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Autore: Akemichan    02/07/2016    1 recensioni
Dieci avventure di Ace e Marco a bordo della Moby Dick, ispirate ad altrettante favole. Marco/Ace
#1: L'arte imita la vita. Quando Satch racconta una favola che tanto favola non è.
#2: Dietro la maschera. Quando la tua famiglia vi vuole separare.
[Partecipante al contest "Di mille ce n'è... di slash da narrar" di Sango79]
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Portuguese D. Ace
Note: Missing Moments, Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Bellezza

C'erano molte cose che Ace teneva in considerazione. La forza, prima di tutto. Ma anche la lealtà e l'orgoglio. La compassione. L'educazione. La capacità di cucinare, se vogliamo esagerare con la superficialità.
Una cosa che invece tendeva a non considerare era la bellezza. Per uno cresciuto in una foresta aveva difficoltà a concepire il concetto. C'erano cose per cui diceva 'mi piace', ma raramente 'è bello'. Per cui, ovvio, non era nemmeno in grado di stabilire il punteggio del suo aspetto fisico, né se n'era mai preoccupato.
Prima di conoscere Marco.
Marco lo guardava come nessun altro e non smetteva mai di dirgli quanto fosse bello. E spesso lo faceva in situazioni in cui Ace riteneva fosse impossibile mentire, tipo durante un orgasmo, per cui aveva finito per crederci davvero.
Così non apprezzò particolarmente svegliarsi una mattina con una pustola rossa al lato destro del labbro. Però Marco era lontano dalla Moby Dick per una missione, perciò all'inizio Ace non se ne preoccupò più di tanto, convinto che sparisse in pochi giorni. Ma quando la pustola aumentò di dimensioni e vene accompagnata da un discreto numero di amiche a coprirgli l'arco della bocca e sul mento, decise che era venuto il momento di farsi visitare.
Curie lo guardò con occhio clinico. «Sì, ho già visto questa cosa» commentò alla fine. «È un virus abbastanza diffuso nella Rotta Maggiore.»
«Un virus?» si stupì Ace. «E come l'ho preso?»
«Capita a quelle persone che hanno dei picchi di testosterone inusuali rispetto al solito e poi, subito dopo, un calo improvviso.» Curie l'aveva detto nel modo più professionale possibile, ma Ace arrossì comunque. Non era difficile arrivare alla conclusione che quel picco fosse dovuto alla sua... attività con Marco, attività che Ace non esercitava in maniera così estensiva in precedenza.
«Si può curare?»
Curie annuì. «Sì, ma è una cosa lunga. Ti darò un antibiotico da prendere, ma in realtà serve solo ad accelerare il decorso del virus e a evitare che ti rimangano cicatrici. Per il resto, dovrai aspettare che termini il suo effetto.»
E per decorso della malattia Curie intendeva l'aumento esponenziale del numero delle pustole, che diventavano sempre più grandi, rosse e piene di pus giallo, fino praticamente a fargli diventare la faccia una specie di quadro di Picasso. E anche se Ace non se ne intendeva di bellezza, capiva abbastanza che non aveva la minima intenzione di mostrarsi in giro conciato in quella maniera. Men che meno da Marco.
Così approfittò del fatto che la Moby Dick dovesse rimanere ancorata per riparazioni profonde per scendere a terra e vivere momentaneamente nella foresta, almeno finché la pustole non si fossero dissipate del tutto. Vivere da solo per qualche tempo non gli dispiaceva ed essere in una foresta gli ricordava i tempi della sua infanzia con Rufy e Sabo. Era un ambiente a lui familiare, che per di più gli permetteva di non guardarsi in viso se non voleva.
Ai compagni aveva raccontato che se n'era andato in giro con lo striker, cosa che era una sua abitudine, per cui sapeva che nessuno sarebbe andato a cercarlo. Per altro l'isola offriva molti più divertimenti nella città e nella spiaggia e nessuno dei pirati a bordo aveva interesse a passare per la foresta.
Ace rimase quindi stupito quando avvertì la presenza di qualcuno nella zona. Non era preoccupato, ma con circospezione si avvicinò, camminando a terra e nascondendosi dietro un cespuglio verdeggiante.
E imprecò: la persona nella foresta era Marco!
Pareva essere alla ricerca di qualcosa, per lo meno da come si guardava intorno con gli occhi ridotti a fessura, e per un attimo Ace pensò che sapesse della sua presenza, ma poi lo vide concentrare la sua attenzione su un basso albero vicino al cespuglio dietro il quale era nascosto. Sia il tronco sia i rami erano sottili e flessuosi, per cui Marco riuscì a piegarlo facilmente verso di lui. Prese fra le due dita una delle ampie foglie a forma di cuore e la esaminò con occhio critico, poi sospirò e la lasciò, con l'albero che tornò schioccando al suo posto.
A quanto pare, non era quello che voleva.
«Che cosa cerchi?» Ad Ace sfuggì la domanda, ma continuò a rimanere nascosto nel suo cespuglio.
«Ace?» Marco spalancò gli occhi e si voltò nella direzione da cui proveniva la voce: era chiaro che non aveva la minima idea che fosse nella foresta. Quando non lo vide spuntare, però, non si avvicinò ma rimase fermo sul posto. «Che cosa ci fai lì dietro?»
«Che cosa cerchi?» ripeté invece Ace, il cui cervello stava cercando di elaborare un modo per sfuggire alla situazione in cui si era cacciato.
«Satch vuole un fascio di foglie particolari per una sua ricetta» rispose allora Marco, anche se la voce suonava confusa. «Solo che devono avere una certa consistenza, quindi non è facile.»
Ace aveva passato abbastanza tempo in quella foresta per saper individuare subito dove fosse quella tipologia di albero e dove magari ci fossero anche le foglie della consistenza corretta.
«Se ti do una mano a trovarle, poi tu mi faresti un favore?»
Marco era sempre più confuso. «Certo.»
«Vorrei... passare del tempo con te. Dormire di nuovo con te.»
Ora Marco non era più nemmeno confuso, ma preoccupato. Era chiaro che c'era qualcosa che non andava. «Per questo non hai nemmeno bisogno di aiutarmi.»
Solo allora Ace, dopo un sospiro, si decise ad alzarsi in piedi e ad uscire dal cespuglio che gli faceva da nascondiglio. Nonostante le pastiglie, che avevano ridotto il rossore e il prurito, il suo volto era ancora cosparso di pustole. Guardò Marco, ma a parte per una quasi impercettibile alzata delle palpebre e del labbro superiore, non ebbe particolari reazioni.
«Da quanto tempo ce l'hai?» domandò solo.
«Una settimana e mezzo. Ma sto prendendo le pastiglie che mi ha dato Curie» si affrettò a precisare Ace. «Però capisco se non...»
«Siediti.» Marco indicò una roccia a fianco dell'albero che aveva controllato in precedenza e Ace, benché poco convinto, ubbidì, appoggiandosi proprio sulla punta, le gambe piantate a terra leggermente larghe.
Marco gli si avvicinò, sistemandosi fra loro, e con lentezza gli prese le mani nella sue, lasciando il pollice accarezzargli il dorso delle dita. Ace osservò quei movimenti, ma alzò il viso solo quando Marco appoggiò la fronte contro la sua testa.
«Sono stato fuori per un po' e quando sono tornato...» sussurrò Marco. «Mi sei mancato.»
«Anche tu» ammise Ace. «Solo che non volevo che mi vedessi così. Possiamo chiedere a Curie per quanto durerà questa cosa e...»
«Ace» Marco lo interruppe. Si era leggermente staccato da lui e, con il viso di Ace alzato a guardarlo, solo la punta dei loro nasi si sfiorava. «Sei bellissimo lo stesso.»
«Non è vero. Fa schifo questa roba.»
«Non stavo parlando della bellezza fisica» replicò Marco, con un sorriso dolce. «Perché lo sai che non ti amo solo per quello, vero?»
Ace si sentì avvampare, ma forse erano solo le pustole, e poi deglutì. «È la prima volta che lo dici» mormorò.
«Che non ti amo solo perché sei bello?» si stupì Marco. «Credevo che fosse ovvio!» E stava per lanciarsi in una disamina sul perché, ma Ace lo aveva sentito altre volte, per cui lo bloccò subito.
«No. Intendevo... Che... Mi ami.»
Marco sorrise. «Anche questo pensavo che fosse ovvio.» E poi lo baciò: Ace sentì le labbra che premevano contro le pustole, ma la cosa importante era il calore di Marco, per cui strinse ancora più forte le mani  e ricambiò.
«E se fosse stato contagioso?»
«Non è un problema, il mio frutto mi avrebbe guarito subito.»
«Oh, grazie tante.»
Ma Ace non era davvero offeso, per cui finì per sorridere. La realtà era che credere che Marco potesse amarlo per la sua personalità era ancora più difficile da credere che alla sua bellezza. Ma non era una cosa da chiedere, perché non poteva negare a se stesso che, nonostante le pustole, Marco continuasse a guardarlo come nessun altro.
«Allora, queste foglie?» disse Marco. «Non avevi promesso di darmi una mano a cercarle per Satch?»
«In realtà avevo detto che era in cambio di un favore.»
«Favore accordato, andiamo.»
«Sicuro? Guarda che non so quando passeranno queste cose.»
«Al massimo posso metterti un sacchetto in testa.»
«Molto divertente.»
E, mano nella mano, si addentrarono ancora di più nella foresta.
   
 
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