Fanfic su artisti musicali > Linkin Park
Segui la storia  |       
Autore: Maledetta    12/07/2016    2 recensioni
Chester Bennington ha diciassette anni ed è probabilmente il perdente più perdente degli Stati Uniti: i suoi genitori si sono lasciati quando era piccolo e da allora gliene sono successe di tutti i colori.
Si droga, si taglia ed è il bersaglio preferito dei bulli di mezza città. L'unico alleato che ha è probabilmente la musica: l'unica amica che non lo abbandonerà mai.
Mike Shinoda ha sedici anni e si è appena trasferito in Lincoln Street assieme alla sua famiglia. È un ragazzo piuttosto normale: simpatico, con la passione per il disegno e per la musica, forse solo un po' troppo emotivo.
Cosa succederebbe se Mike e Chester diventassero amici?
Cosa succederebbe se la loro amicizia diventasse qualcosa di più?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[Chester]

Pioveva. 

Pioveva forte da così tanto tempo...
Pareva che il cielo non avesse mai fatto altro che piovere.

Da giorni.
Da mesi.
Da anni.

Pareva che il cielo non avesse mai fatto altro che piovere.

Pioveva.

Probabilmente non avrebbe smesso.

La pioggia cadeva lenta.
Monotona.

Chester la guardava da dietro il finestrino dell'autobus.

Non c'era nient'altro di interessante.
Il paesaggio era tutto uguale.

Strade.
Case.
Alberi.
Case.
Di nuovo alberi.
Sempre fottutamente uguale. 
Metro dopo metro. 
Chilometro dopo chilometro. 
Sempre fottutamente uguale.
Che palle.


Chester quindi fissava la pioggia. 
I suoi occhi quasi neri si muovevano quasi convulsamente dietro le lenti spesse degli occhiali. 

Lui adorava la pioggia. 

Con quel suo modo di picchiare gelida e impietosa su quel mondo monotono e fottutamente noioso.
Con quel suo venire giù fregandosene della schifosa gabbia di matti che bagnava.

Lui adorava la pioggia.

Ma non quel giorno. 
Quel giorno voleva solo che quel fottuto ticchettio contro quel dannato vetro la smettesse.
Che la smettesse di fargli scoppiare la testa.
Che la smettesse di smontargli ogni singolo cazzo di neurone mezzo fumato che gli rimaneva con quella lentezza da agonia. 

Niente più sbornie la Domenica.

Una semplice promessa del cazzo.
La solita promessa del cazzo del Lunedì mattina.

La solita pioggia.
Il solito autobus.

Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Non per Chester Bennington.

Non per il perdente più perdente degli Stati Uniti D'America, che a diciassette anni contava la bellezza di tre amici:
Alcool, droga e sesso occasionale, 

Non necessariamente in quest'ordine.

e una scopamica con un nome russo.

Ma non doveva pensarci.

Chiuse gli occhi.

Cercando di cancellare il nulla che c'era fuori dal fottuto finestrino su cui si stava appoggiando.
Cercando di non pensare a alberi e case che si rincorrevano in un loop infinito dietro quel vetro sporco.

Era come guardare un portale dimensionale.

O come fissare una registrazione a ciclo continuo su uno schermo.

Dall'altra parte c'era il loop.
Dalla sua un autobus pieno di adolescenti del cazzo che andava verso una scuola del cazzo.

Seriamente, un giorno troverò quel bastardo che ha inventato il Lunedì e lo ucciderò in un modo atroce. 
Giuro. 
Ma oggi no. 
Oggi ho un mal di testa fottuto.
Mai più sbornie la Domenica.


Era la promessa del cazzo del Lunedì.
La promessa del cazzo che non manteneva mai.

Ma era inutile pensarci in quel momento.
Anche perchè aveva troppo mal di testa per pensare.

Cercò invece di trovare una posizione comoda. 
Non servì a niente.
Il solito aubus scomodissimo.

Autobus del cazzo.

Provò a chiudere gli occhi.
Magari poteva sonnecchiare cinque minuti...

Cinque minuti.
Soltanto cinque minuti.


Ma non poteva dormire.
Forse non si sarebbe svegliato.

Se si fosse addormentato avrebbe potuto morirci su quel fottuto sedile.
Magari di combustione spontanea.
Magari si sarebbe sciolto in una cazzo di pozzangera.
Una cazzo di pozzanghera puzzolente di fumo e di alcool.

Aprì gli occhi.
Doveva rimanere concentrato. 
Non doveva prendere sonno.

Perché cazzo non la smetto di passare la notte a far casino e non dormo un po'?

Doveva rimanere concentrato.
Non doveva prendere sonno.

Per distrarsi cominciò a guardarsi attorno.

Non era facile capire qualcosa in quel marasma.
Qualunque tipo di idiota esistesse, in quel cazzo di autobus c'era.

Idioti che urlavano.
Idioti che giocavano a tirarsi cose addosso.
Idioti che si baciavano.
Idioti che ripassavano.

Tanti idioti che a diciassette fottutissimi anni si comportavano come fottutissimi bambini.

Tutto quel maledetto rumore...

Dio, aveva una voglia matta di urlare.

Ogni secondo in quell'autobus infernale era un urlo in più che gli pesava sul petto.

Dio, aveva una voglia matta di urlare.

Quei bastardi figli di papà sembravano felici, cazzo.

Felici.

Erano felici, porca puttana. 

Lui invece no.

Dio, aveva una voglia matta di urlare, ma non urlava.

Non urlava, perché loro l'avrebbero sentito.

Non devono sentirmi.
Non voglio la loro pietà.


La pietà era una colpa.
Era una colpa per chi la provava e per chi la subiva.

Loro non devono vedere.
Non devono sapere.


Non dovevano vedere che stava male. 
Dovevano vedere una macchina.

Avrebbe voluto poter essere una maledettissima macchina, davvero.

Le macchine non sentono dolore. 

Chester nei suoi diciassette anni dolore ne aveva sentito anche troppo.

Le macchine non pensano. 

Era stato ferito per così tanto tempo...

Non soffrono. 

Sembrava che non avesse mai fatto altro che farsi ferire.

Per giorni.
Per mesi.
Per anni.

Non aveva più niente da perdere.

Le macchine vanno avanti e basta, e chi se ne frega.

Era stato ferito in un modo che nessuno avrebbe mai potuto capire.
O immaginare.

Non devono vedere.
Non capirebbero.


Chester però non poteva essere una macchina.
Ovviamente.
Non poteva diventare di metallo e spegnere il suo fottuto cervello fumato.

Gli sarebbe andato bene anche essere la pioggia.

Scendere fregandosene di tutto.
Morire su quelle stramaledette strade.
Sugli alberi che si ricorrevano sempre maledettamente uguali dietro quel cazzo di finestrino.

Però non poteva nemmeno essere la pioggia.

Cazzo, non poteva svegliarsi la mattina e decidere di diventare acqua.

Morire.
Gli sarebbe bastato anche morire.

In fondo non aveva più niente da perdere.

Tecnicamente quello poteva farlo.

La fregatura era che non esisteva un modo decente di farla finita. 

Tutto così banale.
Tutto così patetico.
Non c'era un modo decente per andarsene. 

Non c'era un modo degno di mettere fine alla sua vita patetica fatta di urla mai urlate e di vuoti mai riempiti.

Pesavano, le urla e i vuoti.

Pesavano e non lo lasciava andare.
Con la vita di merda che aveva avuto non poteva morire in un modo idiota.

Quindi combatteva.

Combatteva, anche se continuava a ripetersi che non lo avrebbe fatto.
Combatteva, anche se nessuno avrebbe combattuto per lui.
Combatteva come un soldato ferito che si ostinava a non cadere.

Che senso aveva andare avanti?
Più o meno lo stesso che aveva non farlo.

Quindi andava avanti.

Ogni minuto di ogni ora.
Ogni ora di ogni giorno.
Sempre uguale.

Da giorni.
Da mesi.
Da anni.
Da sempre.

Andava avanti.
Con il peso delle urla mai urlate che premeva nel petto.
Che si faceva sempre più pesante. 

Era come avere addosso il peso del mondo e sapere di non potersene liberare.

Aveva una voglia matta di urlare, ma non urlava.

Sempre uguale.
Da giorni.
Da mesi.
Da anni.
Da sempre.

Ma era inutile pensarci.

Si guardò attorno, per distrarsi.
C'era poco da vedere.

Cretini felici.
Nient'altro.

C'era l'autobus.

Sembrava inchiodato all'asfalto di quella dannatissima strada bagnata.

Era lento.
Era fottutamente lento.

Tutto era fottutamente lento.

Le persone.
Gli oggetti che gli altri ragazzi si lanciavano.
Le lancette degli orologi.
Tutto.

Tutto era fottutamente lento.

Come se il mondo fosse stato immerso nella melassa.

La sua testa pulsava. 
Era l'unica cosa a non essere fottutamente lenta.

Per un attimo, Chester pensò che gli si fosse formato un secondo cuore dove una volta c'era il cervello.

Maledetto mal di testa...
Davvero, niente più sbornie la Domenica.


Era la promessa del cazzo del Lunedì.
La promessa del cazzo che non manteneva mai.

Quel viaggio durò una vita.

Comunque, alla fine nessuno lo dice mai, ma le torture hanno un lato positivo.

Finiscono.

La gente tende a vedere il lato negativo delle cose.

Lui per primo tendeva a vedere il lato negativo delle cose.

Sempre.
Sempre e comunque.
Non sono sicuro che mi faccia fottutamente bene.


Ma le torture hanno un lato positivo.
Finiscono. 

Prima o poi ti liberano.
Oppure crepi.

Quale delle due è una cazzata secondaria.
Dipende dal tempo che passa.

Comunque finiscono.

Quindi anche quel viaggio in quell'autobus del cazzo verso la maledetta scuola finí. 

Come tutte le torture.

L'autobus parcheggiò alla fermata vicino al cancello.

Gli altri cominciarono a raccogliere le loro cose.
Chester non si mosse.

È se restassi su questo cazzo di autobus?
Non è uno di quelli della scuola.
Posso arrivare al capolinea, e poi decidere cosa fare.
In fondo, se sparisco e non torno più, probabilmente non se ne accorgerà nessuno.
Nessuno piangerà.


Si concesse venti secondi per accarezzate quell'idea idiota.

Peccato solo che non ho soldi.

Si alzò dal sedile.
Scese dall'autobus sbuffando. Trascinandosi dietro la cartella.

Si alzò il cappuccio per non bagnarsi i capelli.
Si avviò verso il cancello della scuola.
Imprecò quando si accorse che ne vedeva due.

Sono messo peggio di quello che credevo.

Cercò di mettere a fuoco ciò che vedeva.

Da quando in qua ci sono due fottuti cancelli invece che uno?

Probabilmente fu lo Spirito Santo a portarlo in classe. 
Lui a malapena ricordava il suo cazzo di nome.
Figurarsi se si ricordava che cazzo di lezioni avesse.

Non che in effetti lo Spirito Santo potesse fare granché.
Non per uno che non ci credeva.

Probabilmente fu lo Spirito Santo che lo aiutò a sopravvivere a tutta la giornata.
A malapena era sopravvissuto al viaggio in autobus.
Figurarsi se poteva sopravvivere a ore su ore di cazzate inutili e noiose.

Se ne stava lì. 
Seduto in un banco in fondo a scarabocchiare.

Di ora in ora cambiavano solo le aule.
Di ora in ora cambiavano solo i professori.

Probabilmente fu lo Spirito Santo che lo tirò su di peso e lo parcheggiò alla fermata dell'autobus a fine giornata.
A malapena si reggeva sulle sue gambe.
Figurarsi se poteva fare i cento metri che separavano quella fottutissima fermata dalla fottutissima scuola.

Se ne stava lì.
Appoggiato a un palo.
Le cuffie nelle orecchie.
Una canzone dei Foreigner.
Gli occhi chiusi.

Ecco fatto.
Lunedì finito.
Problema risolto.


-Fai la nanna, Bennington?-

Problema risolto un cazzo.

Una voce.
Una cazzo di voce idiota di un ragazzo idiota.

Una voce idiota di un ragazzo idiota con un vocabolario da idiota.

Gli attraversò la testa.
Come una fucilata.

Niente più sbornie la Domenica.

Era la promessa del cazzo del Lunedì.
La promessa del cazzo che non manteneva mai.

-Cos'é? Quella troia di tua madre t'ha fatto senza lingua? Strano, pensavo che la usassi parecchio. Ma magari la usi per altro.-

Sono una dannatissima macchina.

Mille risatine idiote gli perforarono il cervello.

Cristo, quanti cazzo ce ne sono?
Devo ignorarli.
Se li ignoro si stancheranno.
Spero.


Chester non riusciva a capire chi cazzo avesse davanti.
Si ostinava a tenere gli occhi chiusi.

La luce era tremenda.
Aveva un mal di testa fottuto.

-Avanti puttanella, non fare così.-

Non mi chiamare putt... no. 
Sta calmo Chester, stai fottutamente calmo. 
Calmo.


Ma non riusciva a stare calmo.

La rabbia lo bruciava.
Era il suo difetto fatale.
Era incazzato.
Incazzato con il mondo.

Rimase immobile.
Non emise un fiato.
Gli occhi serrati.
Gli occhiali un po' bassi sul naso.
Il cappuccio alzato.

Le dita della mano sinistra che si chiudevano attorno all'acciaio freddo del tirapugni che teneva sempre nella tasca dei jeans.

Chiunque fosse andava sistematicamente ignorato.

Dei passi si avvicinarono a lui.
Passi lunghi.

Chiunque sia l'idiota, è un idiota bello grosso.

Fiato caldo e puzzolente di fumo gli investì il viso.

Sentì uno spostamento d'aria. 
Leggero come una carezza.
Mani grosse e dannatamente ruvide gli abbassarono il cappuccio.

Strizzò gli occhi.
Aveva un mal di testa fottuto.

-Buongiorno Principessa.- 

Qualche schizzo di saliva gli arrivò in faccia, mentre il deficiente che aveva davanti tentava di non ridere.

Non devo. 
Saltargli. 
Addosso. 
Non devo. 
Saltargli. 
Addosso. 
Non devo.


Un vero e proprio sputo lo centrò in pieno viso.

Vaffanculo.

Chester non si rese nemmeno conto di essersi mosso.

Tre secondi dopo il naso di quell'idiota si stava rompendo sotto il suo pugno ricoperto dell'acciaio del tirapugni.

Altri tre secondi dopo Chester era a terra.
Con altri tre idioti che sembravano avere tutta l'intenzione di farlo a pezzi.

Era caduto subito.
Era bastato che uno di loro lo spintonasse appena. 

L'equilibrio l'aveva tradito.

Merda.

Erano grossi.
Incazzati. 
Avevano una voglia matta di spaccargli la faccia.

Lui aveva una voglia matta di urlare, ma non urlava.

Io e il mio strafottutissimo tirapugni...

Si chiuse a riccio.
Sentì le ossa scricchiolare sotto i calci.

Si morse il labbro a sangue.
Non avrebbe dato loro la soddisfazione di sentirlo urlare.
Non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo piangere.

Loro non devono vedere.
Non voglio la pietà di nessuno.


Sembrarono passare anni.
Quel maledetto pestaggio sembrò durare una vita.

Ma le torture hanno un lato positivo.
Finiscono.

Lo stridio di freni dell'autobus invase l'aria grigia. 
Sparirono tutti quanti. 

Lo mollarono lì. 
Tutto rotto.
Come una bambola di pezza. 

Tutto rotto.

Bastardi.
Niente più sbornie la Domenica.
Lo giuro.


Era la promessa del cazzo del Lunedì.
La promessa del cazzo che non manteneva mai.

Restò lì. 
Fermo. 
Gridando in silenzio dentro la sua testa.

Sembrarono passare anni.

Probabilmente fu lo Spirito Santo a rimetterlo in piedi.
Non era più nemmeno sicuro di avere le gambe.
Figurarsi se avrebbe potuto rimettersi in piedi.

Respirò a fondo per quelle che gli sembrarono delle ore.

Si sentiva un fottutissimo frappé al posto delle costole.
Il mal di testa era peggiorato.
Non ci vedeva più.

Gli occhiali.
Cazzo.
Li ho persi.
Cazzo.
Almeno non mi hanno rotto niente.


Respirò.
Le costole erano un maledetto Inferno.

Si guardò attorno. 
Scorse una macchia nera e sfocata sul marciapiede bagnato.

Si alzò a fatica.

Da quando camminare è così fottutamente difficile?

Si avvicinò barcollando ai suoi occhiali. 
Tentò inutilmente di non finire per terra un'altra volta mentre si abbassava per recuperarli.

Lo Spirito Santo lo rimise di nuovo in piedi.
Forse avrebbe dovuto cominciare a crederci, dopotutto.

Non si sa mai che non serva a qualcosa.

Si rimise gli occhiali.

Il mondo smise di essere sfocato e diventò crepato.

La lente sinistra è rotta.
Meraviglioso.
Vaffanculo.


Quando due ore dopo arrivò barcollando a casa sua, non c'era un cazzo di nessuno in giro.

Era solo.

Come sempre.

Salì in camera sua.
Si buttò sul letto così com'era. 

Bagnato. 
Distrutto.

Aveva dolori ovunque.
Dappertutto.

Cazzo...

Chiuse gli occhi.

Niente più sbornie la Domenica.
Giuro, cazzo.


Era la promessa del cazzo del Lunedì.
La promessa del cazzo che non manteneva mai.




ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
*Si affaccia dal suo angolino* salve... 
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, anche se è un pelo anticonvenzionale.
La prima versione di questa... cosa... è stata scritta qualcosa come un anno e mezzo fa durante un attacco di noia, ma da allora non c'é praticamente una sola parola che sia rimasta uguale: l'ho ripreso in mano e modificato talmente tante volte che ieri, rileggendo l'originale, avevo il dubbio di non averlo scritto io.
È un po' corto e un po'... strano... ma presto vi accorgerete che l'incasinamento è una costante nella testa di Chester.
Ok, immagino che vi stiate annoiando, perciò la smetto di scrivere puttanate.
Grazie a tutte(i?) quelle(?) che recensiranno, noi ci leggiamo il la settimana prossima con il secondo capitolo, nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate.
Con affetto

Maledetta
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Linkin Park / Vai alla pagina dell'autore: Maledetta