Chi
dice che l'unica realtà sia questa?
Esistono
innumerevoli dimensioni, e anche quelle che noi consideriamo immaginarie, non
sono altro che mondi in cui abbiamo gettato per un momento lo sguardo.
Tutte
le possibilità sono. Tutto ciò che può essere è, da qualche parte.
E
chi può sapere se la persona accanto a te che ti sembra tanto familiare, in
un'altra vita non sia stata una tua compagna d'armi, una consanguinea,
un'amica, un'avversaria?
L'unica
cosa che ti è data di sapere, oggi, è che quello che tu chiami amore, o anima
gemella, riuscirai a tenerlo con te in una vita soltanto.
E
in ogni dimensione ognuno spera che quella vita fortunata sia la propria,
quella perfetta in cui tutti i sogni si realizzano alla fine, ed in cui tutto
va bene e non ci si pente, e ci si sveglia la mattina con il sorriso sulle
labbra, e si va a dormire con la stessa espressione soddisfatta e senza
rimorsi.
Ma
una sola possibilità su infinite volte non equivale quasi a zero?
Allora,
preparati a soffrire, alla ricerca di qualcosa che non troverai.
Last Ditch.
Il
grido rimbombò per tutta la struttura vuota, ma la donna continuò a correre per
le scale.
Non
sentiva più né la stanchezza né il dolore alle gambe, lei continuava soltanto
ad andare in alto.
Al
termine della rampa c'era un piccolo piazzale coperto, ed una grande porta
spalancata da cui entrava la forte luce che la guidava. L'unica ombra era data
da due sagome umane, irriconoscibili per via del riverbero, ferme come barriera
tra lei e quella porta.
Anko
sapeva già chi fosse uno dei due, e strinse più forte la pistola tra le dita,
sicura di stare per morire ma volendo portare almeno lui con sé.
Vide
una delle due sagome portare una mano dietro la schiena, sicuramente per
prendere un'arma, e poi, agghiacciata, si rese conto di non correre da sola.
Durò solo un secondo, poi il profumo della collega le arrivò e la calmò meglio
di qualsiasi sedativo avesse mai preso.
Puntò
la pistola avanti e fece fuoco, colpendo la sagoma che si era mossa ad una
spalla, e facendola stramazzare a terra. Altri colpi di arma da fuoco
risuonarono nel capanno, e le grida di Toshiro che diceva loro di tornare
indietro, mentre Satoshi rideva istericamente dopo ogni sparo.
«E' un
massacro...» mormorò Yumi a bassa voce, sparando alla figura ora a terra che
tentava ancora di prendere l'arma.
«Uccidi
o vieni ucciso.» ringhiò Anko, saltando sul piazzale e puntando la pistola alla
testa del ricercato, Yakushi, un altro di quei bastardi della setta di
Orochimaru che avevano portato via il fratello di Itachi e tanti altri ragazzi.
Yakushi
Kabuto, e chissà se quello era il suo vero nome, si avventò su di lei prima che
il suo indice potesse sfiorare il grilletto, brandendo un bisturi. Non per
niente veniva chiamato “Il Chirurgo dell'orrore” dai media.
Anko si
scansò velocemente su un lato, venendo colpita alla spalla sinistra, e gli
occhi le si strinsero in una smorfia di dolore. Sentì la canna della pistola
cozzare con il corpo dell'altro e fece fuoco.
Durò
solo un secondo, ma i loro occhi si incontrarono, ed una spiacevole sensazione
di deja-vù si annidò al limite tra coscienza e incoscienza della poliziotta,
prima che lo sparo facesse volare indietro lo psicopatico, che ancora mostrava
i denti in un sorriso sicuro di sé.
Quando
il corpo dell'altro cadde a terra, un tonfo che le parve vuoto, quella
sensazione cominciò a sparire, persa per sempre.
Anko
passò la pistola all'altra mano, lasciando dondolare il braccio ferito e
dolorante, e fissò con astio l'altro a terra, mentre Yumi la richiamava con
urgenza.
Chiuse
per un momento gli occhi, obbligandosi a dimenticare tutto, e poi riprese a
correre verso la porta, verso la luce.
Kabuto sistemò gli occhiali che si ostinavano a
scivolare giù per il naso, e si sedette a mangiare il proprio hamburger, ovvero
il proprio unico pasto in quel giorno così pieno di impegni.
Lo scartò, mentre osservava pigramente la strada.
Una bambina strillava perché la madre le comprasse i giocattoli visti in
vetrina, tre ragazzi dall'aria impeccabile uscivano dai cancelli dell'università,
una ragazza in uniforme scolastica attirava le attenzioni di un gruppo di
studenti probabilmente liceali, una ragazza vestita con degli assurdi capelli
rosa e l'espressione dura camminava a passo di marcia lasciando che la cartella
che teneva con una mano dietro le spalle le sbattesse lungo la schiena, seguita
da una biondina parecchio divertita, dei bambini giocavano a rincorrersi.
L'hamburger era finito prima che se ne rendesse
conto, e gettò la carta in un bidone. Riprese la valigietta che aveva poggiato
a terra accanto a sé e si diresse verso il prossimo lavoro e ultimo della
serata. Kabuto faceva parecchi lavoretti per potersi mantenere da solo
all'università, tra cui aiutare le persone che avevano problemi col computer.
Non aveva una vera qualifica, ma molti agganci ed una buona nomea, così non si
era stupito tanto quando avevano cominciato a chiamare anche emeriti
sconosciuti.
Fece le scale e stava anche per controllare il
numero civico, quando udì un urlo e poi una scarica di improperi, diretti ad un
pc, lo fecero desistere. Bussò alla porta più vicina, e sentì un tonfo. Poi una
donna, non molto più grande di lui, la spalancò.
Aveva i capelli viola legati in un'acconciatura
alla bell'e meglio, con ciocche sparse che ricadevano sul suo viso dandole
un'aria piuttosto sbarazzina, e due grandi occhi che in quel momento mandavano
lampi.
«Sì?» si costrinse a chiedere lei con calma.
«Sono Kabuto Yakushi-»
«Il tecnico! Entra!» lo invitò lei, abbandonando
ogni istinto omicida.
Kabuto si fece avanti senza palesare nulla, ma si
guardò attorno aspettandosi un caos terribile e magari anche spazzatura sul
pavimento. Invece trovò un arredamento piuttosto spartano e neanche l'ombra di
polvere, cosa che lo fece immediatamente sentire più a proprio agio, sebbene quella
donna desse l'aria di essere una che dava subito confidenza, e lui preferisse
stare sulle sue e mantenere un rapporto educato e freddo.
«Io sono Anko Mitarashi, ma puoi chiamarmi Anko. Ti
ho chiamato per lui.» spiegò, indicando un computer dall'aria vecchia.
Sicuramente il modello lo era. «Non si vede più. Me l'hanno appena dato, e
funzionava, ma ora che è qui non si vede, lo schermo è nero. L'audio però c'è,
e si accende e tutto il resto.»
Frustrata, si lasciò cadere seduta.
«Lasciami controllare una cosa.» fece lui, sperando
che lo prendesse come un “fa silenzio”. In realtà Anko non era affatto male
fisicamente parlando, e neanche sembrava così insopportabile come lui l'aveva
già classificata in due secondi, ma non voleva distrazioni mentre lavorava.
E poi notò che mancava un cavo dietro il computer.
«Ti hanno dato solo questo?»
«Sì, è tutto lì.» rispose lei, incuriosita.
«Manca un cavo. Ne ho uno io, ora controllo se per
il resto funziona.»
«Ah, bastardi. Mi sentiranno.» sbottò Anko a voce
bassa, ma lui la udì ugualmente e sorrise. Che donna particolare...
Qualche secondo dopo il computer funzionava
perfettamente.
«Sto pensando di sposarti.» commentò Anko. Kabuto
sorrise ancora. «Quanto ti devo?»
«Solo i soldi del cavo direi. Chi ti ha dato il
pc?» domandò, mentre prendeva la banconota data dalla donna scettica.
«Parenti.»
«Ah. Sempre così.»
«Già. Senti ma non è un po' poco come compenso? Non
che mi lamenti, eh...»
«Ho solo messo un cavo.» ribatté lui, con un'alzata
di spalle.
«Lascia perlomeno che ti offra da bere.» suggerì
Anko, con un sorriso che a Kabuto piacque parecchio.
«Beh...»
«Anko?» chiamò un uomo, aprendo la porta. Capelli
neri corti, occhi scuri e sguardo stupito che andava da lui a lei.
«... Mi spiace, ma devo subito correre ad aggiustare
un altro computer. Sarà per un'altra volta.» rispose Kabuto, raccogliendo
ancora la valigetta.
«E' il tecnico.» spiegò Anko all'uomo appena
entrato.
«Ah, buonasera.» lo salutò con un cenno del capo.
«A lei, buona serata ad entrambi.»
E Kabuto sparì oltre la porta, sicuro che non ci
avrebbe più messo piede.
«Yamato?»
«Mi dica, Mitarashi-hime.»
«Penso che abbia frainteso la nostra relazione. Mi
hai fatto perdere una potenziale conquista, sai?»
L'uomo scoppiò a ridere, «Sei incorreggibile. E'
pure più piccolo di te, Anko.»
«E allora?» domandò la donna, chiudendo la porta
con un colpo d'anca. «Più che altro mi sarebbe piaciuto capire dove diavolo
l'ho già visto o chi mi ricorda... hai mai la sensazione di conoscere già
qualcuno anche se ci hai parlato una volta sola?»
«Pensa che l'ho avuta anche la prima volta che ho
parlato con te.»
Anko lo fissò, stupita. «Anche io... beh... chissà,
in un'altra vita magari.» borbottò poco convinta.
«Affascinante ipotesi.» concordò lui, sorridendo
poi ironicamente. «Vuoi fare i tarocchi?»
«E smettila di sfottere! Allora, bevi qualcosa?»
I
lunghi capelli argentati erano stati raccolti in una alta coda.
Le
sue vesti erano nuovamente ricche di pietre preziose.
Alla
cinta una nobile spada dal famoso nome.
Eppure
i suoi occhi non avevano più alcuna luce.
«Mio
signore.»
Kabuto
si voltò verso la voce dolce che lo aveva chiamato.
Occhi
del color del cielo d'estate, capelli color sole, non a caso veniva paragonata
alla primavera, sebbene spesso il suo comportamento si fosse rivelato troppo
poco consono al suo rango, lasciato in balia dei sentimenti quasi che lei fosse
un'umana.
«Gli
ospiti sono giunti, infine.»
Kabuto
riportò lo sguardo al panorama.
«Grazie,
puoi andare.»
Quella
fece un breve inchino, ma giunta alla porta si bloccò ancora e si voltò.
«Mio
signore...»
Stavolta
leggermente incuriosito, sebbene nulla avrebbe mai potuto sciogliere il
ghiaccio nel suo petto, si volse a guardarla.
«Cosa
c'è, Ino?»
«Non
vi sono soltanto elfi, a festeggiare la vostra unione con la dama Shizune. Sono
giunti anche uomini, mezz'uomini e stregoni.»
E
detto questo, si allontanò velocemente.
Kabuto
strinse appena le mani lungo il parapetto, inspirando l'odore di fiori lasciato
dalla bella principessa elfica.
E
poi, incurante del suo rango, del giorno delle sue nozze, della sua nobile
sposa, saltò agilmente il muro che lo separava dal mondo esterno, atterrando
silenziosamente sui rami di un albero. Questo si piegò gentile, permettendogli
di saltare a terra e correre verso il fiume.
Sentì
alle sue spalle il vociare festoso che tanto gli aveva dato nausea, e più se ne
allontanava e più la speranza e la disperazione si stringevano assieme dentro
di lui.
Sopra
il ponte vi era lei.
Non
portava vesti da dama, né gioielli, né aveva poteri mistici o nobili natali,
eppure gli parve la donna più bella e più importante al mondo.
Ma
purtroppo, appunto, donna.
Non
elfo, non dama a lui promessa.
«Anko,
sei infine venuta.» la salutò,
rallentando il passo e riprendendo il proprio contegno. Si palesava
indifferente, eppure i suoi occhi smentivano ciò, tornati attenti e ardenti di
passione.
Quelli
di lei come sempre non ne evitarono lo sguardo, in un incontro troppo intimo di
parole non dette, e la donna incrociò le braccia, facendo tintinnare i
bracciali contro l'armatura.
«A
salutarvi e ad augurarvi un futuro felice.» rispose, premurandosi di suonare
distaccata senza riuscirci.
«Non
parlare come se ti fossi superiore.»
«Lo
siete. Siete un principe elfico ed io una guerriera umana.»
«No.»
«Lo
siete, mio si-»
Fu
interrotta dalle mani di lui, poggiate sulle sue spalle.
«Non
ho mai badato agli altri, soltanto a ciò che per me era importante, e tu lo
sai. Se mi chiederai di lasciarmi tutto alle spalle, lo farò.»
Anko
aprì la bocca per rispondergli, ma le parole si rifiutarono di uscire, troppo
sconvolta da ciò che aveva udito.
Infine,
riuscì a prendere respiro.
«Non
è il nostro destino. Non potete, ed io stessa non posso.»
«Non
hai famiglia, non hai nulla a trattenerti se non un voto di fedeltà al tuo
villaggio.»
«E'
l'Orochimaru che parla per voi.»
«Non
vi è nulla di corrotto nelle mie parole! Sono dettate da ciò che sento, e ciò
che sento è che il mio destino è con voi.»
«Chi
sei tu?» sussurrò Anko, «Perché simili parole d'amore mai uscite dalle tue
labbra, proprio ora, proprio oggi? Dovevamo dirci addio, soltanto questo. E io
non posso tradire il mio voto di fedeltà, per condannarmi ad una vita di fuga,
ancora una volta, dando le spalle a chi mi ha salvato dalla via del dio
Orochimaru e del male. La dea Tsunade mi ha dato un'altra possibilità... e che
mi dici di te... di voi? Della vostra famiglia? Del vostro titolo? Ci
condanneremmo entrambi ad una vita di dolore.»
«Insieme
non ve ne sarebbe... se la tua dea della vita ti ha dato un'altra possibilità
non era certo perché tu la gettassi nella lotta. Il dio dei viandanti e degli
eremiti ci proteggerebbe, se ti è tanto cara la religione.»
«Non
essere blasfemo.» lo interruppe lei, con un lampo di rabbia negli occhi viola.
«Questa
è la Anko che conosco. La Anko che lotta, che ha passione, che vive. Il mio
complementare, poiché per me nulla è stato mai degno di emozioni, prima di te.
Ho visto, e hai visto anche tu, ciò che sono diventato da quando Shizune mi è
stata promessa. Sono tornato ad essere ciò che divenni quando mi legai all'oscurità.»
«Kabuto.»
L'elfo
ammutolì a quel tono straziato.
«Non
è il nostro destino. In un altro tempo, in un altro mondo, te lo concederei. Ma
devo la vita alla dea Tsunade e alla dama Shizune, e non tradirò. Sono qui per
dirvi addio. Perciò addio, e speriamo di incontrarci in un altro mondo.»
«Non
esistono altri mondi, qualunque cosa gli dei dicano. Ne ho avuto la certezza
quando ti vidi la prima volta. I tuoi occhi non mi avrebbero mai abbandonato se
li avessi già conosciuti, e sono certo di non averti mai incontrata prima, in
alcun luogo. So che c'è soltanto questo presente, e se mai un altro mondo vi
sarà, e se mai dovessi rivedere i tuoi occhi, non sarebbe la stessa cosa.»
«Non
dite questo. Lasciate che trasformi questo addio in un arrivederci.» lo pregò
la donna.
Kabuto
la lasciò andare, e fece un altro passo indietro.
«Dicono
che esiste un solo mondo dove l'amore può realizzarsi. Probabilmente stiamo
gettando via l'unico mondo in cui è possibile.»
Anko
non pianse alle sue parole, era una guerriera e tale restava, anche se
innamorata ingiustamente, ma colmò la distanza dai due con un nuovo addio,
sussurrato sulle sue labbra.
E
quando l'elfo fu lontano, tornato di ghiaccio come quando si erano visti per la
prima volta, la donna strinse le mani al petto, ascoltando gli ultimi battiti
del proprio cuore e regalandoli a lui,
chiese ausilio a Elwerien, colei che protegge chi ama nel dolore, e si
gettò nel fiume. Sperando in un una vita futura.
«Un demone!»
gridò una donna, fuggendo via dal villaggio in fiamme.
Inciampò contro
un masso e cadde a terra.
Chiuse gli
occhi, tremando ad aspettando la morte senza più speranze.
Eppure la morte
non giunse.
Si costrinse ad
aprire gli occhi, e vide davanti a sé due paia di stivali. Alzando lo sguardo
si rese conto di avere davanti due persone, un uomo ed una donna.
La donna era
vestita come una guerriera, l'uomo come un sacerdote.
Una
sterminatrice di demoni e un esorcista.
«Un demone...»
ripeté la donna.
«Non
preoccuparti, ora ci pensiamo noi. Tu togliti di mezzo però. Kabuto, riesci a
localizzarlo?» domandò la sterminatrice.
«Sì, sento la
sua forza spirituale provenire da quella villa laggiù.» rispose l'esorcista,
che con grande sorpresa della donna a terra estrasse un pugnale sottile.
«Ehi, donna,
c'è qualcuno in quella casa?» domandò la sterminatrice.
«Orochimaru-sama
vive lì, e non esce mai per alcun motivo. Se non è morto di solitudine o di
malattia è ancora lì.» mormorò quella.
«Bene. Un
pazzo, certo. Giusto. Andiamo, Kabuto. E tu scappa.»
La donna li
guardò dirigersi verso la villa di Orochimaru, fino a che non scomparirono al
suo interno.
La
sterminatrice di demoni fu la prima ad entrare, sfondando la porta con un
calcio. «Allora, demone, sei qui? Fatti vivo in fretta!»
«Anko, non
credi che...» Kabuto non poté terminare perché il demone rispose al richiamo.
Senza troppi
problemi lo eliminarono, combinando un esorcismo alla lotta fisica, e andarono
a cercare il padrone di casa.
«Non è sospetto
che il demone sia entrato proprio qui?» domandò Kabuto, attento ai particolari.
Anko aprì la
porta scorrevole dietro cui aveva scorto un'ombra, e trovò un uomo, sicuramente
Orochimaru, steso a terra, nascosto da lunghissimi capelli neri.
«Ma piantala...
ehi, signore?»
Orochimaru si
mise a sedere di scatto, veloce e letale come un serpente, e fissò gli occhi
simili a buchi neri su di loro. Anko, per riflesso, per sensazione, neppure lei
si seppe mai spiegare perché, un secondo prima che fosse troppo tardi saltò di
lato, e si tirò fuori dal campo visivo di Orochimaru, che la stava ammaliando.
Kabuto invece
lo fissò negli occhi, e Anko seppe che qualcosa era andato storto, terribilmente
storto.
Ma capì di
averlo perso soltanto una volta decisa a lasciare il villaggio nonostante i
temporeggiamenti di lui, settimane dopo, quando era già troppo tardi.
Pensandoci
bene, era stato troppo tardi sin dal primo momento.
Anko sbuffò, lasciandosi cadere sul
divanetto.
«Sei un idiota.»
«Io?»
Kabuto sorrise, nascondendo come sempre il
proprio fastidio.
«Credo che tu stia esagerando, Anko.»
«E smettila di essere così... educato! Se
vuoi urlare urla, è peggio quando uno trattiene.»
«Vuoi che ti dica ciò che penso davvero?»
domandò lui, e la sua voce suonò come il sibilo di un serpente.
Anko deglutì, preoccupata.
«Siamo una coppia, ricordi? Stiamo insieme,
quindi sì, desidero che tu dica ciò che pensi.» fece, recuperato il coraggio.
«Prima di finire il liceo, grazie.»
«Io penso... che tu non mi ami. Io penso che
tu mi detesti, perché il mio modo di fare, così controllato, così preciso e ordinato
ti dia sui nervi. E dato che tu sfidi di continuo te stessa, ti sia fidanzata
con me per dimostrarti qualcosa.»
Anko spalancò la bocca, sconvolta.
«E io penso che tu abbia una cotta per
Orochimaru-sensei.»
Stavolta Anko richiuse la bocca, arrossendo
di rabbia e di imbarazzo.
Kabuto non si fece impressionare, «Sai, è
stato un piacere venire a letto con te, sei veramente brava. Ed è stato
divertente anche ascoltare i tuoi commenti su tutto, sei una persona
interessante. In realtà, potrei direi che mi dispiace, in parte, che tu non sia
veramente interessata a me. Ma noi due siamo troppo diversi, semplicemente. E
ora puoi anche uscire da casa mia.»
«Io non ho una cotta per Orochimaru-sensei.»
scandì bene lei, scattando in piedi. «E tu sei un grandissimo bastardo!» gli
gridò contro, scappando poi via e sbattendo la porta.
Lui sorrise enigmatico, andando a sedersi nel
punto in cui si trovava lei. «Non prendertela. Penso di avere una cotta anche
io.»
La
folla gridava, agitando le fiaccole, illuminando il campo di fiori ai limiti del villaggio.
«Strega! Strega! Strega!»
Quando la strega fu fatta avvicinare al palo a cui sarebbe stata
legata, la folla si esultò ancora.
Quando le fu tolto il cappuccio dalla testa però, tutti
trattennero il respiro.
Capelli viola, occhi del medesimo colore.
«E' un demonio...» sussurrarono quelli a lei più vicini.
Il sacerdote, un giovane dai capelli tanto biondi da sembrare
quasi bianchi, si fece avanti con una Bibbia in mano.
La strega fu legata al palo, e continuò a scrutare la folla, in
cerca di qualcuno o qualcosa forse.
«Rinneghi tu il demonio...» cominciò il sacerdote, senza essere
ascoltato da lei.
La strega aveva individuato ciò che cercava, un uomo che era
rimasto un po' distante dalla folla, coperto da un manto nero. Una mano bianca
come quella di un morto tratteneva quel manto sulla sua testa, ora che il vento
si era alzato.
Capì che non l'avrebbe salvata, e un gemito le morì in gola.
Lui e quel sacerdote l'avevano l'avevano usata, ingannata e
tradita, e lei li avrebbe ripagati.
La strega cominciò a ridere, una risata simile a grida, pazza e
piena di odio, e la folla cominciò a gridare a sua volta di paura, facendosi
indietro.
Il sacerdote tacque, guardandola sorpreso.
«Kabuto, avvicinati a me.» lo chiamò lei, dopo lo scoppiò di risa.
«Conosce il suo nome?» si stupì un contadino, e tutti si zittirono
morbosamente interessati, nella speranza di sentire le ultime parole della
strega, e magari qualche macabra rivelazione.
«Non dirò nulla di te, ma avvicinati.» sussurrò ancora la
strega, rassicurandolo.
Kabuto, sotto lo sguardo atterrito dei contadini che l'avevano
legata, si fece strada tra la paglia secca, e si avvicinò come lei gli aveva
chiesto.
Rapida e inaspettata, lei si sporse avanti, approfittando delle
corde che erano state poco strette nel timore di sfiorarla, e lo baciò
violentemente, morendogli le labbra.
Kabuto si ritrasse sotto le urla della folla scandalizzata e
inferocita, portandosi una mano al labbro sanguinante.
La strega sputò a terra il suo ed il proprio sangue, mentre il
fuoco veniva appiccato prima della preghiera finale.
«Ha sporcato un uomo di chiesa! A morte! A morte!» gridarono le
donne.
«Anko Mitarashi, che Dio ti porti all'inferno.» pregarono i
contadini.
«Il vostro uomo di chiesa si era già allontanato dalla fede...»
mormorò poco toccata la strega.
E poi una nuova risata, raggelante.
Anko Mitarashi fissò l'uomo coperto dal manto nero in mezzo alla
folla, mentre rideva.
«Vi maledico entrambi... VI MALEDICO! Che tu e lui non
troviate mai pace, insieme! In questa vita, in altre vite, torneremo, e
soffriremo, ma voi più di tutti! Kabuto, Orochimaru, ricordatevi la mia
maledizione: ciò che avete avuto in questa vita, lo riavrete per sempre!
Speranze e ambizioni senza che raggiungiate il vostro scopo, lussuria e avidità
senza amore, sangue e solitudine senza premio!»
E il cielo divenne nero alle sue parole, e lampi senza pioggia
caddero, mentre il fuoco l'avvolgeva.
L'uomo coperto dal manto nero, ed il sacerdote che aveva tradito
prima la propria fede e poi quella donna, si scambiarono solo uno sguardo
consapevole, l'ultimo in quella vita, e poi il sacerdote lasciò cadere gli
occhi sul campo di fiori oltre il fuoco, là dove tutto era cominciato.
Si sfiorò le labbra al ricordo, ancora una volta macchiate dal
sapore di quella donna e dal peccato, che mai lo avrebbe lasciato, come la sua
maledizione.
Ad accompagnare le preghiere della folla, il crepitio del fuoco e
le risate della strega.
Sentì le voci in avvicinamento, e si mise nuovamente a sedere sul ramo,
facendo pigramente dondolare come un pendolo la mano che stringeva il kunai.
Erano in due: Mitarashi
Anko, l'ex allieva di Orochimaru, e Sarutobi Asuma, figlio del Terzo.
«Quindi probabilmente
l'anno prossimo sarò io ad occuparmi della seconda prova.» stava dicendo la
donna.
«Congratulazioni,
dunque... o no? Non era quello che volevi?»
«Sì, sì, era quello...»
Abbassò lo sguardo su di
loro, incrociando gli occhi di lei che lo fissavano. Asuma fece scorrere lo
sguardo su entrambi.
«Ci incontriamo dopo?»
Anko fece un cenno
affermativo con la testa, e lo shinobi si dileguò.
Kabuto fece un mezzo
sorriso, sicuro che lei non avrebbe mai potuto neppure sospettare il suo
collegamento con il sennin, e interessato all'idea di parlarle.
«Yakushi, esatto?» fece
lei, fissandolo ancora.
Kabuto si lasciò scivolare
giù dal ramo con leggerezza, trovandosi in piedi davanti a lei. Capelli viola,
legati alla bell'e meglio, occhi del medesimo colore, ed espressione
imbronciata quanto altezzosa.
«Al suo servizio Mitarashi-san.»
rispose educato, con una punta di ironia.
«Non è necessario essere
tanto formale...» si schermì lei, infastidita. «Piuttosto, si può sapere a cosa
stai pensando? Ti ho visto anche l'anno scorso e quello prima ancora all'esame
di selezione dei chunin, e hai finito sempre col ritirarti . Anche qualche ora
fa hai lasciato tutto prima di finire la seconda prova, non è così?»
Kabuto spinse indietro gli
occhiali che erano scivolati giù per il naso, e la osservò. «Mi sfugge il
motivo del suo interesse.»
«E' pura e semplice
curiosità.»
Il ragazzo aggrottò per un
momento le sopracciglia: a lui era sembrato un attacco bello e buono. Eppure, a
giudicare dall'espressione di Anko in quel momento, doveva essere semplicemente
il suo modo di parlare.
Sorrise, prima di
formulare con fin troppa enfasi un: «Mi permetta di non soddisfarla.»
Lo sguardo con cui lo
disse fu tale che la donna si sentì stranamente offesa, ed ebbe la sensazione
che ci fosse un doppio senso che lei non aveva colto in ciò che lui le
rispondeva.
«Come scusa?» sbottò,
piccata.
«Mi permetta di non
soddisfare la sua curiosità.» ripeté lui, in tono innocente, tanto da
confonderla.
«Fatti tuoi allora.» si
riprese, «Ma sappi che non te ne verrà niente di buono.» lo ammonì, tornando a
camminare.
Le sue parole suonarono
come di minaccia, più che come consiglio.
E Kabuto davvero, davvero
desiderò poter vedere la faccia che avrebbe fatto quando avrebbe scoperto le
sue reali intenzioni.
E Anko, un'ora dopo circa,
realizzò che non si era mai presentata a lui, e che quel Mitarashi-san sembrava
pronunciato in tono di sfida.
Lui sarebbe sparito, poco
ma sicuro, come ogni anno dopo il torneo di selezione dei chunin. Ma adesso era
sicura che non se lo sarebbe lasciato scappare, la prossima volta.
La forte sensazione di averla
già vista.
«Chi sei?» rantolò.
Ciocche viola sparpagliate ai
lati del viso, due occhi allegri e un ampio sorriso.
Nel complesso un aspetto
piuttosto sbarazzino, che combaciava perfettamente col luogo in cui si
trovavano, un immenso campo fiorito, tanto grande da non poterne vedere la
fine.
E totalmente estraneo al
dolore osceno e martellante ad un lato della testa e della spalla.
La ragazzina non rispose,
continuò soltanto a guardarlo. L'unico movimento in quegli istanti era dato dai
suoi capelli smossi dal vento leggero, che disegnavano linee invisibili
nell'aria.
E quel dolore che continuava,
simile ad una grossa sanguisuga attaccata al suo cranio, stringendolo coi denti
aguzzi e scivolando di tanto in tanto in maniera disgustosa verso il basso.
Infine, la ragazzina parlò.
«Così Orochimaru ti ha
fregato anche in questa vita, eh? Mi dispiace per te.»
Decisamente le sue parole,
peraltro incomprensibili, erano più rudi del suo aspetto.
Lui cercò di chiederle
ulteriori spiegazioni, ma una punta di dolore accecante lo costrinse a chiudere
gli occhi, e a portare entrambe le mani alla spalla sinistra.
Non urlò, il suo orgoglio
glielo impedì, ma anche ad occhi chiusi la vista gli rimandò qualche flash
rosso, ed un formicolio si diffuso lungo tutto il braccio sinistro.
Quando aprì gli occhi, il
prato e la ragazzina erano scomparsi.
C'era solo il buio, e una
sensazione di fresco piacevole. Tanto piacevole da fargli perdere conoscenza
definitivamente.
Quando tornò in quel prato
ebbe la sensazione di aver scordato qualcosa di molto importante.
Riflettendoci, non aveva
neppure idea di come ci fosse finito e di cosa avesse fatto nel frattempo.
Sapeva solo che il dolore era tornato, ed era abbastanza da occupargli tutta la
mente.
«Sei sveglio?» chiamò una voce
che gli parve molto lontana.
Cercò di ricordare a chi
appartenesse, e poi, dal nulla, ricomparve lei, la ragazzina.
«Sono qui... ovunque sia il qui.»
le rispose dubbioso.
La guardò meglio: dimostrava
undici o dodici anni al massimo, e non portava alcun coprifronte: era forse una
giovane mukenin? Come poteva essere comparsa dal nulla?
«Chi sei?» provò ancora a
chiedere. Una fitta di dolore esplose nella sua spalla, e strinse i denti con
tanta forza da temere di farseli saltare.
«Anko.» rispose lei, sorridendo
ancora.
«Anko?» ripeté, poco
convinto. Cercò di rifletterci un momento, e la sua mente si aprì.
Passate esperienze con la
ragazzina, e lui non era sé stesso in queste, e pensieri rivolti
a lei si riversarono nella sua mente, infangando i propri.
Si portò le mani alla testa,
stringendo gli occhi per il dolore. Quelli non erano suoi ricordi, affatto.
Ma vedendo una giovane donna
combattere nella sua mente contro di sé, chiunque fosse quel sé, ricordò.
«Mitarashi. No, questo non è
possibile, tu non sei più...» tacque, perché invece che la ragazzina di fronte
a lui stava la donna che aveva conosciuto. «Che diavolo succede?» riuscì
soltanto a chiedere.
«La tua mente e quella di
Orochimaru-sensei stanno diventando una cosa sola.» spiegò lei con
tranquillità, «Io non sono qui, naturalmente, io sono la tua razionalità. Non
chiedermi perché io abbia questo aspetto, forse perché sono l'unica persona che
avete in comune tu e il sensei, forse perché hai bisogno di qualcuno che ti
aiuti a ragionare, forse perché mi hai vista fuori di qui, prima di crollare.»
«Praticamente sono pazzo.»
commentò, tirandosi in piedi.
«E io che ne so? Non sono
qui.» ribatté lei.
Lui la osservò: «Sei simile
all'originale, a occhio e croce.»
«Sono la somma di ciò che
ricorda Orochimaru-sensei e di ciò che ricordi tu.»
«Ma ora dove siamo?» domandò,
guardandosi attorno e non riconoscendo tutti quei fiori. Cercò subito di
distogliere l'attenzione, volendo evitare la spiacevole sensazione di prima.
«In un campo di fiori.»
rispose lei con ovvietà.
Kabuto sospirò, cominciando a
camminare in una direzione a caso.
Solo in quel momento si rese
conto di qualcosa, e non riuscì a capire come avesse potuto ignorarlo fino a
poco prima: le luci di quel luogo di tanto in tanto si abbassavano, e tutti i
contorni divenivano indistinti come i colori sfumati, per poi tornare luminosi.
«Sai dove ci troviamo, nella
realtà?»
«Konoha.» rispose sicura.
Kabuto ricordò vagamente dei
coprifronti della foglia, e delle mani che lo agguantavano duramente. L'ordine
di una donna di portarlo via di lì, probabilmente la vera Anko.
«Perché vengo qui?»
«Ti prepari a lasciare il
mondo. E il dolore ti sta portando alla pazzia, ovviamente.»
Lui si voltò a guardarla,
mentre tornava il buio. Lei ricambiò il suo sguardo, a braccia incrociate.
La sua espressione si fece
più dura, i lineamenti più adulti, mentre lo fissava. Finché Kabuto non si rese
conto che ancora una volta il luogo in cui si trovava e persino la sua
posizione erano cambiati.
Ora era disteso su un letto,
braccia e gambe legate, e si trovava in una stanzetta buia. La Anko davanti a
lui era più adulta di quanto ricordasse, e la sua espressione più dura.
«Bentornato, Yakushi.» lo
salutò con disprezzo. «O dovrei dire Orochimaru?»
Così comprese di essere
tornato alla realtà.
«Yakushi andrà bene, per
ora.» cercò di rispondere, scoprendo la sua voce roca. Era come se gli avessero
ficcato delle schegge in gola.
Anko alzò gli occhi al cielo,
frustrata dal non poterlo colpire. «Tanto per la cronaca, stai per morire.»
«Buono a sapersi.» rispose
lui, poco toccato.
Forse, se chiudeva gli occhi,
poteva tornare in quel luogo meno doloroso.
«Anche per me.» convenne lei,
«Sebbene avrei preferito ucciderti con le mie mani.»
«Cosa aspettate?» domando
lui, con la consueta cortesia.
«Il permesso.» rispose Anko,
«Siamo una società civile.» aggiunse sarcastica.
«Vedo che la cosa non ti
soddisfa. Forse saresti dovuta venire anche tu, con noi, ad Oto. Se
Orochimaru-sama te l'avesse permesso ovviamente.»
La piccola provocazione fu
pagata cara, perché lei si limitò ad avvicinarsi e poggiargli una mano sulla
spalla. Non riuscì a trattenere un urlo, sorpreso dal dolore esagerato.
«Kabuto caro, voglio
specificare una cosa: se ora ho fatto questo, non è perché mi tocchi il
pensiero che Orochimaru non mi voglia con sé, cosa che mi riempie di orgoglio,
ma perché tu non devi neppure pensare di potermi scalfire con le tue parole.
Non essere così superbo.» gli sibilò.
Kabuto sorrise, senza dire
nulla, facendole prudere le mani dalla voglia di colpirlo.
«Ah, indovina chi ha
l'incarico di interrogarti, in qualunque modo sia necessario?» continuò allora
Anko, più allegra.
«Mi eccitano le donne
violente.»la avvisò.
Lei sbuffò, «Non te la
caverai così. Ti farò torturare da Morino.»
«Posso farti una domanda, Anko?»
La kunoichi lo fissò,
indecisa. «Prova.» gli concesse, probabilmente convinta di avere una scusa
buona per colpirlo ancora.
«E' stato uno del clan
Yamanaka a portarmi qui?»
Anko fu così stupita dalla
sua domanda che non pensò neppure di mentire: «Sono stata io.»
Kabuto fissò il muro oltre
lei, cercando di raccogliere le idee. Perché appena chiudeva gli occhi vedeva
fiori? Doveva essere un ricordo di Orochimaru allora, perché a lui non dicevano
nulla. Del resto anche la Anko bambina lo era.
Spostò nuovamente lo sguardo
su di lei, che non perdeva un suo movimento. Il dolore alla spalla si faceva
sempre più forte, ben presto avrebbe sperato di morire, probabilmente, eppure
aveva la sensazione di avvicinarsi alla soluzione di qualcosa. O alla pazzia,
che era comunque una soluzione.
Come evocato, gli parve di
sentire il profumo dei fiori.
Uno strano pensiero “Tutto
è cominciato qui” si affacciò nella sua mente.
Quando incontrò gli occhi di
Anko, fu come se non l'avesse mai vista. E al tempo stesso, gli parve di
conoscerla da sempre.
«Ti piacciono i fiori?»
«Sei totalmente impazzito?»
ribatté lei, neanche tanto convinta di fare del sarcasmo.
«Inizio a credere che la
pazzia non esista, onestamente. Credo che ci siano solo modi di pensare
diversi, capacità di vedere cose diverse che gli altri non vedono... ma che non
per questo non sono reali.» rispose lui lentamente, con sguardo perso.
Anko rabbrividì dentro di sé.
Qualcosa stava andando storto, più di quanto si aspettasse.
«Chiamo un medico, hai
evidentemente bisogno di cure.» decise, non ancora disposta a perdere l'unico
che potesse dar loro informazioni su Oto. Ora che Orochimaru non c'era più
dovevano sfruttare il possibile, senza contare che magari uccidendolo ora
avrebbero potuto dare il via alla trasformazione finale e trovarsi un
Orochimaru a Konoha. Di nuovo.
«Anko.» la chiamò nuovamente,
mentre lei raggiungeva la porta.
«Ti piacciono i fiori o no?»
domandò di nuovo, stavolta guardando dritto verso di lui.
E Anko, nuovamente, fu
sincera:
«Li detesto.»
«Ci avrei giurato.»
E Kabuto chiuse gli occhi, in
attesa di sprofondare nuovamente in quel luogo diverso.
Ecco il prato di fiori, ed
ecco la Anko non reale. O meglio, la Anko dei suoi pensieri.
Kabuto cominciava a capire.
Una volta diventato un
tutt'uno con Orochimaru, la sua mente avrebbe continuato a vivere seppur in
minima parte, e se lui lo avesse voluto, sarebbe stato qui.
«Vieni.» le disse, facendole
cenno di avvicinarsi con la mano. Il dolore alla spalla divenne più pressante,
ma decise di non combatterlo in alcun modo.
Anko si fece strada tra i
fiori, sorridendo. «Hai deciso qualcosa.»
«Non esattamente.» la
corresse, spostando una ciocca dei suoi capelli indietro, «Sto ancora
decidendo. Quale mondo preferisco vivere.»
«Orochimaru non è più così
importante per te?»
«Sai già le risposte, no? Se
sei una parte di me... se lo sei.»
Quella Anko assottigliò lo
sguardo: «Cosa intendi?»
«Hai capito. Ci avevo quasi
creduto, alla storia della razionalità e cose simili. Ma sento che non è così.
Questi fiori sono più di quello che sembrano, non è vero? Servono a
confondermi, o qualcosa di simile.»
Lei incrociò le braccia,
sbuffando. «E va bene, e va bene. Volevo solo divertirmi un po'.»
«Alle spalle degli altri.
Somigli davvero tanto all'originale.»
«Originale? Ce ne sono di
cose che non hai capito allora...» lo sbeffeggiò lei.
«Che significa?»
«Torna qui solo quando ti
sarai ricordato di me. Di chi sono io davvero.»
E Kabuto si svegliò di
soprassalto.
Trovo Shizune a tergergli la
fronte, e si scoprì più dolorante di prima.
«Hai la febbre alta.»
«Di questo passo non riuscirò
ad interrogarlo prima che muoia.» si lamentò la voce di Anko, da qualche parte
nella cella.
Shizune si morse un labbro,
forse non gradendo quell'indifferenza. Kabuto ne fu infastidito, non gradendo invece
l'intromissione di quest'ultima.
“Intromissione? Cosa
diavolo sto andando a pensare?”
«Io devo andare. Kabuto...»
Shizune esitò, incerta.
«Ognuno sceglie la propria
strada.» dichiarò lui, facendola ammutolire. «Non abbiamo poi molto da dirci, e
non credo che nessuno di noi due sia pentito.»
«Naturalmente no.» confermò
lei, facendo un cenno con la testa ad Anko e uscendo.
Anko si sedette sul suo
letto, facendolo dondolare. Kabuto represse un gemito.
«Non vorrai veramente tirare
le cuoia ora.»
I suoi occhi neri saettarono
su di lei.
«Quasi sarei portato a
credere che te ne dispiaccia.»
«Certo, non ti ho torturato
neanche un po'!» sbottò la donna, guadagnandosi un'occhiata scettica.
Si sentiva a disagio nel
vederlo morire così. Era come sentire la sabbia scivolare via dalle dita, e non
per la prima volta. Non si spiegava quella sensazione di aver già vissuto tutto
questo mille volte, né perché ciò la angosciasse tanto. Si conoscevano davvero
poco lei e Kabuto, anche se avevano entrambi vissuto a Konoha per anni, e nulla
poteva giustificare quella strana reazione.
«Non ti ho mai capito.»
ammise infine, frustrata.
«Nessuno, credo, c'è mai riuscito.
Tranne Orochimaru-sama.»
«Ne vale davvero la pena?»
non riuscì a trattenersi dal chiedere lei.
«Lui mi ha dato me stesso, e
una casa.» rispose semplicemente lui.
Anko ripensò a ciò che aveva
sentito dire di lui, a come amasse giocare con le paure degli avversari e al
tempo stesso come compisse buone azioni, come il curare la ragazzina in squadra
con l'Uzumaki. E infine scosse la testa, «Non ti capirò mai. E ti ucciderò la
prossima volta che perderai conoscenza. Due terzi del tuo corpo non ti
appartengono più, e non posso lasciare che Orochimaru si risvegli. Hai qualcosa
da dire prima di morire?»
«Non hai più intenzione di torturarmi?»
domandò incuriosito.
«Non vedo cosa potrei farti
che già non senti.» gli fece notare Anko, con uno sguardo disgustato e al tempo
stesso impietosito. Guardare Kabuto non era molto diverso dal guardare un uomo
vittima di un'esplosione, con la differenza che lui era ancora vivo.
E lui sentì ancora una volta
l'odore dei fiori.
«Ci sono dei fiori?» domandò,
riscuotendola dai suoi pensieri.
«Come?»
«Qui dentro c'è qualcosa che
sa di fiori. E non faccio che sognarli.»
«Ci sono soltanto io. E non
ho messo profumo per venire da te. Avrai le allucinazioni. Questo è il premio
che si ha per aver seguito Orochimaru fino alla fine.»
Kabuto stava per fare una
battuta riguardo alla sua ostinazione nel nominare Orochimaru, quando un
particolare lo colpì.
«Così Orochimaru ti ha fregato anche in questa vita,
eh? Mi dispiace per te.»
La prima volta in cui aveva
visto quella falsa Anko, le sue parole, piene di disprezzo nel pronunciare il
nome di Orochimaru, avevano parlato di un'altra vita, l'ultima volta invece aveva
chiesto di ricordare, prima di cacciarlo via.
Era quasi sicuro che se fosse
tornato nell'incoscienza, prima di morire, non avrebbe rivisto quel luogo ,a
meno che non avesse ricordato ciò che quella Anko voleva.
E sebbene tutto questo non
sembrasse che una pazzia a lui stesso, pensare a quel luogo come più di una
fantasia, si rese conto di non avere nulla da perdere.
E, ancora di più, di voler
capire.
Prima di morire, sentiva il
bisogno di capire.
Capire chi fosse quella Anko,
e perché si sentisse stranamente legato proprio a lei, se ciò dipendeva da
Orochimaru nel suo corpo, se era tutta immaginazione, e soprattutto perché
sentiva di aver perso l'occasione di fare qualcosa ancora una volta.
«Esauriresti l'ultimo
desiderio di un condannato a morte, Anko?»
Lei assottigliò lo sguardo,
nello stesso identico modo della sua visione, e annuì.
«Avvicinati.» sussurrò lui,
con voce più roca di quanto non fosse realmente.
Anko mise mano al kunai che
aveva legato alla cinta, e si avvicinò.
Prima che potesse estrarlo però,
Kabuto scattò. Le rubò un bacio, violento e rabbioso, e ancora più forte sentì
l'odore dei fiori.
Anche Anko lo sentì.
E sentì un dolore
bruciante nel petto che esplodeva, insieme ad un boato.
E sentì un dolore alla spalla, e la sensazione del
freddo metallo su di essa.
E la sensazione di essere
seduto su qualcosa di soffice, con ancora le sue urla nelle orecchie.
E la gola che bruciava per le proprie urla, e intorno
a sé solo vento freddo mentre correva via.
E una porta che sbatteva
alle sue spalle, mentre faceva le scale.
E una porta chiusa con un colpo d'anca, con qualcun
altro nella stanza con sé.
E il legno sotto i piedi,
una lunga veste, e una donna allontanarsi da lui verso il tramonto.
Ed un cielo rosso come il sangue, ed uno sguardo dietro
di sé, e lacrime lungo il proprio viso.
E terra bagnata sotto i
piedi, e grida, e l'odore del bosco.
E il rumore di un fiume scorrere sotto di sé, e una
figura vestita riccamente allontanarsi.
E mille altri addii, con lacrime, con risate, con
indifferenza, con nostalgia.
Odore di benzina, odore di cibo, rumore di terra che
tremava, musica troppo forte, sole che nasceva, sole che tramontava, notte,
passi che si allontanavano lenti, e passi di corsa.
E in principio l'odore dei
fiori, il crepitio del fuoco, ed una risata.
E l'odore dei fiori, il dolore della carne che
bruciava, ed una risata piena d'odio.
Kabuto si ritrovò in mezzo ai
fiori prima ancora di potersene rendere conto. Anko era di nuovo in piedi
davanti a lui, ma stavolta con abiti diversi. Una lunga veste nera, stretta in
vita e con dei lacci lungo le braccia. Le braccia segnate da tracce di corde, i
lunghi capelli sciolti, gli occhi cerchiati di trucco scuro.
«Sei impazzito, formalmente
parlando.» lo informò lei, incrociando le braccia. Lunghe unghie viola si
posarono sugli avambracci candidi.
Kabuto le seguì come
ipnotizzato. «Cos'ho visto?»
«Tutto ciò che è stato, da
quando le fiamme mi hanno consumata. Non avrei mai creduto che la mia
maledizione ti avrebbe riportato a me.»
«Tutti quei mondi... l'amore?
L'odio?»
«Non chiedere a me come
abbiamo fatto a sprecare ogni singola possibilità.» continuò lei noncurante,
scuotendo la testa. I lunghi orecchini che portava alle orecchie tintinnarono.
Kabuto cercò di fare mente
locale, sebbene fosse in totale confusione. Era la prima volta che si sentiva
così perso, così piccolo, in un mondo ostile e sconosciuto.
O meglio, in una realtà.
«Questo prato somiglia quello
dove ci siamo visti la prima volta.» rammentò.
Anko, quella donna che era
stata tante volte Anko, annuì. «Vicino a dove mi hai bruciata viva.»
sottolineò. «E ci siamo rincontrati molte, moltissime altre volte. Immagino che
l'unico motivo per cui ora sei tornato proprio a me sia che in quella realtà tu
ti sei letteralmente fuso con Orochimaru. Che strano modo di interpretare le
mie parole...» mormorò abbassando la voce, sinceramente stupita.
Kabuto cominciò a sentire
altre voci, e a giudicare dalla mancanza di reazioni di lei, dovevano essere
soltanto nella sua mente. O in qualche realtà che apparteneva soltanto a lui.
«Credo stia riprendendo conoscenza.»
«E' un miracolo, senza dubbio.»
«E adesso?» domandò cauto,
senza smettere di ascoltare le altre voci, che sembravano quelle di Orochimaru
in persona e di Shizune.
Anko sorrise, e fu come
ricevere un pugno sul petto. Ora la conosceva bene, ricordava ogni suo più
piccolo gesto, appreso in una vita o in un altra. I suoi sorrisi tristi, il suo
strano modo di arrossire quando felice, la voce dolce quando cercava di
ottenere qualcosa, il modo violento di reagire quando non lo otteneva...
«Stavamo per farcela
parecchie volte, hai notato? Le ultime volte almeno, come prima che mi gettassi
nel fiume per via del tuo matrimonio, o quando tu saresti anche potuto restare
a mangiare qualcosa e Yamato ci ha interrotti, e persino quando io ti ho
sparato, se solo ci fossimo conosciuti prima...»
«Anko.»
La donna lo fissò.
«Adesso, qui, cosa dovremmo
fare? Quelle vite ormai sono passate, abbiamo perso le nostre occasioni, come
hai detto tu. E qui, ora? Ci siamo solo noi?»
«Questo è lo spazio tra un
mondo e un altro.» spiegò con calma lei, «Potremmo scegliere una vita in cui
incontrarci ancora, e stavolta... beh, consumare il nostro amore stando
insieme, direi. Non troveremo mai la pace, la fine vera e propria, altrimenti.
Continueremo a reincarnarci ancora e ancora, e a soffrire, ancora e ancora...»
Kabuto restò in silenzio.
«Kabuto? Yakushi Kabuto?»
«Cosa stai facendo?» domandò
in tono improvvisamente spaventato lei.
Lui si portò un dito alle
labbra, facendole cenno di fare silenzio e chiudendo gli occhi.
«Sono l'infermiera Shizune, e lui è il dottor
Orochimaru, il primario di questo ospedale.»
Kabuto guardò l'uomo a cui era sicuro di dovere la
vita, e sorrise di quella similitudine azzardata. Come sannin gli aveva dato un
motivo per esistere, e in questo mondo la possibilità di farlo.
«Lo so, ho sentito le vostre voci... per tutto questo
tempo. Quanto tempo?» domando, o almeno tentò di chiedere, con voce che trovò
strana.
Shizune parve sbalordita, «Riesce a parlare senza
quasi difficoltà...»
«Ho notato.» disse soltanto Orochimaru, con pazienza
mista a tolleranza nei confronti della donna, «E' stato in coma sei anni.»
informò poi lui.
Kabuto sentì un'altra voce, stavolta nella sua testa.
«Dove pensi di andare? Senza
di me?»
«Dov'è Anko?»
«Anko?» ripeté, apparendo incuriosito, il dottore,
«Chi...»
«La donna in auto con me. Mia moglie.»
Shizune si portò una mano alle labbra, e i due si
scambiarono uno sguardo.
Poi l'infermiera gli prese una mano, o così gli parve,
dato che non aveva la minima sensibilità in tutta la parte sinistra del proprio
corpo.
«Ecco... sua moglie...»
Kabuto aprì gli occhi, e vide
Anko davanti a sé, terrorizzata e furiosa.
Lui fece qualche passo avanti
raggiungendola, e lei sgranò gli occhi, senza capire.
Mise le mani sulle sue spalle
senza smettere di guardarla, e si chinò per baciarla.
Quando le loro labbra si
sfiorarono, Kabuto smise di sentire quelle voci, e si sentì sospeso nel vuoto.
Era sicuro che se avesse aperto gli occhi non avrebbe visto che buio, senza più
i fiori generati dai ricordi di lei.
Anko poggiò le mani sulla
nuca di lui, e sentì il cuore esploderle in petto. Tutto l'odio provato per
lui, la voglia di vendicarsi, erano tornate ad essere amore, con la stessa
intensità del male che aveva sentito.
In un modo così semplice,
veloce e stupido da far paura.
Quando la lasciò andare, lei
stava tremando.
«Non credi che entrambi
abbiamo sofferto abbastanza, per gli errori del passato ora?» le domandò,
rivolgendosi a lei come se fosse una bambina. Lei riaprì piano gli occhi. «Ho
paura che... il destino ci abbia voluti vicini, ma non insieme, per quanto ci
proveremo in futuro. Quindi...»
«Quindi?» soffiò lei,
improvvisamente esausta.
«Devi lasciar andare l'idea
di una realtà insieme.» mormorò lui debolmente, sciogliendosi dall'abbraccio.
Anko rise, stavolta una
risata vera e stanca, e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi.
«E lasciare te. E va bene.
Quella maledizione non serve più.» concesse.
Kabuto non riusciva a
smettere di guardarla, ora che non somigliava neppure più alla strega che era
stata, ma alla donne che lui aveva amato e tradito.
«Andrai nel mondo che hai
appena visto? Uno dove io non ci sono?» domandò poi lei.
«Non ho detto che andrò da
qualche parte.» la contraddisse lui. «Ora sono qui, e ci sei anche tu.» le fece
notare.
Anko aggrottò la fronte,
«Questa non è una realtà. Non possiamo stare qui a lungo, è solo un punto per
decidere che fare... è qualcosa che viene dalla mia mente, dai miei ricordi, di
quella prima vita. Non durerà.»
Kabuto le prese le mani, e si
sedette tra i fuori, facendo sedere anche lei.
«E se sparissimo con essa,
senza più vite sprecate? Per un po' durerà, e ce lo faremo bastare.» propose,
serio.
Anko rise nuovamente: «Tu sei
completamente pazzo. Cancelleresti tutte le tue possibilità future? Sei pronto
a morire dal tutto?»
«Dopo la morte forse
troveremo la nostra realtà fortunata.» ribatté semplicemente lui.
Anko smise di ridere, e lo
fissò con quel suo sguardo penetrante che aveva sempre amato. In altre vite
almeno. «Sei sicuro?»
«Sì.»
«Allora amami ora. Qui.»
Kabuto inarcò un
sopracciglio: «Cose che non cambiano mai, vero?»
«Smettila!» protestò lei, suo
malgrado divertita, «Non a caso ho detto “amami”!»
Stavolta fu lui a sorridere
sinceramente, mentre la faceva scivolare a terra e la sovrastava col proprio
corpo.
E dopo, nel silenzio e nel
buio vuoto, senza più i fiori, senza più la maledizione, con quel mondo che
andava in pezzi un po' alla volta, lui continuò a fissarla.
«Perché continui a guardarmi?»
«Tu l'hai sempre fatto... e
poi, è stata pur sempre la nostra ultima volta.»
«Che romantico...» lo
sbeffeggiò lei, celando l'angoscia dietro il tono sarcastico.
«Devi lasciarmi andare,
quando questo posto finirà.»
«Vale anche per te. Del resto
moriremo entrambi, almeno come i noi stessi che siamo ora. Non c'è alcuna
maledizione che ci tenga ancora uniti in altre vite.»
«Devi lasciarmi andare.»
«Lo so.»
«Me e i nostri ricordi.
Devono finire qui.»
«Lo so.»
Occhi negli occhi, e lei si
accorse subito che lui se ne stava andando.
Subito, ma troppo tardi.
E avendo capito, non poté che
chiudere gli occhi a sua volta, e tornare indietro, sentendo di non avere più
alcun filo del destino a trattenere i suoi ricordi.
Anko spinse indietro
l'altalena, cercando di non badare alla presenza di Kakashi, che la osservava
in silenzio poggiato contro l'albero.
Alla fine, voltandosi per
fulminarlo con lo sguardo, si limitò a fermare l'altalena.
Kakashi chiese, pacato: «A
che ora è morto Kabuto?»
«Alle due di stamattina.
Sapevamo che avrei dovuto ucciderlo.» aggiunse in propria difesa. Difesa di
cosa, non lo sapeva.
«Non sei riuscita a
raccogliere alcuna informazione, Anko?»
«No, Hatake.» borbottò
lei, infastidita da quella confidenza, sebbene Kakashi non le fosse mai
particolarmente dispiaciuto. Lui non rispose nulla, e lei cominciò a sentirsi
agitata. «Ma insomma, che c'è? Anche Yamato mi dà il tormento da stanotte!»
«E' che hai un'espressione
particolarmente tormentata. E' come se qualcosa avessi scoperto.» considerò
Kakashi, attento alle sue reazioni.
Anko per un attimo fu
seriamente tentata di rispondergli la verità.
Di fargli una disquisizione
sulle vite passate, su ciò che aveva scoperto, su come avesse capito di amare
Kabuto pur non avendolo conosciuto davvero in questa vita, sul fatto che
non importava davvero nulla di tutto questo perché era morto, e sul fatto che
l'aveva amato per l'eternità e questa era finita, nonostante sembrasse una
contraddizione.
Poi, però, senza alcun motivo
valido, le tornò alla mente la voce di Kabuto. La sua voce, che gli diceva
qualcosa che non gli aveva sentito dire in nessuna vita precedente o in questa.
«Devi lasciarmi andare.»
E lei lo fece, sapendo di
averlo promesso ma senza sapere dove o quando.
E un istante dopo, non ricordava
più nulla, se non la propria unica vita. E di aver eliminato un pericoloso
mukenin che aveva ardito baciarla prima di morire, febbricitante e quindi
perlomeno innocuo.
«Ho scoperto che siete
davvero carini a preoccuparvi per me. Così carini che mi state onestamente
facendo girare le scatole. Dai, ti offro il pranzo. Non mangio da ieri notte.»
Kakashi aprì la bocca,
sbalordito, poi preferì evitare commenti.
«Dango!» esclamò
gioiosamente.
Kakashi sospirò. «Ne ero
assolutamente certo.»
«Non è morta.» la contraddisse Kabuto.
Shizune sospirò, incapace di celare la pena.
«Non è morta. E' semplicemente in un'altra vita.»
disse, rivolto più a se stesso che a loro.
Shizune lo fraintese, e annuì. «Il Regno dei Cieli.»
concordò, sfiorando una croce che teneva sul petto.
«Certo.» la assecondò Kabuto, e spostò lo sguardo per
non vederla più.
Nella mente, i ricordi di mille vite precedenti, e di
un ultima, da cui era fuggito per convincerla a tornare nel mondo che aveva
appena lasciato.
Nel cuore, la certezza che almeno lei lo aveva già
dimenticato, e che d'ora in poi il suo destino si sarebbe incrociato con
qualcun altro.
Lei sarebbe stata serena, completa, con quel qualcun
altro.
Una maledizione che aveva continuato a renderla
infelice si era spezzata, perché il legame che dava loro la possibilità di
vedersi era stato reciso.
E lui avrebbe finalmente pagato per il male che aveva
fatto non potendola più vedere, in alcuna futura vita, ma col ricordo che
qualcosa c'era stato.
Avevano avuto il loro momento insieme, e tanto
bastava.
Accanto al letto, un vaso di fiori profumati.
[ Il vero amore
è quello che si sacrifica per se stesso. ]
Ommioddiononsocos'è.
Il titolo significa:
tentativo disperato. E del resto è un tentativo disperato di trovarsi il loro,
ed un tentativo disperato di scrivere su questa coppia, mio.
E ditch vuol dire
anche abbandonare. Ci sta.
Ci sta anche che sia la
storia più assurda e inconcepibile che abbia mai pensato di poter scrivere.
Spiego, tanto non si capisce
niente.
La prima vita è stata quella
in cui Anko era una donna medievale, una contadina, accusata di stregoneria da
Orochimaru, dopo che lui stesso le aveva insegnato qualche cura medica. Kabuto,
il giovane sacerdote, se n'era innamorato. E ha rischiato la pelle anche lui,
infrangendo il voto di castità. Se la sono cavata lui e Orochimaru, bruciando
lei al rogo. Ma lei ha lanciato quella maledizione, quel genere di cosa che
resta.
E dato che, secondo questa
fanfiction, esistono mille mondi paralleli, hanno iniziato a reincarnarsi e a vedersi
in tutti i mondi, ma senza mai un lieto fine. Anzi, vite piuttosto orribili.
C'è stato prima il mondo
elfico, che mi sono divertita peraltro a scrivere, e poi quello con demoni
stile Inuyasha, e poi quando lui fa il tecnico part-time, e c'è pure Yamato in
quel mondo, e così via. L'ordine cronologico lo potete notare dopo il loro
bacio, dal mondo più vicino al primo che c'è stato, e ho omesso i milioni di
mezzo XD
Poi, che cavolo succede? La
maledizione della Anko strega, i suoi ricordi di donna tradita in più modi,
hanno portato a materializzarsi quella stessa donna innamorata e al tempo
stesso piena d'odio, in quel campo di fiori che ha visto la loro prima volta.
Prima proibitissima volta. E lì Kabuto ricordava le millemila volte passate,
quindi l'ooc è spiegato perché lui era innamorato, ecco. E Anko non era ancora
sicura se odiare o meno lui o Orochimaru di più, tra l'altro, perché ha più o
meno capito le sue ragioni. [ma mica tanto].
Comunque, dato che la ama,
quando ha visto la possibilità di saltare nel nostro mondo, di nuovo, come
persona che ha subito un incidente stradale ed è rimasta in coma, e Orochimaru
poi si è senza motivo affezionato al paziente, forse gli ricordava qualcuno per
via dei capelli, tipo Jiraya, e così via dicendo, quando ha visto la
possibilità quindi di saltare in un mondo in cui l'aveva già trovata e amata e
persa, ha fatto in modo che lei ricordasse il suo amore per lui e spezzasse la
maledizione che li faceva ritrovare in ogni mondo e sentire quei fastidiosi
deja-vu, e poi l'ha abbandonata lì, così che lei tornando nel mondo di Naruto,
vivesse una vita tutta per sé, senza sentirsi a metà, senza dover più cercare
lui per riempire il vuoto nel cuore. E una volta trovata la persona a cui era
destinata, anche nei mondi successivi magari sarebbe stata con quella con altri, ma non più Kabuto. Kabuto invece
non dimentica nulla, perché la maggior parte del casino è stata colpa sua, e da
uomo innamorato vuole pagare, sapendo ciò che ha perso e cercandola per sempre
senza poterla trovare.
Tra l'altro scritta così
sembra pure una bella storia, e dimostra anche che lui l'amava davvero, se
sacrifica tutto e tutte le sue possibilità per lei, peccato sia così strana e
confusa.
E' per Elwerien,
accidenti a lei. Questo spiega tutto il caos.
E' per te, carissima,
e dato che io sono per il KakaAnko e odio i pairing con Kabuto e forse lui
stesso, la mia sofferenza vale come regalo di compleanno in ritardo più
di questa storia, ecco XD Ci ho lavorato sul serio, nonostante il terribile e
confuso risultato, quindi scusami, e tanti auguri XD Ti voglio bene, regina
dell'angst!
Il vero amore è quello che si
sacrifica per se stesso, è una citazione presa da topolino. Non sto scherzando.
Le storie tragiche le trovo tutte io, pure lì.
E ora filate tutti a
rileggere la storia con la spiegazione sottomano XD anche tu, Elwerien XD
A proposito: Elwerien è il
nome della dea degli amori tragici non a caso XD così come Orochimaru è
praticamente il diavolo nel mondo elfico, e usato anche come sinonimo del male,
e Tsunade è la dea della fortuna e della vita e dell'amore e di tutto quello
che pare a voi. Anko è scampata alla morte e ha fatto voto a lei. Jiraya è il
nominato “dio dei viandanti e degli eremiti” perché eremita che vaga,
naturalmente.
p.s. Nell'ultimo mondo
pre-mondo di Naruto c'erano Yumi e un altro tipo, che sono nella vita di Anko
solo in quel mondo, e sono comparsi gli Uchiha. In quello elfico c'erano
Shizune, Ino, e anche se non l'ho nominato, sappiate che c'era anche Shikamaru.
I nomi non cambiano perché tanto son giapponesi XD E in elfico beh... loro lo
dicono nel modo elfico, io ho solo tradotto per voi incivili, ecco.