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Autore: eleanor89    20/04/2009    1 recensioni
«Ognuno sceglie la propria strada.» dichiarò lui, facendola ammutolire. «Non abbiamo poi molto da dirci, e non credo che nessuno di noi due sia pentito.»
«Naturalmente no.» confermò lei, facendo un cenno con la testa ad Anko e uscendo.
Anko si sedette sul suo letto, facendolo dondolare. Kabuto represse un gemito.
«Non vorrai veramente tirare le cuoia ora.»

Una KabuAnko, come quell'adorabile disgraziata di Elwerien mi aveva chiesto per il suo compleanno. Arrivata giusto un attimo in ritardo.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Kabuto Yakushi
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessun contesto
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Chi dice che l'unica realtà sia questa

Chi dice che l'unica realtà sia questa?

Esistono innumerevoli dimensioni, e anche quelle che noi consideriamo immaginarie, non sono altro che mondi in cui abbiamo gettato per un momento lo sguardo.

Tutte le possibilità sono. Tutto ciò che può essere è, da qualche parte.

E chi può sapere se la persona accanto a te che ti sembra tanto familiare, in un'altra vita non sia stata una tua compagna d'armi, una consanguinea, un'amica, un'avversaria?

L'unica cosa che ti è data di sapere, oggi, è che quello che tu chiami amore, o anima gemella, riuscirai a tenerlo con te in una vita soltanto.

E in ogni dimensione ognuno spera che quella vita fortunata sia la propria, quella perfetta in cui tutti i sogni si realizzano alla fine, ed in cui tutto va bene e non ci si pente, e ci si sveglia la mattina con il sorriso sulle labbra, e si va a dormire con la stessa espressione soddisfatta e senza rimorsi.

Ma una sola possibilità su infinite volte non equivale quasi a zero?

Allora, preparati a soffrire, alla ricerca di qualcosa che non troverai.

 

 

 

 

Last Ditch.

 

 

 

 

 

Il grido rimbombò per tutta la struttura vuota, ma la donna continuò a correre per le scale.

Non sentiva più né la stanchezza né il dolore alle gambe, lei continuava soltanto ad andare in alto.

Al termine della rampa c'era un piccolo piazzale coperto, ed una grande porta spalancata da cui entrava la forte luce che la guidava. L'unica ombra era data da due sagome umane, irriconoscibili per via del riverbero, ferme come barriera tra lei e quella porta.

Anko sapeva già chi fosse uno dei due, e strinse più forte la pistola tra le dita, sicura di stare per morire ma volendo portare almeno lui con sé.

Vide una delle due sagome portare una mano dietro la schiena, sicuramente per prendere un'arma, e poi, agghiacciata, si rese conto di non correre da sola. Durò solo un secondo, poi il profumo della collega le arrivò e la calmò meglio di qualsiasi sedativo avesse mai preso.

Puntò la pistola avanti e fece fuoco, colpendo la sagoma che si era mossa ad una spalla, e facendola stramazzare a terra. Altri colpi di arma da fuoco risuonarono nel capanno, e le grida di Toshiro che diceva loro di tornare indietro, mentre Satoshi rideva istericamente dopo ogni sparo.

«E' un massacro...» mormorò Yumi a bassa voce, sparando alla figura ora a terra che tentava ancora di prendere l'arma.

«Uccidi o vieni ucciso.» ringhiò Anko, saltando sul piazzale e puntando la pistola alla testa del ricercato, Yakushi, un altro di quei bastardi della setta di Orochimaru che avevano portato via il fratello di Itachi e tanti altri ragazzi.

Yakushi Kabuto, e chissà se quello era il suo vero nome, si avventò su di lei prima che il suo indice potesse sfiorare il grilletto, brandendo un bisturi. Non per niente veniva chiamato “Il Chirurgo dell'orrore” dai media.

Anko si scansò velocemente su un lato, venendo colpita alla spalla sinistra, e gli occhi le si strinsero in una smorfia di dolore. Sentì la canna della pistola cozzare con il corpo dell'altro e fece fuoco.

Durò solo un secondo, ma i loro occhi si incontrarono, ed una spiacevole sensazione di deja-vù si annidò al limite tra coscienza e incoscienza della poliziotta, prima che lo sparo facesse volare indietro lo psicopatico, che ancora mostrava i denti in un sorriso sicuro di sé.

Quando il corpo dell'altro cadde a terra, un tonfo che le parve vuoto, quella sensazione cominciò a sparire, persa per sempre.

Anko passò la pistola all'altra mano, lasciando dondolare il braccio ferito e dolorante, e fissò con astio l'altro a terra, mentre Yumi la richiamava con urgenza.

Chiuse per un momento gli occhi, obbligandosi a dimenticare tutto, e poi riprese a correre verso la porta, verso la luce.

 

 

 

 

 

Kabuto sistemò gli occhiali che si ostinavano a scivolare giù per il naso, e si sedette a mangiare il proprio hamburger, ovvero il proprio unico pasto in quel giorno così pieno di impegni.

Lo scartò, mentre osservava pigramente la strada. Una bambina strillava perché la madre le comprasse i giocattoli visti in vetrina, tre ragazzi dall'aria impeccabile uscivano dai cancelli dell'università, una ragazza in uniforme scolastica attirava le attenzioni di un gruppo di studenti probabilmente liceali, una ragazza vestita con degli assurdi capelli rosa e l'espressione dura camminava a passo di marcia lasciando che la cartella che teneva con una mano dietro le spalle le sbattesse lungo la schiena, seguita da una biondina parecchio divertita, dei bambini giocavano a rincorrersi.

L'hamburger era finito prima che se ne rendesse conto, e gettò la carta in un bidone. Riprese la valigietta che aveva poggiato a terra accanto a sé e si diresse verso il prossimo lavoro e ultimo della serata. Kabuto faceva parecchi lavoretti per potersi mantenere da solo all'università, tra cui aiutare le persone che avevano problemi col computer. Non aveva una vera qualifica, ma molti agganci ed una buona nomea, così non si era stupito tanto quando avevano cominciato a chiamare anche emeriti sconosciuti.

Fece le scale e stava anche per controllare il numero civico, quando udì un urlo e poi una scarica di improperi, diretti ad un pc, lo fecero desistere. Bussò alla porta più vicina, e sentì un tonfo. Poi una donna, non molto più grande di lui, la spalancò.

Aveva i capelli viola legati in un'acconciatura alla bell'e meglio, con ciocche sparse che ricadevano sul suo viso dandole un'aria piuttosto sbarazzina, e due grandi occhi che in quel momento mandavano lampi.

«Sì?» si costrinse a chiedere lei con calma.

«Sono Kabuto Yakushi-»

«Il tecnico! Entra!» lo invitò lei, abbandonando ogni istinto omicida.

Kabuto si fece avanti senza palesare nulla, ma si guardò attorno aspettandosi un caos terribile e magari anche spazzatura sul pavimento. Invece trovò un arredamento piuttosto spartano e neanche l'ombra di polvere, cosa che lo fece immediatamente sentire più a proprio agio, sebbene quella donna desse l'aria di essere una che dava subito confidenza, e lui preferisse stare sulle sue e mantenere un rapporto educato e freddo.

«Io sono Anko Mitarashi, ma puoi chiamarmi Anko. Ti ho chiamato per lui.» spiegò, indicando un computer dall'aria vecchia. Sicuramente il modello lo era. «Non si vede più. Me l'hanno appena dato, e funzionava, ma ora che è qui non si vede, lo schermo è nero. L'audio però c'è, e si accende e tutto il resto.»

Frustrata, si lasciò cadere seduta.

«Lasciami controllare una cosa.» fece lui, sperando che lo prendesse come un “fa silenzio”. In realtà Anko non era affatto male fisicamente parlando, e neanche sembrava così insopportabile come lui l'aveva già classificata in due secondi, ma non voleva distrazioni mentre lavorava.

E poi notò che mancava un cavo dietro il computer.

«Ti hanno dato solo questo?»

«Sì, è tutto lì.» rispose lei, incuriosita.

«Manca un cavo. Ne ho uno io, ora controllo se per il resto funziona.»

«Ah, bastardi. Mi sentiranno.» sbottò Anko a voce bassa, ma lui la udì ugualmente e sorrise. Che donna particolare...

Qualche secondo dopo il computer funzionava perfettamente.

«Sto pensando di sposarti.» commentò Anko. Kabuto sorrise ancora. «Quanto ti devo?»

«Solo i soldi del cavo direi. Chi ti ha dato il pc?» domandò, mentre prendeva la banconota data dalla donna scettica.

«Parenti.»

«Ah. Sempre così.»

«Già. Senti ma non è un po' poco come compenso? Non che mi lamenti, eh...»

«Ho solo messo un cavo.» ribatté lui, con un'alzata di spalle.

«Lascia perlomeno che ti offra da bere.» suggerì Anko, con un sorriso che a Kabuto piacque parecchio.

«Beh...»

«Anko?» chiamò un uomo, aprendo la porta. Capelli neri corti, occhi scuri e sguardo stupito che andava da lui a lei.

«... Mi spiace, ma devo subito correre ad aggiustare un altro computer. Sarà per un'altra volta.» rispose Kabuto, raccogliendo ancora la valigetta.

«E' il tecnico.» spiegò Anko all'uomo appena entrato.

«Ah, buonasera.» lo salutò con un cenno del capo.

«A lei, buona serata ad entrambi.»

E Kabuto sparì oltre la porta, sicuro che non ci avrebbe più messo piede.

«Yamato?»

«Mi dica, Mitarashi-hime.»

«Penso che abbia frainteso la nostra relazione. Mi hai fatto perdere una potenziale conquista, sai?»

L'uomo scoppiò a ridere, «Sei incorreggibile. E' pure più piccolo di te, Anko.»

«E allora?» domandò la donna, chiudendo la porta con un colpo d'anca. «Più che altro mi sarebbe piaciuto capire dove diavolo l'ho già visto o chi mi ricorda... hai mai la sensazione di conoscere già qualcuno anche se ci hai parlato una volta sola?»

«Pensa che l'ho avuta anche la prima volta che ho parlato con te.»

Anko lo fissò, stupita. «Anche io... beh... chissà, in un'altra vita magari.» borbottò poco convinta.

«Affascinante ipotesi.» concordò lui, sorridendo poi ironicamente. «Vuoi fare i tarocchi?»

«E smettila di sfottere! Allora, bevi qualcosa?»

 

 

 

 

 

I lunghi capelli argentati erano stati raccolti in una alta coda.

Le sue vesti erano nuovamente ricche di pietre preziose.

Alla cinta una nobile spada dal famoso nome.

Eppure i suoi occhi non avevano più alcuna luce.

«Mio signore.»

Kabuto si voltò verso la voce dolce che lo aveva chiamato.

Occhi del color del cielo d'estate, capelli color sole, non a caso veniva paragonata alla primavera, sebbene spesso il suo comportamento si fosse rivelato troppo poco consono al suo rango, lasciato in balia dei sentimenti quasi che lei fosse un'umana.

«Gli ospiti sono giunti, infine.»

Kabuto riportò lo sguardo al panorama.

«Grazie, puoi andare.»

Quella fece un breve inchino, ma giunta alla porta si bloccò ancora e si voltò.

«Mio signore...»

Stavolta leggermente incuriosito, sebbene nulla avrebbe mai potuto sciogliere il ghiaccio nel suo petto, si volse a guardarla.

«Cosa c'è, Ino?»

«Non vi sono soltanto elfi, a festeggiare la vostra unione con la dama Shizune. Sono giunti anche uomini, mezz'uomini e stregoni.»

E detto questo, si allontanò velocemente.

Kabuto strinse appena le mani lungo il parapetto, inspirando l'odore di fiori lasciato dalla bella principessa elfica.

E poi, incurante del suo rango, del giorno delle sue nozze, della sua nobile sposa, saltò agilmente il muro che lo separava dal mondo esterno, atterrando silenziosamente sui rami di un albero. Questo si piegò gentile, permettendogli di saltare a terra e correre verso il fiume.

Sentì alle sue spalle il vociare festoso che tanto gli aveva dato nausea, e più se ne allontanava e più la speranza e la disperazione si stringevano assieme dentro di lui.

Sopra il ponte vi era lei.

Non portava vesti da dama, né gioielli, né aveva poteri mistici o nobili natali, eppure gli parve la donna più bella e più importante al mondo.

Ma purtroppo, appunto, donna.

Non elfo, non dama a lui promessa.

«Anko, sei infine venuta.» la salutò,  rallentando il passo e riprendendo il proprio contegno. Si palesava indifferente, eppure i suoi occhi smentivano ciò, tornati attenti e ardenti di passione.

Quelli di lei come sempre non ne evitarono lo sguardo, in un incontro troppo intimo di parole non dette, e la donna incrociò le braccia, facendo tintinnare i bracciali contro l'armatura.

«A salutarvi e ad augurarvi un futuro felice.» rispose, premurandosi di suonare distaccata senza riuscirci.

«Non parlare come se ti fossi superiore.»

«Lo siete. Siete un principe elfico ed io una guerriera umana.»

«No.»

«Lo siete, mio si-»

Fu interrotta dalle mani di lui, poggiate sulle sue spalle.

«Non ho mai badato agli altri, soltanto a ciò che per me era importante, e tu lo sai. Se mi chiederai di lasciarmi tutto alle spalle, lo farò.»

Anko aprì la bocca per rispondergli, ma le parole si rifiutarono di uscire, troppo sconvolta da ciò che aveva udito.

Infine, riuscì a prendere respiro.

«Non è il nostro destino. Non potete, ed io stessa non posso.»

«Non hai famiglia, non hai nulla a trattenerti se non un voto di fedeltà al tuo villaggio.»

«E' l'Orochimaru che parla per voi.»

«Non vi è nulla di corrotto nelle mie parole! Sono dettate da ciò che sento, e ciò che sento è che il mio destino è con voi.»

«Chi sei tu?» sussurrò Anko, «Perché simili parole d'amore mai uscite dalle tue labbra, proprio ora, proprio oggi? Dovevamo dirci addio, soltanto questo. E io non posso tradire il mio voto di fedeltà, per condannarmi ad una vita di fuga, ancora una volta, dando le spalle a chi mi ha salvato dalla via del dio Orochimaru e del male. La dea Tsunade mi ha dato un'altra possibilità... e che mi dici di te... di voi? Della vostra famiglia? Del vostro titolo? Ci condanneremmo entrambi ad una vita di dolore.»

«Insieme non ve ne sarebbe... se la tua dea della vita ti ha dato un'altra possibilità non era certo perché tu la gettassi nella lotta. Il dio dei viandanti e degli eremiti ci proteggerebbe, se ti è tanto cara la religione.»

«Non essere blasfemo.» lo interruppe lei, con un lampo di rabbia negli occhi viola.

«Questa è la Anko che conosco. La Anko che lotta, che ha passione, che vive. Il mio complementare, poiché per me nulla è stato mai degno di emozioni, prima di te. Ho visto, e hai visto anche tu, ciò che sono diventato da quando Shizune mi è stata promessa. Sono tornato ad essere ciò che divenni quando mi legai all'oscurità.»

«Kabuto.»

L'elfo ammutolì a quel tono straziato.

«Non è il nostro destino. In un altro tempo, in un altro mondo, te lo concederei. Ma devo la vita alla dea Tsunade e alla dama Shizune, e non tradirò. Sono qui per dirvi addio. Perciò addio, e speriamo di incontrarci in un altro mondo.»

«Non esistono altri mondi, qualunque cosa gli dei dicano. Ne ho avuto la certezza quando ti vidi la prima volta. I tuoi occhi non mi avrebbero mai abbandonato se li avessi già conosciuti, e sono certo di non averti mai incontrata prima, in alcun luogo. So che c'è soltanto questo presente, e se mai un altro mondo vi sarà, e se mai dovessi rivedere i tuoi occhi, non sarebbe la stessa cosa.»

«Non dite questo. Lasciate che trasformi questo addio in un arrivederci.» lo pregò la donna.

Kabuto la lasciò andare, e fece un altro passo indietro.

«Dicono che esiste un solo mondo dove l'amore può realizzarsi. Probabilmente stiamo gettando via l'unico mondo in cui è possibile.»

Anko non pianse alle sue parole, era una guerriera e tale restava, anche se innamorata ingiustamente, ma colmò la distanza dai due con un nuovo addio, sussurrato sulle sue labbra.

E quando l'elfo fu lontano, tornato di ghiaccio come quando si erano visti per la prima volta, la donna strinse le mani al petto, ascoltando gli ultimi battiti del proprio cuore e regalandoli a lui,  chiese ausilio a Elwerien, colei che protegge chi ama nel dolore, e si gettò nel fiume. Sperando in un una vita futura.

 

 

 

 

 

«Un demone!» gridò una donna, fuggendo via dal villaggio in fiamme.

Inciampò contro un masso e cadde a terra.

Chiuse gli occhi, tremando ad aspettando la morte senza più speranze.

Eppure la morte non giunse.

Si costrinse ad aprire gli occhi, e vide davanti a sé due paia di stivali. Alzando lo sguardo si rese conto di avere davanti due persone, un uomo ed una donna.

La donna era vestita come una guerriera, l'uomo come un sacerdote.

Una sterminatrice di demoni e un esorcista.

«Un demone...» ripeté la donna.

«Non preoccuparti, ora ci pensiamo noi. Tu togliti di mezzo però. Kabuto, riesci a localizzarlo?» domandò la sterminatrice.

«Sì, sento la sua forza spirituale provenire da quella villa laggiù.» rispose l'esorcista, che con grande sorpresa della donna a terra estrasse un pugnale sottile.

«Ehi, donna, c'è qualcuno in quella casa?» domandò la sterminatrice.

«Orochimaru-sama vive lì, e non esce mai per alcun motivo. Se non è morto di solitudine o di malattia è ancora lì.» mormorò quella.

«Bene. Un pazzo, certo. Giusto. Andiamo, Kabuto. E tu scappa.»

La donna li guardò dirigersi verso la villa di Orochimaru, fino a che non scomparirono al suo interno.

La sterminatrice di demoni fu la prima ad entrare, sfondando la porta con un calcio. «Allora, demone, sei qui? Fatti vivo in fretta!»

«Anko, non credi che...» Kabuto non poté terminare perché il demone rispose al richiamo.

Senza troppi problemi lo eliminarono, combinando un esorcismo alla lotta fisica, e andarono a cercare il padrone di casa.

«Non è sospetto che il demone sia entrato proprio qui?» domandò Kabuto, attento ai particolari.

Anko aprì la porta scorrevole dietro cui aveva scorto un'ombra, e trovò un uomo, sicuramente Orochimaru, steso a terra, nascosto da lunghissimi capelli neri.

«Ma piantala... ehi, signore?»

Orochimaru si mise a sedere di scatto, veloce e letale come un serpente, e fissò gli occhi simili a buchi neri su di loro. Anko, per riflesso, per sensazione, neppure lei si seppe mai spiegare perché, un secondo prima che fosse troppo tardi saltò di lato, e si tirò fuori dal campo visivo di Orochimaru, che la stava ammaliando.

Kabuto invece lo fissò negli occhi, e Anko seppe che qualcosa era andato storto, terribilmente storto.

Ma capì di averlo perso soltanto una volta decisa a lasciare il villaggio nonostante i temporeggiamenti di lui, settimane dopo, quando era già troppo tardi.

Pensandoci bene, era stato troppo tardi sin dal primo momento.

 

 

 

 

 

Anko sbuffò, lasciandosi cadere sul divanetto.

«Sei un idiota.»

«Io?»

Kabuto sorrise, nascondendo come sempre il proprio fastidio.

«Credo che tu stia esagerando, Anko.»

«E smettila di essere così... educato! Se vuoi urlare urla, è peggio quando uno trattiene.»

«Vuoi che ti dica ciò che penso davvero?» domandò lui, e la sua voce suonò come il sibilo di un serpente.

Anko deglutì, preoccupata.

«Siamo una coppia, ricordi? Stiamo insieme, quindi sì, desidero che tu dica ciò che pensi.» fece, recuperato il coraggio. «Prima di finire il liceo, grazie.»

«Io penso... che tu non mi ami. Io penso che tu mi detesti, perché il mio modo di fare, così controllato, così preciso e ordinato ti dia sui nervi. E dato che tu sfidi di continuo te stessa, ti sia fidanzata con me per dimostrarti qualcosa.»

Anko spalancò la bocca, sconvolta.

«E io penso che tu abbia una cotta per Orochimaru-sensei.»

Stavolta Anko richiuse la bocca, arrossendo di rabbia e di imbarazzo.

Kabuto non si fece impressionare, «Sai, è stato un piacere venire a letto con te, sei veramente brava. Ed è stato divertente anche ascoltare i tuoi commenti su tutto, sei una persona interessante. In realtà, potrei direi che mi dispiace, in parte, che tu non sia veramente interessata a me. Ma noi due siamo troppo diversi, semplicemente. E ora puoi anche uscire da casa mia.»

«Io non ho una cotta per Orochimaru-sensei.» scandì bene lei, scattando in piedi. «E tu sei un grandissimo bastardo!» gli gridò contro, scappando poi via e sbattendo la porta.

Lui sorrise enigmatico, andando a sedersi nel punto in cui si trovava lei. «Non prendertela. Penso di avere una cotta anche io.»

 

 

 

 

 

La folla gridava, agitando le fiaccole, illuminando il campo di fiori ai limiti del villaggio.

«Strega! Strega! Strega!»

Quando la strega fu fatta avvicinare al palo a cui sarebbe stata legata, la folla si esultò ancora.

Quando le fu tolto il cappuccio dalla testa però, tutti trattennero il respiro.

Capelli viola, occhi del medesimo colore.

«E' un demonio...» sussurrarono quelli a lei più vicini.

Il sacerdote, un giovane dai capelli tanto biondi da sembrare quasi bianchi, si fece avanti con una Bibbia in mano.

La strega fu legata al palo, e continuò a scrutare la folla, in cerca di qualcuno o qualcosa forse.

«Rinneghi tu il demonio...» cominciò il sacerdote, senza essere ascoltato da lei.

La strega aveva individuato ciò che cercava, un uomo che era rimasto un po' distante dalla folla, coperto da un manto nero. Una mano bianca come quella di un morto tratteneva quel manto sulla sua testa, ora che il vento si era alzato.

Capì che non l'avrebbe salvata, e un gemito le morì in gola.

Lui e quel sacerdote l'avevano l'avevano usata, ingannata e tradita, e lei li avrebbe ripagati.

La strega cominciò a ridere, una risata simile a grida, pazza e piena di odio, e la folla cominciò a gridare a sua volta di paura, facendosi indietro.

Il sacerdote tacque, guardandola sorpreso.

«Kabuto, avvicinati a me.» lo chiamò lei, dopo lo scoppiò di risa.

«Conosce il suo nome?» si stupì un contadino, e tutti si zittirono morbosamente interessati, nella speranza di sentire le ultime parole della strega, e magari qualche macabra rivelazione.

«Non dirò nulla di te, ma avvicinati.» sussurrò ancora la strega, rassicurandolo.

Kabuto, sotto lo sguardo atterrito dei contadini che l'avevano legata, si fece strada tra la paglia secca, e si avvicinò come lei gli aveva chiesto.

Rapida e inaspettata, lei si sporse avanti, approfittando delle corde che erano state poco strette nel timore di sfiorarla, e lo baciò violentemente, morendogli le labbra.

Kabuto si ritrasse sotto le urla della folla scandalizzata e inferocita, portandosi una mano al labbro sanguinante.

La strega sputò a terra il suo ed il proprio sangue, mentre il fuoco veniva appiccato prima della preghiera finale.

«Ha sporcato un uomo di chiesa! A morte! A morte!» gridarono le donne.

«Anko Mitarashi, che Dio ti porti all'inferno.» pregarono i contadini.

«Il vostro uomo di chiesa si era già allontanato dalla fede...» mormorò poco toccata la strega.

E poi una nuova risata, raggelante.

Anko Mitarashi fissò l'uomo coperto dal manto nero in mezzo alla folla, mentre rideva.

«Vi maledico entrambi... VI MALEDICO! Che tu e lui non troviate mai pace, insieme! In questa vita, in altre vite, torneremo, e soffriremo, ma voi più di tutti! Kabuto, Orochimaru, ricordatevi la mia maledizione: ciò che avete avuto in questa vita, lo riavrete per sempre! Speranze e ambizioni senza che raggiungiate il vostro scopo, lussuria e avidità senza amore, sangue e solitudine senza premio!»

E il cielo divenne nero alle sue parole, e lampi senza pioggia caddero, mentre il fuoco l'avvolgeva.

L'uomo coperto dal manto nero, ed il sacerdote che aveva tradito prima la propria fede e poi quella donna, si scambiarono solo uno sguardo consapevole, l'ultimo in quella vita, e poi il sacerdote lasciò cadere gli occhi sul campo di fiori oltre il fuoco, là dove tutto era cominciato.

Si sfiorò le labbra al ricordo, ancora una volta macchiate dal sapore di quella donna e dal peccato, che mai lo avrebbe lasciato, come la sua maledizione.

Ad accompagnare le preghiere della folla, il crepitio del fuoco e le risate della strega.

 

 

 

 

 

Sentì le voci in avvicinamento, e si mise nuovamente a sedere sul ramo, facendo pigramente dondolare come un pendolo la mano che stringeva il kunai.

Erano in due: Mitarashi Anko, l'ex allieva di Orochimaru, e Sarutobi Asuma, figlio del Terzo.

«Quindi probabilmente l'anno prossimo sarò io ad occuparmi della seconda prova.» stava dicendo la donna.

«Congratulazioni, dunque... o no? Non era quello che volevi?»

«Sì, sì, era quello...»

Abbassò lo sguardo su di loro, incrociando gli occhi di lei che lo fissavano. Asuma fece scorrere lo sguardo su entrambi.

«Ci incontriamo dopo?»

Anko fece un cenno affermativo con la testa, e lo shinobi si dileguò.

Kabuto fece un mezzo sorriso, sicuro che lei non avrebbe mai potuto neppure sospettare il suo collegamento con il sennin, e interessato all'idea di parlarle.

«Yakushi, esatto?» fece lei, fissandolo ancora.

Kabuto si lasciò scivolare giù dal ramo con leggerezza, trovandosi in piedi davanti a lei. Capelli viola, legati alla bell'e meglio, occhi del medesimo colore, ed espressione imbronciata quanto altezzosa.

«Al suo servizio Mitarashi-san.» rispose educato, con una punta di ironia.

«Non è necessario essere tanto formale...» si schermì lei, infastidita. «Piuttosto, si può sapere a cosa stai pensando? Ti ho visto anche l'anno scorso e quello prima ancora all'esame di selezione dei chunin, e hai finito sempre col ritirarti . Anche qualche ora fa hai lasciato tutto prima di finire la seconda prova, non è così?»

Kabuto spinse indietro gli occhiali che erano scivolati giù per il naso, e la osservò. «Mi sfugge il motivo del suo interesse.»

«E' pura e semplice curiosità.»

Il ragazzo aggrottò per un momento le sopracciglia: a lui era sembrato un attacco bello e buono. Eppure, a giudicare dall'espressione di Anko in quel momento, doveva essere semplicemente il suo modo di parlare.

Sorrise, prima di formulare con fin troppa enfasi un: «Mi permetta di non soddisfarla.»

Lo sguardo con cui lo disse fu tale che la donna si sentì stranamente offesa, ed ebbe la sensazione che ci fosse un doppio senso che lei non aveva colto in ciò che lui le rispondeva.

«Come scusa?» sbottò, piccata.

«Mi permetta di non soddisfare la sua curiosità.» ripeté lui, in tono innocente, tanto da confonderla.

«Fatti tuoi allora.» si riprese, «Ma sappi che non te ne verrà niente di buono.» lo ammonì, tornando a camminare.

Le sue parole suonarono come di minaccia, più che come consiglio.

E Kabuto davvero, davvero desiderò poter vedere la faccia che avrebbe fatto quando avrebbe scoperto le sue reali intenzioni.

E Anko, un'ora dopo circa, realizzò che non si era mai presentata a lui, e che quel Mitarashi-san sembrava pronunciato in tono di sfida.

Lui sarebbe sparito, poco ma sicuro, come ogni anno dopo il torneo di selezione dei chunin. Ma adesso era sicura che non se lo sarebbe lasciato scappare, la prossima volta.

 

La forte sensazione di averla già vista.

«Chi sei?» rantolò.

Ciocche viola sparpagliate ai lati del viso, due occhi allegri e un ampio sorriso.

Nel complesso un aspetto piuttosto sbarazzino, che combaciava perfettamente col luogo in cui si trovavano, un immenso campo fiorito, tanto grande da non poterne vedere la fine.

E totalmente estraneo al dolore osceno e martellante ad un lato della testa e della spalla.

La ragazzina non rispose, continuò soltanto a guardarlo. L'unico movimento in quegli istanti era dato dai suoi capelli smossi dal vento leggero, che disegnavano linee invisibili nell'aria.

E quel dolore che continuava, simile ad una grossa sanguisuga attaccata al suo cranio, stringendolo coi denti aguzzi e scivolando di tanto in tanto in maniera disgustosa verso il basso.

Infine, la ragazzina parlò.

«Così Orochimaru ti ha fregato anche in questa vita, eh? Mi dispiace per te.»

Decisamente le sue parole, peraltro incomprensibili, erano più rudi del suo aspetto.

Lui cercò di chiederle ulteriori spiegazioni, ma una punta di dolore accecante lo costrinse a chiudere gli occhi, e a portare entrambe le mani alla spalla sinistra.

Non urlò, il suo orgoglio glielo impedì, ma anche ad occhi chiusi la vista gli rimandò qualche flash rosso, ed un formicolio si diffuso lungo tutto il braccio sinistro.

Quando aprì gli occhi, il prato e la ragazzina erano scomparsi.

C'era solo il buio, e una sensazione di fresco piacevole. Tanto piacevole da fargli perdere conoscenza definitivamente.

 

Quando tornò in quel prato ebbe la sensazione di aver scordato qualcosa di molto importante.

Riflettendoci, non aveva neppure idea di come ci fosse finito e di cosa avesse fatto nel frattempo. Sapeva solo che il dolore era tornato, ed era abbastanza da occupargli tutta la mente.

«Sei sveglio?» chiamò una voce che gli parve molto lontana.

Cercò di ricordare a chi appartenesse, e poi, dal nulla, ricomparve lei, la ragazzina.

«Sono qui... ovunque sia il qui.» le rispose dubbioso.

La guardò meglio: dimostrava undici o dodici anni al massimo, e non portava alcun coprifronte: era forse una giovane mukenin? Come poteva essere comparsa dal nulla?

«Chi sei?» provò ancora a chiedere. Una fitta di dolore esplose nella sua spalla, e strinse i denti con tanta forza da temere di farseli saltare.

«Anko.» rispose lei, sorridendo ancora.

«Anko?» ripeté, poco convinto. Cercò di rifletterci un momento, e la sua mente si aprì.

Passate esperienze con la ragazzina, e lui non era sé stesso in queste, e pensieri rivolti a lei si riversarono nella sua mente, infangando i propri.

Si portò le mani alla testa, stringendo gli occhi per il dolore. Quelli non erano suoi ricordi, affatto.

Ma vedendo una giovane donna combattere nella sua mente contro di sé, chiunque fosse quel sé, ricordò.

«Mitarashi. No, questo non è possibile, tu non sei più...» tacque, perché invece che la ragazzina di fronte a lui stava la donna che aveva conosciuto. «Che diavolo succede?» riuscì soltanto a chiedere.

«La tua mente e quella di Orochimaru-sensei stanno diventando una cosa sola.» spiegò lei con tranquillità, «Io non sono qui, naturalmente, io sono la tua razionalità. Non chiedermi perché io abbia questo aspetto, forse perché sono l'unica persona che avete in comune tu e il sensei, forse perché hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a ragionare, forse perché mi hai vista fuori di qui, prima di crollare.»

«Praticamente sono pazzo.» commentò, tirandosi in piedi.

«E io che ne so? Non sono qui.» ribatté lei.

Lui la osservò: «Sei simile all'originale, a occhio e croce.»

«Sono la somma di ciò che ricorda Orochimaru-sensei e di ciò che ricordi tu.»

«Ma ora dove siamo?» domandò, guardandosi attorno e non riconoscendo tutti quei fiori. Cercò subito di distogliere l'attenzione, volendo evitare la spiacevole sensazione di prima.

«In un campo di fiori.» rispose lei con ovvietà.

Kabuto sospirò, cominciando a camminare in una direzione a caso.

Solo in quel momento si rese conto di qualcosa, e non riuscì a capire come avesse potuto ignorarlo fino a poco prima: le luci di quel luogo di tanto in tanto si abbassavano, e tutti i contorni divenivano indistinti come i colori sfumati, per poi tornare luminosi.

«Sai dove ci troviamo, nella realtà?»

«Konoha.» rispose sicura.

Kabuto ricordò vagamente dei coprifronti della foglia, e delle mani che lo agguantavano duramente. L'ordine di una donna di portarlo via di lì, probabilmente la vera Anko.

«Perché vengo qui?»

«Ti prepari a lasciare il mondo. E il dolore ti sta portando alla pazzia, ovviamente.»

Lui si voltò a guardarla, mentre tornava il buio. Lei ricambiò il suo sguardo, a braccia incrociate.

La sua espressione si fece più dura, i lineamenti più adulti, mentre lo fissava. Finché Kabuto non si rese conto che ancora una volta il luogo in cui si trovava e persino la sua posizione erano cambiati.

Ora era disteso su un letto, braccia e gambe legate, e si trovava in una stanzetta buia. La Anko davanti a lui era più adulta di quanto ricordasse, e la sua espressione più dura.

«Bentornato, Yakushi.» lo salutò con disprezzo. «O dovrei dire Orochimaru?»

Così comprese di essere tornato alla realtà.

«Yakushi andrà bene, per ora.» cercò di rispondere, scoprendo la sua voce roca. Era come se gli avessero ficcato delle schegge in gola.

Anko alzò gli occhi al cielo, frustrata dal non poterlo colpire. «Tanto per la cronaca, stai per morire.»

«Buono a sapersi.» rispose lui, poco toccato.

Forse, se chiudeva gli occhi, poteva tornare in quel luogo meno doloroso.

«Anche per me.» convenne lei, «Sebbene avrei preferito ucciderti con le mie mani.»

«Cosa aspettate?» domando lui, con la consueta cortesia.

«Il permesso.» rispose Anko, «Siamo una società civile.» aggiunse sarcastica.

«Vedo che la cosa non ti soddisfa. Forse saresti dovuta venire anche tu, con noi, ad Oto. Se Orochimaru-sama te l'avesse permesso ovviamente.»

La piccola provocazione fu pagata cara, perché lei si limitò ad avvicinarsi e poggiargli una mano sulla spalla. Non riuscì a trattenere un urlo, sorpreso dal dolore esagerato.

«Kabuto caro, voglio specificare una cosa: se ora ho fatto questo, non è perché mi tocchi il pensiero che Orochimaru non mi voglia con sé, cosa che mi riempie di orgoglio, ma perché tu non devi neppure pensare di potermi scalfire con le tue parole. Non essere così superbo.» gli sibilò.

Kabuto sorrise, senza dire nulla, facendole prudere le mani dalla voglia di colpirlo.

«Ah, indovina chi ha l'incarico di interrogarti, in qualunque modo sia necessario?» continuò allora Anko, più allegra.

«Mi eccitano le donne violente.»la avvisò.

Lei sbuffò, «Non te la caverai così. Ti farò torturare da Morino.»

«Posso farti una domanda, Anko?»

La kunoichi lo fissò, indecisa. «Prova.» gli concesse, probabilmente convinta di avere una scusa buona per colpirlo ancora.

«E' stato uno del clan Yamanaka a portarmi qui?»

Anko fu così stupita dalla sua domanda che non pensò neppure di mentire: «Sono stata io.»

Kabuto fissò il muro oltre lei, cercando di raccogliere le idee. Perché appena chiudeva gli occhi vedeva fiori? Doveva essere un ricordo di Orochimaru allora, perché a lui non dicevano nulla. Del resto anche la Anko bambina lo era.

Spostò nuovamente lo sguardo su di lei, che non perdeva un suo movimento. Il dolore alla spalla si faceva sempre più forte, ben presto avrebbe sperato di morire, probabilmente, eppure aveva la sensazione di avvicinarsi alla soluzione di qualcosa. O alla pazzia, che era comunque una soluzione.

Come evocato, gli parve di sentire il profumo dei fiori.

Uno strano pensiero “Tutto è cominciato qui” si affacciò nella sua mente.

Quando incontrò gli occhi di Anko, fu come se non l'avesse mai vista. E al tempo stesso, gli parve di conoscerla da sempre.

«Ti piacciono i fiori?»

«Sei totalmente impazzito?» ribatté lei, neanche tanto convinta di fare del sarcasmo.

«Inizio a credere che la pazzia non esista, onestamente. Credo che ci siano solo modi di pensare diversi, capacità di vedere cose diverse che gli altri non vedono... ma che non per questo non sono reali.» rispose lui lentamente, con sguardo perso.

Anko rabbrividì dentro di sé. Qualcosa stava andando storto, più di quanto si aspettasse.

«Chiamo un medico, hai evidentemente bisogno di cure.» decise, non ancora disposta a perdere l'unico che potesse dar loro informazioni su Oto. Ora che Orochimaru non c'era più dovevano sfruttare il possibile, senza contare che magari uccidendolo ora avrebbero potuto dare il via alla trasformazione finale e trovarsi un Orochimaru a Konoha. Di nuovo.

«Anko.» la chiamò nuovamente, mentre lei raggiungeva la porta.

«Ti piacciono i fiori o no?» domandò di nuovo, stavolta guardando dritto verso di lui.

E Anko, nuovamente, fu sincera:

«Li detesto.»

«Ci avrei giurato.»

E Kabuto chiuse gli occhi, in attesa di sprofondare nuovamente in quel luogo diverso.

Ecco il prato di fiori, ed ecco la Anko non reale. O meglio, la Anko dei suoi pensieri.

Kabuto cominciava a capire.

Una volta diventato un tutt'uno con Orochimaru, la sua mente avrebbe continuato a vivere seppur in minima parte, e se lui lo avesse voluto, sarebbe stato qui.

«Vieni.» le disse, facendole cenno di avvicinarsi con la mano. Il dolore alla spalla divenne più pressante, ma decise di non combatterlo in alcun modo.

Anko si fece strada tra i fiori, sorridendo. «Hai deciso qualcosa.»

«Non esattamente.» la corresse, spostando una ciocca dei suoi capelli indietro, «Sto ancora decidendo. Quale mondo preferisco vivere.»

«Orochimaru non è più così importante per te?»

«Sai già le risposte, no? Se sei una parte di me... se lo sei

Quella Anko assottigliò lo sguardo: «Cosa intendi?»

«Hai capito. Ci avevo quasi creduto, alla storia della razionalità e cose simili. Ma sento che non è così. Questi fiori sono più di quello che sembrano, non è vero? Servono a confondermi, o qualcosa di simile.»

Lei incrociò le braccia, sbuffando. «E va bene, e va bene. Volevo solo divertirmi un po'.»

«Alle spalle degli altri. Somigli davvero tanto all'originale.»

«Originale? Ce ne sono di cose che non hai capito allora...» lo sbeffeggiò lei.

«Che significa?»

«Torna qui solo quando ti sarai ricordato di me. Di chi sono io davvero.»

E Kabuto si svegliò di soprassalto.

Trovo Shizune a tergergli la fronte, e si scoprì più dolorante di prima.

«Hai la febbre alta.»

«Di questo passo non riuscirò ad interrogarlo prima che muoia.» si lamentò la voce di Anko, da qualche parte nella cella.

Shizune si morse un labbro, forse non gradendo quell'indifferenza. Kabuto ne fu infastidito, non gradendo invece l'intromissione di quest'ultima.

“Intromissione? Cosa diavolo sto andando a pensare?”

«Io devo andare. Kabuto...» Shizune esitò, incerta.

«Ognuno sceglie la propria strada.» dichiarò lui, facendola ammutolire. «Non abbiamo poi molto da dirci, e non credo che nessuno di noi due sia pentito.»

«Naturalmente no.» confermò lei, facendo un cenno con la testa ad Anko e uscendo.

Anko si sedette sul suo letto, facendolo dondolare. Kabuto represse un gemito.

«Non vorrai veramente tirare le cuoia ora.»

I suoi occhi neri saettarono su di lei.

«Quasi sarei portato a credere che te ne dispiaccia.»

«Certo, non ti ho torturato neanche un po'!» sbottò la donna, guadagnandosi un'occhiata scettica.

Si sentiva a disagio nel vederlo morire così. Era come sentire la sabbia scivolare via dalle dita, e non per la prima volta. Non si spiegava quella sensazione di aver già vissuto tutto questo mille volte, né perché ciò la angosciasse tanto. Si conoscevano davvero poco lei e Kabuto, anche se avevano entrambi vissuto a Konoha per anni, e nulla poteva giustificare quella strana reazione.

«Non ti ho mai capito.» ammise infine, frustrata. 

«Nessuno, credo, c'è mai riuscito. Tranne Orochimaru-sama.»

«Ne vale davvero la pena?» non riuscì a trattenersi dal chiedere lei.

«Lui mi ha dato me stesso, e una casa.» rispose semplicemente lui.

Anko ripensò a ciò che aveva sentito dire di lui, a come amasse giocare con le paure degli avversari e al tempo stesso come compisse buone azioni, come il curare la ragazzina in squadra con l'Uzumaki. E infine scosse la testa, «Non ti capirò mai. E ti ucciderò la prossima volta che perderai conoscenza. Due terzi del tuo corpo non ti appartengono più, e non posso lasciare che Orochimaru si risvegli. Hai qualcosa da dire prima di morire?»

«Non hai più intenzione di torturarmi?» domandò incuriosito.

«Non vedo cosa potrei farti che già non senti.» gli fece notare Anko, con uno sguardo disgustato e al tempo stesso impietosito. Guardare Kabuto non era molto diverso dal guardare un uomo vittima di un'esplosione, con la differenza che lui era ancora vivo.

E lui sentì ancora una volta l'odore dei fiori.

«Ci sono dei fiori?» domandò, riscuotendola dai suoi pensieri.

«Come?»

«Qui dentro c'è qualcosa che sa di fiori. E non faccio che sognarli.»

«Ci sono soltanto io. E non ho messo profumo per venire da te. Avrai le allucinazioni. Questo è il premio che si ha per aver seguito Orochimaru fino alla fine.»

Kabuto stava per fare una battuta riguardo alla sua ostinazione nel nominare Orochimaru, quando un particolare lo colpì.

«Così Orochimaru ti ha fregato anche in questa vita, eh? Mi dispiace per te.»

La prima volta in cui aveva visto quella falsa Anko, le sue parole, piene di disprezzo nel pronunciare il nome di Orochimaru, avevano parlato di un'altra vita, l'ultima volta invece aveva chiesto di ricordare, prima di cacciarlo via.

Era quasi sicuro che se fosse tornato nell'incoscienza, prima di morire, non avrebbe rivisto quel luogo ,a meno che non avesse ricordato ciò che quella Anko voleva.

E sebbene tutto questo non sembrasse che una pazzia a lui stesso, pensare a quel luogo come più di una fantasia, si rese conto di non avere nulla da perdere.

E, ancora di più, di voler capire.

Prima di morire, sentiva il bisogno di capire.

Capire chi fosse quella Anko, e perché si sentisse stranamente legato proprio a lei, se ciò dipendeva da Orochimaru nel suo corpo, se era tutta immaginazione, e soprattutto perché sentiva di aver perso l'occasione di fare qualcosa ancora una volta.

«Esauriresti l'ultimo desiderio di un condannato a morte, Anko?»

Lei assottigliò lo sguardo, nello stesso identico modo della sua visione, e annuì.

«Avvicinati.» sussurrò lui, con voce più roca di quanto non fosse realmente.

Anko mise mano al kunai che aveva legato alla cinta, e si avvicinò.

Prima che potesse estrarlo però, Kabuto scattò. Le rubò un bacio, violento e rabbioso, e ancora più forte sentì l'odore dei fiori.

Anche Anko lo sentì.

 

E sentì un dolore bruciante nel petto che esplodeva, insieme ad un boato.

 

E sentì un dolore alla spalla, e la sensazione del freddo metallo su di essa.

 

E la sensazione di essere seduto su qualcosa di soffice, con ancora le sue urla nelle orecchie.

 

E la gola che bruciava per le proprie urla, e intorno a sé solo vento freddo mentre correva via.

 

E una porta che sbatteva alle sue spalle, mentre faceva le scale.

 

E una porta chiusa con un colpo d'anca, con qualcun altro nella stanza con sé.

 

E il legno sotto i piedi, una lunga veste, e una donna allontanarsi da lui verso il tramonto.

 

Ed un cielo rosso come il sangue, ed uno sguardo dietro di sé, e lacrime lungo il proprio viso.

 

E terra bagnata sotto i piedi, e grida, e l'odore del bosco.

 

E il rumore di un fiume scorrere sotto di sé, e una figura vestita riccamente allontanarsi.

 

E mille altri addii, con lacrime, con risate, con indifferenza, con nostalgia.

Odore di benzina, odore di cibo, rumore di terra che tremava, musica troppo forte, sole che nasceva, sole che tramontava, notte, passi che si allontanavano lenti, e passi di corsa.

 

 

E in principio l'odore dei fiori, il crepitio del fuoco, ed una risata.

 

E l'odore dei fiori, il dolore della carne che bruciava, ed una risata piena d'odio.

 

Kabuto si ritrovò in mezzo ai fiori prima ancora di potersene rendere conto. Anko era di nuovo in piedi davanti a lui, ma stavolta con abiti diversi. Una lunga veste nera, stretta in vita e con dei lacci lungo le braccia. Le braccia segnate da tracce di corde, i lunghi capelli sciolti, gli occhi cerchiati di trucco scuro.

«Sei impazzito, formalmente parlando.» lo informò lei, incrociando le braccia. Lunghe unghie viola si posarono sugli avambracci candidi.

Kabuto le seguì come ipnotizzato. «Cos'ho visto?»

«Tutto ciò che è stato, da quando le fiamme mi hanno consumata. Non avrei mai creduto che la mia maledizione ti avrebbe riportato a me.»

«Tutti quei mondi... l'amore? L'odio?»

«Non chiedere a me come abbiamo fatto a sprecare ogni singola possibilità.» continuò lei noncurante, scuotendo la testa. I lunghi orecchini che portava alle orecchie tintinnarono.

Kabuto cercò di fare mente locale, sebbene fosse in totale confusione. Era la prima volta che si sentiva così perso, così piccolo, in un mondo ostile e sconosciuto.

O meglio, in una realtà.

«Questo prato somiglia quello dove ci siamo visti la prima volta.» rammentò.

Anko, quella donna che era stata tante volte Anko, annuì. «Vicino a dove mi hai bruciata viva.» sottolineò. «E ci siamo rincontrati molte, moltissime altre volte. Immagino che l'unico motivo per cui ora sei tornato proprio a me sia che in quella realtà tu ti sei letteralmente fuso con Orochimaru. Che strano modo di interpretare le mie parole...» mormorò abbassando la voce, sinceramente stupita.

Kabuto cominciò a sentire altre voci, e a giudicare dalla mancanza di reazioni di lei, dovevano essere soltanto nella sua mente. O in qualche realtà che apparteneva soltanto a lui.

 

«Credo stia riprendendo conoscenza.»

«E' un miracolo, senza dubbio.»

 

«E adesso?» domandò cauto, senza smettere di ascoltare le altre voci, che sembravano quelle di Orochimaru in persona e di Shizune.

Anko sorrise, e fu come ricevere un pugno sul petto. Ora la conosceva bene, ricordava ogni suo più piccolo gesto, appreso in una vita o in un altra. I suoi sorrisi tristi, il suo strano modo di arrossire quando felice, la voce dolce quando cercava di ottenere qualcosa, il modo violento di reagire quando non lo otteneva...

«Stavamo per farcela parecchie volte, hai notato? Le ultime volte almeno, come prima che mi gettassi nel fiume per via del tuo matrimonio, o quando tu saresti anche potuto restare a mangiare qualcosa e Yamato ci ha interrotti, e persino quando io ti ho sparato, se solo ci fossimo conosciuti prima...»

«Anko.»

La donna lo fissò.

«Adesso, qui, cosa dovremmo fare? Quelle vite ormai sono passate, abbiamo perso le nostre occasioni, come hai detto tu. E qui, ora? Ci siamo solo noi?»

«Questo è lo spazio tra un mondo e un altro.» spiegò con calma lei, «Potremmo scegliere una vita in cui incontrarci ancora, e stavolta... beh, consumare il nostro amore stando insieme, direi. Non troveremo mai la pace, la fine vera e propria, altrimenti. Continueremo a reincarnarci ancora e ancora, e a soffrire, ancora e ancora...»

Kabuto restò in silenzio.

 

«Kabuto? Yakushi Kabuto?»

 

«Cosa stai facendo?» domandò in tono improvvisamente spaventato lei.

Lui si portò un dito alle labbra, facendole cenno di fare silenzio e chiudendo gli occhi.

 

«Sono l'infermiera Shizune, e lui è il dottor Orochimaru, il primario di questo ospedale.»

Kabuto guardò l'uomo a cui era sicuro di dovere la vita, e sorrise di quella similitudine azzardata. Come sannin gli aveva dato un motivo per esistere, e in questo mondo la possibilità di farlo.

«Lo so, ho sentito le vostre voci... per tutto questo tempo. Quanto tempo?» domando, o almeno tentò di chiedere, con voce che trovò strana.

Shizune parve sbalordita, «Riesce a parlare senza quasi difficoltà...»

«Ho notato.» disse soltanto Orochimaru, con pazienza mista a tolleranza nei confronti della donna, «E' stato in coma sei anni.» informò poi lui.

Kabuto sentì un'altra voce, stavolta nella sua testa.

 

«Dove pensi di andare? Senza di me?»

 

«Dov'è Anko?»

«Anko?» ripeté, apparendo incuriosito, il dottore, «Chi...»

«La donna in auto con me. Mia moglie.»

Shizune si portò una mano alle labbra, e i due si scambiarono uno sguardo.

Poi l'infermiera gli prese una mano, o così gli parve, dato che non aveva la minima sensibilità in tutta la parte sinistra del proprio corpo.

«Ecco... sua moglie...»

 

Kabuto aprì gli occhi, e vide Anko davanti a sé, terrorizzata e furiosa.

Lui fece qualche passo avanti raggiungendola, e lei sgranò gli occhi, senza capire.

Mise le mani sulle sue spalle senza smettere di guardarla, e si chinò per baciarla.

Quando le loro labbra si sfiorarono, Kabuto smise di sentire quelle voci, e si sentì sospeso nel vuoto. Era sicuro che se avesse aperto gli occhi non avrebbe visto che buio, senza più i fiori generati dai ricordi di lei.

Anko poggiò le mani sulla nuca di lui, e sentì il cuore esploderle in petto. Tutto l'odio provato per lui, la voglia di vendicarsi, erano tornate ad essere amore, con la stessa intensità del male che aveva sentito.

In un modo così semplice, veloce e stupido da far paura.

Quando la lasciò andare, lei stava tremando.

«Non credi che entrambi abbiamo sofferto abbastanza, per gli errori del passato ora?» le domandò, rivolgendosi a lei come se fosse una bambina. Lei riaprì piano gli occhi. «Ho paura che... il destino ci abbia voluti vicini, ma non insieme, per quanto ci proveremo in futuro. Quindi...»

«Quindi?» soffiò lei, improvvisamente esausta.

«Devi lasciar andare l'idea di una realtà insieme.» mormorò lui debolmente, sciogliendosi dall'abbraccio.

Anko rise, stavolta una risata vera e stanca, e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi.

«E lasciare te. E va bene. Quella maledizione non serve più.» concesse.

Kabuto non riusciva a smettere di guardarla, ora che non somigliava neppure più alla strega che era stata, ma alla donne che lui aveva amato e tradito.

«Andrai nel mondo che hai appena visto? Uno dove io non ci sono?» domandò poi lei.

«Non ho detto che andrò da qualche parte.» la contraddisse lui. «Ora sono qui, e ci sei anche tu.» le fece notare.

Anko aggrottò la fronte, «Questa non è una realtà. Non possiamo stare qui a lungo, è solo un punto per decidere che fare... è qualcosa che viene dalla mia mente, dai miei ricordi, di quella prima vita. Non durerà.»

Kabuto le prese le mani, e si sedette tra i fuori, facendo sedere anche lei.

«E se sparissimo con essa, senza più vite sprecate? Per un po' durerà, e ce lo faremo bastare.» propose, serio.

Anko rise nuovamente: «Tu sei completamente pazzo. Cancelleresti tutte le tue possibilità future? Sei pronto a morire dal tutto?»

«Dopo la morte forse troveremo la nostra realtà fortunata.» ribatté semplicemente lui.

Anko smise di ridere, e lo fissò con quel suo sguardo penetrante che aveva sempre amato. In altre vite almeno. «Sei sicuro?»

«Sì.»

«Allora amami ora. Qui.»

Kabuto inarcò un sopracciglio: «Cose che non cambiano mai, vero?»

«Smettila!» protestò lei, suo malgrado divertita, «Non a caso ho detto “amami”!»

Stavolta fu lui a sorridere sinceramente, mentre la faceva scivolare a terra e la sovrastava col proprio corpo.

E dopo, nel silenzio e nel buio vuoto, senza più i fiori, senza più la maledizione, con quel mondo che andava in pezzi un po' alla volta, lui continuò a fissarla.

«Perché continui a guardarmi?»

«Tu l'hai sempre fatto... e poi, è stata pur sempre la nostra ultima volta.»

«Che romantico...» lo sbeffeggiò lei, celando l'angoscia dietro il tono sarcastico.

«Devi lasciarmi andare, quando questo posto finirà.»

«Vale anche per te. Del resto moriremo entrambi, almeno come i noi stessi che siamo ora. Non c'è alcuna maledizione che ci tenga ancora uniti in altre vite.»

«Devi lasciarmi andare.»

«Lo so.»

«Me e i nostri ricordi. Devono finire qui.»

«Lo so.»

Occhi negli occhi, e lei si accorse subito che lui se ne stava andando.

Subito, ma troppo tardi.

E avendo capito, non poté che chiudere gli occhi a sua volta, e tornare indietro, sentendo di non avere più alcun filo del destino a trattenere i suoi ricordi.

 

Anko spinse indietro l'altalena, cercando di non badare alla presenza di Kakashi, che la osservava in silenzio poggiato contro l'albero.

Alla fine, voltandosi per fulminarlo con lo sguardo, si limitò a fermare l'altalena.

Kakashi chiese, pacato: «A che ora è morto Kabuto?»

«Alle due di stamattina. Sapevamo che avrei dovuto ucciderlo.» aggiunse in propria difesa. Difesa di cosa, non lo sapeva.

«Non sei riuscita a raccogliere alcuna informazione, Anko?»

«No, Hatake.» borbottò lei, infastidita da quella confidenza, sebbene Kakashi non le fosse mai particolarmente dispiaciuto. Lui non rispose nulla, e lei cominciò a sentirsi agitata. «Ma insomma, che c'è? Anche Yamato mi dà il tormento da stanotte!»

«E' che hai un'espressione particolarmente tormentata. E' come se qualcosa avessi scoperto.» considerò Kakashi, attento alle sue reazioni.

Anko per un attimo fu seriamente tentata di rispondergli la verità.

Di fargli una disquisizione sulle vite passate, su ciò che aveva scoperto, su come avesse capito di amare Kabuto pur non avendolo conosciuto davvero in questa vita, sul fatto che non importava davvero nulla di tutto questo perché era morto, e sul fatto che l'aveva amato per l'eternità e questa era finita, nonostante sembrasse una contraddizione.

Poi, però, senza alcun motivo valido, le tornò alla mente la voce di Kabuto. La sua voce, che gli diceva qualcosa che non gli aveva sentito dire in nessuna vita precedente o in questa.

«Devi lasciarmi andare.»

E lei lo fece, sapendo di averlo promesso ma senza sapere dove o quando.

E un istante dopo, non ricordava più nulla, se non la propria unica vita. E di aver eliminato un pericoloso mukenin che aveva ardito baciarla prima di morire, febbricitante e quindi perlomeno innocuo.

«Ho scoperto che siete davvero carini a preoccuparvi per me. Così carini che mi state onestamente facendo girare le scatole. Dai, ti offro il pranzo. Non mangio da ieri notte.»

Kakashi aprì la bocca, sbalordito, poi preferì evitare commenti.

«Dango!» esclamò gioiosamente.

Kakashi sospirò. «Ne ero assolutamente certo.»

 

«Non è morta.» la contraddisse Kabuto.

Shizune sospirò, incapace di celare la pena.

«Non è morta. E' semplicemente in un'altra vita.» disse, rivolto più a se stesso che a loro.

Shizune lo fraintese, e annuì. «Il Regno dei Cieli.» concordò, sfiorando una croce che teneva sul petto.

«Certo.» la assecondò Kabuto, e spostò lo sguardo per non vederla più.

Nella mente, i ricordi di mille vite precedenti, e di un ultima, da cui era fuggito per convincerla a tornare nel mondo che aveva appena lasciato.

Nel cuore, la certezza che almeno lei lo aveva già dimenticato, e che d'ora in poi il suo destino si sarebbe incrociato con qualcun altro.

Lei sarebbe stata serena, completa, con quel qualcun altro.

Una maledizione che aveva continuato a renderla infelice si era spezzata, perché il legame che dava loro la possibilità di vedersi era stato reciso.

E lui avrebbe finalmente pagato per il male che aveva fatto non potendola più vedere, in alcuna futura vita, ma col ricordo che qualcosa c'era stato.

Avevano avuto il loro momento insieme, e tanto bastava.

Accanto al letto, un vaso di fiori profumati.

 

 [ Il vero amore è quello che si sacrifica per se stesso. ]

 

 

 

 

 

 

 

 

Ommioddiononsocos'è.

Il titolo significa: tentativo disperato. E del resto è un tentativo disperato di trovarsi il loro, ed un tentativo disperato di scrivere su questa coppia, mio.

E ditch vuol dire anche abbandonare. Ci sta.

Ci sta anche che sia la storia più assurda e inconcepibile che abbia mai pensato di poter scrivere.

Spiego, tanto non si capisce niente.

La prima vita è stata quella in cui Anko era una donna medievale, una contadina, accusata di stregoneria da Orochimaru, dopo che lui stesso le aveva insegnato qualche cura medica. Kabuto, il giovane sacerdote, se n'era innamorato. E ha rischiato la pelle anche lui, infrangendo il voto di castità. Se la sono cavata lui e Orochimaru, bruciando lei al rogo. Ma lei ha lanciato quella maledizione, quel genere di cosa che resta.

E dato che, secondo questa fanfiction, esistono mille mondi paralleli, hanno iniziato a reincarnarsi e a vedersi in tutti i mondi, ma senza mai un lieto fine. Anzi, vite piuttosto orribili.

C'è stato prima il mondo elfico, che mi sono divertita peraltro a scrivere, e poi quello con demoni stile Inuyasha, e poi quando lui fa il tecnico part-time, e c'è pure Yamato in quel mondo, e così via. L'ordine cronologico lo potete notare dopo il loro bacio, dal mondo più vicino al primo che c'è stato, e ho omesso i milioni di mezzo XD

Poi, che cavolo succede? La maledizione della Anko strega, i suoi ricordi di donna tradita in più modi, hanno portato a materializzarsi quella stessa donna innamorata e al tempo stesso piena d'odio, in quel campo di fiori che ha visto la loro prima volta. Prima proibitissima volta. E lì Kabuto ricordava le millemila volte passate, quindi l'ooc è spiegato perché lui era innamorato, ecco. E Anko non era ancora sicura se odiare o meno lui o Orochimaru di più, tra l'altro, perché ha più o meno capito le sue ragioni. [ma mica tanto].

Comunque, dato che la ama, quando ha visto la possibilità di saltare nel nostro mondo, di nuovo, come persona che ha subito un incidente stradale ed è rimasta in coma, e Orochimaru poi si è senza motivo affezionato al paziente, forse gli ricordava qualcuno per via dei capelli, tipo Jiraya, e così via dicendo, quando ha visto la possibilità quindi di saltare in un mondo in cui l'aveva già trovata e amata e persa, ha fatto in modo che lei ricordasse il suo amore per lui e spezzasse la maledizione che li faceva ritrovare in ogni mondo e sentire quei fastidiosi deja-vu, e poi l'ha abbandonata lì, così che lei tornando nel mondo di Naruto, vivesse una vita tutta per sé, senza sentirsi a metà, senza dover più cercare lui per riempire il vuoto nel cuore. E una volta trovata la persona a cui era destinata, anche nei mondi successivi magari sarebbe stata con quella  con altri, ma non più Kabuto. Kabuto invece non dimentica nulla, perché la maggior parte del casino è stata colpa sua, e da uomo innamorato vuole pagare, sapendo ciò che ha perso e cercandola per sempre senza poterla trovare.

Tra l'altro scritta così sembra pure una bella storia, e dimostra anche che lui l'amava davvero, se sacrifica tutto e tutte le sue possibilità per lei, peccato sia così strana e confusa.

E' per Elwerien, accidenti a lei. Questo spiega tutto il caos.

E' per te, carissima, e dato che io sono per il KakaAnko e odio i pairing con Kabuto e forse lui stesso, la mia sofferenza vale come regalo di compleanno in ritardo più di questa storia, ecco XD Ci ho lavorato sul serio, nonostante il terribile e confuso risultato, quindi scusami, e tanti auguri XD Ti voglio bene, regina dell'angst!

Il vero amore è quello che si sacrifica per se stesso, è una citazione presa da topolino. Non sto scherzando. Le storie tragiche le trovo tutte io, pure lì.

E ora filate tutti a rileggere la storia con la spiegazione sottomano XD anche tu, Elwerien XD

A proposito: Elwerien è il nome della dea degli amori tragici non a caso XD così come Orochimaru è praticamente il diavolo nel mondo elfico, e usato anche come sinonimo del male, e Tsunade è la dea della fortuna e della vita e dell'amore e di tutto quello che pare a voi. Anko è scampata alla morte e ha fatto voto a lei. Jiraya è il nominato “dio dei viandanti e degli eremiti” perché eremita che vaga, naturalmente.

p.s. Nell'ultimo mondo pre-mondo di Naruto c'erano Yumi e un altro tipo, che sono nella vita di Anko solo in quel mondo, e sono comparsi gli Uchiha. In quello elfico c'erano Shizune, Ino, e anche se non l'ho nominato, sappiate che c'era anche Shikamaru. I nomi non cambiano perché tanto son giapponesi XD E in elfico beh... loro lo dicono nel modo elfico, io ho solo tradotto per voi incivili, ecco.

 

   
 
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