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Autore: Liaris_Giu_1D    16/07/2016    2 recensioni
A ventisei anni, Clair Roberts è uno dei migliori agenti della squadra omicidi dell'FBI di New York. Un caso apparentemente impossibile da risolvere, un fastidiosissimo e affascinante capo con cui collaborare, un misterioso nuovo vicino di casa, un serial killer in libertà... Sono solo alcune delle cose che sconvolgeranno la vita di Clair, che si ritroverà a combattere per difendere ciò in cui crede: la giustizia.
Dal primo capitolo:
"Roberts, questa notte è stato ritrovato il cadavere di una donna di trent'anni, bianca, proprio qui, a New York. Indossava un abito nero, e delle scarpe lucide. Si tratta della terza donna che troviamo in queste condizioni. La seconda è stata rinvenuta quasi un anno fa vicino a Los Angeles, ma hanno riconosciuto che era lo stesso killer solo di recente" disse piano.
Sollevai la testa di scatto e lo fissai. Tre donne. Stesso modus operandi di colui che due anni fa aveva ucciso Adelaide Reinolds. Quel caso mi aveva perseguitato per mesi, ma non ero riuscita a trovare l'assassino.
"Non è più un mio caso" mormorai riabbassando lo sguardo sul computer davanti a me. Iniziai a stilare il rapporto ma fui nuovamente distratta dal mio capo.
"Ora è ufficialmente un nostro caso"
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1




Il suono fastidioso della sveglia ruppe la quiete della casa. Certo, il silenzio sarebbe stato assoluto se solo non ci fossero stati i suoni attutiti del traffco di New York, le grida delle coppie in crisi, le tv accese dei vicini, la musica sparata a tutto volume anche a tarda notte... Insomma, questa città non era propriamente sinonimo di tranquillità, ma c'era chi la amava così com'era, con i suoi pregi, i suoi difetti e i suoi rumori fastidiosi. Poi, si sa, una volta che ti abitui a questi suoni ventiquattro ore su ventiquattro, non ci fai più nemmeno caso. Comunque, dicevo. La sveglia trillò fastidiosamente, interrompendomi mentre facevo il caffè. Già, di solito si mette la sveglia per svegliarsi, la mattina, eppure ero già in piedi, quel giorno. Corsi in camera per spegnerla, con un cornetto in bocca mentre mi legavo i capelli in una crocchia disordinata. Tornai in cucina e feci colazione tranquillamente con il mio amato caffè e un buonissimo cornetto al cioccolato. Ai miei non piaceva particolarmente il caffè, ma a me si. Mia mamma diceva sempre che ero tutta mia nonna, in questo. Beh, veramente non solo in questo ma laciamo perdere, o potrei non smettere più di parlare di quella donna piena di energia. Erano le sette e mezza di mattina e io stavo già perdendomi tra i miei pensieri, fantastico. Scuotendo la testa tornai in camera. Sbuffai mentre aprivo le ante dell'armadio e osservavo la mia vastissima collezione di tellieur sui toni del grigio, blu e nero. Certo, avevo anche abiti più sportivi e altri più eleganti e femminili, ma per andare al lavoro era meglio essere impeccabile. Pensando al lavoro mi venne in mente l'immagine di quel pallone gonfiato del mio capo e la sua mania per la professionalità che bisogna avere in ufficio. Fu proprio per questo che afferrai dei semplici pantaloni neri, una maglia bianca e una giacca nera di pelle e li indossai. Ridacchiai da sola, immaginando già il volto di quell'odioso uomo diventare paonazzo per la rabbia. Per completare il mio look da dipendente ribelle, recuperai gli anfibi e li indossai. Più che una detective della omicidi, sembravo un'agente sotto copertura ma non mi importava. Con borsa, chiavi di casa, distintivo -che infilai in borsa- e pistola, uscii di casa. Chiusi a chiave il mio appartamento e mi girai. Sbattei contro qualcosa di duro e, se non fosse stato per due braccia che mi afferrarono, sarei caduta a terra. 
"Scusa, non volevo finirti addosso" mormorò lo sconosciuto allentando la presa sui miei fianchi ora che avevo recuperato l'equilibrio. Sollevai lo guardo e incontai due bellissimi occhi neri. Il ragazzo contro cui ero finita, che era anche il proprietario di quei pozzi scuri, sorrise sghembo lasciandomi andare del tutto. 
"Scusami tu, ero distratta" mormorai con un piccolo sorriso ancora incantata da quegli occhi. Mi riscossi scuotendo la testa e recuperai la borsa e la pistola cadute a terra e mi rialzai. Il ragazzo sollevò le mani davanti a sè e indietreggiò, sempre con quel mezzo sorriso. 
"Mi dispiace, davvero, non serve puntarmi addosso una pistola" 
"Veramente, potrei arrestarti per essermi venuto addosso. Aggressione a pubblico ufficiale, è un'accusa molto grave" risposi semiseria con un sorriso biricchino. Lo vidi incupirsi per un attimo.
"La pego, non mi arresti, sono un bravo cittadino, io" disse poi, fingendosi terrorizzato. 
Risi rimettendo la pistola nella fondina sul mio fianco, ben nascosta dalla giacca di pelle. Tornò serio anche lui, dopo aver ridacchiato con me. 
"Comunque, io sono Shane" si presentò porgendomi la mano. 
"Clair" risposi stringendola. Diedi un'occhiata distratta all'ora sul cellulare e sbuffai. Sbuffavo molto, si. 
"Starei ancora qui a parlare, se non fosse che devo proprio scappare al lavoro..." mormorai dispiaciuta. Shane scosse le spalle e sorrise, mettendo le mani nelle tasche dei jeans scuri. 
"Allora ci si vede, poliziotta" mi salutò camminando all'indietro verso le scale che portavano al piano di sopra.
"Ci si vede, aggressore di poliziotti" lo salutai con un sorriso avviandomi poi verso il portone di ingresso.
Mentre cercavo di attirare l'attenzione di un taxi, ripensai a Shane. Ero sempre stata attratta dai ragazzi con i capelli scuri e gli occhi chiari. Shane aveva i capelli nerissimi, corti, e gli occhi neri, ma talmente profondi da inghiottirti. 
Decisamente il mio tipo, pensai.
Arrivai al lavoro che ancora fantasticavo su quel ragazzo così misterioso e non mi accorsi del mio affascinante e irritante capo, che mi agitava una mano davanti al viso. Un attimo... Affascinante? Sbattei le palpebre più volte e misi a fuoco il mio ufficio, nella sede principale della squadra omicidi dell'FBI di New York. Come ci ero arrivata? 
Riportai la mia attenzione all'uomo in completo elegante che mi stava davanti. Sembrava molto irritato. 
"Ben tornata tra noi, Roberts" borbottò ricomponendosi.
"Vicecapitano Lorens, buongiorno anche a lei" risposi piccata sedendomi dietro la mia scrivania. Accesi il computer, pronta a iniziare a stilare il rapporto delle indagini dell'ultimo omcidio che avevo risolto. Il lavoro da ufficio era il più noioso, ma andava fatto. 
Lorens si schiarì la voce, sempre più irritato dalla mia totale mancanza di interesse nei suoi confronti. 
"Roberts, questa notte è stato ritrovato il cadavere di una donna di trent'anni, bianca, proprio qui, a New York. Indossava un abito nero, corto, e delle scarpe lucide. Si tratta della terza donna che troviamo in queste condizioni. La seconda è stata rinvenuta quasi un anno fa vicino a Los Angeles, ma hanno riconosciuto che era lo stesso killer solo di recente" disse piano. 
Sollevai la testa di scatto e lo fissai. Tre donne. Stesso modus operandi di colui che due anni fa aveva ucciso Adelaide Reinolds. Quel caso mi aveva perseguitato per mesi, ma non ero riuscita a  trovare l'assassino. 
"Non è più un mio caso" mormorai riabbassando lo sguardo sul computer davanti a me. Iniziai a stilare il rapporto ma fui nuovamente distratta dal mio capo.
"Ora è ufficialmente un nostro caso" dichiarò. Lo guardai stupita. Zack Lorens non lavorava a un caso da quando era stato promosso a vicecapitano, cioè da circa un anno. Eravamo partner, prima della sua promozione ed è proprio a quel periodo che risale il nostro odio reciproco. 
"Fra qualche giorno andremo a interrogare i familiari e gli amici della donna trovata qui, a New York. Fra una settimana andremo a Los Angeles per riinterrogare i parenti della vittima di due anni fa e quelli della vittima dell'anno scorso "
Uscì in corridoio, dopo avermi detto quello che doveva, ma per me il discorso non era chiuso, così gli corsi dietro. Lo afferrai per un braccio e lo feci voltare. Mi ritrovai i suoi occhi verdissimi puntati contro, freddi come il ghiaccio. 
"Non pensi che dovrei... Ehm... Informarti su quello che so del caso?" mormorai imarazzata lasciando il suo braccio. Notai con la coda dell'occhio che tutti gli agenti ci guardavano sgomenti. Li capivo: anche io ero sconvolta. Insomma, vedermi correre letteralmente dietro a Lorens e balbettare davanti a lui non era assolutamente da me. Urlargli contro per i corridoi, quello si che era da me. 
"Giusto. Ci vediamo a pranzo nel mi ufficio, così mi aggiorni. Cinese da asporto?" chiese serio guardandomi. Annuii e tornai nel mio, di ufficio. 
Erano successe decisamente troppe cose, oggi, e non erano neppure le dieci di mattina. Mi sistemai alla scrivania e mi dedicai alla stesura del rapporto. Dopo nemmeno un'ora, sentii bussare alla porta e dissi un 'avanti' distratto. Una ragazza fece il suo ingresso su dei tacchi vertiginosi. 
"Cosa significa che tu e il fascinoso vicecapo non vi siete scannati stamattina? E perchè devi andare a Los Angeles con lui?" esplose la mia migliore amica poggiando entrambe le mani sulla mia scrivania.
"Hope, calmati. Siediti e spiegami come fai a saperlo" 
Lei sbuffò ma fece come le avevo detto. Ci conoscevamo da quando avevamo quattordici anni e siamo subito andate d'accordo. A sedici anni si è innamorata di mio fratello e dopo due anni si sono messi insieme. Si sono sposati l'anno scorso e hanno già un figlio di tre anni, un piccolo terremoto di nome Tyler. Hope sta studiando per diventare procuratore e fa la modella  per pagarsi gli studi. Con il fisico che si ritrova anche ora, dopo la gravidanza, ci credo che fa la modella. Mio fratello, Theo, si occupa di ristrutturazioni. 
"Ero venuta a trovarti e ho sentito dei tizi che ne parlavano" borbottò riportandomi al presente. 
"Hanno riaperto il caso di Adelaide Reinolds e io e Lorens ce ne occupiamo" risposi distrattamente mentre continuavo il mio rapporto.
"Quello che ti ha fatto impazzire?"
Annuii tornando a guardarla. 
"Sono state ritrovate altre due donne uccise allo stesso modo, così Lorens ha riaperto il caso e, dato che io conosco bene il primo omicidio e lui è uno dei migliori detective dell'unità, collaboreremo."
"Ma mi avevi detto che lui non si occupa più personamente di casi da risolvere..." Hope dondolò la testa, confusa. Mi strinsi nelle spalle. 
"Probabilmente questo è un serial killer e la cosa lo preoccupa" tirai a indovinare. 
"Comunque, che ci fai qua?" domandai sistemando i fogli con gli appunti da inserire nel rapporto. 
"Ero venuta a trovarti" mormorò vaga. La guardai male. 
"Avanti, lo sappiamo tutte e due che quando vieni a trovarmi sul lavoro è perchè hai litigato con Theo" 
"Dimenticavo che mi conosci così bene. Ieri sera è tornato a casa tardi e stamattina, quando gli ho chiesto dov'è stato mi ha risposto in modo piuttosto evasivo. La sua camicia puzzava di alcolici. Ho paura che sia tornato alle vecchie abitudini..." Hope si strinse nelle spalle, sprofondando di più nella sedia. 
"Hope, dai. Sarà uscito con gli amici e l'avanno fatto ubriacare, conosci mio fratello: non si tira mai indietro" la rasicurai. Sollevò gli occhi umidi di pianto verso di me e corsi ad abbracciarla. 
"Non so cosa mi prende ultimamente, piango per ogni minima cazzata" borbottò asciugandosi le lacime con la manica della giacca nera. La guardai attentamente. Le occhiaie erano più pronunciate del solito e i capelli erano in disordine. Lo stress non le faceva bene. 
"Che ne dici se stasera andiamo a cena fuori solo io e te, ci sbroziamo e dimentichiamo i problemi?" proposi ammiccando. Hope strabuzzò gli occhi.
"Oggi è lunedì" 
"E allora? Non possiamo, da donne adulte e irresponsabili quali siamo, fare qualche cazzata ogni tanto?" le didi una sberla giocosa sul braccio e lei mi guardò stralunata ancora per un po' prima di scoppiare a ridere. 
"Va bene, alle otto ti passo a prendere" mi salutò con un abbraccio e uscì. Sospirai e guardai l'orologio.
Dieci e mezza. Sbuffai ancora e decisi di andare a prendermi un caffè, così sgattaiolai nella cucina del dipartimento e mi preparai una tazza piena di quel buonissimo liquido scuro. Tornata in ufficio, mi persi nuovamene nella stesura del rapporto mentre sorseggiavo il mio adorato caffè. 
Ero così presa da quello che stavo scrivendo che non mi accorsi quasi del tempo che passava, tanto che, appena abbassai lo sguardo sull'orologio del computer, quasi ebbi un infarto: mezzogiorno e sei minuti! 
Salvai il file e spensi il computer premendo direttamente il bottone di accensione, senza eseguire la procedura corretta. Mi alzai in fretta e corsi alla porta, conscia che un ritardo ulteriore mi sarebbe costato una sfuriata lunga e mortalmente noiosa del mio amatissimo capo.
Imboccai la porta e finii dritta contro qualcosa di duro. Mi scostai pronta a scusarmi frettolosamente e correre dal mio superiore quando sollevai lo sguardo e mi trovai di fronte proprio lui. Teneva tra le mani due borse che profumavano in maniera incredbile. 
"Ero venuto a cercarti, pensavo ti fossi dimenticata dell'appuntamento"
Oh, che carino... 
Aspetta, cosa? Carino? Appuntamento? Qualcosa non quadra.
"Qualquadra non cosa" asserii per poi tapparmi la bocca. Zack scoppiò a ridere. 
"Qual.. Cosa?" chiese ancora ridendo. 
"Lascia perdere, mi fa solo strano che tu abbia definito il nostro un, uhm, appuntamento. Sai, io, tu e appuntamento non sono parole che stanno bene in una frase. E poi beh, insomma, tutti dicono qualcosa non quadra e io dico qualquadra non cosa. Qualche problema?" 
Zack rise ancora ma scosse la testa. 
"La smetti?" chiesi irritata incrociando le braccia sotto il seno. Lui prese un grosso respiro e smise finalmente di ridere. Mi fece cenno di seguirlo e andammo dritti nel suo ufficio. Notai varie occhiate curiose nella nostra direzione e ricambiai con un'occhiataccia ognuno dei curiosi. 
 Nell'ufficio di Lorens erano state eliminate le sedie in più e la scrivania con sopra due computer era stata spostata in un angolo. La vetrata che dava su uno splendido scorcio di New York era l'unica fonte di luce, dato che le pareti di vetro dell'ufficio che ci separavano dallo stanzone dei detective erano oscurate dalle veneziane abbassate. C'erano due enormi lavagne da un lato e al centro due poltroncine girevoli e diversi fascicoli poggiati a terra, vicino a dei pennarelli per lavagne di diversi colori. Mi girai verso Zack sorpresa: questo caso doveva prenderlo molto, se addirittura stravolgeva il suo ordinatissimo ufficio. 
"Mangiamo, dai" borbottò andandosi a sedere. Lo seguii e mi diede una delle porzioni mentre anche lui iniziava a mangiare.
"Ok, cosa sai su questo caso?" chiesi fissandolo. 
"Poco, ma sono riuscito a farmi spedire il fascicolo su Adelaide Reinolds che hai compilato due anni fa. Direi di iniziare studiando quel caso, quindi che ne dici di, ehm, compilare la lavagna? Così sarà più facile visualizzare i dettagli" 
Presi un grosso boccone, poggiai il cartone sul pavimento e presi il fascicolo che avevo notato appena entrata. Lo aprii con mani tremanti e osservai la foto di Adelaide. Mi alzai e mi avvicinai alla prima lavagna. Scrissi Vittima e sotto attaccai la foto. Era triste, a pensarci: tutta la vita di una persona si riduceva a una semplice parola. Scossi la testa e attaccai delle foto del cadavere come lo avevo visto la prima volta. 
Tornai a sedermi e presi un altro boccone, passando il fascicolo a Lorens, che si affrettò a deglutire e a poggiare a terra la sua porzione. 
"Trent'anni, laureata in storia dell'arte, nessun lavoro fisso, qualche impiego come barista e pochi amici. Normale, direi. Principali indiziati?" 
Deglutii e risposi: "Scagionati tutti con alibi di ferro. L'ex fidanzato era tra i pincipali sospettati, qualche multa, un precedente per possesso di droga... Il classico indagato numero uno. L'alibi è stato confermato dalle telecamere di sorveglianza del locale in cui ha passato tutta la notte. Seconda indiziata: un'amica un po' gelosa del suo talento, a detta delle altre. Inutile dire che anche il suo alibi era confermato, e indovina un po' con chi era?" 
"L'ex fidanzato?" 
Annuii e presi un'ultima forchettata prima di gettare il cartone e prendere il secondo.
"Uhm, me lo passi?" domandò riferendosi al suo, di secondo. Glielo diedi e tornai a ingozzarmi.
"Qui dice che, mh, aveva cibo costoso nello stomaco. Sai in che ristorante è andata?" aveva la bocca piena ed era davvero buffo da vedere, soprattutto perchè di solito era sempre così composto... 
"No -scossi la testa- nessun indizio su dove possa essere andata a mangiare, non compare in nessun video di sorveglianza dei ristoranti più prestigiosi che si possono trovare a Los Angeles. Pare che sia andata chissà dove con chissà chi a mangiare in un bel posto per poi tornare nella sua città e finire ammazzata. Oppure per essere uccisa e poi riportata nella sua città. Di sicuro l'assassino è molto furbo" borbottai e affondai furiosamente la forchetta nel cartone. 
"Qui dice che teneva un diario" osservò Zack mettendosi in bocca del pollo che gocciolava sugo senza sporcarsi. Sbuffai chiedendomi come facesse: io ero un macello, mi sporcavo sempre, anche se per ora ero immacolata. 
"La madre e le amiche confermano l'esistenza del diario, ma tutto ciò che ne rimane è una misera paginetta scritta in codice che non dice niente di importante." 
Zack aggrottò la fronte e mi si avvicinò con la sedia spingendosi con le gambe. 
Sempre più buffo...
"Perchè una laureata in storia dell'arte dovrebbe scrivere il suo diario segreto in codice?" si chiese Zack. 
"Probabilmente aveva paura che qualcuno lo leggesse" ipotizzai.
"O magari aveva paura che l'assassino lo trovasse" 
"Può essere, si" annuii. 
Leggemmo insieme la traduzione dei codici della pagina di diario che lui teneva in mano. Ci avevano messo due settimane a decifrarli, i crittografi.


Caro D, 
non c'è niente di nuovo da raccontare: S. complicato, M. triste, H. stressata. Insomma D, le cose si stanno facendo difficili. H. ha rotto con il f., M. non fa che piangersi addosso e ripetere che le dispiace, ma non lo dice mica a lui, no! Lo dice a noi. Mi sento strana, euforica, ma non mi piace darlo a vedere, quando gli altri stanno male. Sto mantendendo il segreto. Sono quasi due mesi che lo mantengo. J. mi farà la proposta, lo so. Ho già pronto il quadro che fa per lui. Mi frutterà un bel po'.



"Finisce così?" chiese Zack aggrottando la fronte. 
"Si, la pagina era strappata." 
Presi un pennarello e mi alzai. 
Scrissi una H e attaccai sotto una foto. 
"H, Hadele, una delle migliori amiche" informai Zack che ora era concentrato su di me. 
Poco distante sistemai una M con un'altra foto sotto. 
"M, Myria, la sorella minore. Ha rotto con il fidanzato qualche settimana prima della morte di Adelaide, per un'incomprensione. J, Jason, un collezionista d'arte che voleva comprare un quadro di Adelaide. Pare ci sia riuscito e l'abbia pagato poco più di quattromila dollari. I soldi erano ancora sul conto della vittima al momento del decesso." 
Mi spostai un po' e cambiai pennarello, prendendone uno rosso. 
"S. Non sappiamo chi possa essere. Le amiche non hanno idea di chi sia, lei non ne ha parlato con nessuno. Probabilmente è collegato al segreto di cui parla verso la fine. Abbiamo controllato anche l'agenda di Adelaide e ogni tanto compaiono delle S accompagnate da orari sempre diversi, ma tutti tra le diciassette e le ventuno. Probabilmente è lo stesso uomo che l'ha portata fuori a cena la sera della sua morte, forse un nuovo fidanzato che amava il mistero. Questa storia della segretezza estrema fa pensare, effettivamente, a qualcuno di potente, tipo un politico o un funzionario o che so io che magari era sposato e voleva mantenere segreta la relazione. Oppure era un assassino che premeditava di ucciderla prima ancora di vederla e voleva l'anonimato per non essere scoperto, oppure..."
Zack si alzò di scatto e mi raggiunse, poggiandomi un dito sulle labbra. Aveva un odiosissimo sorrisetto canzonatorio sulle labbra. 
"Sono tutte ipotesi interessanti, ma dovresti respirare, ogni tanto" mi prese in giro. Feci per mordergli il dito, un po' per farlo smettere, un po' per giocare. 
"Va bene, in pratica dobbiamo solo scoprire chi è questo S." Zack tornò a sedersi e cominciò a oscillare da un lato all'altro con la sedia girevole, i piedi ben saldi a terra. Iniziai a mordere il pennarello pensierosa. 
"Voglio rivedere i filmati degli interrogatori a familiari e amici" sbottò Lorens alzandosi e incamminandosi fuori dall'ufficio. Lo seguii e in pochi attimi fummo davanti alla porta del capitano. Lorens bussò impaziente. 
"Pensavo li avessi già, i filmati" sibilai affiancandolo. 
"Li ha il capitano, doveva fare non so cosa" Zack si strinse nelle spalle. 
"Avanti" disse una voce bassa e autoritaria dall'interno. Quando facemmo il nostro ingresso, il volto dell'uomo si rilassò e sorrise. Ci accomodammo sulle poltroncine davanti alla scrivania seguendo il consiglio del capo e rimanemmo in silenzio, aspettando di essere interpellati. 
"Zack, Clair, che piacere avervi qui nella stessa stanza per una volta senza dovevi ammonire per le vostre litigate in ufficio. Ma lasciamo perdere i convenevoli, immagino siate qui per i video degli interrogatori del caso Reinolds, giuso?" 
Annuimmo. 
"Beh, eccoli. Questo è un caso difficile ragazzi miei e voi siete i migliori agenti che ho. Voglio prendere questo killer prima che sia troppo tardi e che la notizia della sua esistenza si diffonda e provochi il panico generale. Conto su di voi."
Il capo si alzò e ci strinse la mano, porgendoci i DVD.
"Non la deluderemo" lo rassicurai.
 Lo salutammo e tornammo all'ufficio di Zack. Ci facemmo portare una televisione e iniziammo a rivedere i filmati. Mi ricordavo ancora benissimo quegli interrogatori: li avevo riguardati milioni di volte con Adam, il mio vecchio collega, ma non eravamo venuti a capo di nulla. Io e Lorens ci sistemammo comodi con blocchi di carta e penne alle mani. Man mano che i filmati si susseguivano sullo schermo, i blocchi si riempivano di informazioni captate qua e là: la migliore amica che diceva di sentire che Adelaide le nascondeva un segreto, la madre che ammetteva di non sapere della casa che la figlia aveva comprato e in cui aveva intenzione di trasferirsi a breve...Zack a questo punto mi chiese se avevamo visitato quella casa e gli risposi che si, lo avevamo fatto, ma era tutto in ordine, quindi avevamo lasciato perdere. Più volte interrompemmo la visione per confrontare ciò che sentivamo con le informazioni già in nostro possesso, come ad esempio l'agenda o le situazioni descritte nella paginetta di diario. Passarono delle ore e nemmeno ce ne accorgemmo, tanto eravamo presi dal nostro lavoro. Il sole tramontò presto, verso le sette e noi avevamo appena finito di rivedere tutti i filmati. 
"Ok, basta, non ne posso più" esclamò Lorens lasciando cadere il blocco a terra. Sbadigliò e si stiracchiò. Si era tolto la giacca del completo e la cravatta in un momento imprecisato e ora aveva i primi bottoni della camicia slacciati, le maniche arrotolate sui gomiti e i capelli scompigliati. Era davvero molto, molto sexy, lasciatemelo dire. Quanto a me, mi ero tolta la giacca a mia volta e avevo legato i capelli in una crocchia disordinata sulla testa. Io ero sicuramente uno spettacolo orribile, al confronto.
"Concordo, direi di andare a casa, non sono in vena di straordinari" sbuffai alzandomi. 
"Quindi andrai a casa e ti metterai a letto presto come i vecchietti?" chiese canzonatorio rimettendosi la giacca sulle spalle e spegnendo la televisione. 
"Mh, no. Andrò fuori con un'amica e ci sbronzeremo fino a dimenticare i nostri nomi" risposi piccata. Lui scose il capo divertito e aprì la porta dell'ufficio per farmi uscire. Raggiungemmo l'ascensore insieme e mi stupii pensando che avevamo passato davvero tantissime ore senza urlarci addosso. 
"Domani mattina entra alle dieci" 
Lo guardai confusa e lui si spiegò stingendosi nelle spalle. 
"Devo andare a colazione con un collega della narcotici e non sarò qui prima delle dieci. Perciò pensavo che, dato che stasera ti darai alla pazza gioia e abbiamo un caso da risolvere insieme, potresti entrare anche tu alle dieci" 
"Grazie del pensiero" sorrisi. Uscii dal dipartimento e mi avviai verso la mia macchina parcheggiata poco distante. 
"Ehi, domani voglio i soldi del pranzo di oggi, non era mica gratis!" mi urlò dal portone della stazione. Non mi girai nemmeno, gli feci semplicemente il dito medio mentre mi allontanavo. 
  
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