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Autore: jioozee    07/07/2016    1 recensioni
Mi sedetti e guardai fuori dal piccolo oblò. Mi accorsi che mio padre era ancora lì, con lo sguardo velato di tristezza e di speranza. Forse sperava che cambiassi idea, ma doveva rassegnarsi. Non potevo permettere che soffrisse ancora per colpa mia. Non potevo tirarmi indietro. Dovevo mantenere la promessa che avevo fatto a me stessa.
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Twilight, dal punto di vista di un nuovo personaggio.
Come influirà sulla storia?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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Il ragazzo di La Push
 


Per alleviare il dolore inizia a massaggiare il bernoccolo che era appena apparso sulla mia fronte e che aveva cominciato a pulsare. Charlie in quel momento era troppo occupato a fissare la strada, attento a non superare il limite di velocità, per accorgersi delle mie smorfie di dolore e del botto causato dalla mia testa contro il finestrino.
Non potevo credere che Bella non fosse venuta. Mi pareva una reazione troppo esagerata, neanche fosse stata una bambina di due anni che litiga con la sua migliore amica per un lecca lecca. Vero che in passato abbiamo avuto degli alti e bassi, ma non mi sembrava una buona ragione.
“Uhm, s-siamo quasi arrivati?” chiesi sbadigliando.
Le mie gambe erano completamente addormentate, non ne potevo più di stare seduta. E poi, a dirla tutta, quell'auto era così piccola da non poter fare neanche un movimento senza sbattere il ginocchio sotto il cruscotto.
“Ma come si regola quest'affare?” chiesi, dando degli scossoni al sedile, che sembrava non voler cedere di un millimetro.
“Siamo quasi arrivati” Charlie mi rivolse uno sguardo di rimprovero per quello che stavo combinando al sedile della sua amata auto. “A destra in basso, dovrebbe esserci una leva”
“Oh, grazie” Credo che questa potrebbe essere definita una figura del cavolo, no?
Tirai la leva e il sedile si inclinò all'indietro. Solo in quel momento mi accorsi che avevamo appena superato il cartello con su scritto 'Benvenuti a Forks'.
Be', l'avrei capito comunque anche dagli alberi che si diradavano lasciando spazio all'asfalto e ai primi – e unici – piccoli negozi. Le insegne luminose dei locali lampeggiavano al ritmo della musica che proveniva dal loro interno, mentre – probabilmente – alcune persone facevano sempre le solite osservazioni sul tempo.
Dopo esserci scambiati quelle poche – pochissime, direi – parole, né io né Charlie osammo più parlare, anche perché non avevamo più niente da dirci.
Quando finalmente parcheggiò nel vialetto fangoso e pieno di ghiaia, proprio accanto alla casa, il sole – stranamente – si trovava alto nel cielo e illuminava tutto con i suoi raggi.
Aprii lo sportello della vettura e saltai giù dal sedile, allungando le braccia per stiracchiarmi.
Tutte le parti del mio corpo erano addormentate e forse un'ottantenne sarebbe stata più in forma della sottoscritta.
Mentre Charlie scaricava quei pochi bagagli che mi ero portata dietro, feci un piccolo giro intorno alla casa. Detto fra noi, il giardino era davvero poco curato: foglie e rami secchi ovunque, che si impigliavano fra le stringhe delle scarpe; cespugli incolti, che avevano proprio bisogno di una potatina.
Quel luogo necessitava assolutamente di un tocco femminile. Il più presto possibile.
La casa, invece, mi sembrava un po' troppo piccola per tre persone, soprattutto per due teenager bisognose del loro spazio e di privacy e forse questo avrebbe potuto essere un piccolo problemino.
Chissà, forse mi sarebbe toccato dormire sul divano o, peggio, con Charlie.
Intanto Charlie aveva trasportato le valige sino alla porta e decisi di aiutarlo a portarle dentro. Meglio non mostrare subito la ragazza pigra e scansafatiche che ero in realtà.
Afferrai due valige e, salite le scale insieme a Charlie, mi ritrovai all'inizio di un corridoio.
Alla mia sinistra si trovava una stanza, ma capii subito che non era la mia perché la superammo senza degnarla di uno sguardo, mentre in fondo alle scale c'era un piccolo bagno che avrei dovuto condividere con Charlie e Bella. Chissà se questa cosa avrebbe dato fastidio a loro. A me no di certo: a casa avevo sempre condiviso il bagno con mio padre, perciò ero abituata.
Intanto osservavo curiosa la carta da parati e le foto di famiglia appese alle pareti, Charlie si fermò davanti a una porta, piuttosto distanziata dalle altre.
La stanza non era molto grande. Le pareti erano state dipinte di un bel verde smeraldo: ricordava il verde del bosco, sul quale si affacciava una finestra rotonda, ornata da tendine turchesi. A ridosso di una parete vi era il letto, avvolto da un piumone lilla, ed affianco ad esso vi era un comodino con sopra un'abatjour.
Sulla destra si trovava un armadio a due ante, sulla sinistra una scrivania, entrambi color corteccia.
Era tutto così stranamente accogliente! Certo, non ero quello a cui ero abituata, ma andava bene lo stesso. Cercai di cogliere più particolari possibili di quella stanza, come piccole crepe o ornamenti che erano sparsi tra una parete e l'altra, e non mi accorsi che Charlie si era dileguato. Già, Charlie non era il tipo di persona che si immischiava negli affari altrui e questo era un sollievo.
Disfai le valige e riposi gli abiti nell'armadio impiegando più tempo del previsto, infatti mi accorsi che l'orologio a pendolo segnava le cinque passate. Le ore erano volate, forse erano state trascinate via dalla pioggia che in quel momento scendeva giù a catinelle.
Mi sedetti sul letto a fissare il paesaggio dalla finestra rotonda, mentre il ticchettio della pioggia mi teneva compagnia, fino a che qualcuno si schiarì la voce per attirare la mia attenzione. Mi voltai verso la porta, dove sulla soglia si trovava un Charlie abbastanza imbarazzato.
“Nita, ti dispiacerebbe farmi un piccolo favore?” farfugliò impacciato distogliendo lo sguardo.
“Dimmi pure”, accennai un sorriso.
“Non è che potresti fare un salto giù a La Push?”, disse in un sussurro.
Gli rivolsi uno sguardo incuriosito e stupito. Che diavolo era La Push? Una marca di caramelle? Ma poi, domanda più importante: perché avrei dovuto andare lì?
Charlie mi spiegò perché avrei dovuto scendere giù alla mezza luna, dato che lì avrei dovuto ritirare il regalo di arrivo per Bella e... momento.
Avrei dovuto camminare per una ventina di chilometri, sotto la pioggia per uno stupido regalo di benvenuto? Si era bevuto il cervello?
Non potevo neanche rifiutare di farlo, avrei dovuto ingoiare il rospo questa volta.
Annuii distrattamente a tutto quello che in quel momento stava dicendo: sta attenta alle auto, non parlare agli sconosciuti eccetera eccetera. Cavolo, sapevo benissimo badare a me stessa!
Vero, a volte parlavo con una piccola voce che era situata in un angolo della mia mente, ma era una cosa del tutto normale... credo.
Così presi il mio mini ombrello viola a pallini bianchi e mi incamminai, cercando di evitare le pozzanghere nelle quali sarei potuta anche annegare.
Quando intravidi da lontano la casa descritta da Charlie, velocizzai il passo. Se qualcuno mi avesse vista – cosa improbabile, dato che diluviava e di anime vive, in giro, non se ne vedevano – mi avrebbero dato della matta e quindi, dopo essere inciampata un paio di volte ed essermi macchiata di fango il mio paio di jeans preferito, mi riuscii a riparare sotto il portico di quella piccola casa rossastra.
Le foglie secche ricoprivano tutte le assi di legno del tetto e sulla facciata, vi erano soltanto due finestre, attraverso le quali, però, non si riusciva a scorgere nulla: sul vetro, infatti, si era formata una patina di condensa che proteggeva l'interno da sguardi indiscreti.
Battei più volte le nocche sul legno della porta, sperando che qualcuno mi venisse ad aprire e che mi invitasse a bere una cioccolata calda.
Davvero, ragazza! Tu hai dei seri problemi se speri che qualcuno ti inviti a prendere una cioccolata calda Sbottò la vocina nella mia testa, ma per questa volta preferii sorvolare.
La porta si aprì scricchiolando, lasciando il posto ad un ragazzo. E che ragazzo!
Pelle scura, quasi bronzea, liscia e levigata, con degli zigomi ben pronunciati e sporgenti, anche se furono i suoi capelli a saltarmi subito agli occhi: erano neri e lucidi, raccolti in una piccola coda.
La cosa era alquanto bizzarra per un ragazzo, almeno dalle mie parti.
Ma non m'importava, anche perché non appena vidi i suoi occhi dimenticai tutto il resto: erano profondi come un pozzo senza fondo, neri come una notte senza stelle.
“Ehm, posso aiutarti?” mi chiese e così, per la prima volta, ascoltai il suono della sua voce, roca e piacevole.
“Sì, be', sono Nita, mi ha mandata Charlie. Credo che tu debba consegnarmi qualcosa” Abbassai gli occhi, imbarazzata. Avrei voluto rimanere lì a fissarlo ancora un po', ma mi avrebbe certamente presa per una maniaca o qualcosa di simile.
“Oh giusto! Vieni, da questa parte” mi sorrise. Se prima avevo considerato i suoi occhi uno spettacolo mozzafiato, era solo perché non avevo ancora visto il suo sorriso. Un sorriso così magnifico e abbagliante, che avrebbe messo allegria a chiunque fosse stato triste; un sorriso che avrebbe potuto illuminarti nel buio.
Mi fece fare il giro della casa per andare sul retro, dove si trovava un piccolo garage. Gli attrezzi erano sparsi ovunque e un enorme telo copriva un veicolo. Il ragazzo ne prese un lembo e lo strattonò, scoprendo il pick-up destinato a Bella . Da annotare: mai farsi regalare un auto da Charlie.
Quel coso si sarebbe messo in moto? Avevo qualche dubbio. Di certo, però, se avesse fatto un incidente, ne sarebbe uscito illeso e conoscendo la goffaggine di Bella, quel rottame l'avrebbe protetta.
“Eccoci qui. Be', devi schiacciare due volte la frizione, ma per il resto va benissimo”. Diede un leggero pugno alla carrozzeria e mi lanciò le chiavi.
Le afferrai al volo, cercando di non fare qualche figuraccia - mio solito - ed entrai nell'abitacolo a forma di bulbo, che odorava di pino selvatico e tabacco.
“Spero che tu abbia la patente” ed anche se il suo tono era serio, dal suo viso traspariva l'ombra di un sorriso.
“Certo, come se tu ce l'avessi” risposi sarcastica “Comunque, non dire a Charlie che non ho la patente, non vorrai mica che gli venga un infarto sapendo che la sua nipotina infrange la legge a quest'età”. Sul viso del ragazzo apparve un sorriso piccolo, ma abbastanza grande da farmi perdere il fiato.
“Di a Charlie che io e mio padre verremo a fare un salto. Non è più nella pelle di vedere quanto sia cresciuta la piccola di Charlie” ed io annuii.
Lo salutai con un gesto della mano che lui ricambiò, e partii verso casa Swan.
Il veicolo faceva un baccano infernale, ma la cosa che mi infastidiva di più era la sua insostenibile lentezza. Andando a piedi sarei stata più veloce, probabilmente.
Dopo un estenuante tragitto a cinquanta all'ora, parcheggiai nel vialetto e mi adagiai nel cassone del pick-up in attesa che arrivassero. Ogni tanto gettavo lo sguardo al mio orologio da polso sperando che il tempo scorresse in fretta. Solo dopo mezz'ora vidi un auto parcheggiare parallelamente al marciapiede: da essa ne uscì il ragazzo dal nome sconosciuto ed aiutò a fare lo stesso ad un uomo dai simili tratti. Notai dopo che era in carrozzella. Lo stomaco mi si contorse leggermente, di fronte quella scena.
“Ehi, cosa ci fai ancora qui?” domandò il ragazzo, il quale non aveva impiegato davvero nulla ad approcciarsi.
“Sai com'è, qui fuori fa bel tempo perché non rimanerci” disse scherzosamente balzando giù dal cassone e avvicinandosi ai due. Da quella distanza poteva scorgere molto meglio le somiglianze. Entrambi avevano capelli discretamente lunghi e lucidi, occhi caldi e pelle liscia.
“Comunque io sono Jacob, lui invece è Bill Black, mio padre” disse il ragazzo, finalmente con un nome: Jacob, Jacob Black. Si, suonava veramente bene.
“So anche presentarmi da solo, sai?” lo rimbeccò Bill, provocando uno sbuffo divertito da parte del ragazzo.
“Piacere di conoscerla, signor Black. Io sono Nita Swan” sorrisi timidamente allungando la mano che strinse con una presa forte e calda.
“Puoi chiamarmi Billy” e mentre stavo per aprir bocca il rumore di pneumatici sui ciottoli ci distrassero da ciò che stavamo facendo.
Gli sportelli si aprirono e da uno dei due vidi spuntare Bella.
Wow, me l'immaginavo diversa, cambiata, ed invece era rimasta uguale a come la ricordavo: era molto più bassa di me; i capelli castani arruffati dal vento e dall'umidità le incorniciavano il viso pallido, che sembrava fatto di porcellana.
Mi guardò un attimo perplessa, sussurrando qualcosa al padre, qualcosa che non riuscii a captare, afferrò una valigia e venne nella mia direzione. Mi fece un cenno come saluto, per poi dedicarsi al suo nuovo pick-up, Jacob e Billy
E così, mentre Charlie intratteneva una conversazione con l'uomo e Bella testava il suo nuovo mezzo, di mia iniziativa portai le sue le valige al piano di sopra.
Una volta fatto mi sedetti sul divano, a riflettere su cosa mi aspettava il giorno dopo: nuova scuola, nuovi amici - diciamo amici e basta, dato che nella vecchia scuola non ne avevo neanche uno - e nuovi insegnati. In quell'istituto sarei stata la notizia del momento, una novità. Ma avrei dovuto farmene una ragione, in fondo non sarei stata l'unica. C'era Bella con me, non che mi fosse di grande aiuto, però era meglio questo che essere sole in balia di adolescenti.
Verso le otto, andai in cucina per apparecchiare la tavola e trovai Charlie intento a cucinare. Intorno a noi c'era solo un silenzio imbarazzante, rotto dallo scoppiettare dell'olio nella padella.
“Bells, a tavola!” gridò Charlie dal piano di sotto, e il trambusto che Bella fece nel scendere le scale fu ineguagliabile.
Tutti e tre ci sedemmo a tavola. Charlie e Bella sembravano decisi a non spiccicare parola, così toccò a me prendere l'iniziativa.
“Allora, Bella, com'è andato il viaggio?”. Anche se avevo cercato di sembrare naturale, la mia voce aveva tremato un po'.
“Bene, grazie” e quelle furono le sue ultime parole. Ok, non sarei mai riuscita a comprenderla.
Quando Charlie ebbe finito di mangiare, andò a parcheggiarsi di fronte la tv e Bella ed io, invece, rimanemmo lì per sparecchiare la tavola e lavare i piatti. Se mio padre mi avesse vista si sarebbe sicuramente commosso.
Poco più tardi, mi asciugai le mani con uno strofinaccio, mi rintanai nella mia camera e indossai il mio comodissimo pigiama di lana.
Non ebbi neanche il tempo di appoggiare la testa sul cuscino, che caddi in un sonno profondo.




Angolo autrice:
Ringrazio vivamente le mie recensitrici. Non 
pensavo minimamente che avesse potuto riscontrare 
questo discreto successo!
Avviso che cercherò di attenermi il più possibile alla versione originale.
Non inventerò o cambierò quasi nulla dell'accaduto, nulla almeno che non
comprenda Nita.
Man mano che andremo avanti vi darò anche delle citazioni, presenti veramente nel libro
che rendono tutto più veritiero possibile.
Ps: mia sorella mi ha rotto il caricabatterie del pc, non so quando riuscirò a postare ma state certe che lo farò!
Un abbraccio.
Jioozee.
   
 
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