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Autore: Nykyo    21/07/2016    0 recensioni
Dorian amava la biblioteca di Skyhold. A volte si infuriava, trovandola caotica e disordinata, e faceva il possibile per rimediare, ma quell’angolo del castello era di gran lunga il suo preferito, anche perché era un ottimo “punto di vedetta”. Un luogo di passaggio per gli agenti dell’Inquisizione, per gli studiosi o per i maghi come lui in cerca di testi specifici, così come per le spie che si recavano a fare rapporto e, naturalmente, per l’Inquisitore. Lavellan spesso andava a trovarlo o percorreva svelto, quasi trottando, la balconata circolare, diretto al piano di sopra alla voliera per consultarsi con Leliana e affidare un messaggio alle ali scure dei corvi.
Era la prima volta, però, che Dorian vedeva il Comandante Rutherford aggirarsi tra gli scaffali carichi di tomi di ogni tipo. Non che ritenesse l’ex Templare un bruto incolto, ma non gli era mai successo di poterlo osservare mentre era intento nella ricerca di un libro, e per di più al di fuori della sezione dedicata alle armi, alla strategia e alle tecniche di battaglia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cullen, Dorian Pavus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Di come vincere l'imbarazzo

 

Vedere Cullen aggirarsi per la biblioteca non era più una rarità. Il che non significava che la sua presenza avesse smesso di essere una fonte di distrazione, se non altro per Dorian. Una distrazione piacevole, poco ma sicuro, ma pur sempre un diversivo che rendeva Dorian incline a lasciar perdere le sue usuali ricerche e che lo deconcentrava.

«Un uomo è fatto anche di carne e sangue, non solo di intelletto e di appetiti culturali che vanno saziati per elevarsi al di sopra delle masse ignoranti» ripeteva a se stesso, non senza una buona dose di autoironia, perché si rendeva conto di essere uno sciocco pomposo perfino nei suoi stessi pensieri.

In parte quella riflessione era giusta, però. Dorian ne era conscio e non era sua la colpa se, oltre che portato per la guerra e per gli scacchi, Cullen era un bell’uomo. Del tipo più pericoloso: quello che non sapeva di esserlo e, se anche lo avesse saputo, non se ne sarebbe curato affatto. Beh, capelli a parte, se non altro. Per il resto bastava vedere come se ne andava in giro camminando da un lato in modo fin troppo bellicoso e dall’altro un po’ impacciato, come se si sentisse un gigante infilato in una casa delle bambole e cercasse sempre di muoversi ingombrando il meno possibile e senza rompere niente al suo passaggio.

In battaglia – Dorian l’aveva visto con i suoi stessi occhi – le belle spalle ampie si raddrizzavano, e il capo si sollevava. Cullen lottava come un leone, a petto in fuori e a testa alta. Non era uno stolto, sapeva che gli uomini seguivano un comandante per paura o per rispetto, quando non per entrambe, ma al momento di combattere avevano bisogno soprattutto di inspirazione, solidità, fermezza. Chi avrebbe obbedito agli ordini di qualcuno che brandiva la spada a capo chino? Non a caso, Cullen tendeva a correggere d’istinto la propria postura anche quando riceveva uno dei suoi uomini, mentre assisteva alle esercitazioni e passava in rassegna le truppe, o quando attendeva in via ufficiale a una riunione attorno al tavolo di guerra.

Di quell’ultimo tipo di frangente Dorian era stato spettatore una volta sola, in tempi ormai lontani in cui tra lui e Cullen non c’erano state né confidenza né fiducia.

La soddisfazione che Dorian provava nel constatare quanto le cose erano cambiate era troppo forte. Lo sapeva, ma non riusciva a fare a meno di provarla. Proprio come non era riuscito a fare a meno di recarsi nello studio di Cullen, il pomeriggio successivo al loro primo incontro in biblioteca.

Non era riuscito ad aspettare che Cullen lo invitasse per giocare a scacchi, come si era proposto al principio. A dire il vero non ci aveva nemmeno riflettuto su così tanto. L’idea iniziale era stata quella di rendersi utile, non di trovare una scusa per rifarsi gli occhi, per dirla come l’avrebbe detta un uomo del popolo.

Sì, il Comandante Cullen era una bella visione, anche con le occhiaie e tutti quegli – troppi – strati di stoffa, acciaio e pelle addosso. Non si poteva pretendere di vederlo perdere a carte contro Dama Montyliet ogni singola notte, purtroppo, e in fondo l’armatura gli donava. Cullen era imponente quando, appunto, teneva un portamento marziale. Era alto, robusto ma pur sempre slanciato e… ad averlo intorno si finiva sul serio con il distrarsi.

A ogni modo, Dorian era andato a trovarlo in totale buona fede; in amicizia, si poteva affermare.

La rivelazione sul Lyrium l’aveva toccato più di quanto non si sarebbe aspettato. Non erano fatti suoi, ma dal momento che Cullen si era confidato, anche se non nel dettaglio, Dorian si era sentito in dovere di offrire il suo aiuto. Come poteva starsene con le mani in mano quando sapeva per certo che le sue doti da mago avrebbero potuto essere utili?

Non era Solas o Vivienne e forse era meno qualificato di entrambi quando si trattava di incantesimi e pozioni riguardanti la salute, però dubitava che Cullen avesse sparso la notizia del suo tentativo di disintossicarsi ai quattro venti. Anzi, alla fine aveva scoperto di essere uno dei pochissimi che ne erano al corrente. Il che l’aveva portato a stupirsi per l’ennesima volta e a sentirsi orgoglioso più di quanto fosse salutare. Tutto ciò però era venuto dopo la sua proposta di preparare una pozione per Cullen.

Sul momento il solo pensiero di Dorian era stato: «Posso provare a dare una mano».

Si era offerto con semplicità e solo a metà del discorso si era chiesto se si stava comportando in modo inopportuno e se, per quanto poco sospettoso si mostrasse nei suoi confronti, Cullen si sarebbe fidato di una pozione preparata da lui.

«Ovviamente in realtà il mio è solo un becero e maldestro tentativo di avvelenarvi, Comandante» aveva sorriso, per affrontare la faccenda nel modo più quieta e indolore possibile.

«Ovviamente» aveva replicato Cullen, con una smorfia così beffarda e così poco preoccupata che il cuore di Dorian si era fatto più leggero, che volesse ammetterlo o no. «Il vostro è un losco piano per liberarvi di me. Lo fate perché non potete sopportare oltre l’umiliazione di essere costantemente battuto a scacchi. Per giunta da un ex Templare.»

Dorian aveva riso di cuore. «Lo faccio perché conosco il tarlo dell’insonnia e il morso degli incubi bene abbastanza da aver creato negli anni una mia pozione soporifera personale» si era detto, senza pronunciare le parole a voce alta. E, stranamente, per una volta non aveva provato alcun dolore al pensiero delle sue brutte esperienze.

Cullen aveva accettato, facendosi all’improvviso tanto più serio e greve e poi si era seduto sul bordo della scrivania, sempre carica di mappe e pergamene, e aveva tratto un lungo sospiro.

«Siete gentile, vi ringrazio» aveva detto, con il tono di chi non si era aspettato comprensione e gentilezza ed era felice di averle ricevute entrambe.

Per un lungo istante erano rimasti a fissarsi in silenzio. Non c’era stato altro da aggiungere.

Da allora Dorian aveva preparato il sonnifero a cadenze regolari, accertandosi che desse davvero un po’ di sollievo al suo destinatario e Cullen, dal canto suo, aveva preso l’abitudine di passare dalla biblioteca quasi ogni giorno.

«Ho scoperto che un buon sonnifero e un cattivo libro sono la soluzione perfetta a tutti i miei problemi d’insonnia» aveva dichiarato la prima volta che si era ripresentato alla balconata. «Dunque vi ringrazio ancora per l’aiuto e vi restituisco il libro che mi avevate prestato. Varric è… tutti sappiamo com’è Varric. Ma devo ammettere che la sua prosa è troppo avvincente. Scaccia il sonno, piuttosto che conciliarlo.»

Dorian si era concesso un’altra risatina sincera. «Temo che non vi resti che leggere sul serio dell’accoppiamento dei Dorsopiumato, allora. Ma attento al capitolo sulle parate di corteggiamento, è una lettura troppo eccitante, non adatta agli occhi innocenti e ai cuori più deboli.»

Ah, chi l’avrebbe mai detto che fosse così facile ridere accanto a un uomo come Cullen. Se solo il suo sorriso non fosse stato così raro, anche se forse era un bene che lo fosse.

Ultimamente Dorian si scopriva fin troppo spesso intento a fissarlo, o in preda a una gran voglia di andarlo a cercare. Gli prudevano sulla punta della lingua proposte per niente oscene, anzi, fin troppo sciocche e in apparenza innocue. Dubitava, però, che avesse senso proporre una passeggiata o semplicemente presentarsi nello studio di Cullen per fare due chiacchiere. A parte il fatto che il Comandante era un uomo impegnato quasi quanto l’Inquisitore stesso, Dorian non era stupido, si rendeva conto di esserne attratto, non solo fisicamente.

L’esperienza gli aveva insegnato che quelli come lui, anche a non volersi nascondere, difficilmente potevano concedersi con facilità ciò che per tutti gli altri era comune e scontato. Lui, se non altro, non aveva mai potuto. Né Cullen gli era mai parso interessato a quel genere di approcci. Nemmeno da parte delle donne, a dire il vero.

Perciò meglio tracciare una linea netta e attenersi alla consegna di non superarla mai.

Il rapporto che lo legava a Cullen era una sorta di cameratesca amicizia e Dorian si ripeteva che così poteva bastare. Lontano da casa gli amici su cui poteva contare erano così pochi che non era opportuno allontanarne uno per aver desiderato troppo.

Per Andraste, però! Era difficile ricordarsi in che punto si trovava il confine da non valicare, quando Cullen se ne stava lì in piedi vicino alla finestra, con il sole nei capelli e assorto a mordicchiarsi un labbro mentre decideva che libro leggere. Quelle labbra piene, tormentate dalla stretta dei denti bianchissimi, con il segno irregolare della cicatrice che le abbelliva più che deturparle, sembravano fatte per essere baciate fino a diventare ancora più turgide e rosse.

Non era il caso di continuare a fissarle. Così Dorian distolse lo sguardo. Avrebbe dovuto anche allontanarsi, giusto per maggior sicurezza, ma Cullen gli stava parlando – di cosa con esattezza Dorian non ne era certo. Si era davvero distratto – e andarsene di punto in bianco non sarebbe sembrato normale o garbato. Si limitò a continuare a guardare altrove e a cercare di riprendere il filo del discorso.

Colse a mala pena la parola “fortificazioni” e ci mise un lungo istante per capire che il motivo per cui Cullen aveva invaso il suo angoletto personale della biblioteca e stava setacciando proprio quello specifico scaffale era che stava cercando una monografia su Skyhold e sulle sue origini elfiche, nonché sul probabile uso della magia nella sua fondazione.

Dorian la conosceva, ne aveva letto parecchi capitoli tempo addietro e ricordava benissimo dove trovarla.

«Credo che stiate cercando questo» esordì e allungò una mano per afferrare il dorso della copertina e porgere il libro a Cullen. Anziché incontrare la stoffa della rilegatura trovò la mano di Cullen. Il Comandante, per puro caso, aveva individuato a sua volta il volume e si era sporto per afferrarlo.

Le loro dita si sfiorarono solo per un secondo, poi entrambi si ritrassero troppo in fretta, in quel tipico modo impacciato che non lasciava spazio a manovre diversive per mascherare l’imbarazzo.

Dorian provò l’orribile sensazione di essere appena arrossito come una fanciulletta al suo primo incontro galante e non fu consolato nemmeno un po’ nel vedere che anche le gote di Cullen stavano virando verso il porpora.

«Sì.» Cullen annui esageratamente. «Sì, il libro è quello, vi ringrazio.» Anziché provare a prenderlo si grattò la nuca e si schiarì la gola tossicchiando. «È… esattamente quello che stavo cercando.»

Per la prima volta da che lo conosceva Dorian avrebbe potuto odiarlo per l’ansia che gli stava facendo provare. Non che Cullen stesse scappando a gambe levate o che lo stesse fissando con orrore, come a volerlo accusare di aver cercato appositamente il contatto; a essere onesti pareva tutto fuorché disgustato o sconvolto. Probabilmente non si rendeva neanche conto di cosa quel tocco poteva significare per Dorian. Più che altro sembrava confuso, come se stesse sperimentando qualcosa che non riusciva a comprendere.

Se Dorian non fosse stato coinvolto personalmente l’avrebbe trovato buffissimo, in effetti. Un pezzo d’omaccione robusto e in armatura con la bocca accartocciata in una smorfia incerta, le guance rosse e gli occhi vagamente lucidi. E per cosa? Per un incidente da nulla?

All’improvviso a Dorian venne voglia di ridere. In modo un po’ amaro ma anche sincero, di se stesso, della situazione e dello spettacolo che lui e Cullen stavano dando.

Che cosa ridicola. Erano due idioti. Lui, con tutte le arie che si dava e con tutta la sicumera che ostentava, era un povero sciocco con un cuore che non voleva saperne di indurirsi e lo stomaco pieno di farfalle, e Cullen sarebbe stato capace di vergognarsi anche solo perché non era fatto di ferro.

Dorian lo pensava sul serio, ma il nodo che gli si era stretto nel petto si sciolse soltanto quando anche Cullen scoppiò in una fragorosa risata.

L’intera biblioteca si voltò a guardarli, eppure nessuno dei due riuscì a smettere di ridere.

«Ah, Comandante!» celiò Dorian, cercando di ignorare sia la portata del proprio sollievo sia quanto fosse disperato il suo bisogno di aggrapparsi all’ironia. «A furia di frequentarmi rovinerete la vostra reputazione di militare tutto d’un pezzo e di musone senza il senso dell’umorismo. Io vi ho avvisato, siete ancora in tempo per sfuggire alla mia nefasta influenza di mago viziato del Tevinter e conservare intatta la vostra fama di cupo condottiero. Se continuate a rivolgermi la parola lo fate a vostro rischio e pericolo, poi non vi lamentate se la gente comincerà ad aspettarsi di incrociarvi alla taverna e di sentirvi raccontare barzellette.»

Cullen si sfregò di nuovo la nuca e scosse il capo. L’imbarazzo, però, pareva superato del tutto, in una maniera o nell’altra.

«Correrò il rischio, Dorian» rispose, afferrando finalmente il libro. «In caserma di barzellette ne girano tante. Qualcuna la conosco davvero…»

Dorian finì con il sorridergli ancora una volta. «Alla prossima occasione allora dovrete raccontarmi quelle più piccanti» disse e non se la prese quando Cullen si strinse nelle spalle e si allontanò senza rispondere.

Sì, era uno stupido e non riusciva a correggere il tiro. Probabilmente l’avrebbe pagata con gli interessi, lo immaginava, ma che ci poteva fare se, prima di ogni altra cosa la sola presenza di Cullen lo metteva sempre di ottimo umore?

   
 
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