Ciao a tutti!
Rieccomi
con un altro aggiornamento – sto approfittando di ogni occasione
per postare i capitoli e la mia presenza all'internet point, ormai
quasi fissa, sta cominciando a destare sospetti... Credo che il tipo
dietro al bancone si sia convinto che io abbia una cotta per lui, ma
non è vero! >.<
Comunque, dicevo: abbiamo lasciato il nostro eroe nel mezzo di
una bruttissima situazione, ed è
decisamente ora di vedere come farà a tirarsene fuori - Gaddy è
un po' lento a capire le cose,
ma senza dubbio ha molte risorse ;) E più
lo scrivo, più mi ci sto
affezionando, perciò non preoccupatevi per tutte le disavventure che
sta passando... Servono soltanto a prepararci per il gran finale!
Volevo approfittare di questo spazio per scusarmi della –
forse – strana impaginazione degli ultimi capitoli O.o Ho
riscontrato dei problemi di compatibilità tra il mio pc e questo da
cui sto aggiornando, così ho provato a sistemare il testo ma credo
che il risultato non sia proprio quello che speravo... L'anteprima
continua a mostrarmi dei paragrafi che sembrano scritti in caratteri
più piccoli. Se qualche utente sa
come rimediare, si faccia pure avanti! :)
Detto
questo, vi lascio al cap.
Buona lettura, e a presto!!!
A. ;)
CAPITOLO
QUINDICI.
Chiamata
in arrivo: FORNITORE.
Crowley
rotea gli occhi al cielo, allungando una mano per toccare lo schermo
e rispondere. A dire il vero, quello che ha registrato sotto quella
dicitura così anonima si può considerare davvero un
fornitore, dopotutto.
Di
rotture di scatole.
«Maaarv,
caro!» L'inglese mette su il suo
sorriso migliore – il più finto, il più smagliante. È quasi un
riflesso spontaneo, ormai: il tic del venditore. «Come stai? Sbaglio
o poco fa ci sono state delle... Come dire? Agitazioni,
dalle tue parti?»
La
faccia sullo schermo non è affatto cordiale.
«Come
sto??? C'è
mancato tanto così che quegli stolti mi catturassero! Ed è
proprio per questo che ti chiamo... Sai, quei sudici rivoltosi
avevano delle armi insolitamente simili alle nostre.»
Il basso dittatore mostra in primo piano una delle sofisticate armi
stordenti perdute dall'esercito ribelle. È facile leggere il dubbio
e l'insinuazione, nel suo tono. «Ecco, ne ho una proprio qui,
la vedi? Eppure mi avevi
detto che il brevetto era una nostra esclusiva, o sbaglio?»
«Certo
che sì, caro.» Crowley ha imparato che, per cavarsela, nella vita
bisogna fare soltanto una cosa: negare, negare, negare. Anche
l'evidenza. «Non capisco come posso aiutarti...?»
«Oh,
lo sai benissimo.» Metatron sembra ancora più brutto, quando è
arrabbiato. «Si dà il caso che l'unico
legame tra me e quei bastardi sia tu... Credo che tu mi debba
qualche spiegazione, Crowley.»
«Sono
desolato, Marv, ma non so proprio cosa dirti. Hai mai preso in
considerazione l'idea
che – forse – non
tutti i tuoi collaboratori ti sono fedeli come credi...?»
Nega: e, se non basta, dà la colpa a qualcun altro.
Metatron
stringe gli occhi, furibondo.
«Se
qualcuno ha tradito, la
pagherà.» Pausa e
occhiata storta. «Chiunque
sia stato. Odio i traditori-- Ah, e per la cronaca: non chiamarmi Marv.»
Fine
delle comunicazioni. Lo schermo torna nero, e Crowley si lascia
andare sullo schienale, tamburellando le dita sulla scrivania. Che
tempi, pensa. Non si può più
nemmeno far girare l'economia
senza incappare in rimostranze di tutti i tipi... Ed è
seccante, doversene occupare di persona.
Forse è
davvero il caso di aprirlo, quel centralino per il servizio
clienti...
«...
Vai a svegliare Charlie e Kevin. Avranno del lavoro extra da fare,
stasera...»
«Va
bene, allora vado ad aprire il passaggio per l'istituto...»
Le
voci e i passi che provengono dal corridoio sono i soliti del
dopo-missione.
«Ehi--»
Dean getta lo zaino da una parte, stancamente, ma quando poi alza lo
sguardo, si blocca. Decisamente, non è
preparato per questo. «... E tu che ci fai qui?»
Sam
se ne sta seduto con le braccia conserte sul tavolo, con la faccia
assonnata. Ha l'aria di aver
aspettato a lungo il ritorno della squadra, e Dean pensa di sapere
perché. Solo che... Be',
sperava di avere qualche altro minuto per prepararsi a dirglielo.
«Non
riuscivo a dormire, così ho preferito venire qui ad aspettare che
tornaste...» risponde il fratello minore, stringendosi nelle spalle.
«Allora, com'è andata? Li avete
recuperati?»
Dean
deglutisce, a disagio, intuendo il casino che si scatenerà di lì a poco.
«Uhm-- Be', bene... Li
abbiamo recuperati tutti...» Uno, due, tre. Dai, dillo e basta.
Tanto lo scoprirà lo stesso... «...Solo che ne abbiamo perso
uno.»
Sam
resta a guardarlo per un istante imbarazzato, mentre un presentimento
comincia a formarglisi nella testa. Solleva un sopracciglio, in
attesa. «--Dean, che ne dici di
argomentare? … Chi
avete perso...?» Lo chiede, ma ha l'impressione di saperlo già. Sam
ha imparato che gli eventi della sua vita, solitamente, seguono una
sola, semplicissima regola: se qualcosa può andar male, di sicuro lo
farà.
Dean
abbassa lo sguardo, colpevole.
«...
Gadreel.»
Bianco
e nero, e qualche sfumatura intermedia. Plafoniere spente... Cavi
penzolanti.
Questo
è il soffitto che Gadreel si trova davanti, quando a poco a poco si
sveglia, sbattendo le palpebre, senza riuscire a mettere bene a
fuoco. Gli fa male la testa... Gli fa male tutto. Ossa e muscoli
sembrano essersi fusi e ricompattati in un unico blocco doloroso. E
qualcosa di diverso... Estraneo, sconosciuto e ostile, ribolle
continuamente in un angolo buio della sua mente – come una voce che
sussurra ordini incomprensibili e terribilmente sbagliati. Gadreel
stringe le palpebre, cercando di allontanare quella voce... Di
escluderla dal flusso ingarbugliato dei suoi pensieri.
Il
robot geme flebilmente, riacquistando una vaga percezione di sé
stesso - troppo spaventato persino dalla sola idea di muoversi per
provarci davvero.
L'eco
sommessa di mugolii simili giunge attutita alle sue orecchie e il
robot impiega ben più di qualche minuto per rendersi conto di non
essere solo, nella penombra di quella stanza senza finestre. Sente
lamentarsi altre creature, attorno a sé, e chiama a raccolta tutto
il proprio coraggio per vincere il malessere e la nausea e scoprire
di cosa si tratti.
Ci
sono altri corpi, distesi su lettini ricurvi che sembrano gusci...
Altri androidi. Che si agitano lentamente, muovendo le braccia e
tirandosi faticosamente su a sedere. E tutti muovono le labbra allo
stesso modo, producendo un brusio indistinto che si fa via via più
chiaro ad ogni ripetizione.
«Per
Metatron, unico capo e unico dio...»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio...»
«Per
Metatron...» Gadreel sente le tempie pulsare, mentre si unisce al
mormorio. Le parole gli scivolano dalle labbra come un riflesso
condizionato, ma suonano... Sbagliate.
Aliene. Una residua
porzione della sua coscienza se ne rende conto, ma quel corpo
estraneo che si è insediato nel suo cervello ora grida più forte -
lo obbliga a forzare la propria volontà e obbedire all'impulso. È
il virus che lo condiziona, che mangia i suoi pensieri e li
sostituisce con ordini di obbedienza e docilità. «... Unico capo,
e...» L'androide si morde il labbro, abbandonando la testa sul
lettino e artigliandosi al bordo. Non riesce quasi a capire cosa stia
dicendo, nelle condizioni in cui è, ma... Perché si sente così
sporco? Così... fuori
posto, mentre pronuncia
quelle parole? «... E unico--»
Il
virus gli ordina di alzarsi in piedi, ma lo stimolo non arriva fino
alle gambe e Gadreel si sporge più del dovuto, sbilanciandosi e
rovinando pesantemente oltre il bordo della branda con un gemito di
disappunto. Resta disteso sul pavimento, con la testa che bolle e che
gira, una guancia premuta sulla superficie fresca. Solo qualche
minuto... Solo qualche
minuto, chiede,
sconnessamente. Qualche minuto per sbrogliare quei pensieri così
dissonanti, per liberarsi da quella fastidiosa presenza estranea che
gli ordina di fare cose che non vuole. Soltanto qualche
istante... Per recuperare un po' le forze, per... Schiarirsi un po'
le idee...
I
suoi occhi grigioverdi sembrano diventati più scuri, per la
stanchezza e per tutto quello che ha passato. Il virus spinge per
tirarlo in piedi, ma Gadreel resta lì dov'è. Se la resistenza
passiva è l'unica arma che gli è rimasta, allora la userà, pensa
il robot vagamente. Non si muoverà mai più. Resterà per sempre
inchiodato su quel pavimento... Tutto, pur di non obbedire a
Metatron.
Guardare
il pavimento è un passatempo monotono, però, e ben presto Gadreel
sente i suoi pensiero farsi di nuovo frammentati. Continua a non
ricevere alcuna immagine dall'occhio danneggiato, ma davanti a sé
vede l'immagine sgranata della propria mano distesa. Ha le nocche
sbucciate... Chissà come
mai.
Sommari
ricordi di un'aggressione subita di notte, in cima a una collina,
riemergono nel buio... Sprazzi di avvenimenti.
Da
qualche recesso superstite della sua memoria, Gadreel vede
riaffiorare dei fotogrammi di qualcosa che non ricorda... o forse sì?
Non ha controllo sul flusso delle sue associazioni mentali: è come
essere immersi nel dormiveglia. Quanta forza occorrerà per mantenere
in vita quelle immagini prima che il virus le riscriva? … Quanto a
lungo potrà resistere, prima che la riprogrammazione cancelli ogni
traccia di ciò che ha vissuto nei giorni precedenti?
Mani.
Gadreel si concentra
sulle mani. Le sue mani tenute tra quelle di un'altra persona. Mani
sulla sua spalla... Segni di incoraggiamento, di amicizia, di
affetto. Facce che non ricorda... Che non riesce ad associare... Ma
che gli suscitano sensazioni di calore, di accettazione... Di
nostalgia.
A
fatica, puntellandosi sui gomiti e poi aggrappandosi alla struttura
di metallo del lettino, Gadreel si trascina in ginocchio, in piedi.
Ha ancora bisogno di appoggiarsi... La stanza oscilla
pericolosamente.
Attorno
a lui, tutti hanno sguardi vuoti ed espressioni neutre, e declamano
quel mantra che lui si è rifiutato di ripetere fino in fondo.
Guardano fissi in un punto, sembra che non facciano alcun caso a lui.
Gadreel
si massaggia la fronte, sottosopra. Non ricorda quasi nulla, ma c'è
qualcosa che non va... Cosa ci fa lui lì? Sente che non dovrebbe
essere in mezzo a loro... Dovrebbe essere-- Dove?
Già, dove?
Il
robot si guarda le mani, sperando di recuperare qualche indizio,
qualche traccia delle sensazioni che ha provato poco prima. Cosa
erano quelle immagini che per un attimo sono tornate in superficie
nella sua coscienza?
Mani
strette attorno alle sue, sopra un ripiano di legno, accanto a un
bicchiere pieno di un liquido dorato... Pacche sulla schiena, e
gomitate affettuose. Chi ha fatto tutto questo..?
Quando? E perché?
È accaduto davvero... O è soltanto
un prodotto della sua fantasia?
Sembrano
i ricordi di qualcun altro... Frammenti di una vita che non è
la sua.
D'un
tratto, la porta della stanza stride e si apre, gettando una
fastidiosa lama di luce all'interno.
«Ehi,
guarda, si sono già svegliati,» dice una voce. «Anche quello
rotto...»
Il
chiarore improvviso ferisce la vista già compromessa di Gadreel, che
deve coprirsi gli occhi con un braccio e barcolla, cercando di
muovere un passo in avanti. Non voleva farlo, ma anche gli altri
robot fanno lo stesso... Come se obbedissero a un comando silenzioso.
L'androide
non ha la minima idea di cosa stia succedendo. L'impressione di
trovarsi nel posto sbagliato rimane, ed è sempre più pressante –
ma la voce nella sua testa è divenuta frastuono, e Gadreel non ha la
forza di sopportarla ancora. Obbedisce, pur di metterla a tacere...
Stancamente,
imita ciò che fanno gli altri mentre la sua percezione dello spazio
e del proprio corpo si fa labile. Non ha più la forza di opporsi...
È stremato. Si unisce agli altri androidi e si dispone in fila,
anche se non ne ha voglia...
Lascia
che la confusione dei suoi pensieri rotoli dentro di lui senza un
ordine, come palle di neve che si schiantano sulla corteccia di un
albero.
«Per
chi combatti?»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio.»
«E
tu, per chi combatti?»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio.»
Vengono
condotti in un'enorme sala bianca e disposti in fila. Due ufficiali
tecnici passano di fronte ad ogni androide, verificano la risposta
neurale esaminando il fondo delle pupille con una sorta di piccolo
laser. La procedura è rapida e impersonale.
Uno
degli ufficiali si ferma di fronte a Gadreel.
«E
tu?»
«Per
Metatron... Unico capo e unico dio.»
No,
non è vero. Gadreel non
ci crede, mentre lo dice; ma fare ciò che fanno gli altri sembra
essere il modo più facile di cavarsela.
Qualcosa
non va, però.
L'uomo
in uniforme lo scruta per qualche istante ancora. E poi, ripete
l'ispezione, con enorme fastidio di Gadreel - La luce forte gli fa
venire voglia di chiudere palpebre, ma non può.
Gli
altri non lo hanno fatto.
L'ufficiale
tecnico esita, di fronte a lui. Qualcosa dentro Gadreel sussulta, ma
solo per un attimo - e all'esterno riesce a restare impassibile.
«Questo
qui ha il nervo ottico staccato. Portatelo a riparare,» dice infine
il soldato di Metatron, riponendo il suo strumento in una custodia.
Pochi
istanti, e due guardie lo prendono sottobraccio e lo conducono lungo
un interminabile corridoio di un bianco accecante. Gadreel ha
difficoltà a mettere un piede davanti all'altro,
ma cerca di non pensarci e camminare. Non pensarci.
Non
pensarci è l'unico
modo di non rallentare, di non farsi dichiarare inabile, di non farsi
disattivare.
«Siediti
qui e aspetta il tecnico,» gli dicono le guardie, prima di lasciarlo
da solo sul letto per le riparazioni di un piccolo stanzino.
Tutt'intorno a lui ci sono laser, cacciaviti, strumenti di
diagnosi...
…
Dove ha già visto quelle cose?
L'uomo
se ne sta chino e concentrato, seduto su uno sgabello di fronte a
lui. Sta saldando le giunture del ginocchio con tutta la cura e
l'attenzione possibile –
come un antico maestro di arti magiche o una divinità di una cultura
sconosciuta e sapiente, in grado di dare vita alla
materia inanimata. Gadreel lo osserva, come sempre.
Quietamente, con curiosità.
«E
quindi l'amore cos'è?»
L'argomento del
giorno, uno dei più grandi misteri dell'umanità.
«È
qualcosa che tiene unite le persone. Una cosa che fa fare
tante cose splendide.»
Chuck
assembla l'androide con accuratezza, prendendosi tutto il tempo
necessario per curare ogni dettaglio, e nel frattempo chiacchierano.
Del più e del meno, dei grandi temi così come di cose infinitamente
minuscole e trascurabili – ma non per la mente vergine di Gadreel,
portatore sano di un interesse inesauribile e a volte quasi
indiscreto.
«Ad
esempio?»
«Ad
esempio, aiutare gli altri. Proteggerli. Assicurarsi che non
manchi loro mai nulla. Mettere il loro bene prima del proprio...
Sacrificarsi, anche, se necessario.»
Perfezione.
Quella giuntura dev'essere la cosa più vicina alla perfezione che
sia mai stata creata. Con quelle gambe, Gadreel imparerà a camminare
e poi correrà. Porterà lontano, per milioni di passi, il sogno del
suo creatore. Potrà saltare e arrampicarsi... Andare a vedere come
sono fatte le cose.
«Che
vuol dire sacrificarsi?»
«Vuol
dire rinunciare ad avere qualcosa per se per darla a qualcun altro,
perche si crede che sia giusto così. Ci si sacrifica rinunciando a
un vantaggio personale... O rifiutando di percorrere la strada più
semplice, se ci porta nella direzione sbagliata. Ci si sacrifica
anche rinunciando alla vita, nei casi più
estremi.»
Il
ronzio sottile del laser è rilassante. Il robot attende qualche
istante, prima di formulare una nuova domanda.
«Perché
si arriva a questo punto?»
Chuck
solleva un angolo della bocca. Parlare con Gadreel significa
accettare di prendere parte a un infinito gioco
dei perché.
Lo scienziato percorre con entrambe le mani i componenti di
quell'articolazione che ha
appena assemblato, saggiandone la consistenza e assicurandosi che
ogni parte sia inserita in modo corretto.
«Perché
non sempre la vita ti rende le cose facili. Anzi: quasi mai, a dire
il vero. A volte ti mette di fronte a delle scelte che fanno soffrire
te o chi hai accanto. E allora... Allora è
facile dimenticarti chi sei. Ma c'è
una cosa che devi ricordare sempre, Gadreel...»
L'uomo solleva lo sguardo, incontrando quello chiaro e privo di ombre
della sua creatura. «La vera forza del bene si vede quando
tutto va male. È troppo
facile essere buoni quando è
tutto perfetto, quando ogni cosa funziona, quando le persone attorno
a te ti ricoprono di affetto e nessun turbamento ti sconvolge
l'esistenza. Ma è
quando non c'è nulla di
tutto questo, Gadreel, che si vede se il bene è
vero oppure no... Se è in grado di
resistere alle intemperie - come un melo dalle radici profonde, che
dopo la gelata sarà comunque in grado di dare frutto.» Gadreel non
dice niente, lo guarda come in attesa del seguito. «Alcuni, però,
quando le cose si mettono male, decidono che essere buoni non
conviene più e perdono
loro stessi. Perché
non ricordano più chi sono,
e qual è il loro compito.»
«E
quindi che succede?»
«E
quindi diventano cattivi. Si lasciano andare, perché
è più comodo
assecondare la piega degli eventi, invece che lottare per restare
coerenti con loro stessi - e magari rimetterci, per farlo. Ma
questo... Questo non è
inevitabile. Si può agire diversamente... Si può sempre
agire diversamente, Gadreel. Quando ti diranno che non c'è
altra soluzione, che devi rinunciare a quello in cui credi perché
ormai tutto il mondo va così... Tu lasciali parlare, ma non ci
credere. E aggrappati a quello che hai, aggrappati alla tua missione
con tutte le tue forze. Non fartelo portare via.»
Chuck
risospinge gli occhiali da lavoro sulla punta del naso, come ogni
volta che gli scivolano un po' giù, e poi riprende.
«Quando
ti diranno che non vale la pena sacrificarsi per qualcosa di buono,
tu non crederci. Ne vale sempre la pena, Gadreel. Che si tratti di
proteggere un intero pianeta o di salvare una singola persona... Il
bene ha un potere immenso. È
ostinato, combattivo. Più la
situazione sembra degenerare, e più
il bene si ingegna per resistere. È
una risorsa incredibile, sai... Per questo è
l'unica cosa che valga
davvero la pena servire.»
Le
pupille di Gadreel scrutano il volto del padre. Sono cariche di
esitazione, di aspettativa... E di uno sconfinato timore di non
rivelarsi all'altezza.
«E
se... Se mi dimentico? Se mi
perdo, come quelli che diventano cattivi?»
«Non
succederà. Tu hai qualcosa che non ho messo in nessun altro,
Gadreel. Spero che tu non debba scoprirlo mai, ma... Al momento
opportuno, io so che te ne ricorderai. Sei il mio figlio. Ti ho
creato con le migliori intenzioni, e con tutto l'amore
che possiedo. Conosco ogni più
profondo recesso della tua mente, ogni dettaglio dei tuoi
ingranaggi... E sulla base di questo, posso affermare con assoluta
certezza che tu sei la creatura più
pura che sia mai esistita dalla notte dei tempi fino ad oggi. E sei
anche forte. Perciò... Sì, probabilmente le tentazioni arriveranno.
Le difficoltà, anche. Ma tu ti ricorderai chi sei. Ricorderai cosa
vuol dire essere un servitore del bene. Io so che lo farai.»
Chuck
posa il laser e chiude le mani dell'androide tra le sue, sorridendo.
«Gadreel,
il male esiste: questo è innegabile. Perché
gli uomini talvolta non riescono a vedere oltre loro stessi, diventano egoisti, superficiali e cattivi. Ma tu non devi mai, mai
avere paura del male che potrai incontrare. Mai. Ricorda sempre
questo, Gadreel: è proprio
quando fa più buio che le
fiamme brillano con più
forza.»