Eccomi
ancora qui… sono resuscitata, mi devo scusare per il mio incredibile
ritardo, ma tra i tanti impegni anche l’ispirazione mancante ci ha messo del suo!
Ne
approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia tra i
preferiti(addirittura
Ebbene
ultima informazione prima di lasciarvi al terzo capitolo che spero vi piaccia:
Anita non è un personaggio molto importante, ma ci tornerà utile
in seguito, quindi magari fateci un po’ caso,(
all’inizio volevo chiamarla Arisa come un
personaggio di Furuba, ma con l’avvento della
cantante credo che a tutti sarebbe venuta in mente lei, allora le ho cambiato
il nome^_^),poi per gli amanti delle storie con pochi personaggi vi avviso che
questa è una delle poche cose che ho scritto che presenta solo 4 o pochi
più personaggi da ricordare. Ho intenzione di trattare questa ff come un telefilm a episodi, con una coppia nuova per
ogni capitolo, ma non sarà importante ricordarsele. Spero che come idea
vi possa piacere. Grazie ancora a tutti vi lascio a Alex e Loride
^_^
Stupid
Cupid
Capitolo tre
Inizio di
un’attività commerciale
Coppia tre
[ovvero]
Quando mi cacciai nei guai
Quando
mi piombò tra capo e collo Loride ero
impegnato nella mia occupazione preferita, ovvero disegnare occhi.
Mi
colse di sorpresa, ma io non sobbalzai, e alzai gli occhi per guardarla senza
dire niente.
Lei
scese i quattro gradini che la separavano da me sorridendo in modo vagamente
beffardo.
“Loride” scandii io privo di
qualunque intonazione. Lei si bloccò poco lontano da me. “Ti
ricordi il mio nome?” chiese felicemente stupita. Alzai le spalle e feci un sorrisetto
“
Non è un nome che si dimentichi facilmente, e poi mi era particolarmente
complicato scordarmelo con un innamorato cronico che mi parlava solo ed
esclusivamente di te… e a volte anche Sara parla di te… insomma
tutti parlano di te… mi sta venendo il vomito” non credo che fosse
un complimento, ma lei rise lo stesso. Mi stupì, pensavo che si sarebbe
arrabbiata, o che non l’avrebbe capita… alzai le sopracciglia e la
guardai meravigliato, aspettando che mi desse udienza.
“Io
invece non mi ricordo come ti chiami” disse lei tranquillamente sedendosi
sui gradini come me. Nel giardino della scuola c’era una specie di
anfiteatro di quattro gradini, in una posizione in ombra, non so cosa servisse,
probabilmente a nulla; ma a me piaceva perché non ci andava mai nessuno
e potevo disegnare in santa pace. Mi stupiva che Loride
si fosse avventurata fin lì, per chiedermi come mi chiamavo.
“Alex…”
risposi tornando al mio lavoro. Lei annuì quando le sovvenne come mi
chiamavo. Non feci caso al fatto che rimase lì un po’ anche quando
io non le diedi più udienza, indaffarato a
disegnare l’occhio di una vecchietta che avevo visto al bar quella mattina.
Gli anziani vengono sempre sottovalutati,
io invece ho sempre pensato che avessero qualche cosa di magico negli occhi.
“Hai
una strana ammirazione per i gelatai?” chiese guardandomi beffarda. Io
alzai lentamente la testa per guardarla, quella volta mi prese davvero in
contropiede. Quella ragazza che si era presentata da me la prima volta come
un’ipotetica ragazza per Ivan, che aveva ricoperto il ruolo di malvagia famme fatal e che a quel punto
era venuta a cercarmi vestita di una felpa a pois decisamente evidente era
l’unica persona dopo tanto tempo capace di stupirmi.
“Gelatai?”
ripetei sorpreso. Lei annuì “Gelatai. Te
ne vai sempre in giro vestito di bianco, sembri un gelataio. Non
ti sporchi mai a sederti per terra?” chiese alludendo al fatto che mi ero
accomodato su un gradino decisamente poco pulito.
“No,
non trovo che i gelatai abbiano delle facoltà
particolari” risposi sbrigativo, e forse un po’ colpito sul vivo.
Che quella tipa a pois trovasse altri svaghi invece di fare commenti sui miei
vestiti. Le sue labbra si distesero in un sorriso un po’ stanco, mentre
io aggiungevo nervosamente una pagliuzza all’occhio che stavo disegnando.
“Comunque…Alex”
sembrò doverci pensare a come mi chiamavo, anche se glielo avevo
ripetuto pochi secondi prima. “Non sono venuta qui
per chiederti se sei figlio di un gelataio, ma per farti una
proposta”scandì a un certo punto. Le diedi nuovamente udienza
“No, comunque non sono figlio di un gelataio” ci tenni a precisare.
“Vabbè, tanto non mi interessava, potevi anche essere
figlio di un palombaro che…”
“Non
sono figlio nemmeno di un palomb…”
“E basta! Ho capito non me ne frega
nulla!” sbotto a un certo punto. Mi resi conto che forse mi ero
preso troppo a cuore la faccenda e la situazione era degenerata, mi capitava di
attaccarmi alle frasi fatte in maniera morbosa.
Mi
schiarii la voce un po’ imbarazzato “Dicevi scusa…?”
Loride fece un sospiro e sembrò recuperare tutte le
facoltà mentali con un profondo respiro dall’aria yoga.
“Tu”
cominciò “sei bravo a capire le affinità.
Come cavolo fai?” concluse con un brillio, che mi
avrebbe dovuto insospettire, che le si accendeva negli occhi.
Negli
occhi di Loride non trovai nulla. O meglio,non ci trovai le solite cose, una strana luccicanza che non mi colpì. Insomma, non trovai
nulla. Non riuscivo a vederli accostati a nessun altro quegli occhi. Erano
occhi soli. Non occhi che soffrivano di solitudine. Solo, occhi soli. Alzai le
spalle.
“Sono
perspicace” la liquidai.
“Seriamente…
sei geniale… hai mai pensato di sfruttare questa
tua…propensione” marcò molto l’ultima parola , la pronuncia della P
mi sembrò fortissima, come se mi avessero sfogliato un libro di fianco
all’orecchio, e un campanello d’allarme si attivò nel mio
cervello.
“Cosa
vorresti dire?” domandai d’un tratto sospettoso, mentre lei mi
guardava sottecchi.
“Dico:
hai mai pensato che potresti farci dei soldi?”chiese
melliflua.
“No”
risposi secco. Lei increspò le labbra e mi guardò un po’
risentita raddrizzando la schiena. Io mi ero rimesso a disegnare con più
foga di prima, come se volessi rompere il foglio pur di concentrarmi su
quell’occhio, ma la mia testa era da tutta altra parte. “Non l’hai neanche preso in considerazione.
Scommetto che non ci hai nemmeno pensato. Hai detto no e basta” mi rimbeccò Loride sicura di sé, e per nulla persa
d’animo.
Mi
costrinse ad alzare di nuovo la testa per guardarla ,
mentre continuava a parlare.
“Perché
non mi ascolti e vedi se la mia proposta può funzionare?”. La
guardai male ma non dissi nulla in attesa che proseguisse con la sua
spiegazione.
“Hai presente le agenzie matrimoniali? O quei programmi in internet fatti apposta
per conoscere gente? Ecco. Sarebbe all’incirca
così, solo che sarebbe più in piccolo… e esente da IVA, se
lo facciamo all’interno della scuola… secondo me potrebbe
funzionare…” spiegò terminando con un sorriso soddisfatto.
Accavallò le gambe e si stese un po’ sui gradini
, per stare più comoda. Arricciai le labbra e
scandii un’altra volta “No”poi aggiunsi incupito “Hai
visto? Sta volta ci ho pensato, ma è no, lo
stesso” sbottai tornando al mio disegno, intenzionato questa volta a non
essere più disturbato.
“Di
che ti preoccupi?” tornò all’attacco lei con un mezzo
sorriso.
“Cos’hai da perdere? E poi sono convinta che saresti
bravissimo come agente matrimoniale. Hai messo insieme Ivan e Sara, e
Marzia e.. e… quel tizio.. come si chiama? Vabbé, comunque , non
è la prima volta che lo fai vero?” chiese poi imperterrita.
“Lo
so che ci riuscirei” sbottai scocciato “Ma è immorale”.
Dichiarai serio, mentre lei inarcava le sopracciglia come se stessi parlando
arabo.
“Eh?”
disse soltanto per far sgorgare dalla mia bocca un fiume di parole. “E’ immorale, approfittare delle persone che vogliono
innamorarsi chiedendogli dei soldi! L’amore
è amore, e deve nascere in modo naturale, non bisogna pagare nessuno per
innamorarsi!” sproloquiai.
Loride ghignò “Sentimentalista?”
“No, moralista. E non mi convincerai mai,
hai capito?” e con queste parole me ne tornai definitivamente al mio
disegno.
*
Un
quarto d’ora dopo camminavo a passo spedito per il corridoio della scuola
affianco a Loride.
“Non
so come cavolo hai fatto a convincermi”brontolai. Lei alzò le
spalle e fece un sorrisetto “Sono Loride!posso
fare tutto…”. Sbuffai.
“E
sentiamo, quale sarebbe il tuo piano?” chiesi stancamente, e decisamente
arreso.
“Hai presente i film americani? Dove c’è
sempre il secchione che fa parte del club di scacchi a scuola?” chiese,
ma più che altro sembrò una domanda retorica.
“Sì, ma non ti seguo…” brontolai lanciando
un’occhiata schifata a un mezzo busto di pessimo gusto che se ne stava
lungo il corridoio.
“Esistono
anche qui i club, solo che nessuno vi bada…pensavo che potremmo chiedere
alla preside la licenza per fondarne uno” continuò tranquilla
camminando con la schiena dritta e la testa alta. Notai solo in quel momento il
suo andamento austero, era un po’ come se camminasse sulle punte.
“La
preside non ci darà mai il permesso… non puoi dirle che vuoi
costituire una società per cuori solitari” sbraitai fermandomi a
metà del corridoio.
Lei
indisturbata si girò su sé stessa, continuando a camminare
all’indietro per potermi guardare. “Perché
no? La preside non guarda mai le proposte degli studenti, è
sempre indaffarata con i suoi affari, non farà caso al piccolo modulo
che le daremo da firmare . e firmerà a scatola chiusa senza
leggere.” Concluse beffarda prima di rivoltarsi
dalla parte giusta. Io la raggiunsi con una corsetta.
“Quale
modulo?” domandai senza fiato. Non aveva parlato di nessun modulo!
“Questo!”
esclamò tirando fuori un pacchetto di fogli dalla borsa a tracolla.
“Non ti preoccupare per la firma, l’ho già fatta io per
te!” concluse
allegramente , mentre apriva con baldanza la porta della presidenza.
Stavo
perdendo la pazienza, le avrei urlato dietro, ma Loride
mi prese per un braccio e in un baleno ci ritrovammo dentro una stanza luminosa
dove lambiccava una donna grassoccia che non ci diede udienza. Mi ricomposi,
stando in piedi compunto accanto a Loride, e
mandandole occhiate di fuoco.
“Maledetta
imbrogliona” mormorai trai denti facendo in modo che solo lei potesse
sentirmi. Lei ghignò divertita, probabilmente non si rese conto di
quanto davvero fossi arrabbiato.
“Buon
giorno preside!” trillò facendo sobbalzare la signora di mezza
età che probabilmente non ci aveva sentiti entrare.
“Oh..oh salve ragazzi”. Loride
fece un sorriso nel quale mostrò tutti i denti. Fino ad
allora non pensavo che si potessero avere così tanti denti.
“Preside”esordì
allegra e professionale “Le ho portato un modulo da firmare”. Gli
occhi della preside calarono lentamente sulla scrivania dove Loride aveva appoggiato i documenti. Li guardò per
un po’ come se non li vedesse, tenendo la bocca leggermente aperta. Poi
si chinò scuotendo la testa intenzionata a firmarli senza nemmeno
interessarsi a cosa si trattasse. “Certo, certo ragazzi”.
Rimasi
a guardarla stupito, mentre Loride le sorrideva
benevola. Afferrò con un gesto deciso i moduli, la gratificò con
un altro sorriso a trentadue denti che lei non notò nemmeno e mi
trascinò fuori. Feci giusto in tempo a lanciare un’occhiata fugace
ai suoi occhi che volavano sperduti per la stanza. Ebbi un brivido nel vederli
così grigi. Chiusi i miei per non vedere e mi feci trascinare fuori da Loride che stava già esultando.
Rimasi
immobile e ciondolante mentre lei mi saltellava attorno
esaltata.
“Abbiamo
il permesso , abbiamo il permesso!!”
strillò improvvisando un balletto. Sospirai e alzai gli occhi al cielo.
“E
quindi adesso?” domandai con voce strascicata ,
mentre lei ancora ballava come una forsennata.
Mi
scoccò un sorrisetto contento “Adesso andiamo ad impalcare il
banchetto” disse allegra. Mi incupii “Nel tuo accordo non
c’era nessun impalco di un banchetto!” feci
sospettoso.
“Beh,
adesso c’è!” esclamò cominciando a correre per il
corridoio.
Sospirai
e la seguii rassegnato.
Più
tardi stavo cercando di attaccare una stecca di legno dipinto di rosa confetto
a un palo, a mo’ di insegna quando qualcuno mi interruppe attirando la
mia attenzione, e la stecca mi cadde sulla testa.
“Che
diamine combini?”
“Per
la miseria, avvisami quando arrivi da dietro, lo sai che mi fai spaventare , TU” brontolai guardando la ragazza mora coi capelli
lunghi e lisci, di bianco vestita che mi fissava dall’altra parte del
tavolo.
“Spiegami
cosa sarebbe questa cosa” disse puntellandosi le mani sui fianchi.
“Anita,
hai rotto le scatole più tu in questi dieci secondi, che tutte le
professoresse che ho avuto in tredici anni a scuola!”. Anita
increspò le labbra aspettando una risposta. Sospirai e cedetti
appoggiando la travetta di quell’imbarazzante
colore.
“E’
una specie di società per cuori soli…”spiegai scocciato.
“A
pagamento?” domandò sapendo già la risposta.
“Sì” feci io in un sospiro, come quello di chi sa che lo
aspetta una ramanzina.
“Ma
sei impazzito?” sbraitò con voce stridula. “E’ una
cosa assolutamente immorale!” mi sgridò. Sbuffai “Smettila
di rompere le scatole, non sai fare altro…”.
Lei
increspò le labbra e alzò il dito indice in aria come per dire
qualche cosa, poi cambiò idea , soffio è
girò i tacchi brontolando come una caffettiera. Sì, credo che la
cosa che assomigliasse di più ad Anita in quel momento fosse una
caffettiera.
“Chi
era quella?” domandò Loride riemergendo
da sotto il banchetto sotto il quale si era rifugiata per sfuggire al lavoro.
“Mia
sorella…” sbuffai.
“Una
palla eh?” fece comprensiva, annuii senza guardarla.
Non
ci volle molto perché arrivasse qualcun altro ad interrompere la mia
lotta con l’insegna.
La
figura si schiarì la voce imbarazzata, e io mi volta sbuffando pronto a
imprecare al suo indirizzo. Mi fermai quando gli vidi gli occhi. Sul momento
non feci nemmeno caso a che sesso appartenesse, non me ne importava nulla, ero
così esaltato che sarebbe potuto essere anche un macaco che non me ne
sarei minimamente accorto.
“Ehm…
devo consegnare un pacco … per…” il ragazzino sui
vent’anni coi capelli mossi e l’aria impacciata si fermò a
leggere quello che c’era scritto sul pacco. Loride
cercò di attirare l’attenzione del ragazzo allungando una mano
verso di lui e cominciando a dire “I pacchi vanno lasciati in portin…” non ebbe il tempo di finire la frase
perché io l’avevo già preso per il braccio con suo sommo
stupore per trascinarlo per il corridoio che avevo percorso poco prima.
“Alex”
fece Loride aggrottando le sopracciglia e stringendo
i pugni sui fianchi.
Mi
voltai e le feci l’occhiolino mentre me ne andavo trascinando un
contrariato postino per il corridoio.
Lei
non ci mise molto a capire, e vidi la sua espressione divenire da stupita ad
ancora più stupita “Ma è una pazzia!” strillò.
Le feci un sorriso e scaraventai il ragazzo nell’ufficio del preside
dicendo “un pacco per lei!”
*
“Io
non posso davvero crederci… quanti anni avrà quel tipo?”
domandò Loride con le sopracciglia aggrottate
mentre guardava la preside che civettava allegramente con il postino.
Alzai
le spalle “Che importa, poi…”
Poi
lei si mise a ridere “Beh, direi che questo è un ottimo inizio per
la nostra attività!” esclamò allegra saltando giù
dal palchetto dove si era seduta. “Granita per festeggiare?”
propose pimpante. Sbuffai girandole le spalle “Beh ,
direi di no” risposi mentre uscivo, avrei dovuto già sorbirmi le
interminabili lamentele di mia sorella, e quindi forse era meglio non
socializzare con il nemico, almeno per quel pomeriggio.