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Autore: Captain Willard    24/06/2016    1 recensioni
Gabriel Gracelyn ha quarantadue anni e si accontenta di lasciarsi passare la vita accanto: l'amore per la sua fidanzata è ormai appassito, la musica non gli dà più soddisfazioni ed è stanco delle solite facce, della solita ipocrisia, di un'esistenza apatica che lo tiene avvinto.
È quando meno se lo aspetta che le fondamenta delle sue abitudini vengono scosse nel profondo: una ragazza a una festa dove entrambi si sentono estranei, un incontro atteso e inaspettato che lo costringe ad affrontare i fallimenti di una vita piena di successi; occhi verdi come i prati d'Irlanda, a guidarlo verso qualcosa di diverso. Sbagliando e cadendo, ma sempre rialzandosi.
“E pensò che forse si era perso più di quanto voleva credere, in tutti quegli anni.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- swept by the tide -

 

 

 


 

«Eccoci qua» annunciò Cesare, accostando davanti all'entrata dell'Abbey. Sbirciò nello specchietto retrovisore per cercare lo sguardo di Maebh, ma lei guardava fuori, immersa nei suoi pensieri. Marco si girò e le punzecchiò leggermente una spalla con un dito, facendola sussultare.

«Oh! Scusate, ero distratta» mormorò la ragazza, arrossendo. Cesare sorrise.

«Non preoccuparti, tesoro. Allora, buona serata!»

«Non voglio entrare...»

Marco alzò gli occhi al cielo. «Eh no, non provarci neanche! Dopo quel che è successo col bastardo hai bisogno di uscire, distrarti. E poi Loren ci tiene.»

«Ma tanto stasera c'è Alberto, io starò lì a fare il terzo incomodo!» si lamentò lei, cercando pietà. Cesare scosse il capo, divertito. «Su, non fare la bambina e scendi, che noi abbiamo altri programmi per la serata.»

«Maledetti» borbottò la rossa, infilandosi la giacca e scendendo con un sospiro esageratamente lungo. I due la salutarono allegramente, prima di sgommare via; rimasta sola, Maebh considerò per un attimo l'idea di telare via e rimpianse di aver scelto di farsi accompagnare, invece di prendere il motorino, ma faceva troppo freddo per guidarlo, quella sera. Stava contando gli spicci nel portafogli, ponderando se andare alla più vicina fermata del bus, quando la porta del pub si aprì e ne uscì Loren.

«Ehi, alla buon'ora! Stavo per chiamare la polizia» rise, andando ad abbracciarla. La prese per mano e se la tirò dietro nel locale, ignorando le vaghe proteste della rossa. «Su, smettila di lamentarti e vieni, tra mezz'ora cominciano.»

«Abbiamo tutto il tempo del mondo...» sbuffò Maebh, seguendola fino al bancone, dove stava Alberto.

«Ciao, cara» la salutò lui con la sua solita dolcezza, accennando un sorriso. «Come stai?»

Lei alzò le spalle, sfogliando la lista delle birre con particolare interesse. «Mh. Bene.»

«Volevo solo dirti... ecco, mi dispiace. Ma tutto si aggiusta, eh?»

«È quello che le dico anch'io» si aggiunse Loren, rubandogli un sorso di birra e un bacio a fior di labbra. Maebh preferì non rispondere e ordinò una Bière du Demon, al che il barman alzò un sopracciglio.

«È un po' forte come birra.»

«Secondo te perché l'ho scelta?» ribatté secca lei, sedendosi su uno degli sgabelli. L'uomo fece spallucce e le piazzò davanti la birra, insieme a una ciotola di noccioline.

Maebh prese un sorso di birra, evitando accuratamente di guardare Loren e Alberto, stretti l'uno all'altra, poi sospirò. «Scusa il tono del cazzo. È un periodo no.»

«Amore?»

Lei annuì sconsolata. «Si capisce, eh?»

Lui sorrise benevolo. «È sempre l'amore. Ma non darci troppo dentro con l'alcool, non è la soluzione.»

Maebh sorrise amara. «Per stasera lo è.»

Tacquero entrambi quando le luci si abbassarono. Alberto salutò lei e Loren per raggiungere sul palco il resto della band; la moretta le si sedette a fianco, un'espressione seria dipinta sul volto di bambola. Maebh le cinse le spalle, leggermente preoccupata. «Un penny per i tuoi pensieri.»

«Alberto è strano, stasera. Pareva nervoso, e lui non lo è mai prima di uno spettacolo, anzi è sempre il ritratto della tranquillità. Penso che mi stia nascondendo qualcosa.»

«Magari è emozionato, c'è tanta gente» azzardò Maebh, per niente convinta. Loren le rivolse un'occhiata scettica.

«Ha suonato davanti ad auditorium interi, un pub all'ora di punta non lo spaventa di certo.»

La rossa fece per controbattere, ma i Brillanti Sparsi attaccarono col primo pezzo. Erano bravi, Maebh li apprezzava ma quella sera proprio non riusciva a godersi la musica. Ordinò un'altra birra, ma non poteva annegare nell'alcol anche i pensieri, e per quanto provasse a staccare la spina tornavano sempre, tornavano dolenti come ferite aperte; le mani strette, le parole sussurrate, i silenzi condivisi mentre il sudore si asciugava sui corpi nudi: Gabriel non le aveva fatto promesse, lei non gliele aveva chieste, ma nei suoi occhi le era parso di leggere un di più, una scintilla che le aveva riacceso dentro la speranza di poter tornare a sognare, magari.

Scosse la testa, ghignando amaramente tra sé. Quanto era stata sciocca a fidarsi. Avrebbe dovuto fare come sempre aveva fatto, da sola e a testa alta. Non avrebbe più affidato la propria felicità alle mani altrui: l'avrebbero lasciata cadere, e lei di dolore ne aveva avuto abbastanza. Si girò verso Loren, la strinse a sé e lasciò che le posasse la testa su una spalla. Si sarebbe dedicata alla sua migliore amica, a Cesare e Marco, e soprattutto a se stessa. Sarebbe tornato tutto come prima, e nel giro di qualche mese avrebbe dimenticato completamente Gabriel. Avrebbe smesso di vedere lui nelle notti stellate.

 

«Un ultimo brano prima di salutarvi» annunciò Alberto con un certo imbarazzo, riscuotendola dai suoi pensieri. Le due amiche notarono sorprese che stava guardando dritto verso di loro, giocherellando nervosamente con la cinghia del sassofono.

«Un favore per un caro amico» proseguì, mentre il tastierista lasciava libera la propria postazione. Da un tavolo in ombra, nascosto dietro una colonna, si alzò un uomo che ne prese il posto senza dire niente, ma quando posò le mani sui tasti il suo sguardo era rivolto a Maebh. La ragazza si portò una mano alla bocca, le mancò il respiro. Loren sbiancò.

«Oddio... è Gabriel!»

Ma la sirena non rispose; temeva di cadere svenuta se solo una parola le fosse sfuggita. L'uomo dagli occhi blu iniziò a suonare.

 

Il giorno in cui sei arrivata si è aperta una porta

su un mondo che non conoscevo

e hai portato con te una parte di me

che adesso è il mio vanto

 

I mormorii della gente serpeggiavano, qualcuno pensava di riconoscere l'ignoto musicista, ma nessuno era davvero sicuro. Lui però non guardava nessuno, soltanto lei: Maebh avrebbe voluto fuggire da quel suo sguardo d'oceano, ma i propositi caddero davanti al calore della sua voce, ed era un canto morbido che le porgeva timido la mano, impaurito e tremante.

 

È possibile spingerci insieme

oltre i confini del tempo

come certe idee come le maree

come le promesse

è possibile andare lontano senza avere paura

come certe idee come le maree

come le promesse

che si fanno

 

La sirena non riuscì ad annegare le lacrime: non poté negare il sollievo che le prese il corpo come l'onda prende la sabbia, restituendole il respiro freddo e leggero simile alle notti d'inverno; soffocò un singhiozzo contro il palmo della mano, mentre Loren la teneva stretta, carezzandole la schiena.

Gabriel le donò l'ombra d'un sorriso e nel suo sguardo v'erano dolore e pentimento, e un frammento di speranza che le chiedeva senza voce: scusa.

 

Tu sei la luce e la pace

la comprensione della sofferenza

io sono la voce e la direzione

le spalle e la malinconia

 

Mi vedi qui, sussurrò Gabriel con lo sguardo. Mi vedi qui, per te, sono tuo. Fa' di me ciò che vuoi ma ti prego: non lasciarmi a terra.

Non era più una vergogna, questo bisogno d'appartenere, s'era fatto liberazione, balsamo di tutti i piccoli malesseri e disgusti di sé che le sue spalle curve avevano raccolto per quarant'anni. Darle il suo canto era darle tutto, offrirle il proprio cuore palpitante tra le mani, senza chiedere nulla in cambio se non il perdono. Era saltare senza rete, colmo di paura. Era il vento sferzante, quando si cambia pelle.

 

Se potessimo andare lontano

senza avere paura

come certe idee come le maree

questa è la promessa

che ti faccio...

 

Ecco, aveva saltato. Lo cantò guardandola negli occhi, marinaio che finalmente trova coraggio di accettare l'abbraccio del mare; lo cantò e fu dirle: ti amo.

Non indugiò negli applausi, semplicemente si alzò e corse alla sirena, la prese per mano e la portò fuori, e Maebh si lasciò guidare nella notte gelida, senza parole, senza più voglia di lottare contro quel che ora le sembrava tanto giusto e desiderato.

Scivolarono nell'ombra d'un vicolo, solo allora Gabriel osò fermarsi, parlare. «Mi dispiace, per tutto. Non sono una bella persona, Maebh: sono egoista, un egocentrico. Preferisco sopravvivere seguendo le abitudini che prendere in mano la mia vita, sono un vigliacco e non so dare amore. Ma voglio cambiare, per te.»

La ragazza scosse la testa, un groppo alla gola. «Vuoi dire...?»

Lui le prese le mani tra le proprie, carezzandone il dorso. Sorrise. «Voglio assumermi le mie responsabilità. Ho intenzione di fare da padre a quel bambino, ma io e Alissa... La lascerò. Voglio stare con te. Se mi vuoi.»

Si chinò su di lei, stringendola tra le braccia; Maebh prese subito rifugio nel calore del suo petto, ritrovò il cuore del marinaio, che mai aveva battuto così forte, folle di trepidazione. Gli sorrise, e fu come la prima pioggia dopo la siccità.

«Non ti tirerai indietro, promesso?»

Gabriel sfiorò le labbra con le sue, chiudendo gli occhi. «Lo prometto.»

E quel giuramento non gli andò a stringere il petto, ma glielo aprì come una cura: finalmente era a casa.

 

Se ne andarono, presero la macchina e via dalla città, dall'intersecarsi di volti e strade, cercando sentieri non tracciati, una rotta solo loro, seguendo una rosa dei venti fatta d'istinto e di bisogno disperato di stringersi e darsi.

Gabriel spense il motore sotto il rifugio di alberi, Maebh scese e non importava il freddo, quando caddero sulle foglie secche e si strinsero, non importavano i primi fiocchi di neve che si posarono sulla nuda schiena del marinaio, mentre lui artigliava la terra gelata e i capelli della sirena; Maebh gli cinse i fianchi con le gambe, e stavolta fu lei a pregare, rantolando suppliche e gemendo alle stelle. Si sentirono benedetti e assolti da quella notte d'inverno, fu come toccare il fondo e poi risalire in superificie, ingoiare l'ossigeno, mani che si trovarono e si strinsero, tenendosi a galla a vicenda. Fu come ripulirsi la pelle a baci e morsi, leccando via l'amaro delle lacrime e delle malinconie, l'affondo di un corpo nell'altro per ridare vita e restituire calore.

Fu un amarsi violento e assetato come un oceano rabbioso, fu la tempesta che avrebbe donato la quiete, spazzando via sbagli e interrogativi, lavarsi le ossa a vicenda e lasciarle limpide, pronte ad essere incise di parole migliori, tremando sotto la spinta d'ogni onda, senza più paura, senza più freni.

Fu la dolcezza del mare, negli ultimi spasmi del piacere che li sospinsero a riva1.

 

***

 

Gabriel trasalì quando la mano di Alissa si strinse alla sua, ma dissimulò la sorpresa con un sorriso. «Scusa, sono un po' nervoso.»

«Anche io» mormorò lei, ricambiando il sorriso. Era luminosa, la gravidanza l'aveva fatta radiosa e diversa, e il pianista non poté fare a meno di osservarne i lineamenti, le labbra distese in un sorriso sincero. Non amava Alissa, ma le voleva ancora bene, nonostante tutto. Avrebbe sistemato la cosa nel migliore dei modi, sarebbe stato un buon padre e anche un buon compagno, per Maebh.
 

«La signora Calvo?» domandò la ginecologa, aprendo la porta dello studio. La bionda si alzò, seguita da Gabriel.

«Sono io.»

«Molto bene, io sono la dottoressa Lenci. Prego, entrate.»

Una volta dentro, la donna indicò ad Alissa il lettino; mentre lei si stendeva, Gabriel si sedette sullo sgabello al suo fianco, senza lasciarle la mano. Sorridendo, la dottoressa si infilò un paio di guanti puliti e accese il monitor dell'ecografo, collegando la sonda. Alissa si sollevò la maglia, scoprendo il ventre.

«Ora spalmerò un po' di gel» le spiegò la dottoressa, versando la sostanza sulla pancia. «Serve ad assicurare una buona trasmissione degli ultrasuoni.»

Alissa rabbrividì appena, ridacchiando nervosa. «È freddo.»

La dottoressa sorrise. «Sì, cara. Ma facciamo presto, non preoccuparti.»

Lei annuì, trepidante. Si girò un momento verso Gabriel, che le strinse la mano rassicurante, poi seguì lo sguardo della dottoressa allo schermo, mentre la donna premeva leggermente la sonda contro il suo ventre. Ci fu un lungo momento di silenzio mentre la dottoressa spostava la sonda, sullo schermo tutto d'un piatto grigiore senza forme distinte. Gabriel capì che qualcosa non andava quando la vide accigliarsi, poi sgranare gli occhi e allontanare la sonda con riluttanza.
 

«Dottoressa, tutto bene?» chiese Alissa con un filo di voce, sentendo la schiena bagnarsi di sudore freddo. La donna emise un breve sospiro, poi le asciugò con cura il ventre e le sistemò la maglia. Giunse le mani in grembo, il viso gioviale ombrato di serietà.

«Cara... quanti test di gravidanza hai fatto?»

«Be'... uno, quello stick, da fare in casa. Perché?»

La Lenci scosse appena la testa, addolorata ma composta. Gabriel comprese prima ancora che si spiegasse. «C'è una minuscola percentuale che accada, ma a volte i test di quel genere possono dare un risultato errato.»

Alissa parve sul punto di svenire, le lacrime presero a scorrere senza controllo. «Vuol dire... che non sono incinta?»

«Vedi, nel caso di una gravidanza isterica si può avere un aumento di gonadotropine, che falsa il risultato del test, e quindi-»

«Gravidanza isterica?!» la interruppe Alissa, sconvolta. «Ma... ma non è possibile! Io non ho il ciclo, e ce l'ho sempre avuto puntuale! E i seni, mi si sono ingrossati, il ventre inizia a gonfiarsi, ho spesso nausea, ho pure messo su peso! No, non è possibile, dev'esserci un errore. Facciamo un'altra ecografia, magari la macchina è difettosa!»

«Provvederemo a un test del sangue, ma l'ecografia non mente, purtroppo. Per quanto riguarda il ciclo mestruale, sarà necessaria una terapia ormonale che ripristini il flusso, poi...»
 

Alissa smise di ascoltare. Semplicemente pianse e pianse, singhiozzando tra le braccia di Gabriel, che invece ascoltò con dolore e senza sollievo la dottoressa, mentre spiegava loro che poteva accadere in chi ha un forte desiderio di maternità, in chi ha problemi di coppia, mentre gli dava il nominativo di uno psicoterapeuta che avrebbe potuto aiutare la sua compagna.

«Le stia vicino» si raccomandò dispiaciuta la dottoressa.

Gabriel annuì, stringendo più forte Alissa. «Lo farò.»

 

 

***

 

 

Potete odiarmi per quello che ho combinato ad Alissa. Tanto mi odio pure io.

 

Be', che posso dire, non mi piace che i personaggi abbiano vita facile! Da una parte una riconciliazione, dall'altra un grande dolore... vedremo come andrà a finire. Ho già in mente altre cose cattive ♥ ♥ ♥ (soprattutto grazie a mia moglie Loren, che mi educa all'angst come nessuno mai). 

Stay tuned, bitches.

(quasi dimenticavo: il brano che Gabriel canta al pub è La promessa, del povero Niccolò Fabi di cui non riesco a smettere di abusare)
 

1Siccome sono un egocentrico del cazzo, ho pure la faccia tosta di autocitarmi: quest'ultima frase l'ho presa senza pudore dalla mia storia Buckley Blues. Lo so, lo so, shame on me.   

  
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