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Autore: Cira    22/04/2009    3 recensioni
Jiraiya osservò con disappunto la copertina de 'Orgoglio e Pregiudizio' consumata leggermente agli angoli, forse, per le continue letture.
Non era tra le sue abitudini spiare una donna addormentata , e vestita, ma non riuscì a staccare lo sguardo da quei lineamenti familiari,
il viso tondo, le labbra con una punta di rossetto per riaccenderne la bellezza.
Restò a fissarla per minuti interi ipnotizzato dal movimento ritmato del petto,
prima di concentrare tutta la sua attenzione verso il controllore appena entrato dall'uscio.
[ Jiraiya x Tsunade ][AU][Parte II di II]
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Tsunade
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Quando Jiraiya si svegliò il sole era già sullo zenit e gli incerti raggi autunnali riscaldavano piacevolmente le coperte.
Tirò un sospiro di sollievo non trovando i soliti dolori mattutini che lo scomodo sofà provocava al suo corpo.
Niente torcicollo, nemmeno quel perenne mal di schiena.
Si rigirò lungo il morbido materasso; era ampio, constatò.
Troppo ampio.
Con titubanza aprì gli occhi e come aveva previsto trovò l'altra metà del letto fredda e vuota.

«Fantastico...»

Si tirò su a sedere, ma la stanza era completamente in silenzio.
Si passò una mano sul viso, confuso, pensando alla possibile reazione della compagna.
Per un momento ringraziò quell'attimo di riflessione solitaria, ma la spazzò subito via al pensiero di lei ancora addormentata al suo fianco.
Risvegliarsi con il suo profumo.
La sua pelle così vicina.
Si destò quando sentì la serratura scattare e si accigliò quando la vide entrare dall'uscio con un piatto pieno zeppo di vivande.

«Da quando abbiamo il servizio in camera?»

Lei gli sorrise.

«Da quando la sottoscritta ha avuto la propria rivincita su mezzo casinò»

Si sedette sul letto di fianco all'uomo con aria fiera ed orgogliosa, sistemandosi meglio sul materasso morbido.
Jiraiya la osservò: era felice, allegra... sorrideva.
Stette un po' in silenzio, non sapendo davvero che dire: se iniziare un possibile discorso, oppure godersi quella strana tranquillità. Optò decisamente per la seconda opzione, fregandole un pezzo di pane speziato da sotto il naso.

«Non è carino lasciarmi morire di fame»

«Potrei dire lo stesso sul fatto che tu sia mezzo nudo nel mio letto.»

Gli lanciò una lunga occhiata, soffermandosi sulla pelle bronzea del petto.

«Ammettilo che non ti dispiace!»

«C'è di meglio» schioccò la lingua sul palato, maliziosa «molto meglio»

Jiraiya non se la prese, anzi, la sfidò con lo sguardo; portò una mano sul suo viso accarezzandole i capelli come la notte precedente.
La vide esitare sotto il suo tocco e poté scommettere che stesse trattenendo il respiro.
Da quanto non stava, veramente, con un uomo?

«Tu, invece principessa, sei bellissima quando sorridi...»


Forse fu per quella frase.
Sì, proprio per quella.
Tsunade aveva imparato a vivere nella solitudine, o per lo meno ad affidarsi solo a stessa.
Aveva imparato a non percepire nessun futuro e a sopravvivere nel presente; il passato avvolgeva i suoi sensi rendendo tutto più ovattato e meno realistico.
Aveva sempre considerato, o forzato di pensare a lui solo come un appiglio, una fuga d'emergenza, un amico d'infanzia, non ad un uomo.
Non come ad un uomo che la amava da troppi anni.
Si avvicinò al suo volto, accarezzò i contorni delle labbra con le dita, scese verso le lunghe ciocche argentee che ricadevano sinuose sulle spalle, cercò i suoi occhi color pece e vide il desiderio represso con forza dall'autocontrollo.
Non l'avrebbe mai toccata senza il suo consenso.
Quel senso di
potere la destabilizzò così tanto d'accostarla ancor di più a Jiraiya.
Lo baciò.
Lentamente, confusa come una bambina davanti ad un nuovo puzzle, sentì la carne calda, prima tesa poi cedevole, rubarle il respiro.
Si lasciò abbracciare con il cuore che le martellava il petto.
Soffiò di lieve disappunto quando sentì il contatto venir meno ed osservò le labbra dell'uomo arrossate.

«Tsunade...» tenne lo sguardo fisso sulla sua bocca, trovandola così vicina ed invitante «Fermami adesso...»

L'unica risposta che si udì fu lo schianto del vassoio sul pavimento e la donna si appuntò che mai aveva incontrato un uomo più stupido.


Jiraiya pensò di annegare tra la pelle color avorio della donna, naufrago d'amore tra i suoi baci e i capelli d'oro; immerso in quella profonda apnea dei sensi la strinse a sé tremando per l'ondata di calore ed eccitazione.
Percorse l'intero corpo con le mani, sapiente dei punti più sensibili, seguì le vertebre lungo tutta la schiena fino ad arrivare i muscoli della cervicale tesi.
Sentì il sangue vorticare nelle vene, le pulsazioni frenetiche ed i sospiri tra le sue labbra.
La fece distendere lungo il letto, sotto di sé, cercò il contatto la sua pelle quasi fosse un'ancora di salvezza; anche se la realtà sembrava così distante ed astratta riuscì a frenarsi, a porsi un limite sfocato: doveva capire, comprendere quello sfogo così inaudito e spaventoso nella sua bellezza.
Non trovava alcuna spiegazione per cui le sue mani lo toccassero così voracemente... vedeva solamente una donna, la sua donna, che chiedeva un amore fisico, concreto. Jiraiya le tolse l'ultimo ostacolo, l'ultimo velo, e si ripeté per l'ennesima volta di non impazzire.

Era una danza lenta la loro, fatta quasi per cristallizzare ogni sguardo, ogni movimento.
Lenta perchè la rabbia, i rimorsi ed i vari ricordi pungenti sembravano così lontani e la sensazione era dannatamente piacevole: sarebbe stato difficile ritrovare quella fragile pace.
Era una danza di un sentimento complesso, della necessità fisica di un abbraccio stretto, soffocante, che urlasse tutta la solitudine subita.
In quel mare burrascoso non ci furono parole d'amore.
Ma questa non seppero stabilire se fosse una questione d'orgoglio o paura.


________




Doveva fare in fretta, essere veloce e silenziosa.
Tsunade frugò tra la camera cercando uno stramaledetto foglio ed una penna nei vari angoli della stanza, con alcuni vestiti ancora in grembo, sistemandosi freneticamente una ciocca bionda che le ricadeva sul viso.
Non lo osservò mai.
Mai depose lo sguardo sul bambino mai cresciuto - illuso - che dormiva nel letto ormai sfatto, mai indugiò sul corpo nudo che stava ancora riposando tra le calde lenzuola.
Si accontentò di un misero fazzoletto ed di una biro nera, scrisse una sola parola, il frutto di una mattinata di ricerche più o meno dignitose.
La grafia minuta sillabò un 'Liverpool' intriso di malinconia, senza lasciarsi andare ad addii sdolcinati e scuse: una fuga non può permettersi ripensamenti o giustificazioni.
Una fuga brucia ogni passato, inonda il presente di un fumo denso e soffocante rendendo il futuro un mero miraggio.


________




La cabina gli sembrò perfettamente identica a come l'aveva lasciata; solo la ragazza non dormiva più: ora stava accarezzando le pagine ruvide, forse sognando un possibile signor Darcy tra le lettere d'inchiostro nero.
Era semplicemente immersa tra i suoi pensieri, calma mentre arricciava una ciocca bionda attorno all'indice, se non fosse stato per il leggero cipiglio sarebbe parsa una bambola. La sua creatura di porcellana invariata in tutto questo tempo, così bella, ad un metro distanza.
Jiraiya sospirò, cercando di reprimere l'orgoglio ferito e furente con quella semplice visione, cercò davvero di consolarsi ripetendosi che infondo era solo un uomo, innamorato per di più, che la rabbia e la vendetta non lo avrebbero mai ripagato che, Dio, quanto l'aveva desiderata e la voleva baciare, lì su quel sedile sgualcito e maleodorante, abbracciarla , dirle “Sono io, sono qui amore” e sentirla ridere come solo lei sapeva fare arricciando le labbra rosate.
Aveva tentato Jiraiya, davvero, però a quelle parole non seppe fermare l'ira che gli infiammò il cuore offeso.

«Ci hai messo solo trenta minuti, pensavo fossi fuggito dall'altra parte dell'Inghilterra, ma evidentemente ti ho sottovalutato» Tsunade chiuse il libro, tenendo un dito tra le pagine «Jiraiya».

L'interpellato socchiuse un paio di volte le labbra intenzionato a proferir qualche risposta senza alcun risultato, inclinò il capo sulla spalla sinistra per squadrarla meglio.

«Tu sapevi».

Creatura bizzarra l'amore, ancora di più se nutrita d'orgoglio.
Si sentiva frustato, arrabbiato, deluso. Il rispetto per quella donna gli sembrava una cosa inaudita, inammissibile e la rabbia violenta saliva alla sua gola per poi defilarsi in un sibilo.
Come aveva semplicemente potuto?
Si ricordava bene quella mattina vuota, ad aspettarla una seconda volta tra le coperte calde e la sera sullo stesso letto con lo sguardo spento e il fumo di un sigaretta nei polmoni.
Si ricordava bene la speranza che era svanita a poco a poco, lasciando spazio solo alla delusione - mai all'odio.
Ma ora, ora, che sistemava il suo stupido romanzo nella borsa non curandosi nemmeno della sua presenza, ora che lo fissava fiera di averlo preso in contropiede come se fosse stato un comune estraneo e non l'uomo che aveva tradito, ora che alzava un sopracciglio schernendo la sua stupidità sapeva che la stava odiando.

Fu un gesto rapido: dopo essersi avvicinato a lei, le afferrò il polso con prepotenza facendola sbattere contro il suo torso.
Non aveva mai alzato un solo dito su una donna,mai, credeva fortemente nei suoi princìpi da buon gentleman inglese ed utilizzare la propria forza contro quelle splendide creature lo trovava meschino e sleale, per questo si era fatto solo ed esclusivamente picchiare rispondendo qualche volta con un sorriso sornione.
Con lei in quel momento era diverso.
Era così simile a lui in quel ghigno sarcastico, lui sede degli errori di una vita.
Sentiva la sua mano libera premere sul petto cercando di far leva per poter liberare il polso e staccarsi da lui.
Sentiva il respiro accelerato, il profumo dei suoi capelli proprio sotto al suo mento e vedeva la smorfia di un animale braccato sul volto.

«Jiraiya! Lasciami subito!»

Un sussurro stridulo, una preghiera, ma come ascoltarla quando solamente la sua pelle riusciva a perdonarla di ogni colpa, quando il respiro caldo gli arrivava direttamente sul collo bloccando ogni parola, quando le sue dita gli perforavano il petto; come poteva lasciarla andare, magari farla fuggire un'altra volta quando poteva averla li vicino.
L'albino abbassò il capo sfiorando le guance della ragazza con il respiro, seguendo le linea della mandibola senza mai toccarla né liberarla dalla sua morsa.
Sembrava assuefatto dalla sua vicinanza.

«Jiraiya...»

«Shhh...» la zittì con un dito continuando con le sue carezze invisibili finché non arrivò proprio davanti alle sue labbra ed appoggiò la fronte contro quella di Tsunade.

«Spiegami solo perché, Tsunade, ho bisogno solo di questo.»

«No...»

«No, cosa? Non era una domanda, io esigo di sapere cosa diamine ti ha fatto scappare!»
tenne gli occhi chiusi e terminò le ultime parole con asprezza lasciando ricadere la ciocca di capelli dorata che aveva imprigionato tra le dita. «E' stata per colpa mia?»

«No...» si morse il labbro inferiore alla ricerca di una risposta plausibile «sono solo io che non riesco a vivere nella felicità...»


________




Il silenzio gravitò velocemente su di loro, seduti a pochi centimetri di distanza, ma lontani mille miglia con la mente.
Non avevano calcolato quel confronto e nemmeno la stanchezza successiva. Si sentivano vuoti, persi in una misera cabina, lui con il capo appoggiato al sedile e lei immersa nel paesaggio sfocato che s'intravedeva dal finestrino.
Dieci anni da narrare l'uno all'altro e l'unica cosa che erano riusciti ad ottenere era quella pausa silenziosa, come se fossero stati già troppo vecchi, alla soglia dei loro trent'anni, per discorrere e parlare.

«L'ho riportato a Londra due anni fa.»

Inutile sottolineare il soggetto e le circostanze del ritorno del compagno. Jiraiya sollevò la mano portandosela alle tempie: non era uno dei suoi discorsi preferiti, ma Tsunade aveva il diritto di sapere.

Lo aveva ritrovato, in una fredda cella d'isolamento d'un ospedale periferico, malato ed inerme.
L'infermiera che lo aveva accompagnato davanti alla sue stanza, era abbastanza robusta e delle ciocche castane erano sfuggite alla morsa della pinza di plastica rossa; quando gli elencava la procedura delle visite lanciava spesso delle occhiate al vetro posto sull'uscio per controllare il paziente, sembrava terrorizzata mentre si rigirava la fede sull'anulare sinistro.
Solo dopo avrebbe scoperto che il moro aveva ammazzato, con un bisturi nella gola, una sua collega perché si rifiutava di dargli un'altra dose di morfina, solo dopo avrebbe capito il terrore della donna di fronte a quegli occhi dorati e rabbiosi: gli unici segni di vita in un corpo in totale agonia.
Qualunque malattia lo stesse riducendo in quello stato, lo stava facendo dall'interno: ogni volta che un'ondata di tosse gli scuoteva le membra delle piccole gocce di sangue imbrattavano le lenzuola bianche.
La porta mal oleata aveva emesso un urlo stridulo, ma Orochimaru non si era mosso; continuava a respirare tra le coperte e l'aria gelida.
Quando Jiraiya si fermò di fianco al capezzale dell'uomo constatò che era dannatamente magro ed anche se i capelli corvini coprivano in parte il viso, riuscì a vedere le guance scavate e pallide. Scostò lo sguardo verso qualcos'altro, passò per il muro sostando sulle crepe e le infiltrazioni che partivano dal soffitto, le due sedie di plastica impolverate, mai usate per delle visite di amici e parenti, accostate vicino alla porta; cercò di guardare tutto quello che la stanza scarna gli concedeva, ma gli occhi erano attratti da
lui vulnerabile per la prima volta proprio sotto i suoi occhi, stranamente dopo otto anni di caccia non sentiva dentro di sé alcun senso di rabbia – solamente dolore.
«Strano vederti da queste parti, Jiraiya» un sussurro flebile, spezzato dal respiro pesante, salì dalle labbra del moro che mosse il capo rivelando il volto pallido e gli occhi vivi ed indagatori.
Il sorriso sarcastico era appena accennato e macchiato di sangue a causa della tosse impertinente. L'albino lo fissò, ipnotizzato dalle piccole macchie rosse che lentamente si stavano coagulando, diventando più scure e risaltando sulla pelle d'avorio.
Sospirò, senza concedere una risposta al compagno, avvicinò la mano sinistra alle labbra dell'uomo e con le punta delle dita levò quei chiari segni di morte che rovinavano il viso ancora affascinante, nella sua ambigua bellezza, seppur stravolto.
Esitò su quel contatto, lasciò che il suo calore, molto probabilmente febbrile, gli inondasse i polpastrelli ora sporchi di sangue – del suo sangue –, non si curò di mostrare la sua debolezza in una leggera carezza.
«Ti riporto a casa.»
La presa che si materializzò sul suo polso ed il conseguente calore, lo destabilizzò, soprattutto quando Orochimaru lo tirò verso di sé, facendogli perdere un poco l'equilibrio, avvicinandoselo al viso.
Quando gli fu davanti, il moro si passò la lingua sulle labbra sfoggiando un sorriso sardonico. «Rimani il solito stupido moccioso sentimentale, Jiraiya.»



«So che è morto, Jiraiya, non girarci attorno.»

Ormai aveva imparato a cercare notizie ed indizi sul moro con estrema facilità, se n'era tenuta alla larga, ma aveva seguito ogni suo passo da lontano, certe volte chiedendo anche di un certo albino dalla chioma indomabile.
Sì, Tsunade aveva cercato di rompere ogni legame con il passato fuggendo da entrambi però evidentemente c'era qualcosa che la tratteneva fino all'ultimo secondo, forse un senso di rimorso, oppure il caldo tepore dell'infanzia e dei ricordi felici.

Si ricordava ancora quella mattina, il risveglio brusco visto l'insolito cuscino, la confusione, il dubbio e, dopo aver osservato per qualche minuto il sonno agitato del compagno, la voglia di sentirsi utile a qualcuno.
Rammentava anche il tanfo del casinò ancora in disordine dalla sera precedente; degli alcolizzati sedevano ancora al banco agitando un bicchiere di whisky infischiandosene del proprio fegato e della propria vita; vicino al biliardo, intrappolati in una nuvola di fumo c'erano le sue vittime: giocatori di poker e le loro notizie di infimo livello spesso trovate grazie all'ausilio di un coltello affilato.


«Meglio così...» l'uomo sospirò piano, continuando a contemplare il soffitto.

Cacciare fuori le informazioni ai quei bari era stata la parte più difficile, non a caso aveva indossato una camicetta più scollata del solito che lasciava intravedere qualche centimetro di pelle in più, si era accomodata al tavolo lanciando un sorriso malizioso ai suoi avversari ed aveva estratto una piccola mazzetta di banconote che accarezzava lentamente portandosele tra il pollice e l'indice assaporandone la consistenza.
Le vittorie inaspettate li avevano resi schivi, il malcontento faceva vibrare l'aria , spesso delle occhiate infuocate ricadevano sulla figura della donna accompagnate da parole più o meno volgari e dimenticate da Dio.
Tsunade aveva continuato il suo gioco, studiando le proprie carte insolitamente vincenti, li aveva messi nell'angolo facendogli giocare anche la loro conoscenza, il loro sapere sul banco per qualche spicciolo.
Era stato l'uomo seduto al suo fianco a rivelargli quel 'Liverpool' che a distanza di poche ore si sarebbe tramutato in un rozzo addio.


«Non trovi che sia ridicola questa situazione?» Tsunade si risvegliò dai suoi pensieri osservando l'uomo al suo fianco «Intendo noi due, qui, dopo dieci anni»

Di fronte al sorriso che si aprì sulle labbra del compagno, si sentì un po' a casa, come ai vecchi tempi quando la cullava con le sue premure... non aveva mai pensato a quanto potesse essere finto.

«Io la definirei imbarazzante... cioè, guardaci» la bionda si levò la mano dalla fronte con un gesto stizzoso «Sembriamo due bambini»

«Parla per te, io non scappo davanti ai problemi»

«Oh, certo, perché sorridere e far finta di niente, continuare a cercare qualcosa che si è perso per sempre è la cosa giusta!» Tsunade si staccò dal finestrino, puntellandosi meglio sul sedile per fronteggiare l'albino.«Parla il maestro di vita! Tutto quello che hai fatto è stato crogiolarti in una stupida illusione, Jiraiya.»

Ansimò appena, con le gote arrossate dalla rabbia, cercò gli occhi color pece immaginando di trovarli lucenti ed infiammati, pronti per una nuova risposta puntigliosa.
Quello che vide la ammutolì: le iridi spente ed opache davano un senso di vuoto, di stanchezza.

«C'è altro?» Jiraiya non la guardò nemmeno nascondendo lo sguardo con i capelli «Il fatto che io non sia riuscito a far nulla nella vita, non è una novità. Non serve che il tuo orgoglio me lo ricordi così prontamente.»

«Io non v-»

«Anche se non volevi dirlo, lo pensi ugualmente, Tsunade»


________




Jiraiya portò una mano sulla spalla della compagna, accarezzando la pelle attraverso il largo maglione color antracite, per ricevere la sua attenzione. La condensa sul finestrino si stava lentamente raggruppando in piccole gocce – quasi fossero le lacrime della bionda- svelando a poco a poco la città addormentata.
Il rumore grave del treno che li aveva accompagnati fin a quell'instante era terminato.
Doveva scendere.
Strinse le labbra pensando a qualcosa da dire di interessante, di intelligente, pensò anche di restare su quel sedile maledetto e malconcio, di baciarla, di possederla lì, ora, subito, cancellando le ferite ascoltando il proprio nome uscire dalle sue labbra rosee e perfette.

«Vai.»

Non fu la sorpresa a fermarlo, nemmeno quel rifiuto indiretto di un possibile futuro insieme.
Da quando Tsunade? Da quando siamo così soli?
Era quella tristezza che li inondava da anni, quella solitudine che ormai era penetrata nel sangue a spaventarlo.
Erano ancora capaci di amare due come loro?
Potevano ancora salvarsi?
Jiraiya non seppe rispondere, le sollevò il viso con due dita, si avvicinò cauto chiudendo lentamente gli occhi color pece non riuscendo a sopportare la visione di due lacrime che scendevano spaventate lungo in viso troppo arido e freddo, baciò le labbra salate appropriandosi dell'ossigeno della bionda.

«Non scordarti di me, principessa»


________




Quando il treno ripartì Tsunade si portò una mano tra i capelli dorati, appoggiando il capo appesantito da mille pensieri e dubbi sulle ginocchia tremanti.
Con la mano destra cercò un appiglio nel vetro appannato e gelido, sovrapponendo
inconsapevolmente le proprie dita sui contorni scuri di un'altra mano che per l'ennesima volta la stava sostenendo da lontano, accarezzandola piano nell'animo, senza chiedere nulla in cambio.




NdA - L'ho finita. Oddio. Ce l'ho fatta.
E dire che in testa ho ancora mille idee per questa storia, mille cambiamenti più o meno grandi, mille vite da raccontare... awww, mi mancherà sicuramente ç_ç
Manco fosse una figlia, direte voi, ma questa è la mia prima fic che supera l'ostacolo del secondo capitolo, la prima.
Non per niente ci ho messo sei mesi per scrivere dodici pagine, 'azzo se son lenta XD

Ma passiamo alle note vere:
-Liverpool è la città in cui risiedeva Orochimaru in quel periodo;
-Nell'ultima scena il contorno, la sagoma, l'impronta, l'orma della mano sul finestrino è di Jiraiya;
-Se vi state chiedendo perchè diamine non è restato sul treno e non hanno fatto sesso anche li, mi dispiace ma non saprei rispondervi sono solamente masochista.
-Se non ritenete possibile che Orochimaru possa uccidere un'infermiera con un bisturi nella gola in quelle condizioni, vi dico solo che cercavo qualcosa per renderlo più simile al pazzo omicida del fumetto.
-Regalo fazzoletti , ma per gli istinti omicidi andate dal vostro odioso vicino di casa.



Ringrazio tutti coloro che recensiscono, leggono e inseriscono addirittura la storia nei preferiti!
Ah, anche Kupòcchan e i suoi scleri ovviamente.
Un bacio, July.
  
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