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Autore: syontai    29/07/2016    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 70
Prima della battaglia finale: Algo Se Enciende


Violetta aveva aspettato dentro quella tenda per un tempo che le sembrò pari a un’eternità, sola con i suoi pensieri. Lo Stregatto avrebbe atteso un suo ordine per intervenire in caso di pericolo, eppure lei non riusciva a concepire che Leon le potesse fare del male volontariamente.
Bastò anche quel minimo fruscio a farle alzare lo sguardo attenta, fino a incrociare gli occhi verdi e smorti di Leon, che eppure ebbero un guizzo di vita alla sua vista. Si alzò e per un momento le gambe sembrarono avere intenzione di cedere del tutto. Il cuore scattò in gola, manifestando l’emozione che trapelava già dal sorriso appena accennato. “Leon...” mormorò, quasi non credesse di essere riuscita finalmente a ritrovarlo. Era lì, in carne ed ossa, non era il riflesso di uno specchio, non era un’illusione dettata dai suoi sogni.
Leon aprì bocca, ma da essa non uscì alcun suono. La mano scese lentamente sul fianco, tastandolo, quindi il suo sguardo saettò sulla custodia che aveva lasciato ai piedi del letto prima di uscire. Fece un passo indietro, pallido. Attendeva che la rabbia e l’odio lo investissero, per vendicarsi così di tutto il dolore che aveva provato, ma non sentiva nulla. Ogni suo sentimento era stato spazzato via, rimpiazzato da un famelico vuoto che lo divorava.
“Che ci fai qui? Cosa vuoi?” chiese in tono aggressivo, con una punta di sincera curiosità e stupore.
Violetta non disse nulla, ma si avvicinò a lui, mentre una lacrima di commozione gli bagnò il viso. Ma ad ogni suo passo, Leon si innervosiva sempre più, irrigidendosi. Quando poi si trovò a qualche centimetro da lui, allungò la mano, sfiorando la guancia del principe con il dorso. “Dovevo parlarti” ammise infine.
“Hai preso la spada, che altro cerchi?” ribatté con disprezzo Vargas, afferrandole il braccio e ponendo fino a quella carezza, che eppure tante volte aveva agognato.
“Sono qui per te, Leon. La lettera che ti ho lasciato spiega...”
“BASTA MENTIRE!” esplose Leon, allontanandola con uno strattone. “Ormai ho capito chi sei, non devi più fingere con me” commentò amareggiato e infuriato il principe.
Violetta non riusciva a credere a quelle parole tanto intrise di cattiveria: perché la trattava in quel modo? Era sicura che Humpty gli avesse fatto avere la sua lettera, ma Leon non sembrava affatto felice di vederla, anzi tutto il contrario. Era come se lei rappresentasse il suo incubo più profondo; avrebbe voluto abbracciarlo, fargli capire che non c’era nulla di più vero dei giorni trascorsi insieme al castello, ma si sentiva inchiodata al terreno, completamente inerme. E Leon infuriava su di lei come una tempesta da cui era impossibile sottrarsi.
“Ti sei presa gioco di me, mi hai ingannato e sei fuggita con la spada e quei ladri. Con che coraggio ti presenti nuovamente?”.
Le parole di Leon la ferivano come lame taglienti, e per quanto si sforzasse di non dar loro importanza era tutto inutile. Ora capiva le parole di Alice: aveva lasciato un ragazzo che si era sacrificato per amore e al suo ritorno trovava un principe ferito nell’orgoglio, che si era visto negare la sua unica possibilità di essere felice. Provò un forte senso di colpa, perché in fondo quel cambiamento era colpa sua. Non avrebbe dovuto lasciarlo, anche se si era vista senza altre alternative avrebbe dovuto essere fedele alla parola data. “L-lasciami spiegare” balbettò, mentre lacrime dal sapore del fiele si susseguivano sul suo volto.
“Perché dovrei crederti dopo che mi hai mentito per tutto questo tempo?”. Leon era freddo, crudele, replicava con una cattiveria tale che Violetta avrebbe solo voluto raggomitolarsi e piangere, lontano da tutto e da tutti. Ma Vargas sembrava quasi gioire della tortura che gli stava infliggendo: forse la riteneva una giusta punizione per colei che aveva tradito la sua fiducia e il suo amore. Perché questo era ai suoi occhi: una sporca traditrice.
“Non ti ho mentito...”. Trovò appena quella flebile forza per difendersi da quelle accuse insensate. Non riusciva a riflettere lucidamente, davanti a sé vedeva solo una belva feroce che giocava con la sua preda infliggendole dolore, prima di massacrarla del tutto.
Leon sembrò aver ritrovato la sua spavalderia: si, all’inizio era rimasto sconvolto dalla sola presenza di Violetta, ma adesso non poteva far altro che gioire selvaggiamente di ogni lacrima versata a causa delle sue parole. In un angolo remoto provava una fitta di dolore nel vederla in quello stato, ma essa si confondeva nel mare di confusione che gli annebbiava i sensi. “Quindi non è vero che vieni da un altro mondo, o sbaglio?”.
La falsa innocenza riversata in quella domanda, diede a Violetta il colpo di grazia. La terra si aprì sotto i suoi piedi, inghiottendola; annebbiata dalle sue stesse lacrime riusciva solo a vedere la profonda delusione sul volto del principe. Delusione, rabbia, ma anche soddisfazione per essere riuscito a farle male esattamente come aveva fatto lei.
“Non dici nulla? O forse non c’è nient’altro da dire?” la incalzò il castano, avanzando verso di lei e incrociando le braccia al petto. Abbassò lo sguardo e sputò ai suoi piedi, in segno di enorme disprezzo. “Vattene. Ora”. Scandì quell’ordine lentamente, fiero di non essere cascato nuovamente nella trappola tesa da quella ragazza.
“No”. Violetta serrò i pugni e sollevò lo sguardo sfidandolo. Aveva fatto un lungo viaggio per arrivare fin lì e non aveva intenzione di cedere; prima o poi Leon avrebbe dovuto capire che il forte sentimento che li univa non era così vile e interessato come credeva.
Vargas all’inizio sgranò gli occhi, sentendo la sua determinazione vacillare per un istante. “Interessante” sibilò Leon, aggirandola di lato e dandole le spalle. Si avvicinò al letto lentamente, chinandosi. “E cosa vorresti fare? Sei sola e indifesa, mentre io...beh, basterebbe che schioccassi le dita e le guardie sarebbero qui per arrestarti”. Estrasse la spada dal fodero che aveva raccolto, sguainandola con estrema indifferenza.
“E perché non le hai ancora chiamate, allora?” chiese Violetta, girandosi per guardarlo dritto negli occhi.
Leon rimase in silenzio: aveva colto nel segno.
“Perché mi sono ripromesso che avrei vendicato di persona tutti quelli a cui hai fatto del male”. Puntò la spada verso di lei, studiandone la reazione. Violetta però non era spaventata, il suo sguardo carico esprimeva bensì solo un forte senso di pietà; Leon era ancora quel bambino sperduto che non riusciva a trovare la propria strada, che si vedeva privato di ogni possibilità di essere sereno.
La lama di neranio scese lungo la gamba e la ferì superficialmente all’altezza del polpaccio. Il metallo bevve il sangue della Prescelta, che si inginocchiò a causa dell’improvviso dolore acuto. “E’ solo un assaggio” commentò Leon, respirando profondamente. L’aveva ferita e in lui non c’era alcuna traccia di rimorso; meritava quello e persino di peggio. Lo sguardo infuriato e compiaciuto indugiò su di lei, aspettando di cogliere un lamento di dolore o una smorfia di sofferenza, ma Violetta si sforzò di non dargli quella soddisfazione. 
“Chi ti ha fatto questo...” disse fissando il terreno. Non era Leon il ragazzo che l’aveva ferita, non poteva esserlo. Al suo posto un mostro aveva preso le sue sembianze.
“Sei stata tu”.
“No...”.
“Si, sei stata tu con le tue promesse, le tue inutili promesse! Mi sono illuso che potessi veramente amarmi, che vedessi in me qualcosa che gli altri non avevano mai visto. Mi sono sbagliato, tu volevi solo quella maledetta spada, non vedevi l’ora di abbandonarmi. Quanto devo esserti sembrato patetico?”.
Non ottenne alcuna risposta. La mano stretta intorno all’elsa cominciò a tremare convulsamente per la rabbia. “Rispondi!”. Ancora silenzio.
“Proprio come temevo”. Lo Stregatto comparve al lato di Violetta, sconvolto. “Hai avuto una possibilità, Leon, e l’hai sprecata a causa del tuo stupido orgoglio e delle sciocchezze che ti hanno messo in testa. Nulla ti restituirà ciò che hai appena perso” sentenziò solennemente.
“Non potrò perdere ciò che non ho mai avuto” rispose freddamente Leon, alzando la spada pronto a mettere a segno il colpo fatale. Nel pieno di quella sorta di esecuzione, però, il principe ebbe un attimo di esitazione. E quell’istante fu sufficiente a Camilla per afferrare il braccio di Violetta. Con un secco schiocco le due svanirono, lasciando al loro posto un sottile filo di fumo viola, e il colpo andò a vuoto.
Leon però non si lasciò prendere dalla disperazione per non essere riuscito ad ucciderla. Avrebbe avuto un’altra occasione, lo sentiva, e quel giorno non si sarebbe lasciato impietosire da niente e da nessuno.
“La prossima volta che ci vedremo, Violetta, preparati a morire” sussurrò Leon, lasciando cadere la spada a terra e fermandosi a fissare il punto dove fino a poco tempo prima Violetta lo aveva supplicato.
 
“Non vedete che sta riposando? Avete la grazia di un elefante!”. Una voce severa ma conosciuta rimbombò nella sua testa, facendole venire una forte emicrania. “Due viaggi nel Paese delle Meraviglie in così poco tempo...non c’è da stupirsi se è stremata”.
Violetta aprì gli occhi gradualmente, tentando di abituarsi alla luminosità dell’ambiente, cosa che non le riuscì bene fin da subito. “Oh, si è svegliata!” trillò la stessa voce che l’aveva riscossa a forza dal sonno. Ai lati del letto su cui era stesa, vicino a lei, erano sedute Francesca e Lena, che subito le rivolsero un sorriso radioso, mentre appiattiti contro la in un angolo c’erano Andres, Maxi e Dj, probabilmente intimoriti dagli avvertimenti di Lena.
“Non certo per colpa nostra...” si difese prontamente il mago, ottenendo cenni di assenso dai suoi compagni.
“Nessuno vi sta accusando” asserì Francesca, stringendo poi con dolcezza la mano di Violetta. “Tu come ti senti?”.
“Bene...” mentì Violetta, cercando appoggiarsi sui gomiti. Non era tanto la lieve ferita sulla gamba, che era stata subito disinfettata e fasciata con cura, a farla sentire debole, quanto il disprezzo con cui Leon gliel’aveva procurata. Il pensiero di averlo perso per sempre era inaccettabile e pesava più di un macigno. Era stata troppo ingenua nel credere che Jade non avrebbe architettato qualcosa per riportare il figlio dalla sua parte, ma aveva comunque sperato che rincontrandosi le cose sarebbero cambiate nuovamente. L’odio incontenibile del principe l’aveva però atterrita. Un orologio a pendolo segnò le undici di mattina. Doveva aver dormito davvero troppo.
“Appena ti sarai ripresa, re Pablo vorrebbe parlare con te...” disse Andres, abbozzando un sorriso di incoraggiamento. Alla fine era stato messo al corrente, come tutti gli altri, dello speciale rapporto che avevano condiviso la Prescelta e Leon. Non poteva certo immaginare di aver viaggiato con una potenziale nemica, ma guardandola in quello stato aveva capito che anche lei, come molti altri, era stata vittima di quel mostro senza cuore. Inoltre il conto in sospeso che aveva con il principe di Cuori non aveva a che fare con tutta quella storia, quindi si era semplicemente deciso a buttare giù il boccone amaro. Inoltre da quando lui e Libi stavano insieme i suoi propositi di vendetta erano passati in secondo piano.
“Posso andare anche adesso” disse Violetta, tentando di mettersi in piedi e sfidando il forte capogiro che le era venuto. Tutti scattarono in avanti offrendosi di aiutarla, ma lei fece cenno di no con la mano.
“Ti trovi già nell’ala degli alloggi reali, basta che percorri il corridoio e bussi alla porta che si trova in fondo. Lì ti aspetta Pablo” spiegò Francesca accuratamente.
“Se hai bisogno qualcuno di noi può accompagnarti” aggiunse rapidamente Lena, che era balzata in piedi non appena la sua amica si era alzata.
Violetta declinò educatamente quella proposta, insieme alla decina di offerte successive da parte degli altri. Probabilmente Camilla aveva messo al corrente tutti di ciò che era successo, perché nessuno aveva osato chiederle di Leon.
Una volta fuori si appoggiò alla porta con un sospiro. Finalmente sola. Per la prima poté soffermarsi a guardarsi intorno: era in un corridoio ampio e lungo, reso luminoso dalle grandi vetrate ai lati. Lungo il pavimento era stato srotolato un tappeto verde bottiglia, dello stesso colore dei smeraldi incastonati in fila sul soffitto. Mosse i primi passi incerta, intimidita da tutta quell’imponenza, fino a quando non sentì la voce di una bambina. Si avvicinò cautamente, fermandosi a ridosso di una stanza, la cui porta era aperta. Seduta su un letto a baldacchino, con lo sguardo fisso davanti a sé, c’era una ragazzina dai capelli castani chiari che le ricadevano sulle spalle con indosso una camicia da notte bianca. In piedi di fronte a lei c’era un ragazzino dall’aria vispa e amichevole, la punta del naso sporca di fuliggine.
“Ho fatto il prima possibile. Ti ho portato anche dei biscotti, li ha fatti papà!” esclamò il ragazzino, porgendole un pacchetto di stoffa accuratamente ripiegato, da cui proveniva un forte odore di zenzero e miele. Violetta sorrise tra sé e sé, nostalgica: le ricordava tanto il profumo che sentiva provenire dalla cucina quando Olga tirava fuori dal forno dolci di ogni tipo; poi prontamente German si intrufolava cinque minuti dopo per il primo assaggio.
“Papà ancora non ci crede quando gli dico che sono amico della principessina, dice che me lo invento per sgattaiolare via con una scusa” rise sotto i baffi il ragazzino, mentre la compagna di giochi a tentoni tastò il materasso fino a prendere il dono che le era stato fatto. Sorrise riconoscente, mantenendo comunque una certa compostezza, tipica di chi faceva parte di una famiglia reale. “Grazie mille, Fidel”.
Violetta decise di proseguire, ma non appena mosse un piede, sentì un paio di occhi dorati puntati verso di lei.
“C’è qualcuno, vero?” domandò la piccola nobile. Fidel, che ancora non si era accorto della sua presenza, si voltò verso l’ingresso e rimase calmo, seppur sorpreso. “Si, una ragazza”.
Violetta si sentì come se avesse spiato una conversazione importante, anche se non era quello il caso. Il caldo sorriso della giovane però le fece emettere un sospiro sollevato, mentre la tensione si allentava. “Perdonate il disturbo. Piacere, sono Violetta” disse lei, facendosi coraggio ed entrando. Tese la mano alla ragazzina, che però non si mosse di una virgola, quindi la ritrasse. Aveva forse sbagliato a presentarsi o a trattarla con tanta confidenza? In effetti avrebbe dovuto inchinarsi, a pensarci bene.
“Mi chiamo Cassidy”. Non le ci volle molto per capire che la piccola Cassidy non la guardava dritto negli occhi, bensì fissava un punto indefinito dietro di lei, e allora le fu tutto chiaro.
“Il mio nome è Fidel, sono il figlio del fornaio” si presentò il ragazzino, con una punta di orgoglio, gonfiando il petto.
“Sei un’amica di mio padre?” domandò Cassidy, inclinando lievemente la testa di lato.
“Chi è tuo padre?”.
“Pablo. E’ il re del regno di Picche, credo che tu lo conosca. Tutti lo conoscono, è un uomo buono e giusto” rispose la principessina senza battere ciglio.
“Allora si, diciamo che sono una sua amica”.
“Cassidy, non dovresti disturbare la nostra ospite”. Violetta si voltò verso il corridoio, da cui proveniva quella voce, e riconobbe la bellissima donna che aveva visto la prima volta al palazzo di Picche. Aveva subito intuito che fosse la regina di Picche: era rimasta vicino al marito in quella stanzetta senza quasi mai proferire parola, ma una maestosità tanto fulgida non poteva rimanere inosservata. Il diadema che portava sul capo con orgoglio, fatto di finissimi rami argentati che si intrecciavano tra loro aveva fugato poi ogni dubbio.
“Non mi ha arrecato nessun disturbo, vostra altezza, davvero” esclamò Violetta, alzandosi e facendo un mezzo inchino. Angie sorrise, quindi le porse la mano.
“Io e Violetta adesso dobbiamo andare da tuo padre, tesoro” disse rivolgendosi a Cassidy, che assunse un’espressione neutra, certamente delusa nel profondo dall’aver appena perso una nuova compagna di giochi, ma consapevole del fatto che dovesse trattarsi di qualcosa di importante.
“Tornerai a trovarmi? Ci terrei di cuore, vorrei tanto conoscerti” domandò speranzosa a Violetta.
“Si, senza dubbio” rispose l’altra, ottenendo un cenno di assenso da parte di Fidel. Sentì la tenera mano della regina stringersi attorno alla sua, trascinandola lentamente fuori dalla stanza.
“Devi scusarla, ma Cassidy è sempre stata affascinata dalle persone che non conosce. Il suo amore nel fare nuove conoscenze è davvero senza limiti!” scherzò Angie, rallentando il passo, e guardando dritto davanti a sé con aria nostalgica.
“Il Re mi ha mandato davvero a chiamare?” domandò Violetta, cercando di smorzare il disagio che sentiva a causa di quel silenzio.
“Mio marito è impaziente di conoscerti meglio...Diciamo che la tua fama ti precede, Violetta. O preferisci farti chiamare Prescelta?”.
“Violetta va benissimo, grazie” si affrettò a rispondere con enfasi, tastandosi le orecchie bollenti, che sicuro dovevano essere diventate scarlatte. Si perse a contemplare lo splendido abito bianco della regina di Picche, pieno di veli trasparenti sovrapposti che frusciavano graziosi. Si muoveva con una tale leggiadria che sembrava quasi che i piedi non toccassero il terreno. 
“Pablo crede che ormai tu possa essere la nostra unica speranza. Rischiamo ormai l’assedio a giorni; siccome non siamo abbastanza attrezzati per resistervi dobbiamo prevenire quest’eventualità. L’esercito di Picche marcerà contro il nemico al completo, è l’ultima occasione che abbiamo per mandarli via dalle nostre Terre”.
Violetta rimase per tutto il tempo ad ammirare la freddezza e la mente pragmatica che si celavano dietro quel viso candido e dolce.  In men che non si dica raggiunsero la porta in fondo al corridoio, ornata con scritte incise dall’aria solenne di cui non riusciva a comprendere il significato. Angie si fermò e le rivolse un sorriso incoraggiante, quindi bussò tre volte.
“Avanti” rispose una voce stanca dall’altra parte.
“Entra pure, non avere timori” la rassicurò la regina, dandole un amichevole colpetto sulla spalla per spronarla.
“V-voi non venite?” balbettò inevitabilmente Violetta. Le aspettative di tutti erano riversate su di lei, ma se Pablo si fosse mostrato deluso? Una parte di lei era ancora convinta di non essere quella di cui tutti sostenevano di aver bisogno per vincere la guerra.
“Pablo vuole parlarti da solo...ma non preoccuparti, è solo ansioso di conoscerti”
Lo studio di Pablo era piccolo e di pianta ottagonale. Al centro c’era un’elegante scrivania in mogano, dalla quale pendevano cartine su cartine, con sopra delle croci segnate. Pablo, seduto dietro di essa, le stava studiando con attenzione, rimuginando tra sé e sé. Violetta con la coda dell’occhio notò che in un angolo della stanza erano stati adagiati con cura i pezzi dell’armatura, probabilmente in attesa del suo ritorno.
“Dunque...Violetta!” esclamò l’uomo con un sorriso tirato; poggiò la piuma d’oca con cui stava scribacchiando disordinatamente su un angolo della cartina che aveva di fronte a sé, quindi si alzò, congiungendo i palmi delle mani, quasi stesse pregando. “Ci tenevo tanto a conoscerti di persona...dopo tutto il mio Regno è nelle tue mani”.
“Mi ha detto la Regina che vi state preparando per assalire il nemico con tutte le vostre forze, è vero?” chiese Violetta, intimorita al solo pensiero che in mezzo a quel bagno di sangue potesse trovarsi Leon. Non riusciva ad odiarlo nonostante tutto, nei suoi occhi era ancora riuscita a cogliere un barlume di dubbio, di incertezza. Non si fidava più di lei, ma forse non si fidava più nemmeno di tutto quello che lo circondava. Era solo e sperduto, per questo era tanto irato.
Pablo si massaggiò lentamente le tempie, quindi annuì stancamente. “Non possiamo reggere un assedio, quindi dobbiamo tentare il tutto per tutto. Li affronteremo in campo aperto, non abbiamo altra scelta”.
Violetta però non riusciva più a seguire le spiegazioni tecniche di Pablo, attirata com’era dai quattro pezzi dell’armatura che scintillavano ammalianti. Era come se una voce la stesse invitando a seguirla, una voce che prometteva distruzione e salvezza allo stesso tempo. Non si rese neppure conto che il Re aveva smesso di parlare, prendendo a fissarla con una circospezione ricca di aspettative. I piedi si mossero da soli, diretti verso la parete, la mano sfiorò inconsapevole la superficie liscia dello scudo che rimandava il suo riflesso. Una piacevole sensazione di calore fluì nel suo corpo, scorrendo nelle vene, ma quella sensazione durò un attimo. Qualcosa sembrava dirle ‘Non è ancora il momento’.
Pablo la raggiunse, raccolse la spada e gliela porse: “Mi ha riferito il principe Luca che ha avuto modo di insegnarti come maneggiare una spada...o sbaglio?”.
 
Pablo aveva ritenuto opportuno che Violetta partecipasse alla battaglia finale. Non avrebbe dovuto combattere, semplicemente essere presente per rinfrancare il morale delle truppe. Violetta rimase sconvolta da quella richiesta: non aveva mai avuto modo di vedere un vero e proprio scontro armato; nonostante questo le numerose letture in proposito e i racconti di Leon non la invogliavano certamente a provare quell’esperienza. Eppure la disperazione di Pablo era tangibile, e sapeva, nonostante non sentisse suo il ruolo di Prescelta, di essere ormai un’icona di speranza.
 
“So bene che la mia richiesta possa averti sconvolto, ma ti chiedo solo di pensarci. Rimarresti fuori dal campo di azione dei nemici e avresti una scorta armata di estrema fiducia”. Dopo diversi minuti di silenzio in cui avevano camminato l’uno affianco all’altro, Pablo proferì quelle parole con una nota di ansia nel voler avere una risposta al più presto. “Inoltre continueresti ad allenarti in questi giorni nell’uso della spada se può farti sentire più sicura”.
Violetta non rispose, ancora confusa per tutta quella marea di avvenimenti che stavano prendendo il sopravvento su di lei. Ancora più terribile e crudele era la sensazione che due occhi verdi la seguissero ovunque. Pablo aprì speranzoso le porte di una sala abbastanza spaziosa dove tutti erano riuniti: Angie, che sedeva sullo sgabello, accarezzando appena i tasti di un pianoforte a coda di mogano, Andres, Libi, Maxi, Dj, Luca, perfino Lena e Thomas. Tutti gli occhi furono puntati verso di loro non appena le porte vennero aperte, carichi di interrogativi. Per ore si erano chiesti cosa si sarebbero detti il re di Picche e la Prescelta, ma dal lungo silenzio che aleggiava era chiaro che non sarebbe stata fatta parola di quell’importante incontro. Ben presto la tensione lasciò però il posto a un profondo sconforto: non c’era alcuna buona notizia. Che speranze avevano di sconfiggere un esercito tanto numeroso? Perfino Pablo, che da sempre cercava il lato positivo in ogni situazione, si trovava ormai con le spalle al muro. Oltre al soffocante assedio che stava subendo il suo Regno avvertiva su di sé il peso del non essere all’altezza. Poggiò amareggiato una mano sulla spalla della moglie, in cerca di conforto. Angie, dal canto suo, sentiva il proprio animo ardere di una forza sconosciuta; una parte di lei aveva terribilmente paura, ma era proprio quella disperazione a permettere alla flebile scintilla che si era accesa con l’arrivo di Violetta di brillare più intensamente che mai. Con un gesto pacato, sistemò degli spartiti che aveva preparato. Le note erano uscite con una tale facilità che Angie era convinta che quella canzone altro non fosse il riflesso di ciò che provava, di come il ritorno alle proprio origini per cercare di aiutare il marito l’avesse cambiata. In quel suo viaggio aveva avuto modo di tastare con mano quanto la sua gente tenesse alla libertà e quanto fosse disposta a sacrificarsi per essa. Perché ancora non era finita, loro avrebbero lottato fino all’ultimo respiro.
“Se ti senti perso da qualche parte...” sussurrò Angie, mentre le sue dita si muovevano leggere sul pianoforte. Intonò soavemente una melodia sconosciuta a tutti tranne che a lei. Le parole uscivano dapprima timide, poi sicure e ferme, senza intaccare però quel canto etereo.
 
Si te sientes perdido en ningún lado
Viajando tu mundo del pasado
Si dices mi nombre yo te iré a buscar
 
Istintivamente si trovarono tutti in cerchio ad ascoltare silenziosamente. Era come se quei versi li unissero. Diverse storie, passati contorti, convergevano in quell’unico desiderio.
 
Si crees que todo está olvidado
Que tu cielo azul está nublado
Si dices mi te iré a encontrar
 
Es tan fuerte lo que creo y siento
Que ya nada detendrá este momento
El pasado es un recuerdo
Y los sueños crecen siempre crecerán
 
Ya verás que algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
Algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
Cuando estamos juntos
Cuando estamos juntos
Podemos soñar
 
Si no sientes que nadie te espera
Que no encontraras la manera
Si dices mi nombre yo te iré a buscar
 
Si crees que solo un recuerdo
Y que tu interior esta desierto
Si dices mi te iré a encontrar
 
Es tan fuerte lo que creo y siento
Que ya nada detendrá este momento
El pasado es un recuerdo
Y los sueños crecen siempre crecerán
 
Ya verás que algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
Algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
 
Ooh oooh ooh oooh
 
Ya verás que algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
Algo se enciende de nuevo
Tiene sentido intentar cuando estamos juntos
 
Ooh oooh ooh oooh .
 
Dopo che Angie finì di cantare la prima volta, si unirono a lei al ritornello per poi ricominciare da capo. Le loro voci si fondevano perfettamente sollevando un unico canto. Il cerchio si fece sempre più raccolto, le mani strette come se fossero tutti fratelli. Non contava chi era il padrone, chi era il servo, chi era ricco, chi era povero. In quella guerra ognuno avrebbe dovuto fare affidamento all’altro, dando tutto se stesso. E la musica, che tanto sembrava estranea in un clima teso e disperato, sembrò infondere loro forza. Quando le ultime note giunsero quella sorprendente energia rimase sospesa sopra le loro teste.
Nel frattempo quella stessa sera la guerra ebbe inizio. 







ANGOLO AUTORE: Ebbene non sono morto (pare...). Purtroppo il mio ritorno su EFP è stato ritardato dalla mancanza di tempo (che tuttora non so bene come riuscirò a trovare *ride istericamente*), dallo studio -sono in vacanza dal 25 luglio- e da un'assenza totale di ispirazione che mi ha anche un po' buttato giù. DETTO CIO', non credo che molti seguano ancora questa storia, forse sarebbe più saggio cominciarne di nuove, ma io odio le cose lasciate a metà e quindi mi sembrava doveroso concludere tutte le ff lasciate a metà prima di poter intraprendere nuovi cammini (ispirazione permettendo). Spero vivamente di continuare ad aggiornare periodicamente, senza sparire di nuovo (lo spero davvero, mi mancava tanto il fandom di EFP), e niente- giusto una precisazione. Lo so che non è da me vantarmi (e non lo farò mai più) ma sono davvero fiero di come ho reso la scena iniziale di questo capitolo (i feels spezzati male). L'angst Leonetta per quanto crudele è comunque strabello, ma quella scena in particolare- boh, ne sono innamorato (e mi sento anche fierissimo dei dialoghi in quella scena, giuro non c'è nulla che non mi piaccia, non succede mai). Detto questo, come già avevo annunciato secoli fa, ci sarà il capitolo sulla guerra finale (che credo riuscirò a concludere in un capitolo), poi ci sarà il capitolo finale e un epilogo, aka 3-4 capitoli. Inoltre credo che revisionerò tutta la ff per assestarla e 'limarla' dove credo sia necessario.
Fine degli aggiornamenti (?), e buona lettura :P
  
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