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Autore: Yu_Kanda    08/07/2016    0 recensioni
[LaviYuu]
[Storia partecipante al contest Fiume "A mille ce n'è... di slash da narrar!" indetto da Sango sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Book of Lairs'
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Questo capitolo di "Il Difensore" è pubblicato per il LAVIYUU DAY!






Il Difensore


Capitolo 2: E212

Emise un gemito strozzato e riaprì gli occhi, ansimando pesantemente. Quando mise a fuoco sé stesso e il luogo in cui era, sospirò rassegnato: l'ufficio postale.

Sedeva ancora sulla sedia di prima e si sentiva a pezzi, quasi avesse realmente fatto ciò che aveva appena rivissuto. Scosse la testa e si guardò attorno. I numeri andavano e venivano dal nulla e nel nulla, nessuno pareva badare a lui o essersi accorto del suo attuale stato emotivo.

Si alzò, tornando vicino all'emettitore di numeri, che in teoria doveva essere davanti all'ingresso; provò a tracciare il perimetro della stanza in quel punto, ma non sembravano esserci aperture di sorta.

Era bloccato lì. Riflettendoci, con i ricordi che aveva recuperato, la situazione non lo meravigliava più. Il suo turno non sarebbe mai arrivato.

– Se cerchi un'uscita, non c'è.

Si voltò verso la voce, allarmato, e trovò di fronte a sé una graziosa fanciulla. Non era tanto alta ma era snella, aveva un viso dai tratti orientali, occhi castani e lunghi capelli scuri, legati in due codine ai lati della testa. Indossava un vestitino nero con la gonna a balze, corto sopra il ginocchio, e un bel paio di stivali di pelle nera.

– Io... ti conosco? – gli uscì involontariamente dalle labbra.

– Dovresti, Kanda-kun.

 

 

Sedeva ancora una volta sul suo letto, la testa fra le mani, gli occhi talmente serrati che le palpebre iniziavano a fargli male. Cercava di trattenere le lacrime; di non mettersi a urlare. Di non iniziare a tempestare la paratia della stanza di pugni. Il suo respiro era più simile a un rantolo d'agonia, in quel momento. Si sarebbe spezzato il collo da solo, se non fosse stato certo che l'abilità di rigenerazione donata al suo corpo l'avrebbe riportato in vita.

Lavi se n'era andato. L'aveva abbandonato senza una parola di spiegazione. Tutte le domande che aveva fatto avevano ottenuto un'unica risposta: era stato chiamato dal nonno per succedergli alla guida degli Storici.

Nessuno sapeva il perché di quel tradimento improvviso. Che fosse vero o meno, non aveva alcuna importanza, ciò che importava era che lui aveva perso la persona che amava. Era completamente solo; e disperato.

L'unica cosa che lo confortava era che prima o poi la sua abilità di rigenerare sarebbe finita. Lo aspettavano per una missione. Avrebbe fatto del suo meglio.

 

 

– Dov'è quell'incapace del dottor Edgar! – tuonò una voce dal corridoio adiacente, facendo voltare i presenti nella stanza.

L'uomo entrò come una furia e lui lo riconobbe: il tizio antipatico con i baffetti, quello che l'aveva bollato come 'danneggiato'. Sorrise fra sé; alla fine era arrivato.

– Censore Lvellie, quale inaspettato onore – disse quello che doveva essere il dottore in carica – il mio nome è Komui Lee, sono il nuovo Supervisore.

Vide l'uomo con i baffetti squadrare l'altro da capo a piedi e storcere il naso. Chissà, magari non gli piaceva il camice strapazzato, il bizzarro cappello bianco e floscio che portava in testa, dal quale spuntavano ciuffi spettinati di capelli neri, oppure le ciabatte aperte con la fascia a quadretti bianconeri. Oppure la faccia da schiaffi, con quel sorrisetto poco serio e gli occhialetti tondi che gli scendevano continuamente sul naso, il tutto condito da lineamenti vagamente orientali e penetranti occhi scuri.

– Dov'è il dottor Edgar? – ripeté il Censore.

– Morto. – rispose il sostituto con un certo imbarazzo.

L'uomo con i baffetti sollevò un sopracciglio, incredulo, e sbuffò.

– Molto bene, pare che dovrò vedermela con lei – disse in tono ruvido – quanto sono gravi le ferite, questa volta?

Dall'espressione sul volto del nuovo dottore, Komui, sembrava sapere dove quel discorso sarebbe andato a parare; e lo sapeva anche lui.

– Molto gravi – ammise Komui – ma guariranno senza problemi in una settimana.

L'uomo con i baffetti fece una smorfia di disappunto, come se si aspettasse la risposta. Lanciò uno sguardo severo nella sua direzione, poi tornò sul Supervisore.

– Che sta succedendo? – chiese a bruciapelo. – Il ragazzo è stato un Difensore perfetto fino a tre mesi fa. Poi, così, di punto in bianco, ogni missione cui lo assegniamo, che sia di ricognizione o d'attacco, torna indietro in fin di vita.

– Io... non ne ho idea – ammise il dottore – il suo tracciato neurale risulta perfettamente normale. Le sue emozioni sono in controllo. È davvero strano.

– Ed è anche l'ultima volta – disse il Censore – Kanda Yuu è uno spreco di risorse per il governo e un pericolo per gli altri Difensori. Sono dieci volte che si fa ferire, dieci dannatissime volte di fila. La sua mente è chiaramente instabile e se questa situazione si ripete, lei lo dovrà terminare. Ero quasi propenso a graziarlo, ma a quanto pare la mia prima stima era corretta: gli avevo dato dieci anni. Ebbene, sono trascorsi.

L'espressione sul viso del Supervisore esprimeva orrore; lui era certo che il suo, invece, ne mostrasse una di sollievo. Finalmente.

– Censore Lvellie, almeno permetta che venga messo in stasi – supplicò il dottore – sono certo che troveremo una cura...

– Faccia come crede, le spese di questo dipartimento non mi riguardano – ribatté l'uomo – ciò che mi riguarda invece è che, se succede di nuovo, quel clone deve essere disattivato.

Appena fu uscito, una figura che era sull'attenti contro la parete più lontana della stanza avanzò svelta verso di loro. Si trattava di una ragazza più o meno vicina alla sua età e, a giudicare da com'era vestita, doveva essere anche lei un Difensore. Non ricordava di averla mai vista nella sua squadra, però.

Lei afferrò il braccio del dottore con aria preoccupata, lanciando occhiate addolorate nella sua direzione.

– Fratello, non lo farai, vero? – esclamò, agitata. – Non puoi ucciderlo solo perché è un clone e non fa quello che vuole il consiglio!

– Troverò un modo, Lenalee – rispose il dottore – te lo prometto. Come ho fatto con te.

 

 

Attenzione! Attenzione! Malfunzionamento nella camera criogenica sei. Il personale tecnico è richiesto sul luogo.

– Ehi, Johnny, hai sentito?

L'uomo, alto, carnagione abbronzata e capelli biondi sparati in testa come se avesse preso la scossa, toccò sulla spalla il collega, perplesso.

– Altroché. – rispose questi, molto più basso, occhiali a fondo di bottiglia cerchiati di nero e capelli scuri impomatati, tirati indietro da un ridicolo cerchietto e raccolti in un bizzarro e voluminoso codino crespo. – La camera sei, nientemeno, quella dove c'è il tizio misterioso. Dai, muoviamoci, il Supervisore Lee ci darà il tormento se succede qualcosa a quel tizio.

La luce rossa dell'allarme continuava a lampeggiare e la voce registrata a ripetere ogni due minuti il messaggio dall'altoparlante, quando i due scienziati giunsero sul posto. Si affrettarono ad accedere ai controlli, ansiosi di capire che stesse accadendo.

– Reever, guarda qui – disse l'ometto basso – sembra che stia uscendo dalla stasi. Il sistema registra una forte attività cerebrale, non dovrebbe essere possibile.

L'altro scienziato si grattò il mento, perplesso, armeggiando con la console di comando per lanciare un diagnostico.

– Sembra tutto in ordine – commentò e il collega annuì – a quanto pare il sistema vede come un 'malfunzionamento' il fatto che il cervello di questo tizio funzioni. Johnny?

L'ometto parve riscuotersi da profondi pensieri, perché quasi saltò nell'udir pronunciare il proprio nome.

– Ah, scusami, Reever – rispose – riflettevo che il Supervisore, Komui Lee, stava sperimentando qualcosa su questo giovane. – Penso che dovremmo informarlo del cambiamento di condizioni.

Reever sollevò un sopracciglio, leggermente contrariato.

– Perché io non ne sapevo nulla? – chiese.

– In realtà, non ne so nulla nemmeno io – confessò Johnny – è una mia assunzione. Ho visto Komui molto spesso in questa stanza nell'ultima settimana e ne ho dedotto che ci fosse qualcosa in ballo.

Reever sospirò. Tutto ciò non prometteva nulla di buono, in particolare se vi era coinvolto il Supervisore Lee.

– D'accordo, chiamalo; e incrociamo le dita – disse – oh, e chiama anche il nuovo direttore medico.

 

 

Era arrivato solo da poche ore e già lo chiamavano per un'emergenza, che fortuna che aveva. Come al solito, tutte le grane trovavano lui.

– Fate smettere questo dannato allarme, per l'amor del cielo – ordinò appena vide qualcuno lungo il corridoio – mi sta facendo diventare scemo.

Qualcuno che conosceva un tempo avrebbe commentato che già lo era, scemo, e non avrebbe fatto differenza. Tanto tempo fa. Quanto era passato? Cinque anni? Sì, più o meno.

– Non possiamo – fece notare rispettosamente uno dei tecnici – solo lei ha il codice, dottore.

Oh. Cavoli. L'aveva scordato. Seriamente, aveva scordato anche il codice, alquanto assurdo per uno come lui, che possedeva una memoria eidetica. Sospirò e raggiunse i due scienziati, precedendoli nella sala controllo per avvicinarsi alla prima console di comando che gli si parò davanti.

Chiuse un attimo gli occhi, allargando le braccia come se dovesse dirigere un'orchestra, poi li riaprì di scatto e digitò in fretta una sequenza interminabile. L'altoparlante tacque.

– Oh, grazie al cielo – commentò lo scienziato più basso; poi gli porse la mano – Johnny Gill.

– Lavi Bookman, piacere.

I due scienziati impallidirono visibilmente nell'udire il suo nome e Lavi li fissò perplesso, la mano ancora sollevata in attesa di essere stretta.

– Qualcosa non va? – chiese, notando che il protrarsi del silenzio si faceva imbarazzante.

– Oh, no, no – si affrettò a rispondere Johnny – è solo che lei è famoso. Uno Storico molto famoso. Ecco, pensavamo non fosse possibile, sa, cambiare... ruolo.

Già, nemmeno lui lo pensava. Poi era stato talmente disastroso che il nonno aveva deciso bene di creare un precedente.

– Non era possibile – confermò, con una certa irritazione nella voce – mi hanno cacciato; e, no, non voglio parlarne – anticipò, leggendo negli occhi dei suoi due ammiratori la domanda successiva. Al cenno d'assenso imbarazzato che gli fu rivolto sorrise, porgendo la mano all'altro scienziato.

– Ah, Reever Whenham – disse questi stringendola – piacere.

Lavi non vedeva l'ora di liberarsi di quei due e tornare nel suo limbo a seppellirsi sotto gli amati libri, quindi, qualunque cosa fosse successa, voleva risolverla in fretta. Molto in fretta.

– Bene, ora potete ragguagliarmi su cosa esattamente sta succedendo? – chiese.

– Pare che uno dei pazienti in stasi si stia risvegliando spontaneamente – spiegò Reever, facendo cenno al collega di recuperare la cartella clinica – e il sistema lo vede come un malfunzionamento.

Ovviamente non poteva essere qualcosa di semplice, altrimenti la patata bollente non sarebbe toccata a lui. Lavi sospirò impercettibilmente, osservando l'ometto basso con gli occhiali che armeggiava fra i raccoglitori.

– Perché il paziente è in stasi? – chiese, e l'espressione che assunse Reever gli mise addosso un brutto presentimento.

– Non lo sappiamo. – rispose.

Ecco. Appunto una cosa del genere si aspettava. Non sbatteva la testa contro la parete solo perché sarebbe parso poco professionale. Nel frattempo, l'ometto basso, Johnny, si era bloccato e fissava lo schermo che teneva fra le mani.

– Che c'è ancora? – esclamò Lavi, sempre più indispettito. – L'hai trovato il file, oppure no?

– Sì, sì, è questo – si affrettò a confermare il poveretto – solo, non dice molto; e quello che dice non è incoraggiante.

Gli porse la tavoletta elettronica. Anzitutto, il nome del paziente non veniva riportato, né la casta d'appartenenza, e dire che la diagnosi fosse criptica era un complimento: “Autodistruttivo. Mentalmente ed emotivamente instabile”.

Nessun altro dettaglio. Non che questi non definissero bene la situazione, anzi, tuttavia un po' di informazioni generali sulla storia del paziente sarebbero state assai utili.

– Portatemi da lui, vediamo se veramente si sta svegliando. – ordinò.

 

 

La ragazza era svanita. La realtà (anche se tuttora non era certo fosse mai stata tale) era svanita. La sola cosa costante erano i ricordi che tornavano. Stando a quel che aveva rivissuto pochi attimi prima, avrebbe dovuto essere morto; invece era di nuovo lì, dentro l'ufficio postale.

– E212

I numeri continuavano a susseguirsi, ma il suo non veniva chiamato. Adesso non ne era più sorpreso o disturbato, adesso capiva. Non sarebbe mai venuto il suo turno, in tutta la sua vita non aveva avuto un'unica occasione di esistere realmente; di essere felice. Era un nessuno sacrificabile.

Probabilmente era stato 'disattivato', come più volte li aveva sentiti minacciare, e quello era soltanto il labirinto della sua mente, che si faceva beffe di lui.

Se era così, non esisteva un'uscita da quel posto, proprio come aveva detto la ragazza. Si guardò attorno, la gente non faceva caso a lui, anzi pareva non vederlo nemmeno. Avanzò di qualche passo verso l'emettitore di numeri: avrebbe ricontrollato tutto il perimetro, se c'era modo di scappare, prima o poi l'avrebbe trovato.

 

 

La capsula di stasi era posizionata in fondo alla stanza e davanti a essa spiccavano i monitor della postazione di controllo, in piena attività di monitoraggio. Seguito dai due colleghi, Lavi si avvicinò, iniziando subito ad analizzare i dati sotto i loro occhi attenti.

– C'è decisamente un'elevata attività cerebrale – disse quello basso con gli occhialetti, Johnny – per qualcuno in stasi non dovrebbe essere possibile.

– Già. – commentò distrattamente; c'era qualcosa che lo disturbava nei dati a video, ma non riusciva a definirlo. Qualcosa di estremamente familiare, che avrebbe dovuto saltargli all'occhio eppure non lo identificava. Quella stringa di dati... era? – Il DNA! – esclamò, armeggiando con la tastiera con movimenti febbrili. – Questo è il DNA di un difensore! Ne sapete qualcosa?

I due Scienziati si guardarono, sorpresi, mostrandosi altrettanto all'oscuro.

– Ora che lo fai notare, è certamente un Difensore – confermò l'uomo più alto, Reever – e spiega come mai il Supervisore Komui gli riservi tante attenzioni. Nonché la segretezza dell'arrivo e della sua permanenza qui.

– Esatto – aggiunse Johnny – lo chiamiamo il paziente misterioso.

Un Difensore! Un Difensore, in stasi, portato lì da Komui! Non poteva essere una coincidenza!

Si alzò di scatto, avvicinandosi alla capsula e la toccò con mano tremante, sotto gli sguardi spiazzati dei colleghi; esitò, deglutendo a fatica. Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo. Non sapeva se avrebbe retto né a una conferma della sua intuizione, né all'eventuale delusione, ma doveva guardare: si sporse. Occhi timorosi incontrarono quelli del giovane in stasi, aperti ma ciechi, e il suo essere tutto si bloccò nel riconoscerlo: Yuu.

 

 

Il nonno era stato davvero contrariato di doverlo andare a prendere nel reparto medico del Quartier Generale del settore dove risiedevano; in particolare, di trovarlo piantonato dalla polizia interna.

Dopo che aveva ascoltato la sua versione dei fatti, tuttavia, non avrebbe saputo dire se fosse perplesso, interessato o terribilmente deluso di lui; molto probabile non credesse una sola parola.

Eppure, lo stava assecondando nella sua insistente richiesta di poter vedere se il ragazzo che l'aveva protetto, quello del quale nell'ultimo periodo era diventato il migliore amico, stesse bene. Anche se a quelli come lui non era consentito di avere amicizie, né legami; per poter essere veri nei confronti della Storia. Per poter restare sempre imparziali cronisti degli eventi.

Dalla stanza che gli era stata indicata uscì un uomo di mezza età, espressione irata e atteggiamento stizzito, allontanandosi a passo deciso verso l'uscita. Un altro uomo, in camice bianco, che era in piedi poco distante, s'affacciò allora nel varco della porta per poi voltarsi e incamminarsi in direzione opposta a quello arrabbiato. Doveva essere uno degli Scienziati, probabilmente un medico dello staff.

– Komui!

Il nonno lo chiamò per nome e quello subito si fermò, l'aria stupita, tornando poi sui propri passi.

– Storico Bookman – salutò formale – è inusuale vederla qui. Come posso aiutarla?

– A sentire mio nipote, un suo amico è ricoverato in quella stanza.

Ah, la faccia del dottore nell'udire le parole del nonno! L'aveva guardato come se faticasse a capire ciò che gli era appena stato detto.

– Io... non credo l'abbiano indirizzata correttamente – rispose, il tono esitante – c'è stato un incidente con un Difensore un paio d'ore fa, è lui che occupa la stanza alle nostre spalle.

Ecco, adesso sì che il nonno mostrava la reale portata del proprio disappunto; gli scoccò un'occhiata davvero severa, prima di tornare a rivolgersi al dottore.

– Questo è mio nipote – disse, posandogli una mano sulla spalla per condurlo davanti a sé; Komui gli sorrise – Lavi. Credevo si fosse inventato tutto per giustificare la sua presenza qui. Pare proprio che avessi ragione.

Il sorriso era scomparso dal volto dello Scienziato, sostituito da un'espressione di pura incredulità. Il nonno inarcò un sopracciglio, insospettito dalla reazione così marcata che si era prodotta dopo la presentazione del nipote.

– Posso vedere Yuu? Come sta?

Il suo inserirsi nella conversazione provocò una specie di pandemonio silenzioso, perché lo scienziato di nome Komui s'inginocchiò davanti a lui e lo fissò dritto negli occhi.

– Tu hai parlato con Kanda-kun? – disse con aria seria.

Tanto seria che il nonno lo prese per un braccio, facendolo rialzare e tirandolo in disparte, ma non abbastanza da impedirgli di continuare ad ascoltare.

– Komui – sibilò, indispettito – stai ammettendo che il ragazzo di cui parlava mio nipote esiste ed è il Difensore ferito nell'incidente che tutti vogliono mettere a tacere?

– Non si è trattato di un incidente – precisò lo Scienziato – Kanda ha detto di aver protetto il suo migliore amico dagli altri allievi. Credevamo fosse un'anomalia di condizionamento, invece diceva il vero.

– È senz'altro un'anomalia – corresse il nonno – i Difensori non provano sentimenti.

Udì il dottore, Komui, emettere un sospiro; poi l'uomo scosse lentamente la testa.

– Kanda non ha subito l'impianto del chip – disse – il Generale Tiedoll...

– Questo è pericoloso; e destabilizzante – l'interruppe il nonno, totale disapprovazione nel tono di voce – crea un precedente che mette a rischio il sistema, e le vite degli altri Difensori.

Il dottore parve combattuto su come rispondere.

– Lo so; ma il Generale sostiene che anche i cloni sono persone – disse infine – e vuole dimostrare che un totale addestramento psicologico può sostituire il condizionamento cibernetico.

– Follia! – esclamò il nonno. – Lavi! Andiamo!

– Bookman, aspetta! Lascia almeno che lo saluti, che male può fare? Sono solo dei bambini, non puoi pretendere da loro la perfezione.

Il passaggio dal linguaggio formale al dargli del tu parve meravigliare il nonno a sufficienza da farlo fermare. I due presero a confabulare in modo vagamente concitato e lui vide un altro dottore affacciarsi dalla stanza in cui sapeva essere Yuu. Approfittò del momento di distrazione e si avvicinò, strattonando il camice dell'uomo, che lo guardò incuriosito.

– Lavi! – si udì scandire dall'interno della stanza, e la curiosità del dottore si mutò in sconcerto. Era come se non riuscisse a credere che lui fosse reale.

– Posso vedere Yuu? – gli chiese; l'uomo annuì, basito e, prendendolo per mano, lo condusse vicino al letto dove giaceva il suo amico.

   
 
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