire a Yashira qualche compito, occasionalmente decideva di fare una passeggiata nei Giardini Reali accompagnata unicamente dalla sua ancella e da solo una guardia del corpo, solitamente Amdir che, da quanto sentiva la notte la ragazza, ricopriva anche il ruolo di consolatore del lutto del marito.
Una notte Amdir trovò parole talmente tanto azzeccate per rincuorare la povera vedova da provocare un grande imbarazzo alla ragazza e una terribile insonnia.
Si ricordò all’improvviso dello strano episodio che aveva visto sette giorni prima e senza pensarci due secondi in più era fuori dal letto con solo la camicia da notte addosso.
Uscì dagli appartamenti della Regina e aprì una porta dietro un arazzo. Velocemente percorse tutte le scale strette e sdrucciolevoli che la portarono alla sala del trono. Una volta giunta lì, tirò su dal pavimento una piastrella che conosceva solo lei e saltò dentro il buco, ritrovandosi in un corridoio claustrofobico. Scese altri gradini, perdendone il conto. L’aria si faceva sempre più fredda e stantia, il gelo le penetrava nelle ossa facendole rizzare i capelli. Infine si trovò davanti ad un muro. Alzò lo sguardo e appoggiò le mani sulla pietra sopra di lei, sollevandola. Con fatica uscì appoggiando tutto il suo peso sulle braccia. Si trovò esattamente in mezzo al lungo corridoio della prigione. C’era solo un guardiano ed era fuori: nessuno poteva uscire da quelle formidabili celle. Girava voce che alcune fossero addirittura stregate, data la loro indistruttibilità. Facendo attenzione a non far rumore s’incamminò scrutando i vari ospiti dietro le inferriate che in quel momento dormivano per lo più. Un vecchio contrabbandiere che russava, un giovane garzone colpevole di aver provato a sedurre una nobil dama, un venditore di libri proibiti, un assassino, una serie di celle vuote, girò l’angolo, altre celle vuote, l’uomo che aveva visto l’altra notte sembrava non essere da nessuna parte. All’improvviso trovò davanti a sé una porta e, vicino a essa, un’unica chiave. Conosceva la stanza a cui dava accesso la porta: un’ampia sala in cui, in una gabbia posta al centro, venivano chiusi i prigionieri più pericolosi. Col cuore in gola prese la chiave e l’infilò nella toppa, lentamente senza fare rumore girò.
Era esattamente come si ricordava. Chiuse la porta dietro di sé e a passi incerti e con le gambe che le tremavano si diresse verso il cubo di ferro, occupato da un solo uomo.
Al rumore dei suoi passi il giovane si girò.
Entrambi rimasero a fissarsi, muti per lo stupore. A Yashira cedettero le gambe e dovette usare tutta la sua forza di volontà per non urlare o scoppiare a piangere.
Quasi correndo raggiunse le sbarre, il ragazzo fulmineamente si alzò guardandola sempre senza parole.
            < Yashira! Cosa ci fai qui? È pericoloso, vai via!>.
            < Amlach! Cosa ci fai qui? Non eri partito con Archen? O dei! Eri tu quello che ho visto l’altra notte?>.
I due ragazzi si stringevano le mani attraverso le inferriate, piangendo e parlando alla rinfusa uno sopra l’altro finché non cadde il silenzio, rotto solo dai singhiozzi della fanciulla. A quel punto Yashira chiese:
            < Come sei finito qua?>.
            < Una sentinella ci ha avvistati… abbiamo scampato la trappola, ma ci hanno raggiunti lo stesso ed erano più numerosi di noi>.
            < E Archen?>.
            < Archen non lo so… l’ultima volta che l’ho visto era caduto da cavallo ed era ferito. Ma non era tra i morti>.
            < Quindi è vivo> mormorò Yashira sollevata.
Il ragazzo annuì guardandola intensamente.
            < Bauglir però non ha mandato nessuno a cercarlo… perché?> si morse le labbra guardando distrattamente per terra mentre il ragazzo le stringeva le mani in silenzio.
All’improvviso la verità le piombò in testa con tutta la sua ovvietà.
            < Ma certo!> disse fissando l’amico < Non era lui che voleva! Lui era solo un espediente per arrivare a qualcun altro>.
I suoi occhi lo scrutarono con intensità. Amlach divenne rosso, poi pallido infine, con la faccia più neutra che in quel momento poté comporre, mormorò:
            < Intendi me? Perché mai preferirebbe il figlio minore di un re vassallo al legittimo erede al trono dei Dieci Regni?>.
            < Lo sappiamo benissimo entrambi Amlach> gli rispose lasciandogli le mani.
I due rimasero in silenzio per un minuto buono, infine egli, raccogliendo il suo coraggio, le chiese con voce ferma:
            < Sei arrabbiata?>.
            < No, ma vorrei saperne di più>.
            < Allora siediti che non sarà breve>.
Si misero entrambi uno davanti all’altro a gambe incrociate come erano soliti fare a sette anni, l’unica cosa diversa era la presenza delle sbarre di metallo.
            < Io in realtà non sono figlio di Falastur, ma di sua sorella Niniel, non so chi sia mio padre, penso che non lo sapesse con esattezza nemmeno mia madre. Mi dissero che quando compii due anni cominciarono a manifestarsi i miei poteri. Avvenne in occasione dell’incendio che bruciò il castello di mio zio. Mia madre morì e una pioggia provvidenziale permise che non diventasse un mucchietto di cenere. Quando il fuoco fu domato ritrovarono il suo scheletro, in braccio c’ero ancora io, del tutto integro, che piangevo. Nessuno riuscì a spiegarsi come fosse stato possibile, all’inizio lo presero per un miracolo e ringraziarono tutti gli dei possibili ed inimmaginabili. Qualche settimana dopo cercarono di farmi mangiare un cibo che non mi piaceva, mi arrabbiai talmente tanto che la mia testa prese letteralmente fuoco> ridacchiò per un attimo, abbandonando il tono lugubre che aveva utilizzato nel descrivere gli eventi precedenti < la mia nutrice quasi morì dalla paura e mi gettò un secchio d’acqua ghiacciata in testa, inutilmente: le fiamme non morirono. Fu allora che capirono che c’era realmente qualcosa di strano in me. Non ero in grado di controllare il fuoco, così, quando compii sette anni, mio zio prese la decisione di mandarmi qua a Selene, spacciandomi per suo figlio come aveva fatto fino a quel momento per non macchiare l’onore della sorella, perché il Primo Stregone mi ricevesse e potesse darmi un’istruzione. Falastur pensava fossi solamente predisposto alla magia, come molti uomini, ma quando Taras mi diede udienza mi negò l’accesso all’Accademia dei Rossi. Disse che gli stregoni sono tali perché sono in grado di controllare la natura, ma, nel mio caso, era la natura che controllava me. Non sapeva bene che tipo di potere avessi, ma di una cosa si rese subito conto, ovvero del suo potenziale distruttivo. Così mi diede questo braccialetto> le mostrò il polso < blocca i miei poteri fintanto che lo tengo. A quanto pare essi sono incontrollabili perché collegati direttamente alle emozioni ed io non sarò mai in grado di dominarli, pertanto la soluzione migliore è soffocarli. Questo è l’unica cosa che mi garantisce una vita normale>.
            < E l’altro?> domandò Yashira indicando quello più grosso sul polso sinistro.
            < Blocca sempre il fuoco, ma come vedi non posso toglierlo> disse mostrandoglielo.
            < Fa vedere> mormorò Yashira prendendogli attraverso le sbarre il polso.
Ai lati c’erano incise alcune rune della lingua Antica con un gusto elegante e raffinato tipico dell’età dell’oro.
            < Non hai niente con cui scrivere vero?> chiese la ragazza.
Il giovane scosse la testa, Yashira sospirò e prese dalla camicia da notte la spilla da balia che teneva chiusa la scollatura.
            < Lo faccio solo perché sei mio amico>.
Si tirò su la gonna fino alla coscia dove si apprestò a incidere quando sentì il polso di Amlach ritrarsi dalla sua presa.
            < No, non ci provare Yashira!>.
            < Ti ho forse chiesto il permesso?>.
            < Non lo farai> sembrava che ringhiasse.
            < Amloch, non fare il bambino ti prego. Abbiamo poco tempo… se voglio farti uscire di qui devo fare tutto velocemente, non posso passare solo una settimana per trovare il libro giusto e poi venire qui con il libro e magari passare una notte ed una mattina intera a decifrare. Ridammi il polso> ordinò brusca.
Riluttante il ragazzo sporse l’avambraccio verso di lei.
Yashira cominciò rapidamente ad incidere le rune sulla sua pelle, il sangue colava giù sulla parte interiore della camicia per non macchiare il pavimento e lasciare tracce.
Dieci minuti dopo orribili segni le solcavano buona parte della coscia, ma erano talmente tanto sottili che tempo due giorni e, Yashira calcolò, non ci sarebbero più stati. Aspettò un attimo che quelli su cui la sua mano incerta aveva esagerato smettessero di sanguinare e si affrettò a coprire le gambe quando si accorse dello sguardo languido che Amlach stava riservando di sottecchi alla sua coscia, lanciandogli un’occhiataccia. L’amico rise divertito con un’espressione maliziosa.
            < Finiscila> lo liquidò.
Amloch si limitò a sogghignare.
Yashira si alzò e lo guardò intensamente.
            < Scoprirò cosa c’è scritto lì e tornerò Amloch. Te lo giuro, non ti lascerò marcire qua dentro>.
   
 
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