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Autore: Sanae77    29/06/2016    7 recensioni
Tutto segue le regole: Sanae e Tsubasa felicemente sposati.
Una vita tranquilla.
Una nuova avventura lavorativa.
Vecchi conti rimasti in sospeso.
Un tarlo che s'insinua nella testa...
Che cosa può accadere se un 'SE' resta in sospeso?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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… dieci giorni dopo Amburgo


Davvero non avrei mai immaginato che Amburgo fosse così bella.
Oggi Genzo è di riposo, così ha deciso di farmi fare un giro della città e devo dire che non mi aspettavo tutta questa magnificenza.
“Questo è il Municipio di Amburgo che è stato ricostruito, interamente, dopo che un incendio nel 1842 lo distrusse.”
“Oddio è bellissimo” esclamo osservando l’imponente struttura.
È mix di gotico, barocco e neo-rinascimentale. Molto grande, certo non si sono risparmiati. La facciata principale è larga 111 metri con una torre centrale alta 112. Resto incantata dalle parole del portiere, e devo ammettere che è un'ottima guida.
La città è fornita benissimo da mezzi pubblici, osservo Genzo al mio fianco che si destreggia in maniera sicura per le vie.
Ha tolto il cappellino, perché teme di essere riconosciuto, e indossato degli occhiali da sole, che con questa giornata plumbea non è che si addicano molto.
Devo ammettere che fa strano vederlo senza, sembra un'altra persona. Inoltre gli occhiali mascherano i suoi occhi.
I suoi splendidi occhi, oddio, che vado pensando.
Ma questo m’impedisce di capire dove si posa il suo sguardo e mi mette in imbarazzo, uffa.
Arriviamo alla Chiesa di San Michaelis. Che da lontano svetta con il suo campanile alto 82 metri, dal 1658 indica ai marinai che rientrano nel porto, attraverso l’Elba, qual è la direzione giusta.
“Bene e ora che hai scoperto il campanile che ne dici se andiamo fino in cima per guardare la città dall’alto?”
“Cioè TU vuoi arrivare lassù?” indico con un braccio l’altissimo campanile quasi con terrore.
“Dai possiamo scegliere se affrontare i 453 gradini o l’ascensore… a te la scelta.”
“453 gradini? Ma tu sei tutto matto!”
“Sei una pigrona Sanae dai muovi il culo.”
E imprigionandomi la mano mi trascina letteralmente su per i gradini dopo aver preso il biglietto.
“Avevi detto che potevo scegliere” piagnucolo mentre praticamente mi sta trascinando per le scale. Mano nella mano, dita intrecciate che non si sciolgono.
E mi piace questo contatto, mi piace.
Forse troppo.

“Ho pensato che oggi non mi sono ancora allenato, quindi questo può essere un buon sostituto.”
“Io non devo allenarmi però.”
Finalmente si ferma e posso così prendere un bel respiro, sono morta o sto per morire.
Il cuore batte all’impazzata.
“Tu mi vuoi morta” dico lasciandogli la mano e appoggiandomi al muro delle scale.
“Esagerata per due scalini!”
Risponde sorridendo, quel sorriso strafottente che… che “Fanculo Genzo in questo momento vorrei la tua testa su un piatto d’argento” lo ammonisco tra una boccata d’aria e l’altra.
“Sei fuori forma Anego” mi canzona.
“Non devo mica giocare a calcio, IO!”
“No, ma da piccola eri molto più allenata, non ti veniva il fiatone per così poco.”
“Così poco? Così poco?! 453 fottutissimi gradini.”
“Ahhh pigrona.”
E detto questo afferra ancora la mano e riprende il suo viaggio verso l’obiettivo.
E nonostante la gran fatica, nonostante mi stia venendo un tremendo mal di testa a furia di sentire il cuore nelle orecchie: devo dire che l’impresa appena fatta vale davvero.
Amburgo dall’alto è bellissima.
Mi perdo tra le parole di Genzo che continua a illustrarmi i vari quartieri e le prossime mete.
In base a quanto sta dicendo credo che questo sia solo l’inizio di questa faticosa giornata.


Dove diavolo mi ha portata!
Sono in imbarazzo, in profondo e totale imbarazzo.
Lo uccido. Giuro che lo uccido.
“Se è uno scherzo non è divertente!” lo rimprovero.
“Scherzo? Perché?”
“Hai visto quella vetrina?” chiedo tornando sui miei passi e afferrandolo per un braccio, per far sì che mi venga dietro. Ho appena visto un paio di mutande a forma di elefante… già immagino a cosa possa servire la proboscide. Avvampo al solo pensiero mentre Genzo esplode in una risata. Lo voglio morto!
“Beh, e allora che c’è di male? È un sexy shop… non t’imbarazzerai per così poco Anego! Sant Pauli è il quartiere più famoso a luci rosse di tutta Amburgo, pensa che qua vengono circa 15 milioni di ‘visitatori’ ogni anno!”
“15 milioni di deficienti!”
“Come siamo pudiche” dice picchiettandomi un fianco e canzonandomi per il rossore improvviso sulle guance.
“Piantala!”
“Comunque devi sapere che Sant Pauli era la meta preferita dei marinai di tutto il mondo che passavano le sere tra prostitute, birra e musica rock. Inoltre è proprio qua che i Beatles hanno cominciato la loro carriera suonando nei malfamati locali del Porto di Amburgo.”
“Ma dai, non ci credo!”
“Giuro, hanno iniziato proprio qua!” esclama indicando uno dei tanti locali.
Così entriamo e ci sediamo per gustare il piatto locale. Dopotutto è l’ora di pranzo.
Seduti al tavolo di questa specie di pub stiamo divorando un piatto tipico della zona. Finkenwerder Scholle, una sogliola cucinata con pancetta, e gli immancabili crauti con patate a far da contorno.
“Forse è meglio che al Capitano non racconto di questa gita.”
“Perché? Che c’è di male?”
“Genzo, mi hai portato in un quartiere a luci rosse” bisbiglio a bassa voce per non fami sentire. Ancora le gote si scaldano.
“Anego, non sei più una ragazzina, sei una donna sposata mica dovrò farti dei disegnini su certe cose.
Ancora scherza, ancora mi prende in giro e io vorrei il suo scalpo, non resisto e gli mollo un calcio sotto il tavolo.
“Sei impazzita!” esclama sorpreso.
“Smetti di prendermi in giro!”
Si sporge fino quasi a raggiungere il mio volto.
Afferra le gote con le mani stringendole leggermente come si fa con i bambini; poi esclama: “Confesso che adoro farti arrossire!”
Mi divincolo e incrocio le braccia al petto, sono furiosa.
“Sei impossibile.”
“E tu sei ancora più buffa arrabbiata.”
Veniamo interrotti dalla cameriera che ci consegna il dolce ordinato in precedenza. La Rote Gruetze, con lamponi, ribes rosso, nero e ciliegie.
Genzo prende una ciliegia e m’imbocca.
“Tieni almeno sarai meno acida.”
E non ci penso due volte mentre addento il frutto e anche il suo dito.
Lo ritrae velocemente mentre mi osserva sbigottito.
“Mi hai morso!”
“Smetti ti prendermi in giro allora.”
Ci fissiamo un attimo perplessi prima di voltarci e… notare che tutti ci stanno guardando, chissà che siparietto divertente stiamo inscenando.
“Sembriamo due ragazzini.”
“Già” rispondo prima di tornare seduta e iniziare a ridere con lui come una cretina.
E mi sembra di essere tornata a quando eravamo alle elementari e ci azzuffavamo per nulla.
Però: non mi ero mai divertita così tanto con il portiere!

***

Ok, ok forse ho esagerato con il quartiere a luci rosse.
Mi avevano portato qua una sera i ragazzi della squadra per festeggiare.
Ovviamente non faccio questo tipo di vita ma quella sera con tutta la squadra mi sono divertito tra varie prese in giro dei compagni.
Non sono andato a donne, non mi piace la prostituzione, comunque un paio di birre quella sera non sono certo mancate.
Forse portare qua Anego non è stata una saggia scelta, ma ho riso troppo.
Mi guardo il dito che porta ancora il segno della sua dentatura.
Cavolo che caratterino.
Ma come fa il Capitano a tenerla a freno?
Scuoto la testa perché con Tsubasa non l’ho mai vista comportarsi così, forse è un trattamento che riserva al suo nemico d’infanzia.
Bene, bene sorrido tra me, mentre varchiamo i cancelli della Miniature Wunderland.
Dopo la cultura un po’ di divertimento.
Wunderland è un capolavoro dell’arte della miniatura. Gli ideatori hanno ricostruito nei dettagli più impensabili la città di Amburgo e altre cittadine tedesche, le Alpi, la Svizzera, l’America, la Scandinavia.
Sanae saltella felice tra una cittadina miniaturizzata e l’altra.
Sembra una bambina, e io adoro vederla così felice.
Mi scalda il cuore e fa stare bene vedere quel sorriso stampato sul suo volto.
Siamo venuti qua anche con Clare, ma… ma con lei non ho provato tutto questo.
Tutto questo cosa poi?
Scuoto la testa tornando a guardare la moglie del Capitano.
Già, la moglie: devo tenerlo bene a mente.
“Oddio, è bellissima vieni” dice prendendomi la mano e intrecciando le dita con le mie.
La sensazione della sua pelle è magnifica.
Corre tra i passaggi pedonali che congiungono le varie opere e io la seguo con un sorriso ebete che certo non sono abituato ad avere, ma con lei… con lei il mondo, il tempo e lo spazio hanno assunto altri colori, altre tonalità.
Come diavolo farò quando se ne andrà e la mia vita piomberà ancora in questo grigiore?
Grigiore che non avvertivo prima del suo arrivo, ma che ora mi fa quasi paura.
Perché adesso la casa è invasa dalle sue chiacchiere, dalle sue risa e dalle sue incazzature.
E mi piace tutto di quello che condividiamo.
E adoro tutte le sue passioni.
Non credevo di avere così tanti punti in comune con Anego.
E pensare che da piccoli ci odiavamo… ma ora?
La guardo, le mani adesso si sono separate.
Perché lei è appoggiata alla balaustra dove sta osservando i personaggi, ambientazioni, luci, treni che funzionano realmente, aerei che si muovono sulla pista, taxi che aspettano i viaggiatori all’uscita degli aeroporti.
Il tutto è talmente curato che gli aeroporti riprodotti sono equipaggiati con luci e turbine che riproducono fedelmente il rumore originale di ciascun velivolo.
Li sta guadando come una bambina a cui hanno appena regalato la cosa che desiderava di più al mondo.
“Ti piace?”
“Genzo è la cosa più forte che ho visto in tanti anni, mi piace da impazzire.”
“Possiamo venirci ogni volta che vogliamo, non è così distante da casa.”
Si volta e getta le braccia al collo mentre sento un sonoro bacio impattarmi sulla guancia.
“Grazie, grazie!” esclama saltellando.
Ok, mi farà impazzire, solo adesso ne ho la consapevolezza, perché starle vicino è sempre più difficile.
Avrei voluto abbracciarla e farla roteare, ma non posso, non sono suo marito.
Marito che è anche il mio migliore amico. Devo tenerlo bene in mente.


Ma tutti i buoni propositi di tenere le distanze e quant’altro vanno a farsi benedire quando ci addentriamo in Jungfernstieg, ossia la via dello shopping. Tutti negozi di una certa importanza.
E sono un idiota per aver insistito nel fatto, che almeno una volta nella vita, lei dovesse comprare un vestito qua.
E ora che sono seduto in questa poltrona di lusso a vederla provare gli abiti penso che non sia stata una buona idea.
Questi vestiti sono tutti così… così sexy. Merda!
“Oddio questo è stupendo!” esclama rimirandosi nello specchio.
E devo dire che questo vestito indaco è bellissimo.
Lo spacco a lato della gamba lascia intravedere quel tanto che basta per risultare provocante e non volgare.
Sarebbe perfetto per una cena di gala.
“Ah Tsubasa non me lo farebbe mai mettere!”
“E perché scusa? Mica è volgare, anzi ti sta benissimo.”
“Ma dai e dove pensi che possa andarci con un abito del genere.”
“Io dico che le occasioni con il Capitano non ti mancano. Pensa quando il Barcellona vincerà, ci sarà una mega festa, mica vorrai essere da meno delle altre mogli?”
Inclina la testa dubbiosa, dopo torna a contemplarsi nello specchio compiendo un mezzo giro a destra e dopo a sinistra.
Bella. Non ho altre parole.
Scuoto ancora la testa, che diavolo sto pensando.
E poi non solo penso ma agisco e vorrei mordermi le mani per quello che sto per dire.
“Beh, te lo compro io, di sicuro un'occasione in questi mesi che starai qua la troviamo.”
Ho già detto che voglio vederla felice no?
E la sua faccia mi ripaga di questa piccola follia, la felicità esce da ogni poro mentre io sorrido soddisfatto.
“Non devi!”
“Certo che devo non vorrai mica farmi sfigurare?”
“Non credo che possiamo andare a una cena insieme Genzo, immagina i pettegolezzi…”
Abbasso lo sguardo, già la stampa.
“Beh, sai che facciamo, la cena la consumeremo a casa, chissenefrega!”
Perfetto, con questa ultima uscita mi gioco ogni buon proposito.
Mi alzo e vado verso la commessa che ci ha seguito finora. Non le do tempo di replicare.
“Prendiamo questo – dico rivolto alla ragazza, dopo mi volto – Sanae ti aspetto fuori.”
Devo prendere aria, vederla con quel vestito ha fatto andare il mio corpo a fuoco.

Poco dopo dei passi sommessi arrivano alle mie spalle.
Non mi volto mentre lei mi affianca.
“Grazie, ma non dovevi.”
“Ah, lascia stare ti sta divinamente e poi mi piace vederti sorridere.”
Ancora quel silenzio che cala tra di noi quando delle piccole confessioni si fanno strada nei nostri cuori.
E fa rumore questo silenzio. Un rumore assordante.
È il mio cuore che non riesce più a controllarsi in sua presenza.

Tutta questa immobilità viene spezzata dall’intruso di turno.
“Oddio non posso crederci ma sei il portiere dell’Amburgo?”
Ecco ci mancava pure il tifoso, tanto meglio, forse spezza quest’imbarazzo che è caduto su di noi.
Nella fretta di uscire non ho indossato gli occhiali da sole e ora ne pago le conseguenze.
“Sì, sono io.”
Sanae attende al mio fianco in silenzio.
“Posso avere un autografo?” chiede porgendo un foglietto e penna.
“Certamente” rispondo afferrandolo e iniziando a imprimere la mia firma.
“Se non sono troppo indiscreto: posso avere anche quello della tua ragazza?”
Restiamo un attimo inebetiti dall’affermazione del ragazzo.
Lei avvampa e io non devo essere da meno sento le goto belle calde.
“Non- non è la mia ragazza.”
Velocemente muove le mani di fronte ai nostri occhi.
“Ah si, ceeeeeerto, scusate non avevo pensato alla privacy e i giornali, non temere farò finta di non aver visto niente!”
“No, guarda, non hai capito, davvero, non sono la sua ragazza” ribadisce Sanae.
Fa l’occhietto come a confermare di aver ben capito, quando invece davvero non ha capito un cazzo.
“Ovviamente non siete fidanzati – dopo bisbiglia – non temete con me il vostro segreto è al sicuro.”
Ok, mi arrendo questo è un idiota totale, non si può pensare che inizi a capire da oggi.
Molto stufo del fraintendimento prendo il braccio di Sanae e la trascino via da lì.
“Dai andiamo questo è fuori come i terrazzi.” Le mormoro.
Lei inizia a sghignazzare mentre ci allontaniamo, evidentemente la sceneggiata è stata divertente.

Torniamo a casa stremati da questa magnifica gita.
Una volta entrati ci dirigiamo nelle nostre camere.
“Buonanotte” dice prima di separare le strade in cima alle scale.
“Buonanotte a te Anego.”
“Grazie per la magnifica giornata, mi sono divertita moltissimo.”
“Sono contento e non hai ancora visto tutto di Amburgo, possiamo certamente ripetere l’esperienza.”
“Più che volentieri, notte!”
Le porte si chiudono.
Mi appoggio con le spalle alla mia.
Stare con lei sta diventando sempre più bello.
Troppo bello, devo togliermela dalla testa.
Ora!
Ma temo che sia già entrata troppo in profondità per andarsene senza lasciare traccia.


… venti giorni dopo Amburgo



“Sanae… sei in casa?” la voce proviene dal piano superiore. Genzo dev’essere tornato. Guardo l’orologio, aggrotto le sopracciglia, è decisamente presto per lui.
Come mai è tornato adesso?
“Sono in palestra” rispondo da sotto.
Passi veloci scendono le scale.
Lancia la borsa a terra imbronciato.
Va allo stereo e accende la musica.
“Che è successo?” indago continuando a fare i miei esercizi.
“Si è rotta la caldaia al campo, quindi, niente doccia calda, devo riprendere subito l’allenamento prima di raffreddarmi.”
Detto questo toglie la giacca, la felpa e sale sul tapis roulant.
Imposta il programma e inizia a correre.
Resto un attimo stordita dalla nuova compagnia che ho in questa stanza.
Genzo è… è, fanculo non ho neppure una parola per definirlo.
Non so che cosa mi sta accadendo da quando condivido queste stanze con lui, da quando le nostre giornate scorrono tranquille insieme.
Tsubasa non è così presente a casa, è sempre al campo, o per allenarsi, o per allenare, o per parlare con allenatore – dirigente – compagni - custode tutti insomma.
Prima il calcio, dopo, forse, io.
Ma non è solo questo.
È qualcosa di più viscerale di più profondo, qualcosa che sembra rimasto in sospeso da quella famosa frase.

“Ma se hai appena detto che sono un maschiaccio”
“Beh, un maschiaccio carino!”
“Ti odio!”
“È già un sentimento.”

Credo che non esista tarlo più profondo del pensare al SE.

…cosa sarebbe stato se
…cosa sarebbe accaduto tra noi se
…cosa sarebbe accaduto se avesse parato tutti i goal.

Troppi SE stanno affollando la mia mente in questo momento.
Momento in cui non mi sono assolutamente resa conto di averlo vicino, estremamente vicino.
Scuote la testa.

“Non puoi fare così quest’esercizio, Sanae, ti farai male alla schiena!”
Mh? Dici a me?”
“No, al tuo riflesso nello specchio siamo in quattro in questa stanza non ti eri accorta” dice sorridendo e prendendomi in giro.
“Spiritoso, davvero spiritoso” lo canzono.
“Guarda si fa così.”

E non so come e perché ma sono tra le sue braccia.
Il respiro si blocca.
Lui è dietro, sento il suo torace sulla schiena.
Un braccio a fianco del mio che raggiunge il peso che tengo tra le mani.
Mani che adesso sono unite.
Mi mostra il movimento corretto e io sono andata a fuoco nel preciso istante che la nostra pelle è entrata in contatto.
Volgo lo sguardo a destra, dove le nostre braccia si muovono in sincronia.
Vedo i nostri muscoli tendersi per lo sforzo.
Sforzo minimo per lui, e per me, visto che il suo braccio mi accompagna.
Il movimento si ripete e io proprio non riesco a respirare, non più.
Il suo respiro muove delicato i miei capelli, in un ritmo lento.
Sembra quasi che stia inspirando il mio profumo.
E quando credevo che tutto questo fosse già terribilmente eccitante, accade qualcosa che fa vibrare tutta la pelle. Nell’attimo esatto in cui l’altra mano libera cinge il fianco sinistro.

“E qui – dice sfiorandomi il ventre – devi irrigidire gli addominali.”
Annuisco come un automa.
La sua voce così calda, roca e decisa.
L’esercizio continua, per l’esattezza vorrei che non finisse mai.
“Hai capito?”
Annuisco ancora incapace di proferire parola.
Sono completamente in balia di lui e del calore del suo corpo.
Calore che avverto distintamente su tutto il retro.
Calore che non vorrei che si spostasse da lì.

Ma l’incanto dell’esercizio finisce e con lui il calore.
Si allontana e sceglie un altro macchinario per completare il suo allenamento.
Ha deciso di rafforzare le gambe… come se ce ne fosse bisogno poi.
Tormento il labbro inferiore cercando un po’ di tranquillità.
Il telefono squilla, lo afferro: è mio marito.
Di colpo scendo con i piedi per terra, che diavolo sto combinando?

Afferro il cellulare e rispondo.
“Ciao Tsubasa.”
Genzo dalla sua posizione mi fa segno di salutarlo.

Parliamo un po’ del più e del meno.
Tra due giorni verrà a trovarmi.
Ne ho bisogno: decisamente!
Devo tornare con la testa sul binario giusto e si chiama Ozora, non Wakabayashi.

Ma è terribilmente difficile tornare su questo binario giusto se improvvisamente, ti ritrovi sollevata di peso e con la testa dondolante lungo la sua schiena prossima ad avere un incontro ravvicinato con i suoi glutei e a urlare come una quindicenne in preda all’isteria.
La canzone di Alan Walker – Faded si diffonde per l’aria, ed è perfetta.
Perfetta per questo istante.
Poco dopo l’acqua calda mi avvolge.
Mi ha letteralmente scaraventato in piscina, senza tanti complimenti.
Annaspo verso la superficie e quando riemergo lui che fa?
Sta ridendo da bordo della piscina come un bimbetto.
Me la pagherà.
Eccome se me la pagherà.
Non ho mai giocato così con nessuno, non avevo idea che sotto quella maschera burbera si nascondesse un fanciullo.
“Ah, Wakabayashi questa me la paghi!” esclamo incazzata nera mentre mi sto sollevando sulla scaletta.
Le note dolci ancora si disperdono nella stanza.
Affretto il passo e sono di fronte a lui.
Neppure l’accortezza di contenersi nella risata.
Prendo una leggera rincorsa e provo a spingerlo.
Niente, un muro, praticamente ci rimbalzo sopra.
“Anego, piantala!”
“Non sono più Anego, ho smesso di fare il maschiaccio.”
Mi scruta perplesso, poi con un dito affonda piano nella mia gota.
“Da come gonfi ancora le guance sembri sempre una ragazzina.”
E ride, di nuovo e di gusto. Poi quelle parole:

“Ah, ti odio”
“È già un sentimento!”

PIETRIFICATI.

Restiamo un attimo immobili, non posso crederci allora anche lui…
Più volte le nostre ciglia sbattono incredule, le bocche semi aperte; allora…
Scuoto leggermente la testa svegliandomi dal torpore che l’aveva avvolta.
Poi ricordo.
Ricordo che il solletico era il suo punto debole.
Quindi agisco, devo assolutamente spezzare questo stallo che si è creato.
Inizio a tormentargli il fianco. Scoppia a ridere e io con lui.
Indietreggia pericolosamente fintanto che il bordo della piscina non è finito.
Ho quasi vinto, ma nel momento in cui si accorge che sta per cadere nell’acqua, mi afferra per un polso trascinandomi con sé.
Tutto è ovattato mentre l’acqua calda intorno mi avvolge.
La musica ci accoglie anche sott’acqua, sorrido dentro di me, non si fa certo mancare nulla il portiere.
Apro gli occhi e lo vedo.
I colori hanno assunto tutti le stesse sfumature del celeste.
Celeste, come l’acqua che ci scorre intorno.
Mi sorride da sotto, i capelli ondeggiano di fronte al viso.
Minuscole bollicine passano tra di noi e accarezzano i nostri corpi.
Vorrei essere una bollicina in questo istante e sfiorare la sua pelle, ma il contatto non tarda ad arrivare perché, lo vedo allungare la mano, ma non sento nessun suono, l’acqua maschera tutto.
Maschera anche il contatto delle sue dita sul mio volto, maschera la sua mano che cinge la mia vita attirandomi a sé.
Aggrappata alle sue spalle mi sento trasportare verso l’alto.
Tutte intorno le bolle d’aria ballano con noi, sembrano sorriderci mentre ci solleticano.
E non vorrei tornare al mondo reale, vorrei starmene qua, dove tutto è ovattato, dove il rumore della vita vera non può arrivarmi alle orecchie.
Dove solo le note della canzone ci accolgono.
Fuori dal caldo liquido prendiamo aria a grandi boccate continuando a ridere come degli scemi.
Scemi che sono abbracciati e pericolosamente vicini.
Scemi che stanno conducendo un gioco seducente troppo pericoloso.

Perché io sono sposata.
Perché io sono la moglie del suo migliore amico.
Perché potrei rovinare un’intera nazionale di calcio.
Perché…
Perché…

Perché alla fine il tarlo del SE è rimasto insito in me. E la paura di scoprire cosa poteva essere stato si fa sempre più insistente.

Mi fa roteare più volte, fintanto che le risa si spengono e i fiati si spezzano.
Fintanto che al limite dell’imbarazzo ci stacchiamo.
Fintanto che torniamo al nostro ruolo di amici.
Amici e basta.
   
 
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