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Autore: ResurrectionMoon    06/07/2016    1 recensioni
(...) Ma non poteva pretendere che lo capisse, non avrebbe neanche mai potuto immaginarselo, uno come Naruto. D'altronde non c’era arrivata sua madre, come poteva uno innamorato e sbadato come l’Uzumaki riuscire ad intendere che la ragazza dagli occhi verdi con la quale era cresciuto avrebbe preferito non essere mai nata così com’era? (...)
(...) A volte si toccava, palpandosi il centro del petto dove la pelle era tirata sulle ossa ed immaginava che fosse quello di un ragazzo. Allora affondava con anche il capo sotto l’acqua ed in quei momenti vedeva ciò che sarebbe voluta essere. Fantasticava su come sarebbe potuta essere la sua vita da ragazzo e sui fiori che avrebbe regalato ad Ino ma poi, quando la mano raggiungeva l’inguine e percepiva fra le dita la fessura in mezzo alle gambe, stringeva i denti stizzita e si alzava di getto a sedere, rompendo l’incantesimo. (...)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Hinata Hyuuga, Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Un po' tutti | Coppie: Sakura/Ino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Sakura aveva sentito il suo mondo frantumarsi come una fluttuante bolla di vetro. Per il resto della mattina, visti i loro umori, il professor Kakashi aveva fatto in modo di tenerle separate ed accanto le aveva messo la taciturna Hinata Hyuga, la stessa ragazza che sua madre avrebbe voluto che frequentasse, visto i modi educati e cortesi a cui era abituata. Probabilmente sperava che in quel modo sua figlia si sarebbe femminizzata un po’ e avrebbe smesso di assumere certi atteggiamenti mascolini che davvero non le piacevano. 
Ma Sakura si era sempre trovata a disagio con la Hyuga, sin da quando i suoi organizzavano merende per farle diventare amiche. Quella ragazzina con gli occhi azzurro ghiaccio e i capelli corvini sempre ordinati, le calzamaglie bianche sotto i vestitini estivi da bambina, sembrava farle pesare ancor di più la propria condizione di maschiaccio. Era l’esempio vivente di come sua madre l’avrebbe voluta: una signorinella graziosa e silenziosa, capace di giocare per ore con le bambole nella sua stanzetta e dipingere, possibilmente senza adoperare le dita come pennelli. 
Ora che era cresciuta poi, assomigliava ad una bambola di porcellana a grandezza naturale ed il modo che aveva di arrossire ogni qual volta Naruto la guardasse per sbaglio o le rivolgesse la parola, era davvero insopportabile. In compenso, Hinata pareva una delle poche oltre a lei ad essere disinteressata a Sasuke e ciò la rendeva tollerabile. 
Le ultime ore trascorsero cupe con Ino intenta a seguire distrattamente le lezioni e controllare con la coda dell’occhio una Sakura afflitta. Dalla sua espressione pareva aver appena subito un dramma familiare e questo, urtava ancora di più la causa di tale situazione. Al termine della scuola, la rosa la aspettò vanamente accanto al cancello, ma Ino le passò davanti, rivolgendole appena uno sguardo dispiaciuto, e si dileguò da sola.
Quella scena fu come una pugnalata a cui Sakura reagì pedalando più forte che potette sotto la pioggia che intanto aveva preso a battere, bagnandola da capo a piedi. Quando entrò in casa e si trovò faccia a faccia con sua madre, che la guardò stupita e un po’ amareggiata per la sua scompostezza, il morale le cadde ancora più a terra.
-Farai meglio a sistemarti, Sakura. Domani abbiamo ospiti a pranzo!
Si bloccò a metà strada fra le scale del piano di sopra e l’ingresso: non aveva davvero voglia di avere parenti intorno con cui fare la signorina cortese e femminile. 
-Chi?-domandò seccata.
-I signori Hyuga e Hinata-rispose, stirando in un sorriso raggiante le labbra rosso fuoco.
Un’imprecazione fra i denti fu l’unica cosa che sua madre ricevette prima di vederla scomparire verso la sua camera.
Il giorno seguente era domenica. Una bella domenica di sole, una giornata perfetta che chiunque avrebbe passato volentieri con la propria famiglia o gli amici. Eppure quel mattino, Sakura avrebbe volentieri voluto restare a crogiolarsi sotto il piumino, anzi, la sensazione di voler sparire dalla faccia della terra era più che viva.
Nonostante la sua riluttanza, quando sentì le grida di sua madre provenienti dal piano di sotto che la incitavano a prepararsi, fu costretta a tirarsi su ed andare a farsi una doccia.
Riempì la vasca da bagno di acqua tiepida e vi si immerse senza aggiungere altro: amava stare sdraiata nuda nell’acqua con la testa appena oltre la superficie e i capelli sciolti che le galleggiavano attorno, coprendole i seni. A volte si toccava, palpandosi il centro del petto dove la pelle era tirata sulle ossa ed immaginava che fosse quello di un ragazzo. Allora affondava con anche il capo sotto l’acqua ed in quei momenti vedeva ciò che sarebbe voluta essere. Fantasticava su come sarebbe potuta essere la sua vita da ragazzo e sui fiori che avrebbe regalato ad Ino ma poi, quando la mano raggiungeva l’inguine e percepiva fra le dita la fessura in mezzo alle gambe, stringeva i denti stizzita e si alzava di getto a sedere, rompendo l’incantesimo.
Quella volta ad infrangere le sue fantasie fu però sua madre che, senza neanche bussare, entrò nella stanza che precedeva quel suo piccolo bagno privato e le intimò di mettere il vestito che le aveva comprato.
-Fatti trovare accettabile, per una volta! 
Si alzò dalla vasca e dopo essersi asciugata alla meglio con un panno, si portò nuovamente davanti allo specchio, le sopracciglia crucciate davanti al fisico magro spigoloso e femminile che vedeva. Provò ad assumere una posa maschile, a contrarre un bicipite per vedere il muscolo in rilievo, ma la sua insoddisfazione non si placava. Odiava tutto di quel corpo ed odiava essere se stessa. Pensò persino di odiare Ino ma poi si riscosse, vedendo la loro foto in una cornice sul davanzale accanto al lavandino, e si odiò ancora di più per averlo davvero pensato. Si diede dell’egoista, immaginando quanto Ino avesse il diritto di vivere la propria vita lontano da tutto quel trambusto che lei aveva dentro. Per anni si era nascosta dietro la scusa che la bionda fosse la sua migliore amica e che avrebbe dovuto sostenerla e capirla prima o poi, ma adesso comprendeva che non sarebbe stato possibile, così com’era impossibile per lei immaginarsi mano nella mano con qualcuno che non fosse Ino stessa.
Si sentì terribilmente affranta, come se tutto il mondo in cui era vissuto fin ora non le fosse mai appartenuto realmente e il suo vero io, quello che avrebbe dovuto nascere al posto suo ed avere la barba, urlasse volendo sgusciare fuori, ucciderla e prenderne il posto.
Dopo quel pensiero, una scintilla le illuminò lo sguardo.

Hinata si sedette a tavola e appoggiò il tovagliolo di stoffa sulle cosce bianche, candide come il sorriso che le fece la signora Haruno quando notò la sua compostezza e che le fece abbassare lo sguardo. Aveva sempre trovato un po’ invadente il modo in cui quella donna dagli occhi verdi guardasse i suoi atteggiamenti, come se lei fosse un automa della buona educazione. Forse per questo, non sopportava troppo gli occhi verdi tanto meno quelli di Sakura la quale la avevano sempre osservata con un pizzico di gelosia, a causa delle attenzioni che attirava da sua madre. Inoltre, anche se comprendeva quanto Sakura dovesse essere triste e più strana del solito in quel periodo, un po’ le dispiaceva per come trattava il povero Naruto. Lui era innamorato di Sakura almeno quanto Hinata lo era di lui e non poteva vedere quel sorriso largo e naturale che aveva, scomparire ogni volta che parlava con l’Haruno. Lo sentiva ingiusto, come se anche lei venisse ferita.
-Hinata, il tuo completo è adorabile, tesoro! Dovrai dirmi dove fai shopping-la signora Haruno le fece l’occhiolino e lei fu costretta a sorridere, ripensando a quanto le fosse familiare quell’espressione concitata. Ricordava quante volte aveva visto la stessa faccia prima che la donna chiudesse la porta della stanzetta di Sakura e le lasciasse entrambe sedute sul tappeto accanto al letto, fra le casette giocattolo e le bamboline a cui, quella che avrebbe dovuto essere la sua amichetta d’infanzia, faceva fare la parte degli ostaggi durante una qualche cattura da parte degli indiani. Allora Hinata si rannicchiava contro il letto, colorando le figure di certi album che Sakura le imprestava a patto di non disturbarsi a vicenda. Era una bambina, ma con lei la Hyuga si sentiva in soggezione come quando in classe era costretta ad essere la vicina di banco di qualche maschietto. Lei si muoveva nel loro stesso modo, parlava a voce alta come loro, si sporcava, saltava sul letto e aveva perennemente ginocchia e gomiti sbucciati. Inoltre odiava le gonne ed ogni volta che la vedeva entrare in camera sua, annunciata dalla madre, squadrava con un’occhiata i vestitini che indossava. 
Per anni Hinata si era vista costretta dai genitori a frequentare quella casa loro, d’altro canto, pensavano che avesse potuto far bene ad una bimba timida come lei, frequentare un carattere frizzante come quello dell’Haruno ed accettavano di buon grado gli inviti. 
Ad un tratto, mentre i genitori parlavano, Hinata sentì dei passi provenire dalle scale e quando vide Sakura, non riuscì a trattenere un’espressione di puro stupore: era totalmente diversa dal solito. Si presentò con un sottile vestitino a fiori che le cingeva la vita e metteva in evidenza le forme del suo corpo minuto. I capelli erano tenuti sciolti e cadevano flessuosi sulla scollatura mentre orecchini e trucco donavano luminosità al suo viso. Erano stati i tacchi a provocare tutto quel baccano dato che non sapeva portarli.
Quando entrò in cucina, rimasero tutti a bocca aperta. Sua madre era visibilmente shockata ma in cuor suo sperò che finalmente la crisi passeggera ed adolescenziale, quel desiderio imperterrito di essere altro, quel capriccio da ragazzina ribelle, fosse ormai passato. Ma non era passato. Semplicemente non poteva passare.
Sakura prese posto a tavola e quando il pollo fu servito, afferrò una coscia con le mani, incominciando a strappare grandi pezzi di carne dall’osso. Si sporcò la bocca, sbavando il rossetto, poi si versò enormi bicchieri di vino, inghiottendo come un ubriacone da bar.
Sua madre era visibilmente sconvolta e dopo qualche piccolo rimprovero sotto voce e sorrisi imbarazzati diretti ai suoi ospiti perplessi, esplose.
-Sakura ma insomma! Come diamine ti comporti?!
In quel momento Sakura capì di avere in pugno la situazione. Abbandonò il mucchietto di pasticcini alla crema con la quale si era sporcata l’abito e strisciò la sedia all’indietro, lontano dal tavolo. Guardò con sfida le facce allibite della famiglia Hyuga, poi quella di sua madre e quando i loro occhi dello stesso colore furono dritti gli uni negli altri con un lieve sorriso, a metà fra l’amaro e il soddisfatto, ruttò. 
Tutti rimasero impietriti, tranne Hinata che questa volta riuscì a mala pena a trattenere la risata in una piccola pernacchia. 
Volò una sberla che fece voltare la faccia a Sakura e zittire persino il tintinnio delle forchette e dei bicchieri. La signora Haruno era in piedi a gambe larghe davanti a sua figlia, il braccio ancora a mezz’aria dopo il colpo. 
Sakura si sentì pervadere da un immenso senso di abbandono e raggiunse la porta. Fissò sua madre dagli spiragli che i capelli scomposti davanti agli occhi le permettevano di vedere e sorrise di nuovo, acidamente.
-Potrai anche pensare che io sia una bambola, mamma-mormorò sprezzante-Ma non sarò mai realmente così.
Si levò le scarpe e a piedi nudi corse in camera sua, appena in tempo per sfilarsi il vestito, lavarsi la faccia e legare i capelli. Si mise addosso una vecchia canottiera e dei Jeans, inforcò le converse sfondate che teneva sotto al letto e uscì dalla finestra, scendendo lungo il tronco irregolare dell’albero fin nel giardinetto di casa sua. Scavalcò il cancello e si mise a correre verso casa di Naruto dopo aver controllato di avere nello zainetto la felpa dell’amico. Le loro abitazioni distavano pochi isolati ed in qualche minuto fu davanti al suo campanello.

Naruto era abbandonato ad una sorta di coma sul divano di casa propria e ripensava a come la mattina precedente, Sakura lo avesse mollato come uno stoccafisso in mezzo al cortile. Qualcosa in quel momento si era definitivamente rotto nel suo cuore: vederla andare via con la sua felpa addosso, senza degnare i richiami, gli aveva fatto considerare l’idea che forse a lei davvero non interessasse nulla dei suoi sentimenti e che probabilmente sarebbe stato inutile continuare ad insistere. 
Dopo quell’episodio ed alla luce di una così dolorosa riflessione, aveva passato la notte a mangiare gelato e giocare ai videogames, maledicendo Sasuke Uchiha e il fascino che aveva.
Il trillo del citofono lo riscosse e mugugnando, raggiunse in soli bermuda la porta di casa.
-Arrivo!
Quando incontrò la figura trasandata di Sakura ebbe un tuffo al cuore. Qualcosa nello sguardo della ragazza sottolineava chiaramente che c’erano dei problemi. Tuttavia non ebbe il tempo di chiederle neanche se stesse bene che lei gli afferrò il viso e, sollevandosi sulle punte, gli stampò un bacio sulle labbra. Rimasero attaccati svariati secondi prima che lei lasciasse andare quelle guance paonazze e prendesse nuovamente le distanze.
-Naruto-esordì-Non mi piacciono i ragazzi.
In quel momento la testa dell’Uzumaki andò totalmente in tilt e una miriade di suoni e colori amplificati, come durante una dose, gli attutì le capacità sensoriali.
-Non mi piacciono i ragazzi, Naruto-ripetette prima di afferrargli i capelli biondi e stringerli fra le dita, portando le loro fronti l’una contro l’altra. Sentì il respiro affannoso del suo amico d’infanzia riempirle i polmoni, ma non si fermò.
-Devi dimenticarti di questa follia, Naruto… non potrò mai volerti bene più che come un fratello.
Il tremore del biondo parve calmarsi e lui iniziò ad annuire piano anche se temeva che le gambe presto non avrebbero più retto il suo peso e non riusciva neanche a toccarla.
-P-perché non me lo hai mai detto…?-sussurrò mentre riceveva indietro la sua felpa come segno che niente di suo sarebbe mai appartenuto a quella ragazza.
Sakura scosse la testa in segno negativo, con gli occhi chiusi per non guardarlo, sperando che quel bacio fosse realmente inteso come un addio.
-Sono sempre Sakura Haruno-affermò mentre si allontanava da lui, afflosciato contro lo stipite della porta-Ma dovrete imparare tutti a vedermi in un altro modo. 
Furono le ultime parole che disse prima di indietreggiare verso il vialetto della villina a schiera e correre via nuovamente col cuore più leggero e la consapevolezza che lui non l’avrebbe più chiamata.
   
 
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