Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Gattopersiano    06/07/2016    8 recensioni
Arianna è una ragazza di diciassette anni. Difende a spada tratta le persone che ama, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, e dalla vita ha imparato ad essere gentile e ad avere coraggio. La sua vita scivola nella monotonia, e in un giorno d'estate decide di darle una svolta radicale, facendo qualcosa che nessuno si aspetterebbe da lei: così si iscrive ad un corso di pre-pugilistica. Sarà lì, in una palestra sgangherata, che lo sguardo di Riccardo la fulminerà per la prima volta. Riccardo è forte e freddo, un leone solitario e ferito che non ha intenzione di avvicinare nessuno, tantomeno una come Arianna. Tuttavia i due inizieranno ad essere legati, lentamente ed inesorabilmente, da un filo sottile e deciso, e le loro vite si scontreranno.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lo squillo del telefono mi svegliò, la sveglia segnava le otto del mattino. Avevo sempre avuto il sonno agitato, bastava un nonnulla a svegliarmi. 
Era un messaggio di Alessandro.


Stronzo, passo a prenderti alle dieci, ci alleniamo al mattino perchè al pomeriggio sono fuori con Paola.

Che cosa ci trovasse in quella, ancora non lo avevo capito. Non era brutta, ma neanche bella, non era simpatica, non aveva dato segni di intelligenza, non aveva neanche un buon profumo.
Al contrario di qualcun'altra.
Nonostante non la sopportassi, non mi sentivo nessuno per mettere il becco nelle sue decisioni; nessuno lo faceva con me, e mi andava benissimo così.
Ero il massimo della discrezione, non facevo domande e non davo pareri troppo decisi perchè pretendevo che gli altri facessero lo stesso con me.
Alessandro ci aveva provato più volte durante gli anni, ma si era arreso. Aveva capito che sì, volevo la sua vicinanza - eravamo praticamente fratelli- ma che non volevo interferenze.
Scesi al piano di sotto e trovai, come spesso accadeva, mio padre addormentato sul tavolo della cucina, il portatile acceso, fogli protocollo e appunti ovunque. Il lavoro lo assorbiva completamente e lui si lasciava assorbire dal lavoro con piacere.
Misi il pc in stand-by e aprii frigo e dispensa per constatare che non c'era quasi nulla, tranne qualche uovo, acqua e birra.
Presi dei soldi dal suo portafoglio e uscii in pantaloni della tuta, maglietta e infradito per andare alla bottega davanti casa.
Yolanda mi salutò con lo stesso calore di sempre mentre varcavo la soglia stretta e bassa.
Aveva quarant'anni e non aveva mai avuto figli perchè non poteva. Viveva da sola, dei ricavi della sua bottega, e da quando mia madre aveva levato le tende aveva sempre avuto un occhio di riguardo per me e per mio padre. Portava piatti di lasagne e crostate a casa, metteva da parte il pane ai cereali più croccante per darlo a noi, e mi faceva sempre degli sconti se le sorridevo e le parlavo un po' mentre mi aggiravo tra gli scaffali. Raramente mi era capitato di parlarle per il gusto di farlo, di solito lo facevo per farla contenta e per ricevere lo sconto.
Mi sentivo uno stronzo in quei momenti, e mi ripromettevo di non farlo di nuovo, senza riuscirci.

"Ciao, Yolanda"
"Buongiorno caro, siamo mattinieri oggi?"
"A casa non è rimasto quasi nulla"
Non c'era ancora nessuno, a parte noi due.
Presi un pacco di biscotti, un cartone di latte, della marmellata, un filone di pane, pasta, e quando il mio sguardo si posò sullo scaffale dei dolciumi, senza pensarci, presi una tavoletta di cioccolato fondente.
"Ogni volta che ti vedo sei più muscoloso, devo venire anch'io in quella palestra, magari accade il miracolo!" disse mentre batteva lo scontrino.
Aveva la pelle olivastra, una massa di capelli ricci che legava sempre in una treccia, grandi occhi scuri e un fisico fin troppo morbido, ma accogliente e materno. La classica persona che rifiutavo come la peste.
Ero sempre stato molto distante con lei, fin da ragazzino.
"Puoi venire quando vuoi, ti alleno io" le sorrisi, e lei sembrò esserne contenta.
Tornai in casa e scaldai del latte per papà, che non si era ancora svegliato.
Mi guardai intorno; la cucina era vecchia e triste, gli sportelli scheggiati e macchiati, il tappeto consunto e il tavolo sporco di briciole.
Non capivo perchè mi stessi soffermando su quei dettagli - che avevo sempre trascurato - proprio in quel momento, poi mi ricordai del bar di fronte la palestra.
Ci ero sempre andato, negli anni, per comprare le sigarette da fumare di nascosto, quando ero ancora troppo piccolo e sapevo che papà avrebbe fatto storie. Era squallido, abbandonato a se stesso e il proprietario sembrava far parte della mobilia per quanto era lento e impassibile.
Quando ci ero andato l'altro giorno, qualcosa aveva subito stonato nella mia testa; gli odori, i suoni, qualcosa era cambiato, particolari all'apparenza insignificanti che eppure avevo notato.
C'era della musica, del cibo, e tutto sembrava più moderno e pulito.
Quando avevo sentito la voce della cassiera avevo capito tutto.
Era stata lei, sempre lei, ci avrei messo la mano sul fuoco.
Dove passava lei, qualcosa cambiava, in automatico. 

"Cosa credi, che io abbia la batteria infinita?" 
Dal primo momento che l'avevo vista avevo iniziato a desiderarla, e mi dicevo ce la puoi fare, non ti affezionerai, ve la spasserete qualche volta e una volta che l'avrai avuta riuscirai finalmente a fartela uscire dalla testa.
Ma ogni volta che ero in sua presenza, puntualmente, mi andava in pappa il cervello e mi comportavo come uno stupido, mandando a puttane ogni sorta di progetto.

In macchina con Alessandro mi appoggiai al finestrino facendo finta di riposare, mentre mi persi in una realtà parallela dove mio padre era felice, la casa era viva, io ero vivo e uscivo con lei, andavo a prenderla in motorino e la portavo al mare, gestivo la palestra e finalmente ringraziavo Daniele per tutto quello che aveva fatto per me.

Avevo varcato la soglia di quella palestra a tredici anni, ventitrè giorni dopo che mia madre se l'era data a gambe. Alessandro mosse mari e monti per andarci insieme e i suoi genitori con lui, rifiutai e rifiutai mille volte con ogni scusa possibile ma quella mattina non ci fu verso, e dovetti accompagnarlo. Ero mingherlino, basso e incazzato col mondo. Sapevo che Alessandro e i miei zii lo stavano facendo soprattutto per me, per farmi sfogare in maniera sana, ma io non ne volevo proprio sapere, non volevo stare tra la gente.
Daniele aveva qualche chilo in meno e qualche capello in più, mi guardò con i suoi immensi occhi azzurri e scoppiò a ridere tenendosi le mani sulla pancia come una donna incinta.
"E che cos'abbiamo qui? Devi crescere, ragazzo! Sei talmente piccolo che stavo per passarti sopra!"

Lo salutammo, stava compilando dei moduli nel suo ufficio, e ci cambiammo in spogliatoio.
Fui l'ultimo ad uscire, erano già tutti fuori a correre.
Lei era sul ring con Paola a fare schemi di lotta, esercizi basilari. Non mi vide, era occupata a muoversi e a schivare i colpi dell'altra.
Rimasi a guardare come si muoveva, era molto più fluida e veloce di Paola.
Stavo per andarmene per non essere visto, quando accadde.
Invece di fare l'esercizio -passo avanti, pugno, passo di lato, pugno- Paola si avvicinò, la guardò in modo strano e dopodichè le affondò un colpo alla bocca dello stomaco. "Così impari a stare nel tuo" disse in un sibilo.
Il sangue mi schizzò al cervello e due secondi dopo ero sul ring accanto a lei, che non aveva emesso suono, nè un rantolo, nè un lamento.
Si era semplicemente accasciata in posizione fetale, le braccia strette allo stomaco, il respiro strozzato.
Avevo una tale rabbia che avrei voluto alzarmi e riempire di schiaffi quella sottospecie di nullità ma rimasi inchiodato accando ad Arianna, e la voce che mi uscì dalla bocca fu un sussurro.
"Cosa cazzo hai fatto."
La sensazione del pugno allo stomaco era tremenda, la conoscevo e ne avevo presi tanti; tranne in casi estremi non c'erano conseguenze per il corpo, ma non erano comunque dei bei momenti.
La presi per le spalle delicatamente e mi preoccupai del respiro; non era molto regolare, per di più piangeva; aveva un paio di lacrime agli angoli degli occhi ma si sforzava di non scoppiare.
La misi seduta e iniziai a rassicurarla; "Stai calma, non è successo niente, shhh. Respira bene e piano, inspira...brava così, e adesso butta fuori, di nuovo..."
Appena fu in grado di parlare, disse: "Non voglio che gli altri vedano..."
"Okay, okay, non ti sforzare, non ti sforzare. C'è il ripostiglio dei sacchi, adesso ti porto lì e ti calmi, va bene? Stai tranquilla e fai dei grandi respiri."
La presi in braccio come una bambola e la portai sul retro, sdraiandola a terra e alzandole le gambe.
Paola era sparita.
"Non è necessario..sto già meglio.."
"Tu respira, non ti fa di certo male." le portai la mia bottiglia d'acqua.
"Bevi a piccoli sorsi e lentamente, ti sentirai meglio."
Non potevo credere che quella cretina le avesse dato un pugno del genere approfittando del fatto che lei fosse alle prime armi e che di certo non avrebbe capito la situazione in tempo per proteggersi. Lo aveva fatto assolutamente di proposito e con l'intento di spaventarla.
"L'altra volta..l'ho schienata. E lei beh, deve essersela legata al dito." disse lei, quasi intuendo i miei pensieri.
"Quella non metterà più piede qui dentro, se me la trovo davanti sono cazzi suoi. Quel coglione di mio cugino ci esce anche, con quella psicopatica e..."
"Riccardo..." disse lei ad occhi chiusi, come per calmarmi. Il modo in cui disse il mio nome -dolcemente- mi fece scendere un brivido lungo la schiena. Immaginai tutt'un altro contesto, io, lei e un letto.
La guardai mentre si metteva lentamente a sedere e mi sembrò l'essere più tenero sulla faccia della Terra. 
E in quel momento capii che ero spacciato. 
"Senti dolore?"
"No.."
"In ogni caso, per oggi basta con l'allenamento."
La aiutai ad alzarsi.
"Vai ad allenarti, io mi cambio e vado al lavoro."
Eravamo soli e chiusi in una stanza.
Non comportarti da idiota.
"Arianna."
"Dimmi, ti ascolto."
"Non ce la faccio a ignorarti e a starti lontano. Ci ho provato, non ci sono riuscito."
"Perchè dovresti starmi lontano, ti sembro pericolosa?" fece una pausa, "Penso di essere la persona meno pericolosa al mondo."
"Non hai capito niente di come sei fatta, allora. Non lo sai."
Iniziava a innervosirsi; "Dimmelo tu, allora!"
Sei bella. Mi fai salire il sangue al cervello.
"Non riesco a smettere di pensare a te. Quando ti ho abbracciato, mi sono sentito al caldo, come non mi sentivo da troppo tempo. Una sensazione bella, ma fuggevole. Quando va via, fa male."
"E' come rifiutarsi di vivere perchè si ha paura di morire. Non puoi negarti di avere relazioni perchè hai paura, ferisci te stesso e gli altri anche se non te ne rendi conto."
Si avvicinò.
"Smettila di scappare".

----------------------------------------------------------------------------------------------------

Quando varcai la soglia del bar quel pomeriggio - largamente in anticipo - sentivo un turbine indefinito di emozioni.
Ricevere un pugno allo stomaco da Paola non era stato niente in confronto a Riccardo in quel ripostiglio. Per quanto fossi stata delusa dal suo comportamento il mio cuore pompava lo stesso come se non ci fosse un domani, e la voglia di stringerlo era tanta. Sperai con tutta me stessa che lui si sarebbe lasciato andare.
Per quanto riguardava Paola, stranamente il colpo non mi aveva ferita più di tanto nè fisicamente nè psicologicamente; accanto a Riccardo mi ero sentita protetta dal primo momento in cui avevo sentito la sua presenza accanto a me.
Lei si era comportata da bulletta e la avrei affrontata a dovere, ma avevo anche altro a cui pensare in quel momento.
Mentre sistemavo i giornali, guardavo insistentemente una macchia di fumo che ingialliva la parete.
Tiziano se ne accorse e borbottò tra i baffi "Si beh, dovrei dare una mano di pittura. L'ultima volta che l'ho fatta dare avevo ancora i capelli neri."
Risi a quella frase, e il mio cellulare squillò. Siccome ero arrivata in anticipo, Tiziano mi fece cenno di rispondere, così uscii fuori.
"Arianna! Cazzo quanto mi dispiace!"
Alessandro.
"Riccardo mi ha detto tutto, l'ho forzato io a dirmelo perchè mi sono accorto che qualcosa non andava. Non ci posso credere che l'abbia fatto, davvero.."
"Non è colpa tua, Alessandro, e poi non è successo nulla di che, ha fatto una stronzata e sono sicura che se ne sarà già resa conto da sola" - certo, come no - "Provvederò a parlarle come fanno le persone civili e chiuderò questa questione senza che volino altri pugni, non sono un tipo manesco io"
"Invece è anche un po' colpa mia, avrei dovuto capirlo che ti aveva preso di punta e invece come al solito non ci ho capito nulla."
Ogni tanto dici qualcosa di sensato.

Dopo circa altre venti scuse, chiusi la telefonata e iniziai a lavorare.
Fu un pomeriggio tranquillo, ma l'affluenza di clienti era maggiore di giorno in giorno.
Mentre mi toglievo il grembiule a fine turno, ebbi un lampo di genio:
"Io conosco una persona che può riverniciare le pareti!"

Il giorno dopo era un sabato, e Fra si presentò alle sei e mezzo di fronte al bar, munita di aggeggi per scartavetrare la parete, una piccola scala e di una quantità assurda di pennelli e secchi.
Il bar sarebbe rimasto chiuso per lavori per tutto il week end, così che Fra avrebbe fatto una full immersion di pittura. Le pareti erano piccole e strette, ma ci sarebbe voluto comunque del tempo per dare più passate e far asciugare il tutto.
Tiziano la squadrò da capo a piedi, divertito: si trovò davanti una ragazza alta un metro e sessantacinque vestita con una lunga gonna nera e un top giallo canarino,i capelli corti che andavano in tutte le direzioni e un grande cappello nero a tesa larga sulla testa.
Li presentai e iniziarono a parlare del più e del meno.
"Un'artista, eh? Ne vedremo delle belle.." disse ridacchiando.
Fra indossò subito l'uniforme da guerra - il suo camice nero più macchiato di colore che mai - e si mise subito al lavoro.
Tiziano voleva ridipingere le pareti dello stesso colore iniziale - un giallo sabbia - ma quando si trovò davanti quello strano soggetto le diede la piena libertà.
Musica per le orecchie di Fra, che diede un fondo verde mela a tutte le pareti tranne a quella portante, posta tra la cassa e il bancone, che restò momentaneamente intatta. Lavorammo come muli, spostando ciò che doveva essere spostato e dando più mani di colore.
Avevo intuito cosa volesse fare alla parete portante, ma non le dissi nulla.
Pranzammo con un panino, dopodichè Fra mise le cuffie alle orecchie, e in quel momento la mia ipotesi fu confermata: voleva dipingere la parete restante. E infatti iniziò dal basso, accovacciata per terra, dipingendo grandi foglie di un verde vibrante a cui pian piano iniziarono ad aggiungersi fiori dalle forme e dai colori esagerati e frizzanti. 
Io approfittavo di quel rinnovo per buttare via tutto ciò che era nel magazzino e che non serviva più, sotto l'occhio vigile di Tiziano.
Quando presi distrattamente il telefono per staccarlo dalla carica quasi mi prese un colpo: Riccardo mi aveva inviato un messaggio alle dieci del mattino.


Buongiorno..vieni in palestra oggi?

Mi sentii morire. Risposi velocemente descrivendo in che situazione mi trovavo e subito ripresi a mettere in ordine.
Dopo circa un'ora vidi la mia testa preferita fare capolino nel locale, bionda, i capelli legati in un cipollotto.
Mi sentii brutta e sudata come non mai, ma andai lo stesso a salutarlo col mio sorriso migliore.
"Questo posto diventerà il bar più alla moda della città grazie a quello che stai facendo." 
"Grazie, e scusami se non ti ho risposto, ma questa era la situazione" dissi alzando le spalle e guardandomi attorno.
"Si vede che avete scartavetrato le pareti, hai della polvere ovunque" disse lui, e la sua mano calda e leggermente ruvida passò sulla mia guancia.
"Non riesci ad allenarti oggi?"
"Non so, dovrei chiedere.."
"Puoi andare" disse Tiziano mentre mi passava accanto,"Se continua di questo passo penso che la tua amica finirà tranquillamente entro le otto di stasera, domani puliamo tutta questa polvere e sarà fatta."
Presi le mie cose, e mi avviai verso l'uscita.
"Non la saluto ora, è concentrata. Le manderò un messaggio." dissi accennando a Fra.
Tiziano dovette trattenersi per non ridere, e io e Riccardo andammo in palestra, in silenzio. Camminare da sola accanto a lui era una sensazione strana; mi sentivo come dentro una bolla, e in qualche modo più forte del solito.
Daniele ci vide assieme e fece un fischio. "La strana coppia! Fate meno i piccioncini e andate a cambiarvi, oggi si suda!"
Riccardo fece un mezzo sorriso da dietro gli occhiali da sole, io risi.
Finimmo di allenarci che erano le otto passate, con doccia annessa si fecero le nove. Alessandro in tutto non si era fatto vivo per tutto il giorno, e pregai sinceramente che avesse mandato Paola a farsi benedire.
Mi cambiai indossando una salopette a pantaloncino con sotto una maglietta a maniche corte rossa, lasciai i capelli sciolti e leggermente umidi visto che li avevo lavati, occhiali da sole e sandali.
Quando uscii fuori, Riccardo era già andato via.
Sbloccai il cellulare, e lessi


Sono alla ricerca di Alessandro, non risponde al telefono, non sparisce mai così. Se sai qualcosa fammi sapere, ma stai tranquilla.

Prima che Fra si facesse la doccia e si preparasse per andare a mangiare fuori si fecero le undici.
In pizzeria provai a richiamare Riccardo, leggermente preoccupata, ma il telefono era staccato.
"Non ci sarà campo" disse lei, "Stai tranquilla, sarà uscito con la sua Paola senza avvisare."
Appena uscite dalla pizzeria, dopo un paio di metri a piedi, sentimmo una voce familiare uscire da un vicolo.
Era Alessandro, sbandava ed era visibilmente ubriaco, se non peggio.
Sperai ardentemente che non avesse preso o fumato nulla di più di birra e sigarette, ma a giudicare dalla gente accasciata a terra e appoggiata ai muri non si trattava di un'innocente bottiglia di birra in compagnia. La testa di Paola spiccava tra le altre; stava accovacciata a terra, la schiena appoggiata al muro e gli occhi chiusi.
Una cosa simile me la sarei aspettata da Riccardo, non da lui.
Fra rimase pietrificata.
Proprio in quel momento il mio telefono squillò: mi stava richiamando.
Risposi.
"Saputo qualcosa?" era lui, la voce preoccupatissima.
"L'abbiamo trovato."
Il motorino di Riccardo arrivò sfrecciando poco dopo. Scese, infuriato, e con un gesto secco e preciso entrò nel vicolo, prese Alessandro per un braccio e lo trascinò fuori.
"Francesca" biascicò, mentre lui lo strattonava, "Chiudi la bocca, coglione. Questa è la volta buona che ti gonfio di botte."
Sfiorai con una mano la spalla di Riccardo. "Cosa facciamo?"
"Non posso portarlo a casa sua così, ai suoi genitori verrebbe un infarto. Mio padre è fuori per lavoro fino a dopodomani, lo porto a casa mia." Fece per apparire sicuro, ma le condizioni di Alessandro non erano quelle di una semplice sbronza.
"Ti accompagniamo."
Quando ci fece strada nell'ingresso di casa sua, la mia mente era troppo occupata a pensare ad Alessandro per rendersi conto del posto in cui mi trovavo.
L'agitazione aveva bloccato Fra, che guardava Alessandro come un cerbiatto terrorizzato.
"Qualunque cosa abbia preso, deve vomitarla."
Aiutammo Riccardo a trascinarlo fino in bagno dove, senza tanti complimenti, gli aprì la mascella con una mano gli infilò due dita in gola. 
Mentre Alessandro vomitava l'anima io stavo in piedi, subito dietro di lui, mentre Fra stava appoggiata alla porta, la fronte corrucciata.
"Voglio restare con lui." disse rivolta a Riccardo, più tardi, mentre lo avevamo steso sul divano.
"Fra, domani mattina hai l'appuntamento con il Sindaco e la Giunta per invitarli alla mostra e hai altri giri da fare, lo sai. E' solo una sbronza, niente di più."
Lei mi guardò, i grandi occhi lucidi e dispiaciuti. "Se fossi stata presente nella sua vita forse non si sarebbe ridotto così a quest'ora."
"Francesca, non farti problemi di cui non sei e non sarai mai la causa" disse Riccardo, "Alessandro ha sempre frequentato quel gruppo di disgraziati, una volta li frequentavo anche io. Qualche anno fa qualcuno di loro si allenava ancora in palestra prima che iniziassero a sfondarsi talmente tanto da non riuscire neanche più a fare un giro di pista. L'unica che ancora frequenta la palestra, come avrete capito, è Paola." mi guardò con aria colpevole. "Non te l'ho detto perchè non volevo che ti preoccupassi, credevo ingenuamente che la situazione fosse sotto controllo, ero ogni giorno con lui ed ero sicuro che avesse chiuso i rapporti con quella gente...se qualcuno deve assumersi delle responsabilità qui sono io. Non me ne importa un cazzo di nessuno, non mi accorgo delle cose perchè sono così concentrato sui cazzi miei da non vedere nient'altro. Francesca, e anche tu Arianna, andate a casa, è tardi."
Francesca aprì subito la bocca per protestare - la conoscevo come le mie tasche - per cui parlai io.
"Non possiamo lasciarti da solo qui con lui in questo stato, ti serve qualcuno vicino. Fra, tu non puoi restare perchè domani mattina hai un universo di faccende da sbrigare e non puoi passare la notte in piedi, per cui resterò io e saremo tutti d'accordo."
Facemmo un paio di chiamate; io dissi a mia madre che avrei dormito da Fra, Riccardo disse ai genitori di Alessandro che erano appena rientrati dal cinema e che lui era collassato a dormire sul divano, come accadeva spesso.
Fra raccolse le sue cose promettendo di passare l'indomani mattina.
"Franciesca, sciei bellishima" biascicò Alessandro dal suo stato comatoso.
"Ho bisogno di parlargli quando gli sarà passata."
Chiuse la porta e fummo soli io e lui. E Alessandro ovviamente, coperto di sudore sul divano.
"Dovrei metterlo sotto la doccia, secondo te?"
"Sì, fredda."
Lo aiutai a spogliarlo fino a che restò solo in boxer.
"Al resto dovrò pensarci io purtroppo."
Scoppiammo a ridere per la prima volta quella sera.
Mentre Riccardo sparì in bagno con Alessandro io misi i vestiti zuppi di sudore e puzzolenti di fumo nella lavatrice, che scovai in un piccolo ripostiglio accanto alle camere da letto. Fui tentata di entrare nella camera di Riccardo, ma c'era un casino appiccicoso sul pavimento della cucina che doveva essere pulito.
Le scarpe di Alessandro dovevano aver pestato fango ed altre sostanze pessime, perchè aveva insozzato tutto il pavimento.
Fortuna che accanto alla lavatrice c'erano uno straccio e un secchio. Conclusa l'opera mi guardai attorno, cercando eventuali tracce del passaggio di un ragazzo sbronzo e forse mezzo drogato. Non ne trovai, e finalmente guardai davvero la casa. Era trascurata, c'erano poche cose ma essenziali - un tappeto, due divani, una tv malmessa, una credenza.
I muri erano ingialliti, non c'erano piante; avevo intravisto però il giardino, che ne era pieno, ed era evidente che fosse una casa gestita da soli uomini. Non c'erano fotografie in giro, tranne una di Riccardo da piccolo, poggiata sul caminetto: un bellissimo bambino biondo, fotografato nell'atto di camminare con addosso il grembiulino dell'asilo; chiamato dalla persona che aveva scattato la foto, aveva girato la testolina e lo scatto lo aveva preso così, con gli occhioni azzurri spalancati e i dentini bianchi e distanti.
In quel momento sentii la porta del bagno aprirsi e Riccardo riemerse, stravolto.
Alessandro sembrava meno distrutto, aveva addosso un paio di calzoncini e una canotta, sicuramente di Riccardo.
Lo aiutai a distenderlo di nuovo sul divano.
"Hai pulito tutto, grazie."
"Non preoccuparti. Se vuoi fare una doccia vai pure, io gli misuro la febbre e vedo se si addormenta o se ha bisogno di qualcosa."
"Tipo?"
"Tipo una botta in testa"
Sorrise. "Grazie, faccio in fretta. Se vuoi poi puoi andare tu, ti do qualcosa di mio con cui dormire. Il termometro sta nel primo cassetto della credenza."
Annuii e lui scomparve di nuovo dietro la porta.
Mi girai verso Alessandro, che rantolava nel letto.
Aveva qualche linea di febbre, ma niente di preoccupante.
Borbottava cose senza senso.
"Ma si può sapere che ti è passato per quella testa bacata?"
Cercai nel ripostiglio un vecchio secchio nel caso avesse avuto conati di vomito, e rimasi a guardarlo per accertarmi che non iniziasse a sudare o simili.
Riccardo riemerse dal bagno chiuso in un accappatoio, i capelli bagnati e per la prima volta sciolti. Gli ricadevano intorno al viso, arrivandogli al collo.
Gli ormoni mi schizzarono su, al cervello.
"Febbre?" 
"Leggera, ma già lo vedo meglio dopo la doccia."
Sparì in camera sua e nel giro di pochi minuti tornò, vestito con un pantalone della tuta grigio chiaro e una maglietta bianca di cotone. E quei capelli sempre sciolti. L'erotismo puro.
Mi porse una sua maglia e un paio di calzoncini, oltre a un asciugamano pulito.
"E' il meglio che posso offrirti, sono di quando ero più piccolo per cui non dovrebbero starti larghissimi."
Entrai in bagno, e mi accorsi dal profumo che aveva pulito.
Nel box doccia c'era ancora l'odore del suo bagnoschiuma.
Io avevo preso il mio, alla vaniglia, dal mio borsone della palestra.
Feci la doccia e indossai gli abiti di Riccardo. Avevano il suo profumo, il che bastò a mandarmi in visibilio.
Quando uscii fuori, Riccardo stava lavando alcune stoviglie rimaste nel lavandino. 
"Vuoi una tazza di té?"
"Volentieri."
"E' successo altre volte?" dissi facendo un cenno ad Alessandro mentre lui azionava il bollitore.
"Mai in questo stato, ha oltrepassato ogni limite." I muscoli del braccio si contrassero.
"Trovarlo lì, in quel vicolo puzzolente, tra quella gente schifosa.."
Mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla.
Lui si girò verso di me, gli occhi lucidi. "E' colpa mia. L'ho lasciato allo sbaraglio, sempre. Non sono un buon amico, siamo come fratelli.."
"Non dire stupidaggini! L'hai raccolto dalla strada, gli hai fatto il bagno come a un neonato e hai pulito il suo schifo. Tutti sbagliamo.." gli accarezzai la guancia solo per il piacere di sfiorare per la prima volta i suoi capelli sciolti. "Ma riusciamo a farci perdonare."
Lui non disse niente, sentii chiaramente il suo braccio circondarmi la vita e quando mi strinse a sè mi diressi alle sue labbra come se lo avessi già fatto altre cento volte.
Ci baciammo, le sue labbra erano roventi e smaniose, cercavano le mie e le sue mani mi stringevano e mi accarezzavano i fianchi.
Lo circondai in un abbraccio senza smettere di baciarlo, infilando le dita nei suoi capelli.
Presi a mordicchiargli quel labbro che tanto avevo fissato e da cui erano uscite le parole che mi avevano provocata, fatta arrabbiare, fatta innamorare.
Proprio quando sentii la punta della sua lingua stuzzicarmi le labbra il bollitore suonò, ma dire che lo ignorai fu poco. Schiusi le labbra e lasciai che il bacio si approfondisse, diventando sempre più passionale fino a quando il pantalone che lui indossava non fu più in grado di contenerne l'erezione, e fui in grado di sentirla contro la gamba.
"Ops. Scusa" disse lui con aria colpevole, prima di staccarsi leggermente per spegnere il bollitore.
Nello stesso momento, Alessandro si alzò con un lamento e vomitò, per fortuna avendo la cognizione di farlo nel secchio che gli avevo messo accanto.
Guardai Riccardo e scoppiammo a ridere. Il primo bacio più imperfetto e meraviglioso della mia vita.
"Niente male come atmosfera, eh?"
"Meravigliosa" dissi io mentre pulivo la bocca di Alessandro con un tovagliolo bagnato e gli porgevo dell'acqua e zucchero.
Il puzzo di vomito stava già impregnando l'aria, per cui Riccardo svuotò il secchio nel gabinetto e lo sciacquò.
"Il fatto che non si sia vomitato addosso è un buon segno" disse mentre tornava.
"Già, vuol dire che si sta riprendendo"
"Allora, questo tè?" dissi io avvicinandomi.
Lo abbracciai forte infilando la testa nell'incavo del suo collo per respirare il suo profumo.
Restammo lì per un po', lui ricambiò l'abbraccio un po' titubante.
"Hai sonno?"
"Un po'."
"Beviamo il té e poi puoi dormire nel mio letto, io dormirò in quello di mio padre."
No, fu tutto quello che riuscii a pensare, ma non dissi niente.
Finimmo il té in silenzio, Alessandro dormiva come un sasso.
Quando mi fece strada fino alla sua stanza, mi sedetti sul suo letto e gli tenni la mano.
"Meglio di no." fece lui con un mezzo sorriso.
"Riccardo..."
"Non scappare" sussurrai quando se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Dopo venti minuti in cui mi rigiravo nel letto - che sapeva di lui - senza nessuna intenzione di dormire, sentii la porta socchiudersi, e poi aprirsi.
Trattenni il respiro, e lui scivolò lentamente nel letto, dandomi le spalle. Credeva che dormissi, per cui cercò di fare il meno rumore possibile.
Rimasi ad ascoltare il ritmo del suo respiro farsi leggermente più pesante fino a trasformarsi in un leggero russare, e quando fui certa che fosse addormentato gli accarezzai la schiena e mi addormentai anch'io.







Eccoci qui! Questo capitolo è molto movimentato, succedono un bel po' di cose !
Il titolo per me è molto significativo, poichè per la prima volta nel personaggio di Riccardo e nel suo carattere chiuso si è aperta una fenditura importante, sia per ciò che è successo ad Alessandro sia per Arianna. Ha capito di star commettendo diversi errori e vuole porvi rimedio, anche se non si sente in grado.

Fatemi sapere che ve ne pare, aspetto le vostre recensioni!

P.s. Ho letto le vostre risposte al mini-sondaggio e come vedete ho preparato il terreno per parlavi meglio di Fra, Alessandro e Daniele, ma senza mai trascurare "la strana coppia" !

Un bacio, 
Lilith <3




 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Gattopersiano