Wenn die Sterne leuchten.
Capitolo Primo.
Life is
too short to even care at all.
Anno 846
Un anno dopo il crollo del Wall
Maria.
Aveva aspettato fino a che il
sole non era definitivamente calato, lasciando spazio a una notte luminosa e
piena di stelle. La luna brillava argentea, quasi piena, abbastanza da
permetterle di spostarsi senza bisogno di fuochi.
Nina non aveva atteso che le
tenebre arrivassero a tanto per fare la prima mossa, però. Era arrivata al
carretto e ci si era infilata con un saltello agile, che le era costato un
mugolio basso e una fitta la costato. Lì aveva trovato quello che cercava: le lame e le
bombole. Aveva cambiato velocemente quelle che aveva nell’attrezzatura in
favore di due piene e si era premurata di aggiungere un paio di lame extra,
nonostante fosse certa che se sulla via per l’accampamento si fosse ritrovata
di fronte dei giganti, difficilmente sarebbero stati attivi e svegli come di
giorno. Questa informazione era frutto di un paio di ricerche effettuate dal
Capo Squadra Hanji sul primissimo gigante catturato
dalla Legione, qualche anno prima del suo ingresso nel corpo di Ricerca. Non
avevano potuto lavorarci molto, purtroppo, ma quel poco che avevano visto su
quell’esemplare di quattro metri, la notte le loro capacità di movimento si
riducevano drasticamente. Era presto per poter decretare che la loro fonte di
energia fosse la luce solare, ma era già stato avviato qualche passo in quella
direzione.
Era una teoria debole, quella
di Nina, ma era la migliore a cui poteva aggrapparsi.
Si era sistemata per bene,
steccandosi il busto con dei rami affinché rimanesse rigido e tenendo tutto
insieme con delle bende che teneva sempre con sé in una scatolina di latta,
dentro alla tasca interna del giubbotto di rappresentanza. Aveva buttato via la
mantella verde, intrisa del sangue di Sankov e aveva
legato i capelli biondi in una treccia. In ultimo, si era preparata
psicologicamente.
Niente più appunti sul quadernino, niente più malinconici pensieri alla ‘e se gli avessi parlato prima di partire’ o
alla ‘e se mi fossi offesa così tanto’.
Era una tipetta che sapeva focalizzarsi molto bene su
un obiettivo, una dote di famiglia.
Nella piana non volava una
zanzara, quando con un piccolo scatto, Nina si lanciò fuori dal carro e iniziò
a correre. Il dolore alle costole era forte, ma non abbastanza da frenarla. La
paura era un deterrente sufficiente che, sommato alla voglia di vivere e alla
determinazione, le permisero di essere veloce quasi quanto lo era senza ossa
rotte. Scattò in avanti il più possibile e per dieci minuti non fece altro se
non pensare a quanto sarebbe stato bello tornare, rivedere quei visi,
raccontare loro cosa era successo personalmente e poi piangere insieme gli amici
che se n’erano andati.
Ed. Nick. Non doveva pensarci
in quel momento. Non poteva permetterselo.
Corse e corse fino a che non
ne poté più, ma per allora aveva già raggiungo il bosco di conifere che aveva
puntato. Non era nemmeno a un quarto del tragitto, ma si era decisa a ritenersi
soddisfatta se avesse bruciato una tappa alla volta. Lo attraversò tutto
restando in guardia, attenta a dove metteva i piedi, poiché laddove c’erano
molte meno preoccupazioni su come usare l’attrezzatura, c’erano molti punti
ciechi e meno luminosità a causa delle fronde alte.
Dopo quella zona boschiva si stendeva una piana a perdita d’occhio che la
scoraggiò non poco, ma ricordava bene che vi erano passati e che, avanti,
avrebbe incontrato il corso del torrente che andava a toccare il paesino ora
abbandonato dove era stato sistemato l’accampamento.
Riportò alla mente le parole
del ex comandante Shadis, se rimanete senza cavallo non correte a perdifiato come una massa di
idioti ma fatelo con la testa, conservando le energie per fare uno scatto in
caso di bisogno, e partì di nuovo. Corse, attenta a respirare bene e a
concentrarsi su qualcosa che non fosse il dolore. Corse e corse.
Corse così tanto che quando
iniziò a spuntare il sole, tingendo prima di azzurro e poi di rosa il cielo, si
ritrovò a sentirsi delusa. Sperava che una notte sola le sarebbe bastata per
compiere quella distanza, ma forse si era illusa o sopravvalutata. Cosa avrebbe
fatto? Avrebbe atteso su un albero un giorno intero? Senza cibo ne acqua?
Non avrebbe mai avuto la
forza di proseguire e se i dolori fossero peggiorati, allora sicuramente non
sarebbe stata in grado nemmeno di camminare, figurarsi correre.
Un essere umano che non può
correre o saltare è cibo.
Quella che aveva memorizzato
come un’ora a cavallo al galoppo, si rivelò essere una notte e buona parte
della mattinata, tra corsa e camminata. Seguì il corso del torrente non appena
lo raggiunse ed esso le offriva non pochi ripari e nascondigli, che sfruttò
ogni qualvolta sentiva anche il ben che più piccolo rumore.
Fu fortunata, perché riuscì a raggirare un
paio di giganti e fu costretta ad ingaggiare uno scontro solo con un dodici
metri. Riuscì ad abbatterlo nonostante la fatica e il dolore. Ogni singola
cinghia dell’imbragatura le causava una compressione sulla zona dolente quasi
insopportabile, ma riuscì lo stesso a recidere la collottola del mostro che
cadde con un tonfo sordo nel bosco.
La buona notizia era che
quella zona era a prevalenza boschiva, quindi arrivare non fu impossibile anche
se stancante.
La cattiva notizia era che,
quando raggiunse la meta dove era stato insidiato il presidio, essa era
tristemente deserta.
Anno 844
Qualche giorno dopo l’arruolamento di Rivaille e la
sua brigata di fuorilegge.
Nell’aria c’era odore di
fiori di zucca fritti e la contagiosa risata di un sergente chiassoso.
Nina aveva speso tutta la
mattina a strigliare i cavalli e a pulire la stalla insieme a Ed Reinolds e Nicholas Ravenstein,
godendo della pace nella quale il quartier generale della Legione Esplorativa
era caduto da quando, cinque giorni prima, il Comandante Shadis
e il Capitano Erwin erano partiti alla volta della Capitale.
“Sai per quale motivo si sono
recati lì?”
Alla domanda, Nina si era
sollevata sulle punte, incrociando le braccia sul dorso del cavallo e spiando Ravenstein oltre il groppone della bestia “Non ne ho idea,
mio fratello non me l’ha detto.” Ammise senza particolare inflessione della
voce.
Era una recluta, perché
avrebbe dovuto metterla al corrente?
Come ogni altra recluta, Nina
aveva terminato l’addestramento interno
della Legione e poi aveva partecipato a tre missioni nell’ultimo anno, ma
eccetto l’essere incaricata del recupero dei feriti e della loro cura – cosa
nella quale era stata addestrata e istruita, d’altronde - non aveva mai avuto
un ruolo fondamentale o comunque di rilievo. Si era distinta per il sangue freddo,
quello andava detto, ma solo perché nei momenti di forte pressione o di crisi,
tendeva a chiudersi in se stessa e tenere la mente impegnata facendo qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Le mani ben conficcate nello
sterno di un compagno nel tentativo di fermare un’emorragia erano un ottimo
deterrente alla paura.
Lavorare con il tenente Renson, il primo ufficiale medico della Legione, era il
massimo a cui ambiva.
“Se ci fanno chiudere, a che
corpo vi unirete?”
La ragazza bionda tornò a
sollevarsi, stavolta con più prepotenza, facendo nitrire con disappunto la
bestia “Non dirlo nemmeno per scherzo, Ed. Non ci faranno chiudere.”
Nick smise di spazzare,
schiarendosi la voce “Si dice che non abbiamo i fondi per fare spedizioni oltre
le mura.”
Ed indicò l’amico, come per
sottolineare l’ovvio “Niente missioni vuol dire nessun senso di mantenerci qui
a grattarci dal mattino alla sera. Ci faranno scegliere, vi dico io che finirà
così. Nina, tu sei arrivata terza durante l’addestramento, io sesto. Il buon
Nick decimo, quindi a filo. Ve lo dico io come dovrebbe finire: dovremmo unirci
alla Gendarmeria tutti e tre.”
La bionda sbuffò incolore,
raccattando la spazzola che le era sfuggita di mano e riprendendo a spazzolare
il pelo raso del cavallo, accarezzandogli il collo “Stipendio migliore, massimo
guadagno con il minimo impegno…. Ma voi l’avete
capito cosa fanno dal mattino alla sera quelli della Gendarmeria?!”
“Quelli dalla Guarnigione
guardano un muro, Müller. Direi che come
divertimento, non c’è una grande differenza.”
Tutti e tre ridacchiarono
alle parole di Nick, ma vennero interrotti dall’arrivo del Capo Squadra Ness, che intimò bonariamente a tutti e tre di sbrigarsi.
Il pranzo sarebbe stato servito di li a qualche minuto e poi potevano prendersi
il pomeriggio di licenza per riposare.
“Adoro essere un suo uomo.”
disse Ed non appena Ness se ne fu andato dalla stalla
“Voglio dire, potevamo avere Erwin come Capitano. O Hanji
Zoe e il suo malato desiderio di avere sempre un gigante in custodia. Vogliamo
parlare di Farlon? Se potesse picchiarci, ogni tanto,
lo farebbe. Invece no, abbiamo Ness. Che il cielo lo
protegga sempre. Il suo solo difetto è che è troppo fissato con la toletta dei
cavalli e la pulizia della stalla.”
“Magari fosse fissato anche
con la pulizia del resto del castello.” Nina riaccompagnò il cavallo nel box,
prima di voltarsi verso i due compagni
che stavano sistemando le scope e la pala “Ci sono dei topi, nelle cucine,
grandi come gatti.”
“Allora ci servono solo gatti
grandi come cani!” sbottò Nick nel pieno della frenesia, prima di scoppiare a
ridere con i due amici, così rumorosamente che dovette sistemarsi gli occhiali
sulla punta del naso prima di vederli cadere a terra sul ciottolato.
Avevano fatto insieme
l’accademia, erano nati come soldati insieme e ognuno aveva incoraggiato
l’altro quando avevano donato la loro vita alla Legione.
Quando avevano deciso di
essere le ali dell’umanità.
A quel tempo, Nina non
credeva di poter chiedere di più di quello che aveva: una vita piena di
avventure che seppur rischiava d’essere tragicamente breve, aveva allargato i
suoi orizzonti nel mondo; amici sinceri, una famiglia ad aspettarla a Stohess.
Un obiettivo nobile.
Non avrebbe chiesto altro, ma
ciò non significa che null’altro le sarebbe stato dato.
Erano quasi arrivati alle
scale laterali che li avrebbero condotti direttamente alla mensa, quando lo
scalpitare di zoccoli e il lento andare di una carrozza li fece voltare verso
il cancello d’ingresso. Qualcuno giungeva.
“Se si tratta del Comandante,
possiamo dire addio al pomeriggio di licenza.” Sussurrò a denti stretti Ed,
mentre gli altri due, molto meno combattivi di lui, sospiravano piano.
Non sembrava la carrozza di Shadis, però.
Da essa, infatti, non scese
né lui né tanto meno Erwin.
Scesero quattro figure, ma le
reclute riuscirono ad identificare solamente il Caporale Thoma.
“Chi accidenti sono quelli?”
Ignorata la domanda di Reinolds, Nina scese un paio di gradini, così da non avere
più il sole a bloccarle la visuale. Il primo era un ragazzo, biondo, alto e
allampanato. Sembrava stranito dal luogo in cui era arrivato, ma si guardava
attorno con un interesse posato. Fu il primo a ricambiare lo sguardo della Müller e ad azzardare lo spettro di un pallido saluto che
lei rilanciò con un sorriso.
La seconda era una ragazza
con i capelli che parevano un fuoco
tanto erano rossi. Lei nemmeno notò le tre reclute, troppo impegnata a lanciare
frasi ricolme di stupore e di meraviglia verso qualsiasi cosa si trovasse lì
intorno.
“Guarda fratellone, è
pazzesco! Questo posto è enorme!”
Il terzo, all’inizio, dava
loro le spalle. Al contrario degli altri due, pareva del tutto padrone della
situazione, era calmo. La statura era bassa, tanto che Nina stimò che dovesse
essere persino più basso di lei, ma aveva qualcosa….
Qualcosa che lo elevava.
Qualcosa che gridava ‘sto cercando guai’
da ogni poro e solo quando finalmente si voltò verso l’ingresso, Nina poté in
qualche maniera avere una riprova di quella sensazione.
I suoi occhi erano affilati
come lame e freddi come il ghiaccio, specchiati all’interno di quelli grandi
della giovane. Aveva i capelli più neri che lei avesse mai visto e
l’espressione apatica e svogliata di chi non ha voglia di sentir ragioni.
Istintivamente, fece un passo indietro, lanciando uno sguardo a Nick.
Si misero sull’attenti,
facendo il saluto militare al Caporale quando questi passò davanti a loro,
facendo sfilare i tre verso gli alloggi delle reclute.
“Quelli chi diavolo sono?”
rilanciò sottovoce Ed.
Nick non rispose, sporgendosi
verso Nina, la quale non tolse gli occhi di dosso al moro fino a che non sparì
dietro l’angolo, alla volta del portone interno “Dovresti domandarlo a tuo
fratello.”
Lei annuì, velocemente “Sarà
la prima cosa che domanderò ad Erwin appena metterà piede qui. Ora andiamo,
prima che i fiori di zucca finiscano.”
Nda.
Si è iniziato a svelare
qualcosa.
Tengo il bello per i prossimi
capitoli, perché mi piace tenere un po’ sulle spine e perché sotto sotto, mi piace lasciare tante piccole molliche per creare
la trama.
La canzone che ho scelto per
questo capitolo è Cough Syrup
degli Young the Giants. Mi sembra molto coerente con
la situazione un po’ infelice.
Spero che questo capitolo
piacerà quanto il primo, che ha ricevuto ben due recensioni, non credevo
sarebbe successo! Ringrazio entrambe le ragazze che hanno recensito, anche se
una delle due passa la maggior parte del tempo universitario con me, ma
apprezzo lo sforzo della recensione.
Grazie davvero, è sempre
bellissimo trovare un riscontro.
Per il prossimo capitolo,
spero di far presto.
Se il caldo non mi ammazza.
Buonanotte, buonanotte!
C.L.