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Autore: Fedevier    25/07/2016    0 recensioni
La musica ha il meraviglioso potere di unire i cuori, le menti e le vite delle persone che la amano in maniera permanente e significante.
Quattordici giovani di diversa nazionalità ed età impareranno a conoscersi e si scontreranno con quello che il destino aveva già, in qualche modo, deciso per loro.
Una storia profonda di crescita mentale, familiare, di amicizia e di sentimenti puri e contrastanti che, tra un sorriso ed un pensiero, allieterà, spero, le vostre giornate.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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1.0 Paradisi, Toccata



Cat era sempre stata una ragazza molto mattiniera, detestava anche solo l’idea di dormire troppo, si sentiva fortemente in colpa, come se, riposando, avesse perso tutto il tempo del mondo.
Oltre ad essere mattiniera, poi, tendeva ad andare anche a dormire molto tardi, non era esattamente colpa sua, però: poteva essere la persona più stanca del mondo, eppure gli occhi di Cat non si sarebbero mai chiusi prima dell’una del mattino.
Di conseguenza, le ore di sonno erano, giornalmente, non più di cinque o anche di meno, più Cat era stanca, meno dormiva, una contraddizione che, come tante altre che aveva, la rendeva una persona parecchio strana.
Le contraddizioni erano, infatti, all’ordine del giorno per Cat: il fatto che fumasse, per esempio, era dannoso per lei non quanto le altre persone ma molto di più, infatti, fin dalla nascita, Cat possedeva un polmone molto più piccolo della norma, poiché non era riuscito a crescere a causa di altri organi che lo “schiacciavano”; nonostante Cat sapesse perfettamente di questo problema, non smetteva di fumare, non tanto per dipendenza ma quanto per indifferenza, diceva che, effettivamente, della sua salute personale non le importava nulla e che a nessun altro sarebbe importato, una visione del mondo molto pessimista e una bassissima considerazione della sua persona, nonché una grande noncuranza dei sentimenti altrui nei suoi confronti, erano delle piccole cose che accompagnavano la mente di Cat ogni giorno.
Di conseguenza, Cat non era una persona felice, un po’ per cause esterne, un po’ per colpa sua.
Quando Cat si svegliò quella mattina, per qualche minuto non si rese conto esattamente di dove fosse o di cosa stesse facendo poco prima di addormentarsi, si limitò a mettersi goffamente seduta sul letto ed a spostare i riccioli rossi dalla sua faccia con dei deboli soffi che, più che liberarle il viso dai capelli, le davano semplicemente fastidio al naso a causa del solito mal odore mattutino.
Cat si voltò lentamente e osservò, sdraiata malamente sul letto accanto al suo, Danièlle dormire rumorosamente ed in maniera molto agitata e la ragazza si domandò se valeva la pena svegliarla già alle sei del mattino.
In fondo, era luglio inoltrato, nonostante fossero in una masterclass, non era veramente il caso di svegliare qualcuno così presto, le persone normali, di solito, dormono molto di più, di conseguenza Cat decise di concedere alla ragazza una mezz’ora in più per dormire e si sentì stranamente generosa per questo.
Quella mezz’ora, però, per Cat passò particolarmente veloce, di conseguenza, dopo essersi già lavata e vestita, provò a svegliare Danièlle.
Niente, un sasso, non si svegliava.
Cat provò allora a mettere musica brutta al cellulare al massimo del volume, sicuramente il coreano al piano di sotto si era svegliato almeno otto volte di fila con questo ma Danièlle niente.
Allora Cat decise di sperimentare, come la chiamava lei, la “Tecnica della nonna che russa”, prese un bicchiere di plastica dal tavolo, ci mise dell’acqua fredda e, con le dita, sparò qualche schizzetto sulla faccia della povera Danièlle la quale, semplicemente, non voleva svegliarsi ad un orario così insolito.
Niente, persino un bradipo in pieno inverno si sarebbe svegliato in questo modo ma Danièlle niente.
Fu così allora che Cat, con un’aria seccata e particolarmente disinteressata, gettò l’acqua fretta sulla faccia della poverina la quale, ovviamente, si svegliò arrabbiatissima, osservando incredula il viso della compagna e l’espressione fredda e distaccata che aveva mentre pronunciava: “Ho fame e non so dov’è la mensa”.
Danièlle cercò in tutti i modi di trattenere la rabbia, dunque le rispose semplicemente: “Buongiorno anche a te” prima di guardare il cellulare e di inorridirsi per l’assurdo orario in cui l’aveva fatta svegliare.
“Te l’ho detto”, rispose Cat, “Ho fame e non so dov’è la mensa, tu ci sei già stata ma io no e ho fame”, ovviamente il viso e l’aria erano sempre quelli.
Quindi, dopo le ramanzine inutili di Danièlle per Cat su quanto fosse presto e quanto fosse contrariata a tutto ciò, dopo essersi lavata i suoi lunghissimi capelli e dopo essersi preparata con una lentezza che, in confronto, una lumaca avrebbe terminato un percorso di 100 metri sette volte andata e ritorno, finalmente, dopo due ore, Danièlle era pronta e Cat aveva divorato tutte le caramelle alla menta che teneva nella borsa.
La mensa, a stupore di Cat, era straordinariamente vicina alla loro residenza, forse svegliare Danièlle non era necessario, forse.
Però, alla vista delle brioche da farcire e ripensando alla lentezza di Danièlle nel prepararsi, Cat non si pentì nemmeno un secondo della sua azione, anzi fu grata a se stessa di essere sempre così brillante ed intuitiva ed iniziò ad argomentare di questa straordinaria scoperta con la sua compagna.
Però Danièlle non era attenta, qualcosa la stava distraendo da quell’interessantissimo discorso: la vista di un angelo dagli occhi blu che, a rallentatore, forse solo nella testa della ragazza o forse semplicemente perché era mattina, si avviava al tavolo da solo per fare colazione.
Cat, notando lo sguardo perso della compagna, si voltò per capire esattamente cosa Danièlle stesse guardando e, con disinteresse, tornò alla sua brioche e disse, divorandola: “Davvero, quel tizio? Ha fatto il viaggio con me nel pulmino per andare all’alloggio, è la persona meno sveglia e più rimbambita che io abbia mai visto, sembra non abbia mai sentito nemmeno l’odore del caffè in vita sua”.
“Semplicemente, quando è caduto dal paradiso, deve aver sbattuto la testa molto forte e adesso è confuso, poverino” e, dicendo ciò, Danièlle si spalmò distrattamente un panetto di burro sulla guancia scambiandolo per la sua bocca.
“Che orrore!”, esclamò Cat versando il caffellatte, “Come fai a dire una cosa del genere senza sentirti una persona orribile?”.
“Allo stesso modo in cui tu mi hai svegliata, Cat”, rispose Danièlle, con una voce talmente trasportata da non corrispondere affatto al tono che sarebbe stato adeguato ad una frase simile.
E, così, ripartì il monologo di Cat su quanto lei fosse intelligente al contrario della compagna per non aver capito il motivo per il quale il suo modo di svegliare la gente, in realtà, fosse giusto, ma Danièlle era troppo presa nell’immaginare la sua vita con quel tipo addormentato e, di conseguenza, la colazione terminò.
Uscite dalla mensa, mentre Cat era intenta a prepararsi una sigaretta, le ragazze vennero “attraversate” da due ragazzi dall’aria stanca e sudaticcia i quali, distrattamente, esclamarono “Buongiorno” in inglese ed entrarono nella mensa.
Cat, confusa, non rispose, Danièlle nemmeno ma nessuna delle due si sentì minimamente in colpa per questo, soprattutto Cat, la quale detestava questo modo così maledettamente educato di salutare qualsiasi persona si incontri, pur non conoscendola.
Ritornate nella stanza, Cat si pose, finalmente, il problema che non sapeva come portare tutti i suoi libri in conservatorio per la cerimonia di apertura, erano talmente tanti che non entravano nella sua piccola borsa ed era abituata alle uniche masterclass che aveva fatto in tutta la sua vita con la sua insegnante a Lione, nelle quali portava sempre tutti i suoi spartiti.
L’unico modo era metterci una grossa cintura intorno e, camminando per la salita con tutti quei libri in braccio si sentiva una studentessa degli anni ottanta con il mal di schiena.
Arrivata a destinazione con un’ora di anticipo, Cat si fece spiegare il sistema di prenotazione delle aule per lo studio: tutti i giorni alle cinque del pomeriggio bisognava prenotarsi le classi con un massimo di disponibilità di quattro ore giornaliere, peccato che l’unico buco in tutta la giornata per Cat era un’aula per mezz’ora proprio in quel momento.
Non sapendo che fare, Cat la prenotò e si avviò nell’aula dove, però, si era infilato un trombettista.
Confusa ed incapace di cacciare una persona da una sua aula, Cat iniziò a camminare in maniera goffa e nervosa su e giù davanti alla porta formando dei piccoli cerchi e guardando per terra assiduamente.
Nonostante le apparente, Cat era pur sempre una ragazza abbastanza impacciata, soprattutto con gli sconosciuti, ci voleva sempre un po’ di tempo prima che lei riuscisse ad aprirsi, figuriamoci se doveva cacciare con disinvoltura qualcuno da un’aula.
L’ennesima contraddizione nella complessa personalità di Cat, la stessa ragazza che qualche ora prima aveva svegliato la sua compagna di stanza conosciuta il giorno prima con dell’acqua fredda in faccia aveva anche paura di parlare con gli sconosciuti.
Passò, per fortuna, un ragazzo che, con sorpresa di Cat, era uno dei due che, poco prima, l’aveva salutata senza alcun motivo, il quale si fermò, la osservò per qualche secondo e poi chiese, con disinvoltura: “Ehi zia, non riesci a cacciare un tipo dall’aula?”.
Zia?
Cat, con gli occhi sgranati, incapace di professar parola, si limitò a scuotere la testa in segno di negazione.
“Ci penso io” e, con un’aria talmente sicura di sé da essere quasi inquietante, entrò nell’aula e disse: “Ehi zio, c’è qui la mia amica che ha prenotato e che vuole studiare”.
Amica?
Cat osservò incredula il trombettista che se ne andava sorridendole e chiedendole scusa, poi si soffermò sul ragazzo biondo, sicuro e addormentato che aveva davanti, balbettando, forse, qualche parola di ringraziamento.
“Figurati zia, eh, boia, se devi entrare in un’aula, entra” e se ne andò, così, facendole un occhiolino un po’ storto che, dati i suoi occhi minuscoli, era praticamente impercettibile.
Cat non aveva capito nemmeno una parola, in più gli occhiolini le mettevano sempre confusione, di conseguenza decise di studiare senza farsi troppe domande.
Il tempo trascorse velocemente, la riunione d’inizio corso si presentò particolarmente imbarazzante per Cat, un po’ perché non riuscì a trovare Danièlle tra tutta quella gente e si sentiva sola, un po’ perché, a suo parere inspiegabilmente, molti ragazzi guardavano storta la sua enorme pila di libri, un po’ anche perché metà della riunione era in tedesco e non poté far altro che fingere di ridere ogni volta che, a parer suo, il direttore della masterclass faceva una battuta.
Il direttore era un tipo un po’ strano, aveva un enorme sorriso sulle labbra come se qualcuno glielo avesse scavato addosso con un piccone e gesticolava in un modo così tranquillo da mettere agli altri un’ansia sconfinata.
Alla fine della riunione, furono presentati i vari insegnanti dei corsi, tra cui, ovviamente, l’insegnante di pianoforte.

Cat non riuscì ad identificare bene il viso dell’insegnante, si limitò ad inseguirlo con gli occhi non appena scese dal palco e, terminata la riunione si mise silenziosamente dietro di lui per provare a parlargli ma, non appena aprì bocca, si avvicinò un’altra ragazza a lui, il quale esclamò il suo nome come se la conoscesse da una vita.
La ragazza era poco più alta di lei, con i capelli castano chiaro lunghi fino a poco più delle spalle e con una borsa a tracolla nera con disegnato qualche animaletto dei cartoni animati, aveva un sorriso enorme ed un viso molto grazioso.
“Piccola Julia!”, esclamò l’insegnante alla ragazza, “Che piacere vederti, quest’anno sarai la mia assistente” e sorrise teneramente, la ragazza non replicò, si limitò a ricambiare il suo sorriso con un’allegria tale che poteva contagiare tutto il mondo.
Cat rimase dietro di loro, cercando, invano, almeno di ascoltare la conversazione e , seguendoli, si ritrovò in un’aula con due pianoforti e tante poltrone dall’aria comodissima.
Senza accorgersene, Cat era rimasta sola con questa ragazza ma non vi fu tempo di parlare che entrò un altro studente, molto alto, un po’ scuro e dai capelli molto ricci ricoperti da talmente tanto gel da sembrare sporchissimi.
La ragazza di nome Julia, dopo aver scrutato Cat attentamente, si voltò verso il ragazzo e gli diede la mano come per presentarsi.
Di conseguenza, secondo la mente di Cat era ovvio che, evidentemente, le cose funzionassero così: ci si presentava così, casualmente, quindi diede anche lei la mano al ragazzo riccio, presentandosi con un’apparente disinvoltura.
Il ragazzo, però, non rispose, la guardò semplicemente in maniera un po’ confusa.
Quindi, le cose non funzionavano esattamente così, concluse Cat, e si rese conto di aver fatto non proprio una bella figura.
Julia, però, non riusciva a distaccare lo sguardo da Cat, quasi divertita, la cosa faceva, a quest’ultima, un po’ accapponare la pelle.
Si presentarono, poco dopo, altre persone in aula: la giapponese tedesca con la madre che Cat aveva visto il giorno prima, due ragazzi dall’aria un po’ strana, un’altra giapponesina che sembrava uscita dal mondo delle favole, un ragazzo con gli occhiali dai capelli più “grandi” che avesse mai visto e poi, finalmente, l’insegnante, un signore, all’apparenza non troppo anziano, che guardava sorridendo gli studenti.
Per fortuna, l’insegnante conosceva il francese, Cat non fu mai abbastanza grata per qualcosa in vita sua come in quel momento, l’idea di parlare inglese o, peggio, tedesco le faceva venire la pelle d’oca.
“Sono Virgilio Friedrich”, si presentò l’insegnante, ordinando di chiudere la porta, “sono molto curioso di conoscere i vostri programmi e spero di poter lavorare bene con voi”.
Cat si sentiva stranamente a suo agio ascoltando la voce di quell’uomo, aveva un accento così particolare e melodioso e tutta la sua persona donava un’aura di sicurezza e competenza, persino le sue mani erano meravigliose, si vedeva, in esse, il frutto di un lavoro infinito e complesso.
Cat non si sentì affatto all’altezza e si guardò intorno: vi erano sicuramente tantissime persone, in quella stanza, che emanavano tutte quante, anche loro, un’aura di sicurezza e competenza esattamente come Friedrich, non come lei.
Cat era lì solo per caso, come poteva pretendere di essere in quella stanza e di non sentirti in imbarazzo?
Così svanì la sua sensazione di agio e venne l’angoscia che impedì a Cat di capire anche solo una parola di quello che Friedrich stava dicendo.
Ma ecco che, all’improvviso, la porta dell’aula si aprì e calò il silenzio.

 




Non so ancora perchè ma ci ho messo un po' di tempo a scrivere questo capitolo, ho cercato di unire tante cose insieme quindi spero con tutto il cuore che sia abbastanza scorrevole.
Penso abbiate notato che i titoli dei vari capitoli sono, in realtà, dei brani musicali: essi, a mio parere, vanno pienamente d'accordo con la trama raccontata, sarebbe abbastanza carino ascoltarli con you tube mentre si legge il capitolo, è solo un suggerimento, non penso che possa cambiare più di tanto l'atmosfera ma, forse, può rendere leggermente più gradevole la lettura.
Spero di essere un po' più puntiale con la pubblicazione dei prossimi capitoli e, in futuro, di non metterci così tanto a scriverli.
Come sempre, qualsiasi consiglio o critica è ben accetto, spero che la mia storia, fino ad ora, vi stia prendendo almeno un pochino.
Alla prossima!
   
 
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