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Autore: Ambaraba    15/07/2016    1 recensioni
Cosa accadrebbe se i personaggi che ben conosciamo si muovessero in un mondo in cui non ci sono creature a cui dare la caccia, ma ugualmente pericolose? E se gli angeli fossero robot? E se i fratelli Winchester fossero i capi di un manipolo di esseri umani che lottano per la libertà e Metatron fosse l'artefice di una dittatura in un mondo futuristico?
E se qualcuno, caduto dal cielo per sbaglio, venisse a salvarli?
(Piccola rivisitazione fantascientifica sulla nona stagione.)
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gadreel, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
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capitolo 15

    Ciao a tutti!
Rieccomi con un altro aggiornamento – sto approfittando di ogni occasione per postare i capitoli e la mia presenza all'internet point, ormai quasi fissa, sta cominciando a destare sospetti... Credo che il tipo dietro al bancone si sia convinto che io abbia una cotta per lui, ma non è vero! >.<
    Comunque, dicevo: abbiamo lasciato il nostro eroe nel mezzo di una bruttissima situazione, ed è decisamente ora di vedere come farà a tirarsene fuori - Gaddy è un po' lento a capire le cose, ma senza dubbio ha molte risorse ;) E più lo scrivo, più mi ci sto affezionando, perciò non preoccupatevi per tutte le disavventure che sta passando... Servono soltanto a prepararci per il gran finale!
    Volevo approfittare di questo spazio per scusarmi della – forse – strana impaginazione degli ultimi capitoli O.o Ho riscontrato dei problemi di compatibilità tra il mio pc e questo da cui sto aggiornando, così ho provato a sistemare il testo ma credo che il risultato non sia proprio quello che speravo... L'anteprima continua a mostrarmi dei paragrafi che sembrano scritti in caratteri più piccoli. Se qualche utente sa come rimediare, si faccia pure avanti! :)
    Detto questo, vi lascio al cap.
Buona lettura, e a presto!!!
A. ;)



CAPITOLO QUINDICI.

    Chiamata in arrivo: FORNITORE.
Crowley rotea gli occhi al cielo, allungando una mano per toccare lo schermo e rispondere. A dire il vero, quello che ha registrato sotto quella dicitura così anonima si può considerare davvero un fornitore, dopotutto.
Di rotture di scatole.
    «Maaarv, caro!» L'inglese mette su il suo sorriso migliore – il più finto, il più smagliante. È quasi un riflesso spontaneo, ormai: il tic del venditore. «Come stai? Sbaglio o poco fa ci sono state delle... Come dire? Agitazioni, dalle tue parti?»
    La faccia sullo schermo non è affatto cordiale.
    «
Come sto??? C mancato tanto così che quegli stolti mi catturassero! Ed è proprio per questo che ti chiamo... Sai, quei sudici rivoltosi avevano delle armi insolitamente simili alle nostre.» Il basso dittatore mostra in primo piano una delle sofisticate armi stordenti perdute dall'esercito ribelle. È facile leggere il dubbio e l'insinuazione, nel suo tono. «Ecco, ne ho una proprio qui, la vedi? Eppure mi avevi detto che il brevetto era una nostra esclusiva, o sbaglio
    «Certo che sì, caro.» Crowley ha imparato che, per cavarsela, nella vita bisogna fare soltanto una cosa: negare, negare, negare. Anche l'evidenza. «Non capisco come posso aiutarti...?»
    «Oh, lo sai benissimo.» Metatron sembra ancora più brutto, quando è arrabbiato. «Si dà il caso
che l'unico legame tra me e quei bastardi sia tu... Credo che tu mi debba qualche spiegazione, Crowley.»
    «Sono desolato, Marv, ma non so proprio cosa dirti. Hai mai preso in considerazione l
'idea che – forse – non tutti i tuoi collaboratori ti sono fedeli come credi...?» Nega: e, se non basta, dà la colpa a qualcun altro.
    Metatron stringe gli occhi, furibondo.
    «Se qualcuno ha tradito, la pagherà.» Pausa e occhiata storta. «Chiunque sia stato. Odio i traditori-- Ah, e per la cronaca: non chiamarmi Marv.»
    Fine delle comunicazioni. Lo schermo torna nero, e Crowley si lascia andare sullo schienale, tamburellando le dita sulla scrivania. Che tempi, pensa. Non si può più nemmeno far girare l'economia senza incappare in rimostranze di tutti i tipi... Ed è seccante, doversene occupare di persona.
Forse è davvero il caso di aprirlo, quel centralino per il servizio clienti...

    «... Vai a svegliare Charlie e Kevin. Avranno del lavoro extra da fare, stasera...»
    «Va bene, allora vado ad aprire il passaggio per l'istituto...»
Le voci e i passi che provengono dal corridoio sono i soliti del dopo-missione.
    «Ehi--» Dean getta lo zaino da una parte, stancamente, ma quando poi alza lo sguardo, si blocca. Decisamente, non è preparato per questo. «... E tu che ci fai qui?»
    Sam se ne sta seduto con le braccia conserte sul tavolo, con la faccia assonnata. Ha l'aria di aver aspettato a lungo il ritorno della squadra, e Dean pensa di sapere perché. Solo che... Be', sperava di avere qualche altro minuto per prepararsi a dirglielo.
    «Non riuscivo a dormire, così ho preferito venire qui ad aspettare che tornaste...» risponde il fratello minore, stringendosi nelle spalle. «Allora, com'è andata? Li avete recuperati?»
    Dean deglutisce, a disagio, intuendo il casino che si scatenerà di lì a poco. «Uhm-- Be', bene... Li abbiamo recuperati tutti...» Uno, due, tre. Dai, dillo e basta. Tanto lo scoprirà lo stesso... «...Solo che ne abbiamo perso uno.»
    Sam resta a guardarlo per un istante imbarazzato, mentre un presentimento comincia a formarglisi nella testa. Solleva un sopracciglio, in attesa. «--Dean, che ne dici di argomentare? … Chi avete perso...?» Lo chiede, ma ha l'impressione di saperlo già. Sam ha imparato che gli eventi della sua vita, solitamente, seguono una sola, semplicissima regola: se qualcosa può andar male, di sicuro lo farà.
Dean abbassa lo sguardo, colpevole.
    «... Gadreel.»


    Bianco e nero, e qualche sfumatura intermedia. Plafoniere spente... Cavi penzolanti.
Questo è il soffitto che Gadreel si trova davanti, quando a poco a poco si sveglia, sbattendo le palpebre, senza riuscire a mettere bene a fuoco. Gli fa male la testa... Gli fa male tutto. Ossa e muscoli sembrano essersi fusi e ricompattati in un unico blocco doloroso. E qualcosa di diverso... Estraneo, sconosciuto e ostile, ribolle continuamente in un angolo buio della sua mente – come una voce che sussurra ordini incomprensibili e terribilmente sbagliati. Gadreel stringe le palpebre, cercando di allontanare quella voce... Di escluderla dal flusso ingarbugliato dei suoi pensieri.
Il robot geme flebilmente, riacquistando una vaga percezione di sé stesso - troppo spaventato persino dalla sola idea di muoversi per provarci davvero.
    L'eco sommessa di mugolii simili giunge attutita alle sue orecchie e il robot impiega ben più di qualche minuto per rendersi conto di non essere solo, nella penombra di quella stanza senza finestre. Sente lamentarsi altre creature, attorno a sé, e chiama a raccolta tutto il proprio coraggio per vincere il malessere e la nausea e scoprire di cosa si tratti.
    Ci sono altri corpi, distesi su lettini ricurvi che sembrano gusci... Altri androidi. Che si agitano lentamente, muovendo le braccia e tirandosi faticosamente su a sedere. E tutti muovono le labbra allo stesso modo, producendo un brusio indistinto che si fa via via più chiaro ad ogni ripetizione.
    «Per Metatron, unico capo e unico dio...»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio...»
    «Per Metatron...» Gadreel sente le tempie pulsare, mentre si unisce al mormorio. Le parole gli scivolano dalle labbra come un riflesso condizionato, ma suonano...
Sbagliate. Aliene. Una residua porzione della sua coscienza se ne rende conto, ma quel corpo estraneo che si è insediato nel suo cervello ora grida più forte - lo obbliga a forzare la propria volontà e obbedire all'impulso. È il virus che lo condiziona, che mangia i suoi pensieri e li sostituisce con ordini di obbedienza e docilità. «... Unico capo, e...» L'androide si morde il labbro, abbandonando la testa sul lettino e artigliandosi al bordo. Non riesce quasi a capire cosa stia dicendo, nelle condizioni in cui è, ma... Perché si sente così sporco? Così... fuori posto, mentre pronuncia quelle parole? «... E unico--»
    Il virus gli ordina di alzarsi in piedi, ma lo stimolo non arriva fino alle gambe e Gadreel si sporge più del dovuto, sbilanciandosi e rovinando pesantemente oltre il bordo della branda con un gemito di disappunto. Resta disteso sul pavimento, con la testa che bolle e che gira, una guancia premuta sulla superficie fresca. Solo qualche minuto...
Solo qualche minuto, chiede, sconnessamente. Qualche minuto per sbrogliare quei pensieri così dissonanti, per liberarsi da quella fastidiosa presenza estranea che gli ordina di fare cose che non vuole. Soltanto qualche istante... Per recuperare un po' le forze, per... Schiarirsi un po' le idee...
    I suoi occhi grigioverdi sembrano diventati più scuri, per la stanchezza e per tutto quello che ha passato. Il virus spinge per tirarlo in piedi, ma Gadreel resta lì dov'è. Se la resistenza passiva è l'unica arma che gli è rimasta, allora la userà, pensa il robot vagamente. Non si muoverà mai più. Resterà per sempre inchiodato su quel pavimento... Tutto, pur di non obbedire a Metatron.
    Guardare il pavimento è un passatempo monotono, però, e ben presto Gadreel sente i suoi pensiero farsi di nuovo frammentati. Continua a non ricevere alcuna immagine dall'occhio danneggiato, ma davanti a sé vede l'immagine sgranata della propria mano distesa. Ha le nocche sbucciate...
Chissà come mai.
    Sommari ricordi di un'aggressione subita di notte, in cima a una collina, riemergono nel buio... Sprazzi di avvenimenti.
    Da qualche recesso superstite della sua memoria, Gadreel vede riaffiorare dei fotogrammi di qualcosa che non ricorda... o forse sì? Non ha controllo sul flusso delle sue associazioni mentali: è come essere immersi nel dormiveglia. Quanta forza occorrerà per mantenere in vita quelle immagini prima che il virus le riscriva? … Quanto a lungo potrà resistere, prima che la riprogrammazione cancelli ogni traccia di ciò che ha vissuto nei giorni precedenti?
    Mani. Gadreel si concentra sulle mani. Le sue mani tenute tra quelle di un'altra persona. Mani sulla sua spalla... Segni di incoraggiamento, di amicizia, di affetto. Facce che non ricorda... Che non riesce ad associare... Ma che gli suscitano sensazioni di calore, di accettazione... Di nostalgia.
    A fatica, puntellandosi sui gomiti e poi aggrappandosi alla struttura di metallo del lettino, Gadreel si trascina in ginocchio, in piedi. Ha ancora bisogno di appoggiarsi... La stanza oscilla pericolosamente.
    Attorno a lui, tutti hanno sguardi vuoti ed espressioni neutre, e declamano quel mantra che lui si è rifiutato di ripetere fino in fondo. Guardano fissi in un punto, sembra che non facciano alcun caso a lui.
    Gadreel si massaggia la fronte, sottosopra. Non ricorda quasi nulla, ma c'è qualcosa che non va... Cosa ci fa lui lì? Sente che non dovrebbe essere in mezzo a loro... Dovrebbe essere--
Dove? Già, dove?
    Il robot si guarda le mani, sperando di recuperare qualche indizio, qualche traccia delle sensazioni che ha provato poco prima. Cosa erano quelle immagini che per un attimo sono tornate in superficie nella sua coscienza?

    Mani strette attorno alle sue, sopra un ripiano di legno, accanto a un bicchiere pieno di un liquido dorato... Pacche sulla schiena, e gomitate affettuose. Chi ha fatto tutto questo..? Quando? E perché? È accaduto davvero... O è soltanto un prodotto della sua fantasia?
Sembrano i ricordi di qualcun altro... Frammenti di una vita che non è la sua.
    D'un tratto, la porta della stanza stride e si apre, gettando una fastidiosa lama di luce all'interno.
    «Ehi, guarda, si sono già svegliati,» dice una voce. «Anche quello rotto...»
Il chiarore improvviso ferisce la vista già compromessa di Gadreel, che deve coprirsi gli occhi con un braccio e barcolla, cercando di muovere un passo in avanti. Non voleva farlo, ma anche gli altri robot fanno lo stesso... Come se obbedissero a un comando silenzioso.
    L'androide non ha la minima idea di cosa stia succedendo. L'impressione di trovarsi nel posto sbagliato rimane, ed è sempre più pressante – ma la voce nella sua testa è divenuta frastuono, e Gadreel non ha la forza di sopportarla ancora. Obbedisce, pur di metterla a tacere...
Stancamente, imita ciò che fanno gli altri mentre la sua percezione dello spazio e del proprio corpo si fa labile. Non ha più la forza di opporsi... È stremato. Si unisce agli altri androidi e si dispone in fila, anche se non ne ha voglia...
    L
ascia che la confusione dei suoi pensieri rotoli dentro di lui senza un ordine, come palle di neve che si schiantano sulla corteccia di un albero.
    «Per chi combatti?»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio.»
    «E tu, per chi combatti?»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio.»
Vengono condotti in un'enorme sala bianca e disposti in fila. Due ufficiali tecnici passano di fronte ad ogni androide, verificano la risposta neurale esaminando il fondo delle pupille con una sorta di piccolo laser. La procedura è rapida e impersonale.
    Uno degli ufficiali si ferma di fronte a Gadreel.
    «E tu?»
    «Per Metatron... Unico capo e unico dio.»
No, non è vero.
Gadreel non ci crede, mentre lo dice; ma fare ciò che fanno gli altri sembra essere il modo più facile di cavarsela.
    Qualcosa non va, però.
L'uomo in uniforme lo scruta per qualche istante ancora. E poi, ripete l'ispezione, con enorme fastidio di Gadreel - La luce forte gli fa venire voglia di chiudere palpebre, ma non può.
Gli altri non lo hanno fatto.
    L'ufficiale tecnico esita, di fronte a lui. Qualcosa dentro Gadreel sussulta, ma solo per un attimo - e all'esterno riesce a restare impassibile.
    «Questo qui ha il nervo ottico staccato. Portatelo a riparare,» dice infine il soldato di Metatron, riponendo il suo strumento in una custodia.
    Pochi istanti, e due guardie lo prendono sottobraccio e lo conducono lungo un interminabile corridoio di un bianco accecante.
Gadreel ha difficoltà a mettere un piede davanti all'altro, ma cerca di non pensarci e camminare. Non pensarci.
Non pensarci è l'unico modo di non rallentare, di non farsi dichiarare inabile, di non farsi disattivare.
    «Siediti qui e aspetta il tecnico,» gli dicono le guardie, prima di lasciarlo da solo sul letto per le riparazioni di un piccolo stanzino. Tutt'intorno a lui ci sono laser, cacciaviti, strumenti di diagnosi...
    … Dove ha già visto quelle cose?

    L'uomo se ne sta chino e concentrato, seduto su uno sgabello di fronte a lui. Sta saldando le giunture del ginocchio con tutta la cura e l'attenzione possibile – come un antico maestro di arti magiche o una divinità di una cultura sconosciuta e sapiente, in grado di dare vita alla materia inanimata. Gadreel lo osserva, come sempre. Quietamente, con curiosità.
    «E quindi l'amore cos'è?» L'argomento del giorno, uno dei più grandi misteri dell'umanità.
    «È qualcosa che tiene unite le persone. Una cosa che fa fare tante cose splendide.»

Chuck assembla l'androide con accuratezza, prendendosi tutto il tempo necessario per curare ogni dettaglio, e nel frattempo chiacchierano. Del più e del meno, dei grandi temi così come di cose infinitamente minuscole e trascurabili – ma non per la mente vergine di Gadreel, portatore sano di un interesse inesauribile e a volte quasi indiscreto.
    «Ad esempio?»
    «Ad esempio,
aiutare gli altri. Proteggerli. Assicurarsi che non manchi loro mai nulla. Mettere il loro bene prima del proprio... Sacrificarsi, anche, se necessario.»
    Perfezione. Quella giuntura dev'essere la cosa più vicina alla perfezione che sia mai stata creata. Con quelle gambe, Gadreel imparerà a camminare e poi correrà. Porterà lontano, per milioni di passi, il sogno del suo creatore. Potrà saltare e arrampicarsi... Andare a vedere come sono fatte le cose.
    «
Che vuol dire
sacrificarsi
    «Vuol dire rinunciare ad avere qualcosa per se per darla a qualcun altro, perche si crede che sia giusto così. Ci si sacrifica rinunciando a un vantaggio personale... O rifiutando di percorrere la strada più semplice, se ci porta nella direzione sbagliata. Ci si sacrifica anche rinunciando alla vita, nei casi più estremi.»
    Il ronzio sottile del laser è rilassante. Il robot attende qualche istante, prima di formulare una nuova domanda.
    «
Perché si arriva a questo punto
    Chuck solleva un angolo della bocca. Parlare con Gadreel significa accettare di prendere parte a un infinito
gioco dei perché. Lo scienziato percorre con entrambe le mani i componenti di quell'articolazione che ha appena assemblato, saggiandone la consistenza e assicurandosi che ogni parte sia inserita in modo corretto.
    «Perché non sempre la vita ti rende le cose facili. Anzi: quasi mai, a dire il vero. A volte ti mette di fronte a delle scelte che fanno soffrire te o chi hai accanto. E allora... Allora è facile dimenticarti chi sei. Ma c una cosa che devi ricordare sempre, Gadreel...» L'uomo solleva lo sguardo, incontrando quello chiaro e privo di ombre della sua creatura. «La vera forza del bene si vede quando tutto va male. È troppo facile essere buoni quando è tutto perfetto, quando ogni cosa funziona, quando le persone attorno a te ti ricoprono di affetto e nessun turbamento ti sconvolge l'esistenza. Ma è quando non c nulla di tutto questo, Gadreel, che si vede se il bene è vero oppure no... Se è in grado di resistere alle intemperie - come un melo dalle radici profonde, che dopo la gelata sarà comunque in grado di dare frutto.» Gadreel non dice niente, lo guarda come in attesa del seguito. «Alcuni, però, quando le cose si mettono male, decidono che essere buoni non conviene più e perdono loro stessi. Perché non ricordano più chi sono, e qual è il loro compito.»
    «
E quindi che succede
    «
E quindi diventano cattivi. Si lasciano andare, perché è più comodo assecondare la piega degli eventi, invece che lottare per restare coerenti con loro stessi - e magari rimetterci, per farlo. Ma questo... Questo non è inevitabile. Si può agire diversamente... Si può
sempre agire diversamente, Gadreel. Quando ti diranno che non c altra soluzione, che devi rinunciare a quello in cui credi perché ormai tutto il mondo va così... Tu lasciali parlare, ma non ci credere. E aggrappati a quello che hai, aggrappati alla tua missione con tutte le tue forze. Non fartelo portare via.»
Chuck risospinge gli occhiali da lavoro sulla punta del naso, come ogni volta che gli scivolano un po' giù, e poi riprende.
    «
Quando ti diranno che non vale la pena sacrificarsi per qualcosa di buono, tu non crederci. Ne vale sempre la pena, Gadreel. Che si tratti di proteggere un intero pianeta o di salvare una singola persona... Il bene ha un potere immenso. È ostinato, combattivo. Più la situazione sembra degenerare, e più il bene si ingegna per resistere. È una risorsa incredibile, sai... Per questo è l'unica cosa che valga davvero la pena servire.»
    Le pupille di Gadreel scrutano il volto del padre. Sono cariche di esitazione, di aspettativa... E di uno sconfinato timore di non rivelarsi all'altezza.
    «
E se... Se mi dimentico? Se mi perdo, come quelli che diventano cattivi
    «
Non succederà. Tu hai qualcosa che non ho messo in nessun altro, Gadreel. Spero che tu non debba scoprirlo mai, ma... Al momento opportuno, io so che te ne ricorderai. Sei il mio figlio. Ti ho creato con le migliori intenzioni, e con tutto l'amore che possiedo. Conosco ogni più profondo recesso della tua mente, ogni dettaglio dei tuoi ingranaggi... E sulla base di questo, posso affermare con assoluta certezza che tu sei la creatura più pura che sia mai esistita dalla notte dei tempi fino ad oggi. E sei anche forte. Perciò... Sì, probabilmente le tentazioni arriveranno. Le difficoltà, anche. Ma tu ti ricorderai chi sei. Ricorderai cosa vuol dire essere un servitore del bene. Io so che lo farai.»
    Chuck posa il laser e chiude le mani dell'androide tra le sue, sorridendo.
    «Gadreel, il male esiste: questo è innegabile.
Perché gli uomini talvolta non riescono a vedere oltre loro stessi, diventano egoisti, superficiali e cattivi. Ma tu non devi mai, mai avere paura del male che potrai incontrare. Mai. Ricorda sempre questo, Gadreel: è proprio quando fa più buio che le fiamme brillano con più forza.»

  
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