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Autore: Naco    23/04/2009    1 recensioni
Un incontro, assolutamente casuale. E la ruota del destino comincia inesorabilmente a girare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mara e i suoi amici'
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XV

"And they will assist us 'cause we're asking for help."
(Homogenic – Björk)

Inizialmente considerai seriamente l’idea di essere impazzita: avevo pensato a lui così intensamente e per così tante volte, che, alla fine, immaginavo persino di averlo davanti? Poi, per fortuna, la ragione aveva avuto la meglio e mi ero convinta che fosse davvero lui.
Avrei voluto porgli tante, tantissime domande; avrei voluto dirgli la mia verità prima che lui se ne andasse un’altra volta, ma, al contempo, avrei voluto chiudergli la porta in faccia e intimargli di non farsi più vedere; tuttavia, non mi mossi e continuai a fissarlo.
“Ciao.”
Non avrei mai creduto di poter ancora sentire la sua voce; non dal vivo, almeno.
Rimasi sulla soglia in attesa, senza parlare; lui abbassò la testa, non sapendo bene come proseguire.
“Posso entrare?”
“Come mai sei qui? Non dovevi partire oggi?” riuscii infine a chiedere, il tono più tagliente di quanto volessi.
“Sì. Però alla fine ho cambiato idea. Sono… sono successe un po’ di cose.”
“Ah.”
Ci fu di nuovo silenzio. La mia mente era vuota e non sapevo se attuare il mio proposito, oppure soddisfare la mia curiosità e chiedergli il perché di quel cambio repentino di programma.
“Mara…” la sua espressione sofferente mi colpì nonostante tutto “per favore… posso entrare?”
Mi scostai per lasciarlo accomodare; chiusi la porta e mi voltai in attesa; lui si fermò al centro della stanza e annusò l’aria.
“Hai ospiti?”
“Sì. Ho invitato la signora Lucia e suo marito a cena, visto che la signora è appena uscita dall’ospedale.”
“Sono contento.”
Gli credetti.
“Ti ho… ti ho portato una cosa. Prima l’ho vista in una vetrina, venendo qui, e così mi sono ricordato che ti piace.”
Mi porse un sacchetto. Per un attimo, lo guardai interdetta, indecisa se accettare o meno quel dono; alla fine, lo presi. Non ci fu bisogno di aprirlo: l’odore del cacao in polvere colpì subito le mie narici.
“Gr… grazie.”
“Prego.”
Ancora silenzio. All’improvviso, si inginocchiò ai miei piedi, facendomi quasi indietreggiare per lo spavento.
“Che diavolo stai facendo?!”
“Io… Mara, ti devo chiedere scusa. Davvero. Di tutto. Non avrei dovuto dirti e neanche lontanamente pensare quelle cose. Perdonami.”
Mi sentii a disagio: quella teatralità tutta giapponese era una caratteristica che non riuscivo proprio a sopportare. “Oh, per favore, alzati! Mi stai mettendo in imbarazzo!”
Obbedì, ma rimase a capo chino, colpevole. Una parte di me avrebbe voluto buttargli le braccia al collo e dimenticarsi di tutta quella brutta storia; un’altra, la più razionale e orgogliosa, non era disposta a perdonare così facilmente.
“Perché mi hai detto che sei un traduttore quando invece non è vero?”
“Ti sbagli, non ho mentito, ma ho solo detto una mezza verità. Mio padre traduce davvero romanzi dall’italiano e io a volte gli do una mano, visto che conosco la lingua meglio di lui.” Mi si avvicinò “Credimi, non è che volessi tenerti nascosta la mia identità; semplicemente, ero contento di conoscere persone che mi volevano bene non per quello che facevo, ma per quello che ero.”
Ripensai alle parole di Luca che, ancora una volta, si erano rivelate profetiche.
“Per questo, quando ho scoperto che lo sapevi, mi sono sentito tradito.”
“Non avevo alcuna intenzione di rivelare niente a nessuno. E’ vero, ti ho riconosciuto subito, ma solo per puro caso; e comunque, all’inizio non ero neanche sicura che fossi tu, anzi, mi sembrava impossibile. Quanti personaggi famosi, e per di più giapponesi, se ne vanno in giro per Bari come se nulla fosse? Solo dopo ho capito di aver indovinato, ma, visto che non mi avevi detto niente, avevo intuito che dovevi avere qualche valido motivo per non parlarne.”
“Lo so.”
“No che non lo sai.” Ribattei. “Cosa credi, che mi facesse piacere sapere e far finta di niente? Quando ci hai detto che eri un traduttore, mi sono sentita malissimo. Non ti fidavi di me?”
“Non è così, lo sai.”
Adesso so che non è così. Ma prima, cosa potevo saperne?”
“Ti ho raccontato una parte importante della mia vita. Secondo te, è qualcosa che vado a dire in giro?”
Però ti ha parlato della sua storia.” Di nuovo, Luca aveva centrato la questione.
“Però hai subito pensato che volessi vendere la tua storia.” Controbattei, pronta.
Colpito e affondato: abbassò ancora una volta la testa e si mise a guardare con estremo interesse le proprie scarpe.
“Io… ho sbagliato, lo so. Ho sentito solo quello che volevo sentire, traendo le mie conclusioni.”
“Sbagliate.”
“Sbagliate.”
Ci fu ancora silenzio; la tensione si era un po’ alleggerita, ma il fatto che non avessi ancora accettato né rifiutato le sue scuse lasciava che quelle parole non dette aleggiassero comunque nell’aria.
“Io capisco che tu sia arrabbiata e delusa,” continuò “quindi non mi aspetto che tu mi perdoni, ma non volevo andarmene senza averti chiesto scusa e averti augurato tanta fortuna per il tuo libro.”
Lo guardai sorpresa: “Cosa ne sai del mio libro? Hai sentito il professor Amani? E’ stato lui a dirtelo?”
“Beh, diciamo di sì…”
“Che vuol dire ‘diciamo di sì’?”
Arrossì e capii che c’era qualcos’altro sotto.
“Che vuol dire ‘diciamo di sì’?” ripetei.
“Non…” indietreggiò “mi ha fatto promettere di non dirti nulla.”
“E che motivo avrebbe il professore di non farmelo sapere?”
Il suo imbarazzo era più che evidente, ma io non ero intenzionata a lasciar perdere.
“Che vuol dire ‘diciamo di sì’?” chiesi ancora, testarda.
“Non è stato lui,” capitolò infine “ma il tuo amico Luca.”
Sgranai gli occhi: “Luca?!”

In breve, seppi da Hiroshi quella sera e poi me lo confermò lo stesso Luca qualche giorno dopo, tutto era accaduto quando ero andata via dall’università per tornare a casa, completamente distrutta. Luca, che non era riuscito a sopportare il fatto di vedermi in quello stato per colpa di “un cretino che non capiva un cazzo” – avevo mai sentito parole del genere uscire dalla sua bocca? Mi chiesi quando Enrico tenne a precisare, con una punta di sadismo, quel piccolo particolare. Forse uno spirito maligno era entrato nel corpo del mio amico con qualche strana magia a me ignota -, quando si era trovato davanti Enrico, l’aveva preso per la giacca e gli aveva intimato, senza tanti complimenti, di dargli il numero di telefono del professor Amani visto che ‘lui doveva averlo per forza, dato che era un suo tesista’.
Enrico, più sconvolto per il comportamento dell’amico che perché avesse effettivamente capito qualcosa di quel che stava accadendo, glielo aveva dato subito e i due avevano chiamato il professore che, fortunatamente, aveva il cellulare con sé.
“Era dal professor Berardi.” Spiegai, mentre ancora non riuscivo a capacitarmi di quello che le mie orecchie stavano sentendo: non riuscivo ad immaginarmi Luca tanto arrabbiato e, se non avessi avuto Hiroshi lì, davanti a me, probabilmente non ci avrei mai creduto.
“Professore, sono Moretti. Devo parlarle con assoluta urgenza, immediatamente. E’ questione di vita o di morte. L’aspetto al suo dipartimento.” Gli aveva detto.
“Immagina Saverio come si è spaventato. E’ corso nella sua stanza e lì Enrico e Luca gli hanno domandato il mio numero telefonico e il nome dell’albergo in cui alloggiavo. Ovviamente, lui non era così disposto a fornire questi dati ai primi venuti.”
Così, Luca gli aveva chiesto almeno di chiamare Hiroshi e di impedirgli di partire; il perché, gliel’avrebbero spiegato mentre andavano da lui.
“Sono venuti da te?”
Annuì: “Ho ricevuto la sua chiamata mentre stavo preparando le valigie: mi ha detto che c’era un’emergenza e che la mamma si era sentita male…”
Questa doveva essere stata un’idea di Enrico, pensai.
“… e che sarebbe passato a prendermi per spiegarmi tutto. Così, ho lasciato perdere le valigie e l’ho aspettato nella hall. Sono arrivati una decina di minuti dopo.”
Rise al pensiero: “I tuoi amici ti vogliono davvero bene, sai?”
Impallidii: “Che cosa hanno combinato?”
“C’erano tutti. Anche la tua amica, Ilaria, se non ricordo male. Appena Luca mi ha visto, mi ha riempito di insulti e per un attimo ho temuto che mi avrebbe anche picchiato. ‘Non ti permetto di far star male Mara in quel modo, visto che non ha fatto niente!’ credo mi abbia detto, mentre Enrico tentava di fermarlo. Eravamo tutti un po’ nervosi, ma per fortuna è intervenuto Saverio a calmare gli animi e a spiegarmi la situazione.”
E ovviamente, il professore aveva creduto subito alla storia di Luca ed Enrico, visto che mi aveva incontrata proprio poche ore dal professor Berardi. In quel momento, avevo capito perché Luca era stato così intransigente sulla presenza del professore: sicuramente, se fossero andati senza di lui, Hiroshi non li avrebbe mai ascoltati, figuriamoci se avrebbe creduto alle loro parole; mettendo in mezzo il professore, che in quella storia non c’entrava niente e non conosceva neanche i miei amici, sarebbe stato tutto diverso.
Sorrisi al pensiero di quell’incontro fortuito che prima mi aveva gettato nella disperazione e che poi mi aveva riscattata agli occhi di Hiroshi. Luca doveva avermi vista davvero sconvolta, se aveva avuto una reazione così esagerata, tanto da comportarsi in un modo così strano. Cosa sarebbe successo se non l’avessi visto, di fronte a quell’aula? Cosa sarebbe accaduto se il professor Berardi non mi avesse dato appuntamento proprio quella mattina, a quell’ora, in quel luogo?
Pensai che un po’ tutta quella storia era stata il frutto di una serie di coincidenze un po’ troppo poco casuali per essere considerate tali e, per la prima volta nella mia vita, mi chiesi se, dietro tutte quelle combinazioni, non ci fosse qualcos’altro.
“Inoltre,” il suo sguardo si addolcì “dopo che i tuoi amici sono andati via, Saverio mi ha rimproverato come neanche mio padre ha mai fatto e mi ha raccontato dell’altro giorno.”
Non capii.
“Sì, insomma, di quando li abbiamo incontrati per caso. Che poi non è stato tanto per caso. Mi ha spiegato che ti ha chiesto di aiutarlo e che tu all’inizio eri reticente, ma poi sei andata da lui e gli hai detto ‘Non ho intenzione di costringere Hiroshi a fare qualcosa che non vuole; facciamo in modo che sia un incontro casuale, per tutti e due. Se dovrà succedere qualcosa, accadrà da sé.’”
Ero contrariata: “Mi aveva promesso di non dirti nulla.”
“E invece ha fatto benissimo. Se parlo con mia madre, lo devo soltanto a te che, nonostante abbia anche tu dei problemi con la tua, hai deciso di aiutarmi. Io… io non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quanto!”
Scossi la testa. In fondo, me ne rendevo conto solo allora, l’avevo fatto anche per me stessa: anche io avevo sempre voluto parlare con mia madre e aspettavo solo qualcuno che creasse l’occasione giusta perché questo avvenisse. Era buffo pensare che, senza volerlo, era stato proprio lui a presentarmela davanti.
“Non mi devi ringraziare. E’ stato solo grazie a te che anche io e mia madre abbiamo ricominciato a parlare.” E gli raccontai brevemente l’accaduto.
“Quindi quella donna era davvero…” non riuscì a terminare la frase “Oddio, chissà che cosa ha pensato in quel momento!”
“Che ero incinta.”
Impallidì: “Cosa?”
“Lascia perdere. Quella donna non ha il senso della misura.” Commentai, ripensando al mio armadio e al mio povero frigorifero.
Fu in quel momento che mi resi conto che c’era qualcosa che non andava; alzai lo sguardo e notai che il quadrante dell’orologio segnava le nove. Sobbalzai: perché i due coniugi non erano ancora arrivati? Parlando con Hiroshi, avevo perso la cognizione del tempo e non mi ero accorta del ritardo. Che fosse accaduto qualcosa alla signora? Si era nuovamente sentita male?
Mi lanciai alla ricerca del cellulare e li chiamai, ignorando completamente Hiroshi; il signor Marcello rispose al secondo squillo.
“Pronto?”
“Signor Marcello? Ma che fine avete fatto? Mi stavo preoccupando!”
“Oh, signorina Mara, è lei? Beh, noi stavamo uscendo di casa, quando abbiamo visto quel giovane che l’altro giorno era con lei in ospedale salire le scale con un tale impeto che abbiamo capito che… insomma, l’abbiamo vista un po’ a terra in questi giorni, quindi abbiamo pensato di lasciarvi soli per un po’.”
Le lacrime mi salirono agli occhi, ma stavolta, non per dolore o paura: avevano capito tutto. Anche se io avevo tentato di apparire sempre la stessa, loro si erano resi conto che c’era qualcosa che non andava; mi conoscevano troppo bene, per riuscire a imbrogliarli. Provai un’ondata di affetto smisurato nei loro confronti.
“Beh, perché non venite adesso? Abbiamo… sì, abbiamo chiarito.”
Sentii la sua classica risata da ‘so che c’è altro, anche se non me lo dici’ al telefono: “Mia cara signorina, noi non siamo giovani come voi. Mia moglie ha mangiucchiato qualcosa ed è andata a letto e anche io stavo per andare a dormire. Quindi, perché non ne approfitta per conquistare il suo amico con la sua buona cucina?”
Immaginai il suo viso che mi faceva l’occhiolino e risi.
“E’ successo qualcosa?” chiese Hiroshi, quando riagganciai.
“No, niente di grave. Mi stavo solo chiedendo… se non hai altro da fare, ti andrebbe di assaggiare quel che ho preparato? Così possiamo mangiarci anche il tiramisù che mi hai portato! Non ho cucinato nulla di particolare, visto che la signora Lucia deve seguire la dieta del medico, ma…”
Non riuscii a terminare la frase perché lui aveva posato le sue labbra sulle mie, dandomi una più che esaustiva risposta.


Note dell’autrice
Come da sottotitolo, anche questo capitolo partecipa alla sfida Temporal-mente, indetta da Criticoni.
Chi sono quelli che aiutano e chi quelli che vengono aiutati è difficile dirlo: ci sono Luca ed Enrico, che chiedono aiuto al professor Amani; c’è lo stesso professore che chiede aiuto a Mara e insieme si prodigano verso la signora Benedetta e suo figlio; c’è la stessa Mara che, senza saperlo, riceve lei stessa un aiuto fondamentale proprio dai Hiroshi per salvare il rapporto con sua madre. Oserei dire, quindi, che questo prompt è riferito a un po’ tutta la storia. Ho deciso di inserirlo solo in questo penultimo capitolo perché è qui che Hiroshi e Mara finalmente vengono a conoscenza di quello che è accaduto alle loro spalle o si rendono conto di tante cose.
E’ anche in questo capitolo che finalmente si capisce il senso del titolo: è l’Hitsusen, l’inevitabilità, direbbe Yuuko-san di xxxHolic, che governa tutta la storia e i rapporti tra i personaggi. Chissà se la Strega delle Dimensioni approverebbe! XD
   
 
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