Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xiaq    05/07/2016    5 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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 Note della tradutrice: Sono in ritardo, non è una novità....però mia cara Ms Bennet, ce l'ho fatta! Tutto per te!
Tenterò di essere più frequente con gli aggiornamenti soprattutto ora che estate, il mio computer ha ripreso ha funzionare e dovrei avere un po' più di tempo....Buona lettura!! Come sempre grazie a chi legge, segue o recensisce!!
86221_2097


Sono stato innocente, una volta, pensa Sherlock, toccandosi con dita caute la piega interna del braccio. La pelle sottile in quel punto è un agglomerato di  tracce di aghi ancora fresche e cicatrici sbiadite. Il passsato e il presente che convergono attorno ad una minuscola punta di sangue essiccato causato dalla sua recente trasfusione endovenosa.

L'area attorno ( regione antecubitale)  è ipersensibile e i movimenti delle sue dita callose ( Tredici anni passati a strofinare corde di violino) tendono a diventare quasi dolorosi quando traccia la sottile mappatura venosa sul suo avambraccio. Rende il suo tatto debole.

Nonostante la morfina ancora in circolo nel suo sistema può percepire il peso delle sue ferite. I punti tirano e i cerotti prudono e lui probabilmente non ha mai desiderato così tanto scappare dal rumore e dalla luce eccessiva e dalla generale confusione destabilizzane che gli causa respirare e sbattere le palpebre e recitare la parte dell'essere umano. Vuole scappare lontano- lontano da tutto e da tutti e smettere semplicemente di pensare e percepire e osservare e catalogare e ipotizzare ed essere. Vuole l'oscurità, il silenzio. E può averli. Sa esattamente come farli arrivare, ma questo è il motivo principale che l'ha portato qui, e Mycroft ha senza dubbio controllato tutti i suoi nascondigli e li ha ripuliti da ogni residuo di sanità che avrebbe potuto trovarci. Sherlock può essere abbastanza intelligente da eludere una squadra della narcotici, ma Mycroft è Mycroft, e quindi tutta un'altra storia.

Stringe le dita, osservando i tendini del braccio flettersi; osservando la pelle danneggiata muoversi al distendersi dei muscoli al di sotto. Considera il lieve mutare della struttura corporea e non può fare a meno di riconoscere, seppure per breve tempo, la fragilità della sua stessa vita. Questo, aggiunto ai persistenti sintomi dell'astinenza e al dolore pulsante del fianco, è abbastanza per farlo gemere. E' un gemito silenzioso, sommesso, ma nonostante ciò udibile. Vuole andare a casa. E sì, vuole buio e quiete e calma e tutto il resto ma allo stesso momento ciò che vuole di più è semplicemente essere in qualunque posto dove non ci sia John Watson. Perchè questo è l'esatto tipo di caotica vulnerabilità che porta a decisioni stupide e lui ne ha già sperimentate un eccesso quando è coinvolto John.

Sentimenti, pensa, e preme la parte superiore delle mani sugli occhi.

"Sherlock."

Vai via. Per favore vai via. Non posso farcela adesso. Per favore.

No. Fermo.


Sposta le mani. Apre gli occhi.

"John."

Perfetto. Non c'è nessun monitor per il battito cardiaco attaccato a qualche dito traditore questa volta. Lascia che le palpebre cadano a mezz'asta. Cerca di raddrizzarsi senza sussultare.

"Sono libero di andare?" chiede.

"Sì. Mycroft deve solo finire una chiamata fuori. Sarà qui con una sedia a rotelle tra un attimo."

Non risponde nulla perchè non c'è nulla da dire, e perchè al momento il silenzio sembra l'opzione più sicura.

"Sherlock,"

La voce di John è sbagliata. Non sbagliata in un confronto passato-presente, ma sbagliata in una maniera relativa al tipo sbagliato di emozioni. John ingoia qualsiasi fossero le parole che intendeva pronunciare, e ricomincia.

"Sherlock, so che non è più il mio ruolo ma..."

"John. Fermati."

Idrogeno. Pensa velocemente, Elio. Litio.

"Questo non cambia nulla, " (Berillio ) "se stai sperando in una qualche sorta di riconciliazione, la mia opinione in materia non è cambiata, indipendentemente dalle circostanze attuali."

Boro. Carbonio. Azoto.

Il volto di John fa questo nuovo orribile movimento per cui la sua mascella si idurisce e la sua espressione scompare e Sherlock può leggere indizi solamente negli angoli degli occhi e nella curva delle dita strette a pugno e ferisce Sherlock quasi quanto ciò che John fa subito dopo.

"In ogni caso," dice John. "qui c'è il mio corrente biglietto da visita." poggia un pezzo di carta ripiegato vicino al ginocchio di Sherlock, attento a non toccarlo. Incontra i suoi occhi per un attimo e Sherlock lo lascia accadere prima di riuscire a prevenirlo.

Ossigeno. Fluoro. (Dio, i suoi occhi) Neon, Sodio, Magnesio.

"Non lo perdere," continua John, un dito ancora sulla carta. "Sai, in caso possa rendermi nuovamente utile."

Magnesio...Fosforo. No. Non è esatto. Cazzo.

Sherlock sbatte le palpebre ma i suoi occhi restano chiusi troppo a lungo per sembrare un gesto naturale. Non è stato un movimento intenzionale ma ciononosante accade e un secondo dopo ci sono passi che si dileguano- forse John pensa che Sherlock lo stia ignorando, forse pensa che sia un invito ad andarsene, non ha idea di cosa pensi John, non più, ma, in ogni caso, quando apre di nuovo gli occhi, John se ne è andato.

Raccoglie il pezzo di carta con movimenti accorti; piegandolo e poi piegandolo di nuovo.

Sa che dovrebbe buttarlo, ma non lo fa.

****

Il loro rapporto non è mai stato normale. John lo sa. Dubita che la parola "normale" possa essere applicata ad una qualsiasi sfaccettatura della vita di Sherlock. Ma provare a descrivere la passata amicizia con l'uomo è praticamente impossibile. Nessuno l'aveva capita all'epoca, men che meno lui, e tentare di comprenderla dopo quel che è successo è non meno impossibile. Aveva sedici anni quando si sono conosciuti per la prima volta, buoni voti, titolare nella squadra di football. Sherlock ne aveva dodici, era innopportuno, spaziava dall'essere socialmente inadatto all'essere spaventosamente intuitivo nel giro di pochi secondi, era maleducato, generalmente detestato, e completamente senza amici. La madre di John aveva commentato quando Sherlock aveva iniziato ad andare a casa loro dopo scuola. All'inizio lo aveva preso in giro. Di nuovo a fare il babysitter, John? poi era stata confusa, e poi, improvvisamente, aveva smesso di farci caso, perchè Sherlock era diventato in qualche modo una consuetudine. Una consuetudine durata quattro anni. E sembrava che John stesse ancora soffrendo i residui della sua fine.

Sta tentando di dare senso alle cose; tentando di catalogare come il loro strano rapporto si sia traasformato in un'amicizia, tanto per cominciare. E' iniziata con i piedi nudi, pensa, o magari il giorno in cui l'ha salvato. Dopo l'incidente riguardante i tre collegiali fraudolenti, un labbro sanguinante e la perfetta ricostruzione di un telefilm sui detective, John si era aspettato che le cose tra lui e il suo bizzarro conoscente tornassero come prima. Ma il Venerdì seguente, quando era arrivato nell'ufficio dello psicologo, Sherlock non era nella sua solita posizione, ne' aveva ignorato John quando questo si era seduto. Sherlock era seduto a gambe incrociate, dita intrecciate sul grembo. Aveva aggrottato le ciglia verso John come se il ragazzo avesse fatto qualcosa per cui essere punito.

"Rimani dopo il tuo appuntamento, oggi," aveva detto Sherlock.

"Hey. Felice di vederti anche io," aveva replicato.

Sherlock non aveva risposto e John aveva sospirato.

"Scusami, perchè dovrei rimanere dopo?"

Il ragazzo più giovane non aveva risposto, ritornando alla sua posizione a mo' di effigie, e John aveva sospirato una seconda volta, prendendo in mano la sua copia malamente tenuta dell'Amleto.

Era rimasto.

Sherlock lo aveva raggiunto sul marciapiede una volta conclusa la seduta.

"Ho intenzione di aiutarti a passare la tua classe di Inglese." aveva detto, colloquiale.

John non era stato sicuro di come rispondere a quello. "Um. Okay. Perchè?"

"Perchè sì. E' dovuto."

"Dovuto?"

Sherlock aveva fatto un gesto, infastidito, "Per Martedì,"

"Senti, non è- Non mi aspetto niente per quello. Non è che io l'abbia fatto così da- Solo, no. Non ti preoccupare per quello.".

"Lasciamelo fare. Per favore.".

Sherlock aveva pronunciato quelle parole come un'affermazione, non una richiesta. Non c'era un'intonazione diversa all'inizio della frase rispetto alla fine. La sua espressione era solenne.

John aveva osservato il volto di Sherlock, ancora malconcio, dove i lividi erano sfumati in un giallo malaticcio, e aveva aggrottato le ciglia.

"Sei serio?"

"Io non scherzo mai."

John aveva sbuffato. "Mai?- mi sembra di ricordare che tu abbia detto di voler essere uno strizzacervelli da grande."

La bocca di Sherlock si era sollevata appena all'angolo. "Scherzo raramente," si era corretto.

"Bene. Non rinucerò ad un aiuto. Biblioteca?"

"Certo."

John aveva riflettuto riguardo alle occhiate curiose che avrebbe potuto ricevere se qualcuno della sua scuola l'avesse visto mentre prendeva ripetizioni da un dodicenne. "O...potremmo andare di nuovo a casa mia, se per te è lo stesso."

"Certo," aveva ripetuto Sherlock.

"Devo metterti in guardia," aveva detto John, alzandosi, "sono senza speranza."

"Non completamente," aveva detto Sherlock, e per qualche ragione questo aveva prodotto in lui un'irrazionale ondatat di orgoglio.

Sherlock gli aveva spiegato il primo atto dell'Amleto quella sera. E dannazione se non l'aveva fatto sembrare comprensibile. John aveva chiesto rassegnato se avrebbe potuto spiegargli non solo l'Amleto, ma anche i libri precedenti e Sherlock aveva accettato, a condizione che John lo accompagnasse a casa da scuola durante le ultime tre settimane di scuola. In questo modo non sarebbe stato indifeso in caso di un altro incidente riguardante le scarpe. John aveva scosso la mano che Sherlock aveva gravemente proteso senza esitazione.

La settimaana seguente era stata strana, a dir poco. John aveva recuperato Sherlock ai cancelli della sua scuola assurdamente ricca esattamente alle 15:15 ogni giorno. Erano andati a casa di John, avevano arrangiato una sorta di merenda, e poi lui si era seduto sul pavimento e aveva ascoltato mentre Sherlock spiegava i rapporti tra Amleto e Ofelia e la pretesa pazzia del principe. Avevano finito l'Amleto il Mercoledì e avevano passato il Giovedì ripassando Beowulf. Il Venerdì, Sherlock aveva chiesto a John di portare l'Iliade, il primo libro che la sua classe aveva studiato, alla terapia con lui e avevano iniziato a rivederlo in sala d'attesa.

Quando il dottor Sebring aveva aperto la porta alle 15:45 per chiamare il nome di John aveva sollevato le sopracciglia, ma non aveva commentato il fatto che il suo paziente sociopatico avesse la testa piegata vicino ad un altro essere umano, dita distese a sottolineare una citazione nel libro condiviso, mentre spiegava accuratamente l'inesauribile amore che il coraggioso Ettore provava verso la moglie ed i figli.

La settimana seguente era proseguita più o meno allo stesso modo, fino a Venerdì mattina, quando John era stato svegliato da un messaggio di un numero sconosciuto.

Fuori città. Ti ho mandato via e-mail una recensione per il tuo esame. Mi aspetto che tu prenda una A se la usi in modo appropriato. Ci vediamo Venerdì prossimo in terapia_ SH

Come hai recuperato il mio numero? 
aveva replicato John.

Non sorprendentemente, non aveva ricevuto una risposta.

John aveva usato la recensione ed il Venerdì successivo era entrato nell'ufficio con un sogghigno.

"Ho preso una A," aveva detto a Sherlock.

"Hai usato la recensione in modo appropriato, quindi."

"Allora, cosa vuoi fare per festeggiare?" aveva chiesto John, "Possiamo ordinare qualcosa e guardare la tv stasera. Ho registrato quel documentario sulle formiche brasiliane che volevi vedere."

Il volto di Sherlock aveva fatto una strana smorfia. "Gli esami sono finiti. Ci sono le vacanze. Non ti servo più. E tu non servi più a me."

"Oh. Lo so, ho solo pensato...non importa."

Sherlock si era spostato, apparendo stranamente fuori  posto. "Non è abituale per gli adolescenti accogliere l'inizio dell'estate con amici, musica e bevande alcoliche ottenute illegalmente?"

John non era riuscito a decidere se avrebbe dovuto ridere o sospirare. "Sì, ma...non ho realmente amici, ormai," aveva ammesso. "Non dalla cosa con mio padre. Tutti mi guardano un po' strano adesso."

Sherlock si era passato una mano tra i capelli, poi era sobbalzato quando la porta del dottor Sebring si era aperta.

"Sì," aveva detto mentre si alzava.

"Cosa?"

"Sì." aveva ripetuto Sherlock. "E' da tempo che voglio vedere il documentario sulle formiche brasiliane."

"Oh. Bene. Okay." aveva acconsentito John.

E questo era stato quanto.

Sherlock aveva passato quasi ogni giorno a casa di John quell'estate. Era una personcina sdegnosa, orgogliosa e pedante, e per la metà del tempo mandava John completamente fuori di testa. Poteva citare intere pagine di Shakespeare ed elencare la tavola periodica degli elementi a memoria, cosa che faceva, spesso e ad alta voce, quando John aveva fatto qualcosa per contrariarlo, ma Sherlock sapeva veramente poco riguardo le persone. Poteva essere innocente e garbato e perfettamente educato in maniera inquietantemente ponderata quando gli andava, come nei rari momenti in cui la madre di John era in casa. Ma le piccole recite di normalità erano solamente questo: parti di un copione. John non era riuscito a decidere se doversi sentire onorato o meno del fatto che Sherlock fosse assolutamente senza remore una volta solo con lui. Il ragazzino era esasperante. Ma era anche brillante e questo, quantomeno all'inizio, era ciò che aveva trattenuto John dal cacciarlo fuori di casa.

Quando John aveva confessato di voler diventare medico, Sherlock aveva iniziato a portargli articoli di riviste di medicina e lo aveva aiutato a cercare Università che fossero buone per studenti di Medicina. Aveva comprato online un testo di Biochimica e avevano provato ad affrontarlo insieme quando l'afa si era fatta eccessiva ed erano stati costretti a rimanere dentro casa.

Alcune volte avevano osservato le persone. Avevano passato ore seduti mentre John indicava una persona dopo l'altra e Sherlock descriveva che tipo di persona fosse. "Guarda la sua postura," diceva, "guarda il modo in cui torce i suoi anelli, il modo in cui la sua espressione cambia quando parla con suo figlio." Sherlock dichiarava le persone decenti e buone lavoratrici o bastarde adultere basandosi su poche occhiate e poi spiegava il perchè a John e John sogghignava e sceglieva la loro nuova vittima. Era stata la migliore estate della sua vita. E quando il nuovo anno scolastico era iniziato c'era stata una silente intesa sul fatto che la loro amicizia sarebbe continuata. E così aveva fatto, quantomeno per altri tre anni, fino a quando l'intera inusuale situazione si era dissolta in un disastro incontenibile.

****

John aspetta fuori dalla camera di Sherlock, facendo un cosciente sforzo per non lasciare che la sua espressione rifletta i suoi pensieri, e quando Mycroft gira l'angolo, spingendo una sedia  a rotelle vuota, John stacca le spalle dal muro e si muove per accoglierlo.

"Vedo che hai provato ad avere una sorta di rovinosa conversazione riconciliante con mio fratello," dice Mycroft con delicatezza.

"Qualcosa del genere," concorda John.

"Deduco che non sia servito."

"Per non dire altro."

Mycroft lo osserva, le sopracciglia aggrottate nel più lieve dei cipigli.

"Cosa ti disturba, John?" chiede, rassegnato. "C'è chiaramente qualcosa che vuoi dirmi."

"Io..." abbassa gli occhi, resistendo all'istinto di girarsi a guardare Sherlock attraverso il vetro. "Cosa gli è successo, Mycroft? Non capisco."

"Cosa intendi?"

John scuote la testa davanti alla finta confusione di Mycroft. "E' diverso. Diverso in maniera brutta. Voglio dire, è sempre stato spaventosamente intelligente o completamente inappropriato. Ma così? Non è mai stato così. Neanche nei suoi periodi peggiori. E'- è crudele adesso, Mycroft. Costantemente. E non penso neanche che lo faccia di proposito. E' come se fosse programmato per essere perfido."

John sospira, alzando la mano per sfiorare il ciondolo prima di interrompere il movimento violentemente.

"Non ho mai creduto che fosse un sociopatico prima," dice, lasciando cadere le braccia. "potrei essermene convinto adesso."

Mycroft lo osserva con un'espressione imperscrutabile. Picchietta le dita sulla sedia a rotelle e distoglie lo sguardo velocemente. "Il tempo cambia le persone, John. Può accadere molto in cinque anni."

"Ovviamente."

Nessuno dei due dice niente per qualche secondo, e John allunga la mano rassegnato. "Suppongo non ci vedremo di nuovo."

L'altro uomo accetta l'offerta, afferra la mano con leggermente più forza del necessario.

"Spero di no," concorda. "senza offesa."

"Si figuri."

Si dividono senza un'altra parola e cinque minuti dopo Sherlock Holmes è trascinato via in una BMW nera mentre John Watson lo osserva da una finestra quattro piani più in su.

Non rivede Sherlock per altri sei mesi.



   
 
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