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Autore: Annabelscrive    05/07/2016    0 recensioni
Ero la solita abitudinaria, senza un obbiettivo nella vita.
Da quel giorno tutto è cambiato, dentro quelle mure tutto cambia, tutto diventa oscuro.
Per uscire sarei dovuta cambiare completamente.
Credevo fosse facile, non fu mai così.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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Ritornata nella mia stanza, mi tolsi subito quelle scomodissime scarpe, che mi avevano lasciato i piedi gonfi, e mi infilai le ciabatte, che di comodità avevano ben poco.
Posai le scarpe vicino alla finestre e la apri leggermente, magari avrei potuto togliere quel cattivo odore di marcio.

La cella a quest’ora, per precisare le 8:30, rimaneva aperta e quindi ne approfittai per cercare un bagno.
L’idea era quella di aprire la cella con massima discrezione, osservando dapprima quale tra quelle sbarre fosse meno unta.
Le osservai in contro luce, mi avvicinai ad ognuna di esse ed alla fine capii che la terza sbarra poteva essere quella giusta.
La terza sbarra era diversamente pulita, era diversa da tutte le altre non aveva la ruggine o un colore scuro e malandato, lei stonava, aveva un colore lucente, un grigio metallico, sul quale addirittura potevo specchiarmici.
Prima di aprirla mi chiesi il motivo di una sbarra così pulita, e ne conclusi che forse quella prima era stata rotta.
Sempre con questa domanda in testa e alle migliaia che giacevano nella mia testa, uscì.
Mi guardai attorno, in cerca di un segno che mi facesse capire dove fossero  i bagni.
A livello del mio sguardo non vidi nulla, solo altre celle e dei muri con alcune prese e interruttori della luce.
Nessuna insegna.
Dovetti alzare un po’ lo sguardo per notare un insegna con scritto WC, almeno così immaginai dato che primo: la luce era fioca e si vedeva appena, e secondo la scritta era rovinata.

Comunque insieme alla scritta c’era  una freccia rivolta verso l’alto.
“ Che senso ha fare una freccia verso l’alto?” mi domandai perplessa.
Percorsi con gli occhi rivolti verso l’alto ogni angolo di quel posto per trovare il bagno o il luogo per arrivare ad esso.
Finalmente i miei occhi si soffermarono su una scala in legno e sopra di esso un ripiano e una porta con scritto TOILET.

Mi avvicinai alla scala, la osservai e senso di sicurezza ne dava ben poco.
Penso che sarei stata pazza a salire uno di  quei gradini, di metter il piede, e di appoggiare il mio peso su uno di quelle assi.
Tuttavia il mio bisogno era piuttosto alto e quindi mi feci un po’ di coraggio.
“Possibile che ogni cosa qui sia una prova?” chiesi a me stessa.

Misi un piede dopo l’altro, e facendo attenzione a qualsiasi rumore sospetto, arrivai fino in cima a quei quindici  gradini.
Finalmente ero arrivata in quella piattaforma, finalmente ero davanti alla porta del bagno.

Bussai, nessuno ripose, entrai.
Subito una potente luce mi accecò, una tortura da parte del diavolo sarebbe stata meno terribile.
Entrai, e subito perlustrai ogni angolo di quel posto, ormai ne avevo preso l’abitudine.
Il luogo presentatosi ai miei occhi non era molto più grande della mia cella

Appena entrata si vedeva un lavandino, uno di quei classici lavandini da campeggio, bianco con miscelatore, non era il massimo della perfezione ma posso dire che andava.
Lo specchio sopra di esso, invece aveva una venatura in alto a destra.
Una bella spaccatura, pensai che qualcuno avesse preso a pugni lo specchio, o ci avessero lanciato qualcosa.
Il pavimento era in piastrelle in ceramica, quelle grandi arancioni  nettamente divise una dall’altra. Alcune erano un po’ rovinate, un po’ distaccate  ed alcune sporche.
La luce era fornita da degli enormi neon posti nel mezzo del soffitto.

Poi c’era un cestino, vicino ad una porta chiusa.
“Dietro quella porta ci potrebbe essere il gabinetto” pensai scuotendo la testa su e giù.

Prima di aprire bussai, e siccome non ebbi risposta aprii la porta.

Sbalordita ecco come mi sentii quando vidi quel bagno.
Mi ricordava uno di quei bagni del Ottocento, classici nei castelli di quell’epoca.
“Possibile che in questo luogo, si passi dal putridume alla perfezione?” pensai osservando il posto intorno a me.
Al centro della stanza ci stava una vasca in oro e rame, aveva un motivo a fiori lungo il suo bordo, e sopra di esse c’erano delle candele spente.
Rimasi colpita dall’enorme specchio posto sopra il lavandino,  ma non per o specchio in se ma per la cornice.
La cornice era d’argento con un motivo a rose, che creava un perfetto gioco di ombre su di esso, tra una rose e l’altra c’erano incastonati degli smeraldi e dei rubini.
Nessun senso aveva quello specchio, quella perfezione in quel luogo.

E poi eccolo: il gabinetto.
Credo di non essere mai stata così felice  di andarci, era da un giorno che non ne vedevo uno, fino ad ora, mi era toccata farla in barattoli di metallo.
Finito guardai l’ora su di un orologio posto vicino alla porta; erano le 8.45, 

uscì da quel luogo magico e ritornai alla mia cella.
Era solo passato una quindicina di minuti  da quando mi ero persa nel cercare il bagno, eppure mi sembrava fosse passata un eternità.

Quel luogo mi stava per caso facendo diventare matta

——
Arrivata alla mia cella, notai subito la presenza di Antony.
“Ehy” gli dissi sorridendo e squillando la mia voce.
“Ciao....”.
Al suo ciao mancava di qualcosa, mancava del mio nome.
Lui non conosceva il mio nome.
Aspettavo la sua domanda, ero certa che da li a poco me l’avrebbe posta.
“ Scusami ma non ho afferrato il tuo nome, me lo  diresti?” domandò sorridendomi.
“ Figurati io mi chiamo Annabel”.
“ Piacere Annabel”.

Ci stringemmo la mano attraverso le sbarre.
Me ne ero fregata dell’untuosità di quelle sbarre, ci avevo fatto passare la mia esile mano in mezzo.
Forse le toccai, ma me ne fregai.
Le sue mani erano grandi, e un po‘ sudate.
Mi strinse forte, e io feci lo stesso.
“ Che fosse quella la stretta di  mano dell’amicizia?”
Gli sorrisi.
Ci guardammo, in attesa che uno dei due iniziasse a parlare.
Lui non iniziava così gli chiesi come era andata la sua mattinata fino ad ora.

Mi parve subito stupida questa domanda dato che erano passate solamente due ore da quando ci separammo.

Io mi misi sul letto mi sdraiai e ascoltai.
“ Non è che abbia nulla da raccontare.”
Si fermò.
Forse a causa della mia faccia che sembrava dicesse: “ ma che razza di domanda ho fatto”.
Sapeva che me ne ero pentita.
Alla fine mi raccontò solo che oggi aveva lavorato nei campi.
(Quali campi?)
MI chiese della mia, gli raccontai della mia prova.
E basta  aspettai che arrivassero le  9.

   
 
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