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Autore: endif    19/04/2009    7 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 13
RISVEGLIO

BELLA

Sentivo la testa pesante. Le illusorie sensazioni che avevo provato sino a quel momento avevano lasciato spazio all’amara consapevolezza della crudezza della realtà. Quando avevo finalmente aperto gli occhi, mi ero resa conto di essere sola, in una stanza d’ospedale. Mi erano occorsi circa dieci minuti per focalizzare lo spazio intorno a me, freddo, disadorno, essenziale. Niente immagini alle pareti, niente telefono, niente orologio. Da quanto ero lì? Alzai il capo con enorme fatica e mi voltai verso la finestra. Attraverso le grate notai che era notte fonda. Mi riadagiai sul cuscino e sospirai. Dovevano avermi sedata, per questo avvertivo quel senso di pesantezza generale. Sbattei le palpebre un paio di volte come a schiarirmi la vista. Roteai gli occhi per guardare nuovamente verso la finestra e li strabuzzai.
GRATE? Ma quale ospedale aveva le grate alle finestre?

Dei flashback passarono veloci nella mia mente ripercorrendo gli ultimi avvenimenti: Port Angeles, i tre medici, quel mastino dagli occhialini dorati, Alice … ALICE! L’avevo vista in strada, non potevo essermi sbagliata e, giuro, che aveva lo sguardo rivolto alla mia direzione! Quella maledetta finestra che non si apriva, le lacrime che mi offuscavano la vista e che mi impedivano di vedere ancora la mia amica, la mia confidente, unica prova dell’esistenza del legame che ancora mi tratteneva alla realtà, a questa terra.
Una lacrima rotolò sulla guancia e mi bagnò l’angolo delle labbra. Dovevano avermi rinchiusa in qualche centro speciale per fuori di testa, vedendomi arrancare intorno ad una finestra, ripetendo il nome della sorella del mio amore perduto dopo l’exploit di qualche sera prima con il mio pick-up. Alice perché non mi hai portata via, perché permetti che mi facciano tutto questo? Nemmeno la visione di ciò che mi sarebbe accaduto, nemmeno il mio intenso pensarti ha potuto farti cambiare idea, farti ritornare sui tuoi passi?
Mai come adesso, con tutta la gente che “voleva prendersi cura di me” mi ero sentita più sola in vita mia. Non sarebbe venuto nessuno in mio aiuto, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che fossi lasciata libera …
Sentii il rumore della maniglia della porta che veniva abbassata lentamente. Stava entrando qualcuno.
Fui presa dal panico, ma capii che agitandomi avrei solo peggiorato la situazione. Decisi di chiudere gli occhi e fingere di dormire, magari, vedendomi ancora addormentata, chiunque si stesse avvicinando al letto, sarebbe andato via subito.
Avvertii la porta chiudersi, ma un respiro pesante si fece più vicino al letto.
Ma perché non andavano via, dopo essersi accertati che riposavo ancora?
Approfondii il respiro per apparire più credibile, ma non mossi un muscolo. Dei passi che volevano essere silenziosi si fermarono vicino al letto. Sentii un tintinnio. Qualcosa era stato deposto sul ripiano di fianco al letto. Sbirciai il riflesso sul vetro della finestra con un occhio solo appena socchiuso. Mentre focalizzavo il viso di un infermiere alto e grosso, un odore sgradevole di fumo e birra mi colpì il naso. Un’ondata di nausea mi assalì, ma fu niente rispetto a quando mi resi conto che una mano aveva scostato il lenzuolo che mi copriva la gamba sinistra e stava alzando piano la mia camicia da notte sopra le ginocchia.
Realizzai che la sensazione di umido e viscido sull’interno coscia appena sopra il ginocchio fosse collegata al calore della mano sudaticcia di quell’uomo e non riuscii più a controllare il terrore. Un conato di vomito partì dal mio stomaco e un’acquetta acida raggiunse la mia gola. Mi girai automaticamente sul fianco con il viso fuori dal letto in cerca d’aria.
«Volevi fare la furba con me?» La voce dell’infermiere era roca, il fetore del suo alito mi raggiunse anche di spalle. Una mano mi voltò e un braccio si distese in orizzontale da una spalla ad un’altra del mio busto per bloccarmi. Sgranai gli occhi leggendo l’espressione lussuriosa sul viso dell’uomo. Con la bocca completamente asciutta, riuscii solo a scuotere il capo in segno di diniego. Feci un rapido bilancio delle forze in gioco e capii che non avevo scampo.
«Non temere, io ti sono amico, puoi ottenere tanti favori da me qui dentro se anche tu mi dai qualcosa in cambio …» avvicinò la sua bocca al mio orecchio mentre io automaticamente piegavo il viso in senso contrario stringendo forte gli occhi e biascicò: «Ci divertiremo tanto insieme, ti insegnerò molte cose, scommetto che sei ancora vergine … eh?». Accompagnò le sue parole rivoltanti e puzzolenti con un movimento della mano che frugava tra le mie cosce in cerca degli slip.
«Lasciami stare, non mi toccare, NON MI TOCCARE!» Decisi che se ero chiaramente in svantaggio fisico, non mi restava che urlare a squarciagola. Strinsi convulsamente le gambe e tentai di divincolarmi raccogliendo tutta l’aria che potevo. Spalancai la bocca pronta a gridare, ma quell’essere vi posò sopra la sua, spingendo dentro la lingua con violenza. Con la forza della disperazione, a corto di ossigeno, la vista che cominciava ad offuscarsi, serrai i denti con rabbia e sentii il sapore pungente del suo sangue. Gli avevo morso la lingua.
Immediatamente avvertii la leggerezza dovuta al ritrarsi del suo peso dal mio corpo e presi dei veloci respiri. «Mi hai morso, puttana!» La mano sulla bocca a constatare il danno, la furia negli occhi, l’uomo mi mollò un potente manrovescio in pieno viso, talmente ben piazzato da farmi rotolare giù dal letto. Avvertii ora anche il sapore ferroso del mio sangue e mi rivenne da vomitare. Sentivo le forze abbandonarmi, stavo per svenire, quasi non mi accorsi che l’infermiere mi sovrastava con una siringa in mano e, sogghignando, aggiungeva: «Avrei preferito che tu fossi cosciente, ma mi accontento ugualmente» e afferrandomi il braccio calò la siringa violentemente sulla parte superiore. Mi piegai mentre una scossa mi trapassava la spalla raggiungendo il collo e mi parve di sentire suonare una specie di campanello.
«Merda!»
L’uomo si raddrizzò e alzò il viso. Aveva lasciato la siringa ancora conficcata nel mio deltoide con metà del farmaco ancora dentro.

Senza riflettere l’afferrai strappandomela via per conficcargliela sulla mano e con tutta la forza spinsi fino in fondo lo stantuffo.
Soffocando un’imprecazione, disse: «Faremo i conti dopo, vedrai.» Si alzò, massaggiandosi la mano e prendendo la direzione della porta.
Appena fu uscito capii che dovevo andarmene a qualsiasi costo. Mi alzai con le gambe che tremavano e mi avvicinai alla porta aprendola un poco con le mani malferme.
Il corridoio era in penombra, la mia stanza più o meno al centro. In fondo a sinistra la porta a vetri principale chiusa, in fondo a destra l’uscita di sicurezza con l’insegna rossa bene in vista. Sperai che in un posto del genere non chiudessero anche quelle. Sapevo che per legge non potevano farlo, ma la realtà, poi, era tutt’altra cosa.
A piedi nudi scivolai lungo il muro in quella direzione, pregando silenziosamente che nessuno mi scoprisse. Approfittai del campanello che ancora suonava e detti un colpo secco alla porta.
ERA APERTA!!
Gli occhi mi si riempirono di lacrime per la gioia e uscii sulla scala antincendio. Mi fermai cercando di calmare il battito forsennato del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie, quando uno schianto tremendo proveniente dal giardino mi fece sobbalzare. Decisi d’impulso di salire la scala.
Un vento freddo mi sferzò la faccia e mi fece rabbrividire, ma anche risvegliare. Mi ero resa conto, dopo aver inciampato due volte negli scalini, di essere un po’ più goffa del solito. Il farmaco stava cominciando a sortire il suo effetto. Mi accorsi di essere sul tetto solo quando notai lo svolazzare dei capelli intorno al viso. Nello stesso momento dal piano inferiore un rumore di vetri frantumanti mi raggiunse. Passò un lungo minuto in cui mi scordai di respirare, poi, ancora vetri che si rompevano e un tonfo sordo.
Cominciai ad indietreggiare singhiozzando, ormai completamente fuori controllo.
Non sarei mai ritornata lì dentro.

ALICE
Tenevo d’occhio il licantropo insieme a Jasper, ma avevo una maledettissima sensazione di disagio che non voleva abbandonarmi. Essere cieca a causa del cane mi innervosiva e, poi, quelle visioni di poco prima … Non ricordavo nulla della mia vita da umana, e sicuramente da allora erano stati fatti notevoli progressi, ma se il posto dove mi avevano portato assomigliava un po’ a quello dove ora stava Bella, non mi rammaricavo affatto di non averne alcuna memoria. Rabbrividii e mi accorsi che Jasper mi fissava. Doveva aver percepito il mio turbamento, perché i suoi occhi si addolcirono e mi disse «Non temere, Edward la troverà e la porterà in salvo».
Già, ma lui non poteva sapere cosa avevo visto. Bella avrebbe subito un trauma fortissimo se si fosse risvegliata trovando un uomo nella sua stanza con chiare intenzioni di … no, non potevo rimanere con le mani in mano, e poi, lontano da Jacob avrei potuto vedere qualcosa.
«Jazz, pensi di farcela a tenerlo a bada?» Gli chiesi con impazienza nella voce.
Lo vidi alzare gli occhi al cielo e poi, annuire rassegnato.
«Stà attenta e cerca di tenere calmo Edward».
Mi mossi veloce in direzione della clinica.

JASPER
Fare il babysitter non mi piaceva affatto, mi annoiava e rendeva nervoso. Ero cosciente che in questo frangente le mie doti erano fondamentali per non aggravare la situazione anche con un combattimento, ma avrei preferito che Alice non andasse da sola. Era molto turbata e in ansia perché la vicinanza con il lupo le bloccava le visioni.
Un licantropo.
Lo osservai minuziosamente e ne ammirai le potenzialità in un eventuale scontro. Era indubbiamente molto potente, i suoi muscoli ne erano la chiara testimonianza, ed era agile, oltre che resistente.

Ero perso in queste riflessioni quando Jacob riprese le sue sembianze umane e rimase completamente nudo davanti ai miei occhi. Mi guardò infastidito e disse: «Se hai finito di fissarmi come un fenomeno da baraccone, io ne approfitterei per mettermi qualcosa addosso ora che la piccoletta se l’è svignata.»
«Oh, certo fai pure» dissi rapidamente.
Si avvicinò ad un albero e prese dei larghi pantaloni, una maglietta e delle scarpe da ginnastica. Alzai un sopracciglio e lui spiegò: «Sto andando avanti e indietro da un po’ di giorni, e in forma di lupo è più comodo. Per questo tengo qualche ricambio pronto.»
Annuii con un cenno del capo. Quel tipo in fondo non mi era antipatico, anche se puzzava da morire.
«Che intendeva la tizia con la storia dell’interferenza?» sembrava sinceramente curioso. Dirglielo non poteva fare alcun danno.
«Alice prevede il futuro e tu la blocchi in qualche modo.» Risposi, laconico.
«Ehi, ma che siete succhiasangue bionici? Uno legge nella mente, l’altra fa la chiromante e tu che sai fare? Volare?» il suo tono voleva essere sarcastico, ma era impressionato.
«Modifico gli stati d’animo, li calmo o li esalto a seconda della situazione. In questo momento sei più tranquillo grazie a me.» Chiarii con un sorrisetto. Quel tipo non era affatto male, in altre circostanze sarebbe potuto essere uno spasso.
«E perché la piccoletta si è defilata, andava alla toilette?» Chiese lui.
«Idiota, ha avuto una visione di Bella in pericolo, ma con te nelle vicinanze non ha potuto vederne l’evoluzione. Si è spostata per concentrarsi meglio.» Conclusi frettolosamente. Stavo cominciando ad innervosirmi ripensando ad Alice.
«Bella potrebbe essere in pericolo e noi rimaniamo qui a conversare?!» Avanzò verso di me con un colorito cereo, ma padrone di se stesso. «Ah, non provare a fermarmi, se vuoi vieni anche tu, ma io non rimango qui neanche un secondo di più.»
E prese la direzione che aveva poco prima percorso Alice.

Sospirai e lo seguii, in fondo avrei potuto essere utile viste le condizioni in cui poteva versare Bella.


   
 
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