Capitolo IV. Epilogo.
Il sole si stava alzando all’orizzonte e lui lo guardava da in cima ai torrioni del castello presso il quale viveva.
Gli
alberi si
coloravano del loro verde brillante, il cielo passava
dall’azzurro pastello del
mattino al rosso dell’alba, le nuvole più basse si
coloravano con esso, come se
stille di sangue le macchiassero con la loro tonalità
carminia.
Si
sentiva gli
occhi lucidi, quella era la penitenza che doveva subire per il suo
peccato. Era
giunto il suo momento.
Il
cielo si
schiariva velocemente e lui attendeva che fosse alto nel cielo per
compiere la
sua opera.
La
pelle iniziava
a dargli molto prurito e avrebbe voluto cavarsela tant’era
divenuto
insopportabile, gli occhi non riuscivano più a reggere la
luce e dovette tenere
una mano a fargli ombra, voleva vedere la primavera, la sua ultima
primavera...
Il
bosco aveva
tonalità che andavano dal verde smeraldo al verde scuro, i
prati al di là della
foresta erano costellati da puntini bianchi e l’aria odorava
di terra appena
arata e polline. Ora che ci guardava meglio sugli arbusti vi erano
numerosi
puntini colorati. «Fiori».
Il suo
fine udito
sentiva un ronzio continuo e quasi fastidioso, dovevano essere le api.
A tutto quel coro iniziarono ad accompagnarsi anche dei cinguettii e i
versi
degli animali che abitavano le campagne tutt’intorno.
Si
sentiva
terribilmente stupido ad aver commesso quel gesto che solo in quel
momento gli
faceva capire la reale gravità. Lui di certo non immaginava
di essere caduto
nel mirino di un vampiro e di certo non si immaginava di avere
rimpianti simili
però tutto gli era cascato addosso e ora ne pagava le
conseguenze.
Le
parole del
barista lo colpivano come numerose pugnalate, era vero, era lui
l’unico
peccatore che si era arreso di fronte alla vita e aveva voluto farla
finita,
era stato uno stupido e ora ne pagava le conseguenze.
Si portò il braccio all’altezza del viso e vi vide
espandersi una grossa
chiazza scura che bruciava come fuoco vivo. Strinse il pugno e si morse
un
labbro per soffocare il dolore crescente.
Alzò
gli occhi al
cielo, riusciva a tenerli spalancati sebbene la luce fosse accecante
per lui.
«DAI
FORZA! FAI
DEL TUO MEGLIO!! FAMMI ARDERE COME FAI ARDERE LE ANIME DEI PECCATORI!
FAMMI
PATIRE I DOLORI INFERNALI! MA IO VIVRO’ QUESTE ORE DA UMANO
QUALE ERO!».
L’urlo selvaggio si propagò nell’aria
mattutina, una folata di vento gli fece
scompigliare i capelli corvini. Rise con un tono forte e potente.
Anche
l’altro
braccio si stava annerendo e il dolore si intensificava attimo dopo
attimo
strappandogli gemiti di dolore.
Il
ragazzo si
inginocchiò a terra, la faccenda si presentava
più atroce di quello che aveva
pensato.
Sentiva le forze venirgli meno e la pelle bruciargli sempre di
più, non
riusciva nemmeno a reggersi in piedi ormai.
Steso sul freddo tetto di pietra di quel castello attese che la nera
signora
venisse a trovarlo una volta per tutte.
...
...
...
Non
sapeva quanto
fosse passato, ma ora sentiva tutti i muscoli rilassati.
Si
sentiva in
pace finalmente, una lieve frescura lo pervadeva, tutto intorno a lui
era buio
tranne una lieve luce proveniente da una fonte a lui sconosciuta. Una
dolce
nenia gli rapiva i sensi, era la musica di un violoncello, la musica
era dolce
e profonda. Provò ad alzarsi e ci riuscì.
Appena
vide ciò
che lo circondava il panico lo travolse.
«NO!» Si
sporse alla cornice di pietra davanti a lui. «NO! Non può essere!»
Si
toccò il viso,
si guardò le braccia, guardò il cielo notturno.
Una voce lo fece voltare. «Vladimir
questo tuo gesto è certamente il più sconsiderato».
Il giovane sentiva il tono dell’uomo che era un misto fra il
rattristato e il furioso.
«Non capisco cosa ti
diverta a
compiere atti così autolesionistici! Non ho mai sentito di
un vampiro che ha
tentato il suicidio sai?».
Vladimir
ghignò. «La
mia non è sconsideratezza, ma
semplicemente umanità una cosa che a te
è sconosciuta ormai, nevvero?»
Sentì una guancia bruciargli, Leopold doveva aver perso le
staffe. «Tu
isolente! Non sarai mai più umano! Nel
tuo essere l’umanità non è
più considerata!».
Gli occhi dell’anziano brillarono iracondi. «Vlad, in quanto vampiro tu non morirai mai
più! Il giorno ci è fatale
solo in determinate circostanze... Per il resto riusciamo a
sopravvivere anche
se allo stremo delle forze. Rassegnati anima suicida, dovrai vivere per
l’eternità la tua vita
nell’oscurità».
Queste
parole
colpirono il giovane che mai avrebbe desiderato udirle. Il vampiro gli
si
avvicinò e gli sussurrò all’orecchio. «La
peggior punizione per un
suicida è l’immortalità!».
Fine
ed ecco qua l'epilogo ^^ spero vi sia piaciuta.
kirarachan