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Autore: Darkrama    20/04/2009    0 recensioni
Cosa può spingere un uomo che ha perso tutto a tornare a vivere? Vendetta? O sete di giustizia? Forse questo e molto altro.
Genere: Romantico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tremela salutò Aldrin e andò nella zona dedicata al riposo della tenda del padre. Lui invece venne accompagnato dal capitano alla sua tenda. Qui gli venne dato un giaciglio abbastanza comodo e una coperta nel caso avesse freddo. La sera cenarono nuovamente insieme. Il generale fece loro altre domande e così alcuni dei suoi ospiti a tavola, i colonnelli dell’esercito. Tra questi qualcuno mostrò un’aperta ostilità nei confronti dell’ospite visto che faceva parte del nemico ma una parola del generale bastò a placare gli animi. All’alba del giorno dopo Aldrin salutò il generale che gli diede il salvacondotto e Tremela che era dispiaciuta di vederlo andare via e partì. Voleva raggiungere il suo esercito per parlare con lo zio. Sapeva che il tempo era ormai agli sgoccioli e voleva a tutti i costi fermare il granduca. Cavalcò per due giorni e in un paio di occasioni fece ricorso al salvacondotto per uscire indenne dall’incontro con alcune pattuglie. Quando raggiunse, stando alle informazioni del generale, i territori sotto il controllo del proprio esercito si rilassò ma continuò a cavalcare senza tregua. Si fermava solo per far riposare il cavallo e mangiare e la notte per dormire. Quando all’orizzonte vide i fuochi del campo spinse la cavalcatura all’ultimo scatto. Raggiunte le prime tende si fece riconoscere dalla sentinelle e lasciato il cavallo si diresse alla tenda del generale. Più d’uno che lo conosceva rimase colpito nel rivederlo ma quando entrò nella tenda del suo comandante il generale fu uno dei più stupiti.
“Ero stato informato che eri caduto vittima di una trappola nemica e quindi ucciso. Dove sei stato?” il tono era preoccupato, qualcosa non tornava.
“Generale sono stato intrappolato dagli uomini di Giadel granduca dei Dibiz. Egli conosce la mia identità e sta progettando di far cadere la monarchia!”.
“Cosa?” urlò alzandosi il generale.
“Quel pazzo che se ne sta sempre chiuso nei suoi castelli progetta di fa cadere la monarchia? Come lo hai scoperto?”.
“L’uomo che avete assegnato al mio comando è un traditore. Mi ha guidato lui nella trappola e insieme ai suoi uomini mi ha portato dal granduca. Qui il granduca stesso mi ha esposto i suoi progetti cercando di convincermi a passare dalla sua parte. Sosteneva che con l’esercito impegnato e la capitale sguarnita i suoi uomini avrebbero potuto occuparla e catturare il re facilmente”.
Il generale tornò a sedersi. Valutava la prospettiva di quell’azione e la fattibilità e dovette riconoscere che grazie alle forze di cui disponeva il granduca poteva realizzare il suo progetto.
“Insieme a me c’era la figlia del generale di Cripan. Per colpa della sua cattura da parte nostra è scoppiata la guerra e invece era un’abile macchinazione del granduca. Una volta ottenuto il potere avrebbe fatto finta di rilasciarla aggraziandosi le simpatie dell’imperatore e di una delle famiglie più influenti del regno”.
Il generale si alzò e prese a camminare avanti e indietro.
“Le tue parole mi colpiscono. Non pensavo il granduca fosse uno stratega così abile. È bravissimo a celare la propria intelligenza. Io non lo sospettavo minimamente di essere capace di architettare un simile progetto. Bene, chiamerò il principe e insieme a lui decideremo il da farsi”.
Ad un suo cenno un attendente uscì per chiamare il principe. Quando arrivò, infischiandosene dell’etichetta, abbracciò il nipote felice di rivederlo.
“Temevo per la tua vita e mi davo dello stupido per non aver insistito per averti ai miei ordini. Ora che sei salvo sono più sereno. Dimmi cosa ti è successo?”.
Aldrin rispiegò tutto quello che aveva detto al generale.
Decisero di distaccare una forza che guidata dal principe sarebbe tornata alla capitale. Nel frattempo avrebbero chiesto una tregua all’imperatore. Mentre decidevano i particolari venne un capitano ad annunciare che due ambasciatori dell’impero erano giunti sotto bandiera bianca per trattare una tregua di una settimana.
Al generale non sembrò vero. Poi ricordò che anche la figlia del generale avversario era ora libera e quindi anche loro non avevano motivi per continuare la guerra. Diede ordine di mandare uno dei suoi colonnelli ad accettare la tregua e tornò a parlare coi due uomini. Quando ormai avevano deciso il da farsi il colonnello che aveva firmato la tregua venne a rapporto. Alle domande del generale espose i motivi della richiesta da parte dell’esercito avversario e aggiunse che in quel modo avrebbero potuto rinforzare alcune linee di difesa che erano troppo deboli. Il generale gli ordinò di non fortificare nulla ma di lasciare solo che gli uomini tenessero una stretta sorveglianza sui movimenti nemici. Aggiunse che avrebbero distaccato un gruppo di soldati agli ordini del principe verso la capitale.
Il colonnello si permise di far notare che la capitale era ben difesa e difficilmente le truppe nemiche avrebbero potuto aggirare i loro soldati per entrare nel regno. Il generale lo congedò dicendo:
“Non temo i nemici esterni ma la vipera che si aggira nel giardino di casa”.
Aldrin passò il resto della giornata e la notte nella tenda dello zio. Appena vi entrarono questi si diresse verso il tavolo posto a metà dello spazio delimitato dalle pareti di tela e cercò tra alcune carte. Quando si voltò teneva tra le mani un paio di buste, le porse ad Aldrin. Riconobbe subito la calligrafia e si chiese quanto fosse preoccupata per l’assenza di sue notizie. Lo zio gli indicò una delle sedie della tenda e sedutosi ruppe la prima busta e prese a leggere. Sebbene la prima lettera fosse piena d’ansia non era nulla in confronto alla seconda. Qui, passato così tanto tempo senza ricevere notizie si era preoccupata della sua vita. Il foglio era macchiato e avvicinatolo al viso Aldrin vide l’inchiostro sbavato come se prima di asciugare vi fossero cadute sopra delle lacrime. Alzò gli occhi verso lo zio.
“Dopo la prima lettera le ho risposto io dicendole che eri in missione e non potevi essere raggiunto” disse questi.
“Non credo di essere stato abbastanza convincente” continuò scotendo il capo. “Quando è arrivata la seconda lettera ne è arrivata una anche per me dove mi chiedeva esplicitamente di non nasconderle nulla riguardo a te”.
“Cosa le hai detto zio?”
“Ho insistito che eri lontano dalle nostre forze in esplorazione. Non potevo fare altro ma credo ti convinca risponderle al più presto. Sul tavolo c’è tutto il necessario. Ti chiamerò un messaggero e gli darò un po’ d’oro perché non abbia problemi ai cambi di cavallo e corra il più possibile”.
Alzandosi e recandosi al tavolo Aldrin si avvicinò allo zio e stringendogli un braccio lo ringraziò con affetto.
Si sedette e rifletté sulle parole da dire, su quello che aveva passato e sui propri sentimenti. Decise di non nasconderle nulla e si mise a scrivere.
Quando il messaggero arrivò aveva appena finito. Gli consegnò la busta e lo pregò di fare più velocemente possibile. L’uomo assentì e se ne andò.
Aldrin e lo zio mangiarono e andarono a dormire.
All’alba la legione si mosse il direzione della capitale. Un altro messaggero era partito la sera prima per aggiornare il re sugli ultimi sviluppi. Era un uomo di fiducia del principe e quindi questi era per quanto possibile tranquillo. Un gruppo così numeroso marciava lento però. Non avevano potuto prendere solo la cavalleria perché il granduca disponeva di forze complete e se avessero dovuto stanarlo dalla capitale dovevano avere anche loro una forza simile. Ciononostante portavano quasi tutto sui carri in modo che gli uomini avessero il minimo peso addosso per tenere un passo più celere. Impiegarono quattro giorni per arrivare in vista della capitale. L’avanscoperta non rilevò movimenti di truppe insoliti e così si apprestarono verso le mura. Giuntivi in prossimità videro una testa appesa ad una picca e le porte sbarrate. Con un nodo allo stomaco il principe riconobbe il viso del messaggero e capì che erano arrivati tardi. Al suo ordine di schierarsi gli uomini risposero con efficiente rapidità. Dai portoni fuoriuscì la cavalleria nemica. Le prime lienee vennero duramente colpite ma diedero il tempo ai picchieri e ai lancieri di disporre le loro armi. Le urla dei cavalieri e i nitriti di dolore dei cavalli pareggiarono il primo assalto. La cavalleria si ritirò ai lati lasciando avanzare un solido quadrato di fanti. I lancieri tennero la posizione mentre gli arcieri si prepararono a scoccare. Due nubi di frecce oscurarono il cielo sopra i gruppi di soldati. Le urla di dolore degli uomini feriti coprirono il rumore dei piedi che marciavano. Quando le due linee furono a contatto il rumore dell’acciaio che cozzava con l’acciaio riempì l’aria. Il numero favoriva lo schieramento del principe. Quando la linea nemica stava per crollare si disimpegnò e coperta dagli arcieri sulle mura ripiegò dentro la città. Il principe sapeva che col re in ostaggio non avrebbero potuto fare niente più che tenere la città sotto assedio ma non aveva abbastanza uomini nemmeno per fare quello. Mandò un messaggero al generale pregandolo di accelerare lo spostamento dei rinforzi che avevano lasciato indietro. Ciononostante era teso. La vita di suo padre era appesa ad un filo e lui non poteva che stare a guardare. Montarono il campo e un gruppo di uomini armati venne messo ad ogni porta della città. Fortificarono con un terrapieno la loro posizione e la sera, stanchi, attesero solo il rancio e i turni di guardia.
Aldrin osservava suo zio camminare inquieto per la tenda. Non era così legato al nonno da sentirsi coinvolto direttamente ma sapeva che dissensi o meno lo zio era legato al padre.
Il giorno dopo un gruppo di soldati uscì dalla città sotto bandiera bianca. Aldrin convinse lo zio che era meglio se andava a parlare lui. L’emissario espose le sue richieste: il dittatore era prigioniero e ogni membro della famiglia reale era ricercato per alto tradimento. Entro due giorni il nuovo re sarebbe stato incoronato e allora la sorte della vecchia famiglia reale sarebbe stato decisa. Aldrin chiese chi fosse il futuro re. Con un sorriso di autocompiacimento l’uomo disse:
“Il granduca dei Dibiz si imporrà il peso della corona per risollevare le sorti del popolo e del regno”.
La rabbia traspariva dal viso di Aldrin alla tracotanza dell’uomo.
“La vostra presenza qui è un affronto al re. Se non volete essere attaccati e uccisi deponete le armi. Ogni membro della famiglia reale che verrà trovato nel vostro campo sarà condotto alle prigioni e così ogni uomo con un incarico di comando”.
Aldrin rifletté su quelle parole. Prendere la città in quei due giorni era impossibile. I rinforzi non sarebbero giunti in tempo e il re sarebbe stato ucciso sicuramente dopo l’incoronazione. Con una sicurezza che non possedeva rispose:
“Se il re non verrà liberato e le porte della città aperte saremo costretti a forzare la città”.
L’uomo lo guardò meravigliato.
“Deduco che l’esito delle trattative sia un insuccesso. Ne riparleremo tra due giorni”.
Così detto si voltò e col suo seguito ritornò nella città. Aldrin andò a parlare con lo zio. Abbattuto su una sedia l’uomo ascoltò sapendo che non avevano una possibilità di riuscita. Aldrin cercò di scuoterlo.
“Non ci sono passaggi segreti nella città? Non posso credere che una costruzione così antica e preposta ad ospitare la famiglia reale non ne abbia”.
Lo zio sembrò riscuotersi. Alzò gli occhi ma quello che Aldrin vi vide era una prostrazione ancor più profonda.
“Ce ne sono e mio padre li conosce a menadito. Io non mi sono mai interessato a queste cose. Ho sempre rifiutato l’idea di succedergli al trono e così quando mi ha spiegato dove fossero non l’ho mai ascoltato”.
Aldrin rimase colpito da quelle parole. Il disaccordo tra padre e figlio doveva essere forte per raggiungere quel livello di conflitto.
Il pensiero che più lo preoccupava era che non avrebbero potuto conquistare la città anche se la cingevano d’assedio. Non avevano torri ne scale per scalare le mura e nemmeno un ariete per sfondare una delle porte. Certo potevano costruirli ma ci voleva tempo e loro non ne avevano. Probabilmente il granduca attendeva rinforzi mentre i loro erano ancora lontani e in numero esiguo. Mentre i due riflettevano nella loro tenda una pattuglia di sentinella vide avvicinarsi al campo un uomo a piedi. Gli andarono incontro intimandogli di fermarsi. Era vestito riccamente e il viso denotava una dedizione quasi maniacale per trucchi e belletti.
“Alto là. Chi sei?” disse il capo della pattuglia.
L’uomo trafelato dalla corsa e dalla paura che aveva dentro rispose:
“Sono l’architetto del re. Devo vedere immediatamente il principe”.
Gli uomini lo guardarono increduli. Che quell’ometto buffo, dal viso effeminato fosse veramente l’architetto del re? Era uscito dalla città, non poteva giungere da nessun’altra parte. Come aveva fatto?
Il capo della pattuglia fece un cenno d’assenso col capo poi rivolto ai suoi uomini:
“Disponetevi ai suoi fianchi. Se fa solo un gesto sbagliato sapete cosa fare”.
L’uomo impallidì ulteriormente quando vide la pattuglia circondarlo ma li seguì di buon grado. Nessuno di quegli uomini era mai stato a corte e nessuno conosceva nemmeno un cortigiano. Quindi il capitano della pattuglia si recò dal suo superiore. Questi appena vide l’architetto e sentì che questi voleva parlare col principe lo fece scortare alla sua tenda. Aldrin e lo zio erano intenti a studiare un attacco senza avere nessuna base quando una delle sentinelle disse che il tenente Dibez aveva importanti novità.
Lo zio disse di farlo entrare. Insieme al tenente entrò la pattuglia che ancora scortava l’architetto. Alla sua vista il principe sbiancò, poi sorrise di gioia e andò ad abbracciarlo. Stupiti da quell’accoglienza gli uomini si fecero da parte. L’ometto prese a piangere.
“Perdonatemi altezza ma quando ho visto quegli uomini entrare nelle stanze del re non ho potuto fare altro che fuggire”.
“Non preoccuparti Dranil, è una gioia vederti qui. Ma come sei riuscito a uscire dal castello?”.
L’ometto arrossì per l’imbarazzo e abbassò il capo per guardare a terra.
“Devo confessarvi che qualche anno fa ho scoperto un passaggio segreto nel mio studio. Emozionato nei giorni successivi l’ho perlustrato. In uno dei miei giri, camminando dietro una parete, ho sentito delle voci. Mi sono avvicinato e ho scoperto che c’era un’apertura nel muro. Ero nello studio di vostro padre”.
Il principe sgranò gli occhi e un barlume di speranza si aprì sul suo viso.
“Era li con voi e vi stava parlando dei passaggi segreti. Sono rimasto un attimo, poi me ne sono andato. Perdonatemi se vi ho ascoltato altezza. Ogni punizione che riterrete opportuna l’accetterò”.
Il principe gli strinse con affetto le spalle:
“Dranil non temere. Sono lieto di sapere che stai bene, ma mio padre? Come sta?”.
“Altezza credo bene. Io sono rimasto tre giorni nel passaggio dietro le sue stanze e lui è sempre rimasto li. Ho sentito il granduca ordinare alle sue guardie di rimanere con lui nella stanza e di non perderlo mai d’occhio ma non credo gli abbiano fatto nulla”.
“Questo mi rasserena. Ora dobbiamo solo trovare un modo per entrare!”.
Aldrin si avvicinò all’uomo. Aveva capito qualcosa che allo zio, preso dal turbamento per il padre, era sfuggito.
Si avvicinò allo zio e gli disse di congedare la pattuglia e il tenente.
Quando gli uomini ebbero lasciato la tenda si rivolse all’architetto:
“Dranil come siete uscito dalla città?”.
L’uomo si volse a guardarlo. Non sapeva chi fosse ma era ancora troppo scosso per non rispondere:
“Il giorno che finii dietro la stanza del re e ascoltai lui stava spiegando al principe il passaggio che dall’osservatorio porta fuori dalle mura”.
Il principe alzò il capo di scatto:
“Tu hai usato quel passaggio per venire qui?”
“Si altezza, termina a poche centinaia di metri dal vostro campo. E’ riparato alla vista da una macchia di alberi e lo si può raggiungere senza essere scorti dalle mura”.
Il principe si alzò e andò ad abbracciarlo:
“Mi hai reso doppiamente felice oggi. Ora sappiamo come liberare il re. Siediti, sarai stanco e affamato. Prima di fare altro devi mangiare e poi ci racconterai tutto”.
Chiamò una delle guardie e il suo attendente preparò la tavola. Mentre Dranil mangiava raccontò tutto quello che sapeva sul passaggio che aveva percorso e spiegò loro dove di solito si trovava il re nelle varie ore della giornata e quante guardie c’erano con lui. Finito il pasto il principe gli ordinò di riposare e prese con Aldrin a progettare il salvataggio. All’imbrunire erano stati scelti gli uomini e preparate le armi in modo che non tintinnassero rivelando la loro presenza. Un mantello nero ricopriva i venti guerrieri per evitare che la luna traesse riflessi dall’acciaio. Erano di fronte agli uomini.
“Altezza è inutile, non potete guidare l’attacco”.
Il principe fece per protestare e Aldrin continuò:
“Se noi fallissimo voi dovete restare per guidare gli uomini all’attacco. Arriveranno i rinforzi e senza il re siete voi l’unico a potere comandarli”.
Il principe chinò il capo. Sapeva di non poter fare altro. Poi tornò a guardare il nipote. Gli si avvicinò e afferratolo per le spalle gli disse:
“Torna con mio padre”.
Aldrin poggiò una mano su quella dello zio:
“Farò l’impossibile”.
Il gruppo di guerrieri seguì Aldrin e l’architetto. Lasciato il campo alle loro spalle si incamminarono verso la città. A circa cinquecento metri dalle tende presero ad allontanarsene lasciandosele a destra. Percorsero un altro paio di chilometri e in lontananza videro una piccola macchia di alberi, vi si diressero. Sempre circospetti osservavano se dalle mura qualche ronda facesse cenno di averli visti. Con sollievo si immersero nella vegetazione notando come fosse fitta. Era impossibile che qualcuno dai bastioni riuscisse a scorgervi qualcosa all’interno. Dranil si incamminò sicuro verso un grosso albero secco. Avvicinando il viso cercò quello che voleva. Poi prese in mano un nodo dell’albero e lo ruotò. Tirando aprì una cavità nel tronco scavato. Aldrin si avvicinò e vide una fila di scalini scendere nel buio. Mossi i primi passi si ritenne abbastanza riparato per accendere una lampada cieca. Illuminata così la scala fece cenno agli altri di seguirlo. Dranil fu l’ultimo e richiuse dietro di se la porta. Poi superò gli uomini e di nuovo a fianco di Aldrin li guidò verso la città. Marciarono lentamente e in silenzio. Evitando ogni più piccolo rumore per timore di essere scoperti si resero conto che quel passaggio sembrava interminabile. Quando prese a scendere nuovamente sperarono, finalmente, di stare superando il fossato. Le pietre erano umide e ricoperte di muffe. L’aria stessa era stagnante e pregna di umidità. Quando incontrarono una rampa di scale alcuni dei soldati si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo. Mentre salivano si accorsero che l’aria si scaldava ma percorsero ancora molta strada  prima che Dranil facesse segno di fermarsi. Aldrin vide davanti a loro un bivio. Senza esitazione l’architetto prese a sinistra. Il tunnel faceva una lieve curva e poi riprendeva a salire. Quando ritornò in piano Dranil si avvicinò ad Aldrin dicendogli di fare molta attenzione perché ora erano all’interno delle mura. Aldrin passò parola agli uomini. Tutti si resero conto che il percorso era ora più caotico. Le svolte e le biforcazioni era frequenti e spesso il passaggio si restringeva fino a rendere difficile il passaggio ad alcuni di loro. Proseguirono, con cautela e col timore di venire in qualche modo scoperti. Quando Dranil fece di nuovo il gesto per fermare il gruppo Aldrin seppe che erano vicini alla meta. L’architetto gli si avvicinò e gli disse bisbigliando che la parete che avevano di fronte era la camera del re. Gli indicò uno spioncino. Con cautela Aldrin lo aprì e guardò nella stanza. Il re era seduto su una poltrona e leggeva un libro. Due uomini armati erano seduti di fianco a lui. Chiuse lo spioncino e chiese a Dranil se ci fosse il modo di guardare nelle altre stanze. Questi annuì e lo guidò verso un’altra parete. Osservando da quello spioncino lo studio poté vedere che non vi era nessuno. L’architetto gli disse che nella camera del re non c’erano spioncini ma solo un passaggio per entrarvi. Aldrin tornò sui suoi passi. Comunicò agli uomini quello che voleva facessero e le priorità della loro missione. Spiegò che sembrava ci fossero due uomini nelle stanze più il re ma non ne poteva essere certo quindi di fare attenzione. Entrarono nella camera, il passaggio si aprì senza emettere un suono segno che il re lo teneva funzionante. Gli uomini si sparpagliarono. Dalla porta non vedevano i tre uomini seduti. Sfoderarono le spade e spalancarono la porta buttandosi nella stanza. Due uomini esperti nell’uso del pugnale fecero il loro dovere. Con un gemito le due guardie caddero al suolo con una lama d’acciaio che sporgeva dal collo. Altri due si misero dietro la porta pronti a fermare chiunque volesse entrare. Il re li osservò colpito. Non si era ancora mosso ma quando riconobbe Aldrin tra gli uomini tirò un sospiro di sollievo. Stava per parlare quando con un cenno Aldrin lo fermò. Disse agli altri di spostare i mobili per sbarrare la porta quando sentirono delle voci nel corridoio.
“Tutto tranquillo?” chiese una voce autoritaria.
Aldrin la riconobbe subito, l’aveva già sentita durante la prigionia.
“Aprite, devo vedere il nostro ospite”.
All’interno sentirono il rumore di un oggetto appoggiato al muro poi il tintinnio metallico di un mazzo di chiavi. Ad un cenno di Aldrin gli uomini e il re lasciarono la stanza. Si erano appena chiusi la porta della camera alle spalle che quella di ingresso si aprì. Le maledizioni che uscirono dalla voce del granduca furono numerose.
Poi con un urlo di rabbia disse:
“Trovatelo!”.
Le guardie si abbatterono sulla porta della camera. Aldrin e gli altri ressero il primo colpo. In fretta attraversarono il passaggio mentre altri spostavano i mobili per sbarrare la porta. Le minacce del granduca giungevano nitide attraverso le assi di legno. Appena dopo un altro tentativo di abbattere la soglia gli ultimi tre guerrieri varcarono il passaggio. Aldrin lo chiuse alle loro spalle. La porta resistette altre due volte poi gli uomini del granduca riuscirono a spostarla quel tanto che bastava per passarci attraverso. La loro meraviglia nel trovare la stanza vuota era soverchiata dalle imprecazioni del granduca. Velocemente gli uomini ripercorsero il tunnel. Non dovevano più temere di essere scoperti e la velocità era essenziale. Le truppe del granduca erano ancora sufficienti a sbaragliare una delle porte e a permettergli di fuggire. Dovevano avvertire il principe che il re era salvo. Quando finalmente uscirono allo scoperto Aldrin vide davanti a se uno dei guerrieri dello zio.
“C’è del fermento nella città. La missione?”
“Il re è salvo” rispose col fiatone.
L’uomo si allontanò e presa una freccia diede fuoco alla punta e la scagliò nel cielo.
“E’ il segnale pattuito col principe per sapere se il re è salvo”.
“Bene” rispose Aldrin mentre il re, Dranil e gli altri guerrieri uscivano dal varco nell’albero.
Si diressero all’accampamento. L’alba rosseggiava l’orizzonte e dalle mura il suono delle trombe annunciava l’adunata. Non erano ancora giunti al campo che le porte della città si aprirono. I fanti si schierarono. Mentre ormai correvano verso la salvezza delle tende Aldrin notò che il numero dei soldati della città era aumentato: il granduca aveva ricevuto rinforzi. Si chiese da chi. Dietro i fanti si schierarono gli arcieri e poi la cavalleria. Sembrava che il granduca non avrebbe abbandonato il vantaggio delle mura. Due file di arcieri si vedevano in controluce sui bastioni. Anche dal campo giunse lo squillare delle trombe. L’esercito del re si schierò. Non vi erano rinforzi. La superiorità numerica era a favore delle forze del granduca. Per un attimo Aldrin pensò che salvare il re fosse stato inutile. I due fronti erano schierati. Il gruppo comandato da Aldrin raggiunse il campo. Si diressero verso lo stendardo reale. Sotto di esso il principe fu per la prima volta felice di rivedere il padre. Si strinsero le mani con affetto poi il re tornò freddo come sempre:
“Se i loro fanti sfondano le nostre linee è finita. La nostra cavalleria non può reggere la forza della loro e gli arcieri dalle mura ne farebbero strage”.
“Lo so padre ma non possiamo farci nulla. La pace col regno di Cripan è stata firmata ma il nostro esercito è ancora a un giorno di marcia da qui. Non resisteremo così tanto”.
“Manteniamo la posizione e facciamoli venire verso di noi. Guadagneremo un po’ di tempo e rimarremo fuori portata degli arcieri sulla mura” disse Aldrin.
Il re si volse a guardarlo e il principe disse:
“Possiamo tentare ma sarà difficile tenere a freno la nostra fanteria. Comunque darò l’ordine”. Alzò il braccio sinistro e un portaordini si avvicinò a cavallo. Ricevuto il messaggio partì per la prima fila.
L’ordine venne ripetuto a gran voce. La fanteria del granduca avanzò insieme agli arcieri. Quando furono a tiro questi scagliarono una salva di frecce. Le urla di dolore dei soldati feriti si alzarono al cielo. Gli arcieri del re risposero e uomini nelle file avversarie caddero a terra. La fanteria nemica si fermò. Lo scopo del granduca era quello di schiacciarli sotto le mura. I due gruppi di arcieri lanciarono altre due salve di frecce poi si fermarono. Il granduca smaniava. Gli bruciava la fuga del re e voleva schiacciare il nemico, subito! Sapeva della pace ma i rinforzi erano lontani ed era tranquillo. Ordinò alla fanteria di avanzare. Avrebbe rinunciato al vantaggio delle mura. La sua superiorità era tale che la vittoria era a portata di mano. Quando sentirono la tromba della carica il re, il principe ed Aldrin non seppero se esserne felici o meno. La prima linea ondeggiava tenuta a malapena a freno di fronte a quell’orda che si avvicinava. I Picchieri strinsero la presa sulle loro armi. Due scudi di punte si fronteggiarono. L’impatto delle due forze fu assordante. Le linee presto divennero un miscuglio confuso di divise. C’erano alcuni focolai dove la lotta era più serrata e altri dove era praticamente assente. Gli uomini del re però ripiegavano. I fanti nemici non riuscirono a sfondare lo spiegamento così intervenne la cavalleria. Prendendo le forze reali sui lati come una tenaglia cercò di schiacciarle. Il re lanciò la propria cavalleria su fianchi di quella avversaria alleggerendo la pressione sulla fanteria che nonostante tutto resse l’assalto. Sapevano di non avere una possibilità. Il re guardò il figlio e d’intesa si lanciarono con le riserve nel centro dello scontro. Per un attimo le sorti della battaglia parvero incerte. Forse fu il numero di soldati che si era aggiunto, forse il vedere il proprio re combattere insieme ai suoi soldati o forse fu solo apparenza. Il nemico penetrò nelle forze reali sbaragliandole. A quella vista il principe a malincuore dovette far suonare la ritirata. Stava per dare l’ordine quando delle grida alla sinistra del fronte lo fecero guardare in quella direzione. Una nuvola di polvere si avvicinava veloce. Con un sospiro vide le bandiere reali tra le fila della cavalleria pesante. Immaginò che il generale l’avesse distaccata dalle truppe per guadagnare tempo. Come un’onda si abbatté sul fianco delle forze nemiche. Sotto quell’impeto lo schieramento si sfaldò. I comandanti cercarono di schierare i fanti per arginare quella nuova forza ma non ne ebbero il tempo. La seconda ondata di cavalieri spezzò la disciplina. I soldati si voltarono e fuggirono. All’ordine di: “Chi si arrende avrà salva la vita” le truppe reali presero a catturare i nemici. Vista la vittoria sfumare il granduca cercò di ripiegare nella capitale col suo comando. Lo squadrone di cavalieri guidati da Aldrin attraversò le forze ormai disfatte ad uno sfrenato galoppo. Varcò le porte della città con un distacco di cento metri. Entrambe le fazioni frustarono i cavalli per averne il massimo. Quelli del granduca erano freschi, quelli di Aldrin e dei suoi uomini no. Nonostante questo, mentre gli uomini del granduca cercavano di bloccare le porte del maschio, gli uomini di Aldrin vi entrarono. I soldati ingaggiarono battaglia mentre Aldrin proseguiva l’inseguimento insieme a pochi fedeli compagni. Entrarono nel primo salone a cavallo. Le dimensioni erano tali da permettere loro di proseguire in quel modo. Raggiunto il primo piano il sibilo di una freccia li fece arrestare. La stanza era occupata in parte da una barricata. Una dozzina di uomini e il granduca vi si riparava. Facendosi scudo coi cavalli Aldrin e i suoi avanzarono. Quando tutte le frecce furono scoccate si lanciarono all’attacco. Il clangore del metallo rimbombò nella stanza di pietra. I due gruppi lottavano senza risparmiare energie. Lentamente la superiorità dovuta all’affrontare la morte giorno per giorno iniziò a dare un vantaggio agli uomini di Aldrin. I loro avversari erano nobili. Per quanto esperti nell’uso delle armi avevano combattuto poche volte per salvarsi la vita. Ciononostante lottarono fino alla fine. Sapevano cosa li aspettava se fossero stati catturati vivi. Destino si aprì un varco nella difesa del granduca e gli trapassò il petto. Incredulo cadde a terra quando le gambe non lo ressero più. Un filo di sangue gli uscì dalla bocca e gli occhi si appannarono. Aldrin lo guardò spegnersi, sfilò Destino e la pulì sul mantello dell’uomo. Trascinandosi dietro i prigionieri gli uomini di Aldrin fecero il cammino a ritroso. Fuori dal maschio trovarono il principe e il re scortati dalla guardia reale.
Il re si avvicinò ad Aldrin e scese da cavallo.
“Ti siamo riconoscenti. Hai salvato le nostre vite, il nostro regno, il nostro popolo”. Gli strinse le mani nelle sue. Entrambi sporchi di sangue, entrambi sfiniti.
Aldrin vide una sincera riconoscenza negli occhi del nonno.
Lo zio fu meno formale, scese da cavallo e abbracciò il nipote con affetto. Si scambiarono pacche sulla schiena e iniziarono a parlare di tutte le cose che dovevano fare nei giorni successivi. C’erano soldati feriti, soldati morti. Famiglie da risarcire e consolare. I campi distrutti in molte regioni e i viveri scarsi. Una pace interna da consolidare e un alleato con cui cementare una nuova alleanza.
Nei giorni seguenti Aldrin guidò i suoi uomini per il regno. I traditori avevano confessato e molti dovevano essere catturati. Il re non si illudeva di poter eliminare tutte le mele marce dalla sua corte ma sperava di pulirla per un po’. Due settimane dopo Aldrin andò a cercare lo zio. Aveva ricevuto una lettera da Isabella. Lo minacciava di andare a riprenderlo se non tornava. La notizia che la guerra era finita era giunta anche nel regno di Marrendel quindi gli chiedeva di tornare da lei. Quando lo vide lo zio non potè trattenere un sorriso. Sapeva della lettera e ne immaginava il contenuto. Dalla faccia del nipote capì che non desiderava altro che tornare dalla donna che amava. Con noncuranza tenne il nipote sulle spine enumerando gli innumerevoli incarichi che doveva affidargli e che lo avrebbero tenuto occupato per almeno un mese. Poi scoppiando a ridere gli disse che il re lo attendeva e due dei migliori cavalli delle stalle reali erano pronti per lui. Si recarono non nelle stanze del re come Aldrin immaginava ma nella sala delle udienze. Il re era sul trono coi paramenti che ne indicavano il potere. Entrambi si inginocchiarono con rispetto.
“Siamo lieti che questa guerra si sia risolta felicemente. Abbiamo ammirato l’abilità al comando del principe del regno e ci compiaciamo di avere un così valido erede. Abbiamo inoltre sentito raccontare le gesta di questo cavaliere e lo abbiamo visto in azione sul campo di battaglia. Sappiamo che ha dato un contributo fondamentale alla soluzione di questo conflitto. Gli siamo debitori più di quanto possiamo dire. Le nostre vite sono salve grazie a lui. Il nostro regno è salvo grazie a lui. Il nostro popolo è salvo grazie a lui”.
Il re si alzò e scese i gradini del trono. Sollevando lo scettro che teneva con la sinistra sfoderò la spada con la destra.
“Inginocchiati”.
Quando Aldrin lo ebbe fatto:
“Qui davanti a noi è Aldrin di  Marrendel” e poggiando la spada sulle sue spalle.
“Alzati ora Aldrin cavaliere della rosa ed erede al trono di  Thor“.
Aldrin, lo zio e i membri della corte rimasero colpiti.
Non poteva immaginare di essere riconosciuto dal nonno dopo le parole dette nel loro primo incontro. Chinando il capo accettò quel riconoscimento.
“Un distaccamento di guardie reali ti attende per accompagnarti nel tuo viaggio. Questi” disse indicando un cumulo scintillante di gioielli “sono il nostro dono di nozze per la principessa di Marrendel”.
Il re rinfoderò la spada e Aldrin seppe di essere stato congedato. Lasciò la sala facendo un altro inchino al re. Il congedo dallo zio fu più affettuoso. Ricevette un gioiello di famiglia che apparteneva alla madre come dono per la principessa. Lasciò col suo seguito la capitale. Voleva ritornare a casa il prima possibile ma quel piccolo esercito e il carro coi doni rallentavano l’andatura. Ci mise una settimana per raggiungere la capitale di Marrendel.
Le loro bandiere vennero avvistate. Sentì squilli di tromba risuonare per il castello. Quando raggiunse il palazzo non si stupì di trovare principessa e principe ad attenderlo. Parmide lo salutò col contegno di un principe ma con un sorriso negli occhi. Isabella lo abbracciò e lo baciò davanti a tutti dimenticando etichetta e decoro. Aldrin ne fu più che felice. Vederla li ad aspettarlo era stata per lui una gioia intensa. Scorgere nei suoi occhi quello che vi aveva visto gli aveva fatto dimenticare in un attimo tutte le battaglie appena vissute. Parmide riprese gentilmente la sorella dicendole che loro padre voleva vedere Aldrin e che dopo loro avrebbero avuto molto tempo per stare insieme. Isabella e Aldrin arrossirono e mano nella mano lo seguirono. Un lunghissimo mese dopo, quando i preparativi per le nozze furono ultimati, poterono finalmente sposarsi. Lo sfarzo della cerimonia e degli ospiti fu incredibile ma la gioia maggiore per i due innamorati fu l’attimo in cui dissero il loro si e lasciarono la cattedrale per restare finalmente lontani da tutta quella gente. La sera stessa partirono per Diha N-rin il castello che il re aveva donato a Isabella come dono di nozze e che sorgeva sul mare in un territorio dalle verdeggianti pianure. Senza badare alle formalità i due sposi salirono sullo stesso cavallo e stretti l’uno all’altra si allontanarono seguiti a distanza da un sorridente corteo.
  
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