Piccolo
aggiornamento, altro capitolo!
Grazie a tutti voi che state
leggendo/recensendo, e scusatemi per i lunghissimi tempi di risposta.
In questi ultimi mesi sono tornata ad uno
stato di regressione tecnologia che neanche il Medioevo... Ed è
piuttosto difficile rispondere ai commenti con la dovuta attenzione,
quando sei in un internet point affollato di gente che va di fretta,
odora pesantemente di alcool e ti insulta in un'altra lingua! >.<
Prometto però che, alla prima occasione, risponderò a tutti
i commenti che ho lasciato in sospeso..
Detto
questo, vi lascio alla storia... Un abbraccio forte a tutti voi che
seguite, scrivete o leggete soltanto :)
A. ;)
CAPITOLO NOVE.
Tempesta.
È
un'autentica
tempesta, quella che Sam ha dentro. Seduto
ad uno dei tavoli del bar di Bobby, il minore dei Winchester ancora
sente risuonare dentro le parole del fratello, mentre si rigira tra
le mani un bicchiere vuoto – il cristallo attira le luci blu e le
riflette, come un piccolo stroboscopio.
Abbiamo
bisogno di combattenti, qui.
Come se non lo sapesse. Ma Sam ha già dato, e non vuole più
saperne. Ne ha abbastanza della battaglia, delle armi e delle vittime
trasversali di quella guerra che non avrà mai fine. Soprattutto, ne
ha abbastanza di sentirsi rinfacciare la propria ritirata ogni volta
che le cose si mettono male... Come se ogni giorno che passa
lavorando all'istituto, senza sparare un colpo, fosse un'offesa
alla memoria del loro padre.
«Nervoso,
ragazzo?» Bobby gli riempie il bicchiere, senza bisogno che Sam
glielo chieda. Il giovane lo ringrazia con un cenno.
«Sto
aspettando una persona,»
dice, come per giustificare la propria presenza lì, nell'ora di
punta, tra una folla di gente che annega nell'alcool l'insostenibile
amarezza di una vita spesa - letteralmente - sotto terra.
Bobby
non chiede niente. Sam scruta tra la calca, alla ricerca di una
sagoma familiare in mezzo a una marea di volti che conosce poco o non
conosce affatto. Dovrebbe
già aver finito, pensa
il minore dei Winchester, tra sé
e sé.
Riuscirà a trovare la strada che Gabriel gli ha indicato?
L'uomo
attende; e poi, sulla soglia, vede comparire quella figura alta e
quel profilo affilato a cui, senza volerlo, un po'
si è
affezionato. Sam posa il bicchiere e si alza per farsi vedere; poi si
fa largo tra gli altri e con poche falcate lo raggiunge.
L'espressione
assorta e spaesata di Gadreel si rilassa, non appena incontra il
volto di Sam, e nei suoi occhi compare qualcosa che l'uomo
riconosce come gratitudine
- dev'essere
stressante, per l'androide,
ritrovarsi in una tale confusione senza alcun punto di riferimento.
«Sam,»
dice il robot, come fosse un saluto. Il ricercatore accenna un
sorriso e fa scivolare una mano tra le sue scapole, lo guida al
tavolo dove lo ha atteso. Gadreel si fa portare: sembra confortato
dalla presenza di Sam e dal piccolo contatto, ma allo stesso tempo
non riesce a nascondere un'incontenibile inquietudine, che lo porta a
tremare visibilmente.
«Gadreel?
Gadreel, che succede?», gli domanda l'uomo,
facendolo sedere di fronte a sé e posando una mano sulla sua. Si
rende conto del proprio gesto soltanto dopo
averlo compiuto: Gadreel gli ispira un tenerezza e un
bisogno di contatto che per anni Sam ha represso, e che ora lo fanno
sentire in lieve imbarazzo. A malincuore, lascia andare la sua mano –
e Gadreel lo guarda con una traccia di confusione che immediatamente
lo fa sentire in colpa, - ma rimane a portata di tocco. Se vorrà,
l'androide potrà ritrovarlo a pochi centimetri di distanza.
Gadreel
china il capo, a disagio.
«Ho
finito il giro con Gabriel,» dice. «E ho visto... Tanta sofferenza,
tanto dolore. Io... Credo di dover prendere una decisione, Sam, ma
non so cosa fare--» Quando il robot solleva lo sguardo, Sam sente
qualcosa stringersi all'altezza dello stomaco. Quel grigio, e quel
verde quasi azzurro, gli sembrano diventare più belli ogni volta che li guarda.
«Così sono corso subito qui, per parlarne con te... Gabriel mi ha detto che mi stavi
aspettando al bar di Robby.»
«Bobby,»
lo corregge l'umano, senza riuscire a trattenere un sorriso.
All'improvviso, tutto il nervosismo provato fino a pochi minuti prima
sembra essere svanito nel nulla... Gadreel assorbe tutta la sua
attenzione, come una calamita.
Le
sopracciglia di Gadreel si increspano per un attimo: sembra desolato
per l'errore ed è buffo da vedere, pensa Sam. Ma poi il robot
riprende a parlare – tutto d'un fiato, quasi senza pause, come un
fiume in piena. L'agitazione lo rende eccessivamente loquace: una
reazione molto umana.
«Ho
bisogno di parlarne con te, Sam. Quello che ho visto... Questo non è
piùil
mondo che sono stato creato per proteggere. Ci sono molte persone
che soffrono e tante ingiustizie, ma io credo che si possa ancora
fare qualcosa per recuperarlo, e che-- Che si possa aggiustare! Solo
che io... Nulla di ciò che posso fare sembra poter apportare un
contributo utile alla vostra comunità, sono così
inutile-- Però...
Ho riflettuto, e credo che ci sia una sola soluzione, ma non so se
avrò il coraggio... È
così difficile, è tutto così complicato che--»
«Ehi,
ehi,» lo interrompe Sam, guardandolo dritto negli occhi color
temporale. Gadreel sembra davvero in crisi, e l'istinto di tenerezza
si fa di nuovo strada nel petto dell'uomo. «Così non ci capisco niente. Piano, una cosa per
volta,» dice, cedendo – finalmente – al bisogno di afferrare di
nuovo la sua mano. Nel momento in cui le loro dita si intrecciano,
Sam si sente immediatamente meglio; e anche Gadreel sembra
apprezzare, perché si acquieta all'istante - e, tanto per
sottolineare la cosa, chiude la mano del ricercatore tra le proprie,
come se non volesse più lasciarla andare.
«Sam,
io... Mi sento così fuori posto,» soffia l'androide, sconsolato.
«Ci sarebbero così tante cose da fare, per migliorare la vita di
tutte queste persone... Ma io non so fare nessuna di queste,»
confessa, pieno di rammarico.
La
mano libera di Sam si unisce all'intreccio: ora sono entrambi protesi
l'uno verso l'altro, connessi dal nodo delle loro mani giunte. Visti
da fuori, sembrano un prete e un peccatore che si stiano confessando.
«Gadreel,
tu stesso mi hai detto che nessuno di noi è
obbligato a fare
ciò per cui non si sente portato,» cerca di tranquillizzarlo
l'uomo. «Ti aiuterò a trovare un modo per renderti utile, te l'ho
promesso. Non devi per forza combattere se non vuoi.»
Le
labbra sottili dell'androide si curvano appena verso il basso, e il
suo sguardo si sofferma sul nido confortevole delle proprie mani
racchiuse tra quelle del ricercatore.
«Il
fatto è
che...»
Il robot si agita sulla sedia, scomodo. «Ecco, io... Credo di
doverlo fare lo stesso. Combattere, intendo.»
«Non sei obbligato.»
«Lo so. Ma questa società...
Vive di
questo. E per salvaguardare la vita delle persone è
necessario che io lo faccia, anche se non è nella mia indole,»
spiega Gadreel, con tono sommesso, guardando Sam come per chiedergli
scusa. Si sente un traditore, senza riuscire a spiegarsi perché. Se
fosse in grado di esaminare più a fondo quel sentimento, l'androide
capirebbe che questo disagio che sta provando deriva dal timore di
essere incompreso. Gadreel ha paura che Sam lo reputi incoerente o
che si senta ancora più solo - ritrovandosi ad essere di nuovo
l'unico che ancora persegue nella strada della non-belligeranza.
Sam
lo scruta per un po', in
silenzio, restando perfettamente immobile come se fosse congelato. In
effetti, sembra davvero ferito dall'improvviso cambiamento del robot
– anche se non dovrebbe, e lo sa benissimo, perché
non ha alcun diritto di interferire con le decisioni di un altro
essere senziente. Solo che... Per la prima volta, l'uomo
aveva pensato di aver incontrato qualcuno che condivideva le sue idee
e la sua indole, qualcuno in grado di capirlo senza farlo sentire in
colpa. E ora... Ora sta scoprendo che invece non è affatto così.
Forse
Dean ha ragione, pensa il ricercatore. Forse il mondo oggi va
così e io mi sto soltanto nascondendo per non vederlo, e dovrei
smetterla, si rimprovera. Dovrei smetterla di affezionarmi a
persone che hanno tanta voglia di andare a morire...
«Combattere significa mettere in conto di dover fare del male a qualcuno e di mettere a repentaglio la tua vita,» lo mette in guardia Sam. «Dovrai
portare con te un'arma,
e questo significa che molto probabilmente dovrai usarla. Potresti trovarti costretto a puntarla anche se non vuoi, oppure
qualcuno potrebbe puntarne una contro di te. Sei pronto per questo?
Sei pronto ad attaccare, o a uccidere per difenderti?»
Incalzato dalle domande, il robot scuote la testa,
desolato. Non ha pensato a tutto questo. Non ha pensato alle
conseguenze, ai possibili sviluppi delle proprie azioni, alle brutte
situazioni in cui potrebbe ritrovarsi.
«Non lo so...», ammette, scombussolato. «Non lo so, ma ho promesso a Chuck che avrei portato avanti la sua missione, e-- Non ho altra scelta.»
A quelle parole, il minore di Winchester sprofonda di nuovo nel silenzio. Gadreel ha fatto la sua scelta: ed è una scelta che condurrà tutti alla stessa tristissima, inevitabile, terribile fine.
Mentre riflette su questo, l'uomo sente che una parte della propria anima si spegne di colpo. D'un tratto, si estranea completamente...
Fino a non provare più nulla.
«Sam...»
Gadreel stringe appena la presa, per attirare la sua attenzione.
Sente di averlo deluso, e gli dispiace infinitamente. Sam è
poco più di un estraneo, per
lui, è vero, ma il robot tiene comunque alla sua considerazione.
Gadreel non può dimenticare la gentilezza con cui il giovane umano
lo ha trattato, pur non conoscendolo, fin dall'inizio:
con dignità e rispetto. Come una persona... E non come una macchina.
«Questo
non significa che io abbia cambiato idea,» dice il prototipo, come
se potesse leggere i pensieri del ricercatore. «Né significa che io
possa cambiare quello che sono. Non sono un combattente: non è
nel mio sistema, e non lo sarà mai. Ma posso comunque aiutare i
soldati, e magari svolgere quei compiti minori che nessuno vuole fare
e che rallentano le mansioni degli altri...»
Adesso
è il robot che cerca lo sguardo dell'umano - che è rimasto
in silenzio per tutto il tempo, con addosso un'espressione
tesa e indecifrabile.
«Con
questo, non sto dicendo che combattere sia l'unico modo per rendersi
utile,» insiste ancora il robot, calorosamente, temendo di averlo irrimediabilmente
ferito. «Tu sei infinitamente utile per tutte queste persone, Sam.
Il lavoro che svolgi quotidianamente all'Istituto è una
risorsa fondamentale, per la vita di questa gente, e nessun altro
potrebbe farlo meglio di te. Non
conosco molti altri esseri umani, è vero, quindi forse non
posso fare un confronto obiettivo... Ma
vedo nei tuoi occhi che sei una persona buona, e ho visto nelle tue
ricerche che sei un uomo di una sconfinata intelligenza. Mentre io...
Io non so fare nulla di tutto questo. Non ho una preparazione di
alcun tipo, non ho abilità particolari e non c'è un altro modo di
fare del bene, per quelli come me.»
Sam
osserva Gadreel senza dire nulla, per qualche lungo, lunghissimo
istante. E poi, con estrema freddezza, libera con un gesto secco le
proprie mani dalla presa del robot - il quale, improvvisamente orfano
di quel contatto fisico a cui con tanto trasporto e bisogno si era
aggrappato, lo guarda con aria dispiaciuta e smarrita.
Ho
fatto qualcosa che non va?,
si chiede l'androide, mortificato. Forse
ho detto qualcosa di sbagliato...
«Sai
già che tra qualche ora ci sarà una missione di recupero,
suppongo.» Sam si sforza di non guardare il robot e di non lasciar
trapelare alcuna sfumatura nel tono di voce. Ha intravisto, solo per
un attimo, il dispiacere profondo negli occhi di Gadreel, e stava
quasi per cedere di nuovo. Ma no, non si affezionerà a lui. Non
soffrirà di nuovo come ha sofferto con Jess: lo ha promesso a sé
stesso, tanti anni prima.
«Lo
so...» Gadreel quasi lo sussurra, facendo scivolare via dal tavolo
le proprie mani, ormai vuote, e posandole sulle ginocchia. Sam è
cambiato di punto in bianco, senza alcun motivo apparente, e Gadreel
vorrebbe chiedergli il perché.
Ma forse non sono affari suoi...
«E
immagino che vorrai unirti a loro,» Sam lo incalza, mantenendo
un'aria impassibile.
La
sua faccia non ha alcuna espressione.
Gadreel
si sente in colpa per aver sottratto il calore e il sorriso da quel
volto. Non immaginava che Sam l'avrebbe presa così male... Era
andato subito da lui sperando che lo aiutasse a capire meglio le
proprie inclinazioni, nel modo sereno e partecipe con cui lo aveva
accolto fin dal primo giorno. Cosa è successo,
dopo? Perché non gli sorride più come prima?
«...
Mi hanno detto che potrebbero avere bisogno di aiuto...», mormora il
robot, senza il coraggio di dire esplicitamente che sì, vuole
andare, vuole vedere con i propri occhi quella guerra che ha rovinato
tante vite.
Sam
inspira, espira. Torna a giocherellare con il bicchiere. Lo svuota.
«Be',
vai pure. La cosa non mi riguarda,» sputa, più tagliente di quanto
vorrebbe.
«Ma...
Sam, che succede? Io... Io volevo parlarne con te, volevo--»
«Non
mi importa cosa volevi. Il mio compito è far prendere agli
androidi una decisione, e tu l'hai
presa. Ora non ho più niente
da dirti,» continua Sam, freddo e
implacabile, odiando sé stesso ad ogni parola. Ma deve ferire
Gadreel, deve allontanarlo e dimenticarsi di lui: è l'unico
modo che ha per non stare male quando qualcuno gli dirà che non ce
l'ha fatta, che è stato
riprogrammato o disattivato o è rimasto direttamente ucciso in
combattimento - come è finita Jess, come è finito suo padre,
come finirà Dean: come finiscono tutte le persone a cui Sam vuole
bene.
Gadreel
ammutolisce di colpo, confuso e ferito. È a pezzi. Non riesce a
capire il motivo di tanto improvviso disprezzo, e si sente
sprofondare. Piuttosto che affrontare questo, preferirebbe sopportare
altre mille volte ancora i dolori terribili che ha provato durante la
caduta... Farebbe meno male, pensa.
«M-ma
io credevo...», prova a dire, ma viene subito interrotto.
«Tu
non devi credere,» ringhia Sam, che ormai sembra diventato un'altra
persona. «Dovevi prendere una decisione e l'hai
presa, va bene. I nostri rapporti finiscono qui. Da
oggi vivrai alla base. Prenderai ordini da Castiel e farai ciò che
ti viene detto... Fine della storia.» Il ricercatore si sente un
verme, ma non ha altra scelta.
«Sam,
perché fai così..?» Il tono di Gadreel è supplichevole,
affranto. Non capisce. La persona che ha davanti ora non ha nulla a
che fare con quella che il robot ha imparato a conoscere: dev'esserci
un motivo, se Sam è cambiato così tanto. Ma quale?
«Se ho fatto o detto qualcosa che
ti ha offeso, ti prego, scusami. Ma per favore, dimmi che sta
succedendo. Dimmi se posso fare qualcosa per te...», il robot prova
a raggiungere di nuovo le sue mani, ma l'uomo si scosta bruscamente.
Gadreel
è profondamente mortificato,
ma non sembra comunque intenzionato a desistere. Guarda Sam con una certa esitazione - come se si aspettasse, da un momento all'altro,
che l'uomo scoppi a ridere e
gli dica Sorpresa! Stavo scherzando, testa di latta. Ma Sam non ha per niente voglia di giocare.
Non
è ancora abbastanza, pensa l'uomo.
La tenacia e l'ingenuità del
robot sono impressionanti.
Sam
non riesce a guardarlo in faccia, mentre lo sommerge di cattiverie.
Non riuscirebbe a dirle, se vedesse quegli occhi grigioverdi che
soffrono per le sue parole... Ma ormai ha deciso.
Tanto vale andare
fino in fondo.
«Non
devo dirti proprio niente,» dice, caricando ogni parola con tutto il
distacco e l'odio di cui è capace. «Non
so che razza di idee ti sia messo in testa, ma noi non siamo amici, è
chiaro? Non sono il tuo confidente o il tuo psicologo: io
non sono nessuno per te. Non mi importa
niente di quello che scegli o di quello che fai...»
Sam
cerca di convincersene, mentre lo dice. Non
mi importa di te, non mi importa di te.
Deglutisce a fatica, prima dell'ultimo affondo.
«Non me ne importa
niente. Tu non sei nessuno per me.»
Gadreel
vorrebbe tornare nel comodo guscio da laboratorio in cui ha trascorso
i suoi dieci anni di sonno. Chiudercisi dentro,
riaddormentarsi, e non uscirne mai più.
Prima
la notizia di Chuck, poi questo. In poche ore, ha perso suo padre e
l'unico amico che abbia mai
avuto. Anzi: che abbia mai creduto di avere...
Gadreel
non sa come si sentano gli umani quando muoiono: ma è sicuro che sia
una sensazione molto, molto simile a quella che sta provando lui ora.
«Sam...»
Gli occhi gli bruciano, ma l'androide si sforza di non lasciarsi andare. Lo ha
già fatto troppe volte, da quando si è risvegliato. Quanto
dolore deve provare ancora?
L'uomo
si ostina a non guardarlo.
Per
qualche lungo, lunghissimo istante, il robot rimane immobile sulla
sedia, rigido, senza dire o fare niente. La confusione di chiacchiere
e bicchieri, tutt'intorno a
loro, sembra essere stata inghiottita da una bolla di silenzio.
Sentire
il robot che chiama il suo nome con tanta tristezza e con tanto
dispiacere lo fa vacillare. Ma questa è stata la decisione giusta,
la migliore che Sam abbia mai preso...
...
O no?
È meglio così, si dice l'uomo,
è meglio che muoia subito, quella simpatia che si stava formando. È
meglio per tutti e due, anche se adesso stanno male. Meglio un
piccolo dispiacere oggi che il dolore di un funerale dopo, giusto?
Sam
non risponde.
Gadreel
abbassa la testa, sconfitto, le labbra sottili appena appena curvate all'ingiù. Un milione di dubbi e di brutti pensieri
gli si addensano nella testa, ma uno su tutti spicca con feroce
chiarezza.
Ora
è davvero solo.
Sam
non lo guarda, mentre se ne va. Sente solo il rumore della sedia che
struscia sommessamente contro il pavimento, e poi il fruscio leggero dei passi di
Gadreel che si allontana da lui e sparisce tra la folla. Piano piano
- come per dargli l'ultima possibilità di richiamarlo indietro.
Ma
Sam non lo fa.
Non
mi importa niente di lui, ripete
a sé stesso, mentendo.
Non me ne importa niente.