Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Chemical Lady    29/07/2016    2 recensioni
"La tradizione vuole che i soldati che muoiono oltre le Mura diventino stelle" aveva iniziato lui con quel suo tono che aveva un che autoritario anche mentre suonava rassicurante, facendole alzare gli occhi sulla volta celeste con un cenno. "Il loro ardore non smetterà mai di risplendere e illuminare il cammino di coloro che verranno dopo. Per ogni vita che si spezza, si accende una luce."
Lei sapeva che quello era un contentino, una storia per bambini, ma per il cielo, la forza che le aveva dato quel discorso l'aveva rinvigorita. Suo fratello sembrava crederci sinceramente. Una tradizione della Legione, della loro gente, di quelle persone che conoscevano il dilaniante dolore della perdita come lo conosceva lei. Nina non aveva mai capito cosa significasse davvero appartenere a qualcosa, prima di tornare dalla sua prima missione e scorgere sul volto dei compagni lo stessa amarezza che provava lei. Ma anche la stessa forte determinazione nel voler davvero credere che, quelle luci, non si sarebbero mai spente o avrebbero smesso di vegliare.
[[ Levi x OC || Un sacco di OC, like un sacco davvero]]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Wenn die Sterne leuchten.

 

 

 

 

Capitolo Quarto.

 

 

 

I wanna screamIs this a dream?’

How could this happen, happen to me?

This isn't fair, this nightmare

This kind of torture, I just can't bear

I want you here…

https://www.youtube.com/watch?v=SWww880E9wU

                             

 

 

 

Anno 846

Oltre il Wall Rose, nella terra dei giganti.

 

 

 

 

Nina aveva avuto modo di visitarsi per bene, per capire quali fossero esattamente le sue condizioni.

Si era liberata dell’imbragatura e delle stecche di fortuna che aveva assicurato al costato, facendo non poca fatica a sciogliere i nodi che aveva fatto per tenere insieme tutta quella garza. Si ritrovò a pensare che fosse uno spreco e doveva essere parsimoniosa, seppure il suo kit medico d’emergenza fosse lì, accanto a lei.

Si era privata del modulo per lo spostamento a terra e una volta aperta la camicetta bianca smanicata aveva iniziando a passare le mani sul busto con attenzione, passando sopra alle bende che le comprimevano il seno fino alla fine del costato,  cercando di sentire se ci fossero dei rigonfiamenti sotto pelle o una rottura delle costole.

La fortuna sembrava essere dalla sua perché, nonostante il livido violaceo che si estendeva per quasi tutto il fianco sinistro a causa del colpo che aveva preso cadendo sul carro, non sembrava avere niente di davvero rotto.

Quella era un’ottima notizia.

La missione che si era prefissa non avrebbe quindi avuto molti intoppi, essendo in salute, anche se ancora un po’ stordita dagli accadimenti. Il suo obiettivo principale era quello di cercare il modo più efficace per sopravvivere nell’attesa di una squadra di salvataggio. Il fatto di essere una sola persona era un grosso vantaggio, sarebbe passata inosservata se avesse ridotto al minimo i rumori.

Doveva solo aspettare e mettersi nella condizione migliore per vivere e poi chi lo sa, in un impeto di ottimismo avrebbe anche potuto ricavarne qualcosa di fruttuoso. Essere un membro dell’esplorativa aveva un ventaglio di diversi significati, ma il più importante non era di certo il più famoso. Più che soldati, dovevano essere degli osservatori.

Mentre si rivestiva, allentando appena le cinghie dell’imbragatura per evitare che facessero pressione sul fianco ferito, Nina decise che avrebbe annotato scrupolosamente tutto ciò che avrebbe visto o sentito in quel periodo. Sapeva che al suo ritorno, Hanji ne sarebbe stata felice, anche se sperava di rimanere lì per il periodo più breve possibile.

Chiedere i permessi per uscire dalle mura richiedeva del tempo e delle risorse, ma era sicura che Levi avrebbe trovato un modo. Sapeva che si sarebbe mosso in fretta.

Erwin invece…

Lo capiva. Non poteva avercela con lui, perché sapeva che se l’aveva lasciata indietro, era solo perché era certo che fosse morta. Doveva aver trovato la compagnia dell’avanguardia distrutta e doveva aver pensato – non a torto- che in quella situazione nessuno ne sarebbe potuto uscire vivo. Davvero, lo capiva, era il Comandante e non poteva fare preferenze e rimanere in un luogo tanto pericoloso solo perché aveva perso sua sorella. Nina non valeva né più né meno di qualsiasi altro dei suoi ufficiali.

Più di ogni altra cosa, però, Nina sapeva che suo fratello si stava incolpando.

E si sentì male al pensiero di averlo fatto patire così.

Passò una mano sul viso, scostando i capelli che erano sfuggiti alla treccia arrangiata alla meno peggio e si alzò, tenendosi con una mano il costato. Per iniziare, doveva trovare una disposizione migliore. Lì c’erano troppe finestre.

Mettersi in sicurezza era il primo passo per arrivare al giorno successivo e da lì sarebbe andata avanti. Avrebbe vissuto alla giornata, cercando anche di tenersi occupata nel frattempo.

“Assurdo come sia bastato del miele a calmarmi” soppesò sottovoce, raccogliendo il bigliettino che Levi le aveva lasciato e rileggendolo. Cercare nelle case qui attorno era un’ottima idea. La borgata era piccola e le abitazioni erano tutte costruite sulla medesima roccia. Non sarebbe stato difficile entrare da una porta e uscire dall’altra.

Senza contare che la posizione sopraelevata rispetto alla campagna e al bosco aveva numerosi vantaggi.

Un passo alla volta, però. Stava già mettendo troppa carne al fuoco.

Il rifugio. Doveva partire da lì.

Ripensò alla cucina interrata, costatando che quello sarebbe stato senza ombra di dubbio il luogo più sicuro. C’era un odore molto forte di umidità al piano di sotto, che avrebbe coperto il suo profumo. Se era quella la sua preoccupazione, ci avrebbe pensato anche l’impossibilità di farsi un bagno decente, cosa che la demotivò parecchio. Non era il caso di essere schizzinosi, dato che i giganti erano bravi a fiutare gli esseri umani.

Se doveva puzzare, per non essere mangiata, sarebbe stata felicissima di puzzare.

Prese la mantella verde, avvolgendosela attorno alle spalle, avvertendo subito un dore famigliare che la portò ad accarezzare il tessuto morbido dell’indumento, sollevandolo poi contro al naso. Non era brava come Mike a fiuta, ma avrebbe potuto scommettere entrambi i suoi occhi che quella era la mantella di Levi.

Quella fragranza la rincuorò ancora di più.

Strinse la stoffa fra le mani, prima di avvicinarsi cauta alla finestra, affacciandosi da essa. Tutto sembrava tranquillo, forse anche troppo, ma non si sarebbe di sicuro lamentata se non avesse visto nessun gigante. Tirò la tenda, decidendo di non prendere il modulo per lo spostamento tridimensionale, per il momento e lasciò la stanza, tornando al piano di sotto.

Non aveva osservato molto bene la cucina quando c’era entrata la prima volta, troppo presa dallo sconforto e dalla paura di essere prossima a una morte solitaria. Quando vi rientrò nuovamente, invece, colse dei dettagli che lasciavano trasparire la storia dei precedenti abitanti. Nell’angolo sulla destra c’era un tavolo enorme, ancora apparecchiato per il pranzo. Nina raccolse con la mano il pane ammuffito e un piatto contenente quelle che sembravano patate andate a male da tempo e si chiese come doveva essere stato.

Come doveva essere l’inferno vero, vissuto con gli occhi di qualcuno che non l’ha scelto, ma si è ritrovato di fronte il male all’improvviso.

I giganti erano arrivati in fretta in quella zona, nessuno doveva essere riuscito a giungere per avvertirli di cosa stava succedendo. Nessuno aveva detto a quelle persone che il Wall Maria era caduto, perché non doveva essercene stato il tempo.

Avevano lasciato il pranzo, la loro vita, tutto ciò che possedevano e avevano cercato la salvezza nella fuga. Nina sperò che quella famiglia ce l’avesse fatta, ma non si sentiva molto positiva in quel frangente. Erano in pochi quelli che vivevano all’interno di quei piccoli villaggi stanziati per le campagne, che in qualche modo si erano salvati arrivando alla prima porta. A Trost.

La strada era lunga e i giganti erano più veloci.

Era passato solo un anno da quella follia, ma la pesantezza di quel ricordo riecheggiava ancora per le mura di pietra del borgo. Quello era stato l’evento più drammatico provocato dalla furia dei giganti, che si avvicinava tristemente alla ‘crociata degli sciagurati’ organizzata dalla corona per sfollare i tanti esuli del Wall Maria e garantire un rancio in più agli abitanti delle mura interne.

Erano stati quelli dell’esplorativa a denominarla così.

Crociata degli sciagurati.

Nina ringraziò di non essere mai stata invitata di istanza a dare supporto a quelle persone, non avrebbe mai sopportato la vista di contadini armati di forconi che venivano sbranati.

Erwin aveva detto che era stato tremendo, ma era sicura che stesse minimizzando come sempre.

Smise di pensarci quando terminò di togliere tutto dalla tavola, ammucchiando le stoviglie ormai inutilizzabili e il cibo scaduto dentro a una cesta che trovò poco lontano, accanto alle scale. Iniziò ad aprire gli sportelli delle credenze, liberandosi anche di tutto il cibo andato a male che trovava, constatando che non c’era molto altro da salvare.

Qualche foglia di te e un sacchetto di riso bianco.

Sempre meglio di niente.

Spostò le sedie e cercando di non fare rumore e spinse il tavolo fin sotto alla finestra, salendoci poi in piedi sopra e affacciandosi dal quell’unica, piccola fessura che dava sull’esterno della cucina, a livello della pavimentazione stradale. Scese con un saltello, dandosi della scema per tutti i dolori che ancora provava, prima di andare al piano di sopra.

La parte divertente venne a quel punto.

Trascinare un materasso per le scale, strapazzata come era, non fu divertente. Però ci riuscì.

Non sarebbe mai guarita da tutti quei dolori se avesse dormito su un tavolo e l’antifona era chiara: sarebbe rimasta lì per un po’.

Il passo successivo fu quello di trasferire tutte le cose che Levi aveva lasciato per la sua sopravvivenza e in sei o sette viaggi per le scale fece anche quello. In ultimo, rubò quanti più cuscini possibili e qualche coperta dalle stanze. Solo quando riuscì a sfilare gli stivali, stendendosi su quel materasso, comprese quando davvero fosse sfinita.

Appoggiò un braccio sugli occhi, realizzando che ancora non aveva mangiato niente dalla mattina precedente e che quel pane non sarebbe stato buono per molto, ma poteva concedersi un pisolino dopo aver corso una notte intera. Il profumo di Levi le arrivò di nuovo alle narici, mentre chiudeva gli occhi, accoccolandosi sul fianco sano e per un attimo le sembrò di sentire le sue dita fresche scostarle i capelli dalla fronte con gentilezza.

La sua mente insisteva, in modo del tutto razionale, che il profumo veniva dalla mantella, ma il pensiero che lui fosse lì a vegliare sul suo sonno la fece crollare.

 

Il risveglio fu brusco.

Un gigante che passava di lì la destò con la sua infinita grazia, facendo rombare la terra e tremare la pavimentazione della cucina.

Nina scattò seduta, ringhiando per il dolore e cadendo dal materasso. Portò entrambe le mani alla bocca, mentre sentiva il corpo tremarle e il cuore batterle all’impazzata. I ricordi di ciò che era successo le tornarono in mente, così come la morte di Nick e di Ed, la sua prima missione e il senso di smarrimento, i pezzi di cadavere dei membri della quarta divisione e ogni singolo soldato che era morto fra le sue mani,  il corpo straziato di Farlan alla sua destra e la fascia di Renson impregnata di sangue. Tutte queste memorie vivide che aveva conservato all’interno della sua mente, insieme con la sensazione di abbandono che aveva provato nel momento in cui era arrivata lì e non aveva trovato nessuno, rischiarono di far crollare il delicato equilibrio che Levi aveva cercato di costruirle attorno con le sue accortezze. Si sporse sulla cesta piena di cibi avariati, credendo che avrebbe vomitato bile e saliva dato lo stomaco vuoto, mentre cercava disperatamente di rimettere insieme i pezzi del suo mondo.

Quando riuscì a farlo, si sedette con la schiena al muro, sentendo le lacrime agli occhi per lo sforzo, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il biglietto di Levi.

Lo lesse e lo rilesse, nonostante ormai lo sapesse a memoria, fino a che non tornò ad essere padrona di se stessa.

A quel punto si trascinò di nuovo sul materasso, tirandosi la coperta fino al mento e fissando il soffitto della cucina con intensità. Il cuore le batteva ancora forte e la nausea era accompagnata da un senso di debolezza diffuso. Chissà da quanto tempo non mangiava, non aveva idea di quanto avesse dormito.

Si alzò, trovando difficoltoso l’orientarsi per la casa e salì le scale, arrivando alla stanza. Attenta a non farsi vedere da niente, scostò la tenda, alzando gli occhi al cielo.

Dalla posizione del sole dovevano essere circa le nove del mattino.

Aveva dormito una giornata e una notte intera e non mangiava da due giorni, quindi.

Per forza si sentiva debole, aveva corso così tanto che era un miracolo che non fosse svenuta per le scale.

Il pane era ancora buono o forse, molto semplicemente, si ritrovò con lo stomaco così vuoto che avrebbe trovato delizioso qualsiasi cosa. Mangiò velocemente, divorando la pagnotta, mentre seduta sul tavolo con il suo quaderno appoggiato sulle gambe incrociate, annotava ciò che era successo il giorno precedente e come si era arrangiata dentro a quella casa. La penombra perenne nella stanza le fece registrare che doveva cercare delle candele. Una era rimasta sul tavolo, mezza consumata e non le sarebbe durata per molto.

Solo dopo aver messo di nuovo mano al miele raccolse l’attrezzatura, sistemandosela al bacino e si preparò a fare un giro. Aveva nove lame, contando quelle extra che Levi le aveva fatto trovare e quattro bombole di gas. Se Erwin aveva sempre detto che dovevano essere parsimoniosi, Nina avrebbe dovuto battere ogni record. Laddove era possibile, non avrebbe ingaggiato uno scontro, per iniziare.

Prese la sua sacca di cuoio e ci mese dentro il necessario, qualche garza e la boraccia, insieme alla candela e una scatolina di fiammiferi. In ultimo recuperò quaderno e matita, insieme a un coltello a serramanico. A quel punto sollevò il cappuccio della mantella, nascondendoci dentro i capelli e si avviò alla porta.

 

La strada era libera.

Per prima cosa, doveva tracciare un perimetro, cosa che solitamente spettava a Mike.

Salì sul tetto di una casa sfruttando solo il potere trainante delle corde, andando ad inginocchiarsi rapida accanto al comignolo, per rimanere nascosta. Dalla sacca prese un binocolo, un vecchio rudere con una potenza visiva limitata che suo padre le aveva fatto avere anni prima e che non aveva mai usato davvero. Non le era mai servito, aveva altri che le facevano da occhi e orecchie.  Lei era una segaossa, dopotutto.

C’era due giganti nella pianura, un classe sei metri e un classe tre, totalmente disinteressati a lei.

Avrebbe lasciato le cose esattamente così. Attirare la loro attenzione era l’ultima cosa che voleva fare.

Come ogni volta che era agitata, prese fuori dal colletto della camicia il medaglione dorato che portava sempre al collo e lo infilò fra le labbra, giocherellando con la catenina che pendeva sul suo mento.

Nella borgata non c’erano pericoli.

Ne approfittò subito, scendendo dal tetto e infilandosi nella finestra del terzo piano del palazzo su cui si era posizionata.

Era una palazzina di medie dimensioni,  ma con una posizione sopraelevata grazie a uno sperone di roccia, con poco o niente da prendere. Trovò qualche candela, altro riso, delle posate e dei fogli da lettera, che prese per ogni evenienza.

Un po’ delusa, Nina continuò la sua ricerca, girovagando anche per le stanze dei vari piani. Infondo a un corridoio stretto ma luminoso ne era rimasta una sola, colorata e piena di disegni. I fogli su cui erano stati fatti, purtroppo, erano ingialliti a causa del tempo, ma mostravano tutto l’estro di un bambino. Doveva essere una famiglia ricca o benestante per potersi permettere i pastelli a cera e gli acquerelli di tutte quelle tonalità. Nina lo sapeva bene, considerato che disegnava fin da quando era piccola e suo padre, per potersi permettere di viziarla un po’, nascondeva i soldi a sua madre, tornando poi a casa con scatoline di latta contenenti veri tesori, carboncini e tele.

Non c’è nulla che un genitore non avrebbe fatto per suo figlio e Nina sapeva che, presto o tardi, anche lei avrebbe voluto crearsi una famiglia con piccoletti da vezzeggiare.

Con la vita che faceva sarebbe stato difficile, ma non si voleva precludere la possibilità di avere dei figli suoi.

Forse aveva anche già trovato la persona giusta con cui farlo.

Comunque sia, non sarebbe potuto essere altrimenti, visto il suo carattere. Era cresciuta in una famiglia numerosa, così tanto che alla nascita di sua sorella Mieke erano arrivati a toccare le diciannove persone in casa, più i cani e i cavalli nel cortile interno.

Si sedette sul letto con una manciata di disegni trovati su una scrivania di noce verniciata, iniziando a sfogliare alberi dalla corolla brillante e soli luminosi. In qualche foglio c’erano dei cavalli, in altri fiori dai colori così vividi come solo un bambino li può immaginarne. Sorrise intenerita di fronte a forse due tipi diversi di tratto, fatti da due mani diverse e quindi da due diversi piccoli artisti, scorgendo solo in seguito, in basso sulla destra di uno dei fogli, delle firme scarabocchiate alla meno peggio.

“Marianne e Karoline” lesse a voce alta, domandandosi come dovessero essere quelle bambine, quale fosse la più grande e se fossero delle pesti così come lo era lei alla loro età.

Nina era una peste a quasi vent’anni, ma da bambina era un demonio.

Sua madre sosteneva che era a causa sua se aveva passato un travaglio così lungo per Mieke; temeva di averne due, poi, di bestie a correre per casa urlanti.

Peccato che il travaglio fu difficile perché sua madre aveva superato i quarantacinque quando era nata sua sorella minore, dopo otto anni dalla nascita di Nina, ma allora non poteva saperlo e ci rimase comunque male. Adelaide Müller era sempre stata una madre rigida, la faceva impazzire e Nina per dispetto portava lei ad ammattire.

Non andavano d’accordo quando era piccola, figurarsi crescendo, quando aveva sviluppato un animo tutt’altro che accondiscendente ai desideri di sua madre, che voleva una figlia che facesse la moglie, invece che il medico in prima linea. Mentre Alma e Frieldhem era i ‘figli di suo marito’, e per questo li aveva sempre trattati in modo diverso, delegando a Wilhem Müller l’incarico di crescerli, con lei e Mieke era stata inflessibile e severa. Per Erwin la storia era molto diversa.

Nina se lo ricordava poco, quando era piccola. Era partito per l’addestramento quando lei aveva sì e no due anni. Aveva imparato a conoscerlo nelle visite a casa, quando parlava della Legione nonostante fosse un tabù imposto da Adelaide, che però non aveva mai tarpato le ali del figlio prediletto. Erwin era nato per diventare un soldato, il fatto che sua madre avesse sposato un uomo che nonostante non facesse parte dell’esercito, venisse da una lunga discendenza di gendarmi, non poté che aiutare l’ascesa del Capitano  Smith.

L’orgoglio di casa.

Poteva sembrare un capriccio, ma Nina sapeva che sua madre non avrebbe mai amato nessuno come amava Erwin. Glielo aveva detto, una volta. ‘Non amerai mai nessuno quanto amerai il tuo primo figlio’, era stata la frase che la giovane aveva comunque incassato, sentendosi più amareggiata dal fatto che se lo aspettava che dalle parole in sé. Le credeva, perché sua madre non guardava nessuno come guardava Erwin, era il suo vanto più grande, il suo orgoglio.

Perché assomigliava molto al padre, il suo primo marito, ma questo Adelaide non lo aveva mai detto.

Nina non era mai stata gelosa di Erwin, perché lui era tutto ciò che lei voleva diventare. Aveva lavorato tanto, studiato e faticato per arrivare dove era arrivata e lo aveva fatto sì per amore di scoperta, per essere libera e lontana da quei muri che rendevano la vita claustrofobica e lenta, ma anche per stare con lui.

Per seguirlo nelle sue battaglie, per curare le sue ferite e per godere della compagnia che non aveva potuto avere quando era una bambina.

Non c’era una persona al mondo che Nina adorasse più di Erwin. Non c’era stata mai, prima dell’arrivo di Levi nella Legione.

I fogli le caddero di mano, destandola da quei ricordi dolci e amari, dall’immagine del volto di sua madre che la guardava ferita indossare le Ali della Libertà sulla schiena.

Da quella vita che le sembrava così lontana, così come lo era Stohess.

Chissà se sapevano già che era dispersa. Chissà se pensavano che non sarebbe tornata.

Forse sua madre l’avrebbe pianta, pensata. Si sarebbe pentita di ogni schiaffo che avrebbe potuto tramutare in un abbraccio, di ogni urlo che poteva essere una canzone cantata insieme nel cortile, attorno al falò che suo padre accendeva ad ogni prima nevicata per scaldare il vino aromatizzato.

Si alzò sentendosi malinconica, chinandosi su un ginocchio e iniziando a raccogliere i fogli. Se avesse potuto esprimere un desiderio, sarebbe stato quello di poter tornare indietro per poterle parlare. Per dirle che la perdonava di non essere stata una buona madre come lo era stata la zia Lucille.

Avrebbe voluto un abbraccio, per una volta, avrebbe voluto sedersi davanti al camino e parlare di ragazzi, delle missioni e di intricate diatribe mediche, come faceva sempre con suo padre.

Si asciugò una lacrima al lato dell’occhio e in quel momento notò qualcosa di strano, sotto al lettino. Curiosa, alzò la coperta, chinandosi meglio per osservare cosa mai potesse esserci di nascosto in quella stanza.

Perse la presa sul resto dei fogli, mentre gli occhi sbarrati fissavano la piccola mano appassita che si intravedeva appena dalla posizione in cui si trovava. Sembrava protesa verso di lei, cristallizzata in un momento eterno, in una incompiuta richiesta di aiuto. Sembrava che quel luogo le stesse mostrando il risultato di un’attesa infinita.

Il respiro le si bloccò in gola.

Non diede il tempo all’odore della decomposizione di investirla.

In un attimo, uscì dalla finestra, lasciando i disegni sparsi e la stanza vuota e silenziosa.

Come una tomba.

 

La casa accanto divenne un rifugio per almeno una decina di minuti.

Nina ci mese un po’ a riprendersi da quell’immagine, certa che se la sarebbe sognata quella notte, insieme a tutte le altre bellissime situazioni che aveva vissuto durante quella missione.

Che fosse un messaggio della provvidenza? Era destinata ad aspettare fino alla morte?

Era assurdo pensarlo, non poteva permettere a se stessa di abbattersi.

Si appoggiò con il bacino a un tavolo e si costrinse a concentrarsi sulla sua ricerca di viveri e beni. Prese la borraccia dalla saccoccia per tirare un sorso di acqua e pensò al pozzo che aveva visto al centro della piazzola.

Doveva verificare se fosse o meno funzionante, ma avrebbe atteso la notte per quello.

La strada per arrivare al torrente, seppur breve, sarebbe stata pericolosa. Doveva sperare che il pozzo fosse ancora funzionante e che ci fosse ancora la carrucola.

Dopo essersi passata le mani sul viso almeno dieci volte, decise di  muoversi.

La casa in cui si era infilata questa volta sembrava contenere molti tesori, affacciandosi dall’ingresso.

Selle, briglie e armi per la caccia.

Nina prese un pugnale dalla lama grande e lo guardò attentamente, notando che era sporco di sangue rappreso.

Forse lo stesso che imbrattava la porta.  Non c’erano corpi, però. Iniziava a farsi troppe domande circa cosa era successo in quel villaggio e dopo l’esperienza nella camera delle bambine, decise che non voleva le risposte.

Prese il pugnale, decidendo di lasciare il resto della roba lì, per il momento in cui magari le sarebbe servita.

Prese a camminare per il piano terra, guardandosi attorno e trovando alcune foto su un ripiano. Un uomo e una donna, vicini. Lui era sorridente, lei più seria, ma dallo sguardo buono.

Dovevano essere dei guardia-boschi a giudicare dal quantitativo di oggetti per le escursioni.

Sul camino trovò qualcosa di inaspettato.

Incorniciata, c’era una mantella identica a quella che indossava in quel momento.

Dovevano avere avuto un figlio nella Legione, forse un fratello.

La giovane sentì una stretta allo stomaco.

Chissà se Erwin aveva trovato la sua giacca imbrattata del sangue di Sankov e l’aveva portata a casa.

Sperò di no.

“Sarebbe di cattivo gusto, visto che sono ancora qui, no?” chiese al suo stesso riflesso, quando si ritrovò di fronte a uno specchio.

Aveva un aspetto pessimo, ma non si aspettava di meglio. Era pallida, aveva gli occhi cerchiati di nero e la treccia sfatta.  Si sistemò una ciocca giusto per pudore, prima di riprendere il giro.

Sotto ai suoi piedi, il pavimento in legno scricchiolava un po’ troppo, ma sperò di non dare lo stesso nell’occhio. Doveva esserci stata un’infiltrazione di acqua dal tetto rotto, perché le sembrava di camminare su dei gusci di uovo.

Arrivò di fronte a un mobiletto, nel quale trovò delle chiavi, forse della stalla.

Fece un passo indietro per tornare verso la porta, quando un’asse del pavimento si ruppe, inghiottendole la gamba. Trattenne a stento un urlo per la sorpresa e cercò di tirarsi su, ma anche l’asse affianco era danneggiata, così cadde sotto al pavimento, al buio.

Tossì per il quantitativo di polvere che si sollevò, riuscendo in qualche modo a trovare nella sacca la candela che aveva intelligentemente portato e dei fiammiferi. Al terzo tentativo, riuscì ad accenderla.

Doveva essere finita in cantina e per fortuna aveva l’attrezzatura per tornare di sopra.

Scrollò alla meno peggio la mantella, prima di alzare gli occhi sulla parete di fronte a lei per cercare un appoggio.

Ciò che vide la colse di sorpresa, tanto che le fece sgranare gli occhi e socchiudere le labbra.

“Non posso crederci, è incredibile…

 

 

 

 

I waited so long, for you to come

Then you were here, and now you're gone

I was not prepared, for you to leave me

Oh this is misery. Are you still there?

 

 

 

 

Anno 844

Ventitreesima spedizione oltre le mura.

 

 

 

“Vedo che ti hanno dato Meruka.” La mano di Nina si allungò verso il muso della cavalla nera che, dopo averla annusata rumorosamente, iniziò a leccarle le dita.

“Cosa ha di speciale, questo cavallo?”

La bionda non voltò il viso verso Levi, mentre iniziava ad accarezzare il manto lucido del collo.

“Era la cavalla di un caro amico…” fece una piccola pausa, mentre i suoi occhi venivano attraversati da una leggera ombra. Quando si voltò verso di lui, però, sulle labbra aveva il solito sorriso “Spero che a te porterà più fortuna che a lui.”

“Incoraggiante.”

Nina ridacchiò sotto ai baffi, tornando al carro, dopo aver controllato che tutte le bestie legate lì avessero la biada e l’acqua. Prese una grossa cassa e la tirò verso il bordo, proprio davanti a sé, per poi aprirla iniziando ad estrarre uno alla volta, tanti sacchettini marroni.

“Se sei qui ad aiutare con la spartizione del rancio, devi aver fatto incazzare Flagon.”

Il commento a voce alta della giovane arrivò forte e chiaro a Levi, che non si stava dando un gran da fare per aiutare quelli delle provvigioni. Ovviamente non rispose, ma era vero. Nonostante avesse lasciato tutti a bocca aperta quella mattina stessa – si erano lasciati Shigashina  alle spalle molto presto e nemmeno due ore dopo lui aveva già atterrato un gigante anomalo- il suo modo di rispondere insolente al caposquadra gli aveva fatto guadagnare quella punizione.

Non si poteva lamentare, però.

Quello in cui si stavano accampando per la notte era un vecchio castello in rovina. Gran parte dei muri era crollata e il tramonto che bagnava di rosso sangue il cielo aiutava a dipingere un’atmosfera sinistra. Era comunque uno spettacolo, per una persona abituata a vivere in un luogo dove la luce aveva un unico colore ed era quello riprodotto dal fuoco di una candela.

Fino a che poteva rimanere con la testa coperta solo dalla volta celeste, a Levi stava bene e Nina lo sentiva. Iniziava quasi a credere che si sarebbe anche offerto per il primo turno di vedetta.

Osservò il profilo dell’uomo, spiandolo mentre iniziava a mischiare la farinata all’acqua dentro al tegame di rame, notando come tenesse spesso il naso rivolto verso le nuvole. Chissà cosa si provava, dopo una vita di buio, a vedere la luce.

Nina ipotizzò che doveva essere risanante come riprendere fiato dopo una lunga apnea sott’acqua.

“Levi?” lo chiamò, incurvando le labbra in una smorfia divertita “Lo abbiamo perso” insistette poi, rivolta verso Nick, che rise a sua volta.

Ed, invece, non sembrava per niente tranquillo con il moro attorno “Sayram mi ha detto che è completamente fuori controllo” sibilò con tono basso alla volta dei compagni, ricevendo come ricompensa a tutta quella malevolenza il cucchiaio di legno in bocca. Dalla sua espressione, quella farinata d’avena doveva essere davvero pessima.

Nina si riprese l’utensile, tornando a mescolare il miscuglio pastoso, “Smettila, parli di uno di noi.”

“Non è uno di noi.”

“Lo è. Ora inizia a mettere questo schifo nelle ciotole.”

Lasciò tutto nelle mani dei due compagni, andando ad affiancarsi a Levi, che ancora fissava assorto la pianura di fronte a loro. Da quella visuale rialzata potevano vedere tutta la lunga vallata priva di vegetazione.

Poteva sembrare un posto poco sicuro, ma era il luogo più grande in cui potevano dormire rimanendo tutti vicini e senza rimanere allo scoperto. Era una rarità oltre il Wall Maria.

“Sto per farti una domanda, quindi preparati a darmi una risposta soddisfacente” iniziò la bionda, appoggiando le mani alla cintura. Teneva gli occhi fissi in un punto lontano, mentre sentiva l’altro spiarla con la coda dell’occhio, in attesa “Cosa vedi?”

Levi si voltò leggermente verso di lei, con la classica espressione apatica di chi non ha voglia di stupidi giochetti, ma che comunque non può nascondere una leggera punta di curiosità “Che cazzo di domanda è?”

“Una domanda come un’altra” rispose pronta Nina, come se si aspettasse di sentirlo parlare così “Se vuoi rispondo prima io, ma devi promettermi che dirai più di cinque parole di seguito per esprimere un concetto. Se volessi parlare da sola, andrei dai cavalli.”

Ormai doveva sapere dove quella ragazzina aveva intenzione di andare a parare, era diventato un fatto di principio. Più parlava, più comprendeva il grado di parentela che la legava al Capitano Erwin; se tutti parlavano per enigmi, in quella famiglia, non osava immaginare come si potesse vivere in quella casa.

“Sentiamo cosa vedi, allora.”

Nina incrociò le braccia sotto al seno, inclinando di lato il capo e osservando attentamente. Sembrò pensarci per bene, prima di parlare “Almeno una trentina di alberi, un fiumiciattolo quasi in secca, campi…. Altri campi” schioccò la lingua contro al palato, passando il peso da un piede all’altro, sempre senza guardare verso Levi, sicura che si sarebbe spazientito “Libertà” concluse infine, decidendo a quel punto di voltarsi per guardarlo negli occhi per cercare dentro alle iridi verdi un’emozione. Poteva tenere un’espressione neutrale, ma i suoi occhi erano vivi, accesi e trasparenti “Vedo un’insieme di possibilità, di fronte a me. Se potessi, correrei lungo il crinale, come facevo da bambina. Andrei fino al fiume e ci ficcherei dentro i piedi perché, dannazione, scommetto che l’acqua è fresca e io ho cavalcato così tanto che mi sento come se mi avessero impiantato la staffa nel calcagno. Mi stenderei sull’erba e guarderei le stelle, cercando di scoprire se riconosco ancora i disegni che ci vedevo quando, insieme a Rilke, approfittavamo dei litigi di mia madre e di mio padre per scappare sul tetto e rimanerci ore.” Solo quando smise di parlare, Nina si rese conto che Levi non aveva assolutamente idea di chi stesse parlando o del perché lo stesse facendo “Però i giganti potrebbero mangiarmi, visto che non è ancora calato il sole. Erwin non credo mi permetterebbe di farlo, siamo solo in due medici.” mosse un passo nella sua direzione, guardandolo con aspettativa e chinandosi un po’ per mettersi alla sua altezza “E tu cosa vedi, grande guerriero?”

A quell’appellativo, Levi inarcò un sopracciglio, non scostandosi però da lei “Io vedo più di un oggetto che potrei usare per tramortirti e farti stare zitta, per iniziare.” Tornò a puntare gli occhi verso l’immensità del niente che li circondava, mentre Nina rideva piano “Vedo anche un grande spreco.”

Lei parve capire “Ci starebbe proprio bene una fattoria qui, per un nuovo inizio, non trovi?”

La reazione dell’uomo fu esagerata, ma comprensibile. Nina non aveva usato delle parole casuali, lo sapevano entrambi. La prese per un braccio, stringendo la presa mentre la guardava con gli occhi sbarrati “Ti sembra un gioco questo?”

Nina, però, rimase impassibile. Anzi, gli sorrise “Ho detto che sarebbe un bel luogo per vivere. Perché?”

La ragazza sapeva che aveva giocato col fuoco, ma era un esperimento il suo. Se non l’aveva pugnalata quella mattina nei vicoli maleodoranti di Trost, non l’avrebbe nemmeno lanciata dalle mura. Era giusto che lui sapesse che anche lei aveva capito qualcosa, che sapeva che aveva rischiato portandolo con sé.

Ma che erano ancora lì entrambi e avrebbero potuto continuare così.

“Ehi tu!” Ed misurò la distanza che lo separava dei due con ampi passi “Lasciala andare, subito!”

“Va tutto bene” disse Nina, alzando una mano per fargli segno di non fare un altro passo, poi si rivolse a Levi, andando a stringergli il polso “Perché va tutto bene, no?”

La presa sul braccio si fece debole, fino a che l’uomo non la lasciò andare del tutto. Passò accanto a Ed, andandosene verso le rovine del castello, mentre la giovane si massaggiava piano sopra al gomito, osservandolo fino a che non sparì, nascosto da un muro diroccato.

“Ha una presa decisa, l’amico” commentò con tono quasi divertito, facendo sbarrare gli occhi di Reynolds.

“Smettila di fare così.”

Nina sollevò gli occhi su di lui, mentre le sue sopracciglia si inarcavano per lo stupore “Così?” domandò.

“Come se valesse la pena spendere del tempo con lui. Hai tanti spasimanti, trovatene uno che sia meno pericoloso.”

Con quell’ultima affermazione dalla sfumatura infelice, il ragazzo tornò verso il carro per aiutare Nick e Eldo con i rifornimenti.

Nina rimase appoggiata con i fianchi al parapetto delle mura, continuando a massaggiarsi il braccio.

Quello non se lo aspettava proprio.

 

La notte era passata abbastanza in fretta, senza intoppi.

Ad accoglierli la mattina sembrava esserci un cielo capriccioso che prometteva pioggia.

Nina aveva dormito almeno tre ore e si sentiva abbastanza fiera di quel piccolo record personale. Solitamente, quando uscivano in missione, trovare riposo la prima notte era pressappoco impossibile. Per la maggior parte degli uomini, era così, in modo particolare per le reclute.

Nemmeno gli ufficiali avevano l’aria poi così riposata, ma l’aria fredda della mattina, unita alla possibilità di incontrare dei giganti rendeva particolarmente attivi i soldati, a prescindere da quanto avessero riposato.

“Ricordati il fumogeno viola per l’assistenza medica!” ripeté per l’ennesima volta a Kaulitz, uno dei cadetti alla prima missione, avanguardia sinistra. Lei aveva il compito di occuparsi di quel quadrante, visto che il gruppo dove militava, quella del Capo Squadra Ness, aveva come obiettivo di far strada alla fila centrale dei carri.

Per il fianco destro c’era il Tenente Renson, il suo diretto superiore dell’unità medica, che si occupava della quarta squadra in quella direzione.

Nina sistemò il cavallo, cercando di ricordarsi più o meno la posizione di tutti i gruppi sparsi. Era un esercizio mnemonico non da poco, ma doveva essere veloce in caso di emergenza.

Con la coda dell’occhio adocchiò Farlan, Isabel e Levi mentre salivano sui cavalli. Lei si premurò salire sul suo, prima di avvicinarsi “Dormito bene?” domandò un po’ ironica, notando la faccia che tutti e tre avevano.

Certo, rimanevano più rilassati degli altri all’apparenza, ma sembravano provati.

Sicuramente non avevano chiuso occhio e Nina sperò che a tenerli svegli fossero stati solo i pensieri sui giganti.

“Diciamo che un’altra ora non l’avrei rifiutata” le rispose Farlan, mentre Isabel sbadigliava.

“Alla sveglia prima dell’alba non ci si fa mai l’abitudine” lo rassicurò lei, prima di spronare il cavallo a muoversi lungo il crinale.

Scambiò uno sguardo con Levi e lei gli sorrise, prima di raggiungere Erwin, che guardava oltre l’orizzonte.

“Tu cosa vedi?” le chiese e Nina, per risposta, esplose a ridere.

“Che siamo proprio parenti!”

 

Nina era, per natura, una persona fortemente ottimistica.

Persino lei però si sentì parecchio sconfortata, quando la nebbia fitta iniziò ad avvolgersi attorno a loro come una pesante coperta grigia.

“Capo Squadra, cosa facciamo?” chiese Nick, mentre si teneva con una mano il cappuccio verde sul capo, cercando di vedere nonostante gli occhiali bagnati di pioggia.

Ness, zuppo dalla bandana sul capo fin dentro alle mutande, teneva gli occhi il più rivolti verso il cielo possibile. Sarebbe stato impossibile vedere un fumogeno con quel tempo, quindi la risposta era tristemente ovvia “Procediamo in linea retta! Il Comandante Shadis si è raccomandato di non fare deviazioni di direzione!”

Sembrava una teoria un po’ debole, ma non c’erano soluzioni, così procedettero.

Il clima peggiorava sempre di più e alla pioggia e alla nebbia andò sommandosi un vento forte, che schiaffeggiava i loro visi.

“Fortuna che è primavera!” fu il commento sarcastico di Ed, mentre Nina cercava invano di scostare i capelli zuppi dal viso e dal collo.

Il pericolo era triplicato, perché ora non rischiavano solo di essere divorati da un istante all’altro ma anche di scontrarsi con altre unità. Perdere l’orientamento non sarebbe stato così strano, non si vedeva ad un metro dal naso.

Un nitrire impazzito attirò la loro attenzione e dal nulla, un cavallo dal manto dorato sbucò, tagliando loro la strada e facendo impennare la cavalcatura del Capo Squadra. Tutti tirarono le redini, mentre la bestia debitamente addestrava si fermava affiancandosi a loro, scalpitando e nitrendo spaventata.

Nick, che era il più vicino, scese andando verso di essa e tirandolo per le redini. Quando ritrasse la mano dal suo collo, essa era sporca di sangue. Scambiò uno sguardo con i compagni, prima di sollevare il bordo della sella, deglutendo rumorosamente “A-appartiene a Lahm. Dove si trovava?”

Tobias Lahm?” chiese Nina, facendo mente locale. Quando realizzò che sapeva bene in quale unità si trovasse l’uomo, sbiancò “Il quarto gruppo, lato destro. È l’unità di Renson!”

“Dannazione. Potremmo aver perso tutta la copertura dell’avanguardia?” mormorò Jutah, stringendo fra le mani le briglie.

“Signore!” Nina si accostò con cavallo a quello di Ness, che la guardò “Chiedo il permesso di andare. Potrebbero esserci dei sopravvissuti e soccorrerli.”

“La tua area di competenza si estende solo al fianco sinistro, però” le ricordò il Capo Squadra, riluttante al pensiero di lasciarla andare.

“Lo so, ma potrebbe non esserci più un medico per quello destro.”

Ness ci pensò su, prima di sospirare pesantemente “Va bene. Fa ciò che devi. Reynolds e Gin verranno con te.”

Nina annuì, “Sì, signore.”

Scambiò un veloce sguardo di intesa con Ed e Eldo, mentre Nick risaliva sul cavallo solo dopo aver assicurato le briglie dell’altro alla sua sella “Cercate di tornare interi, ragazzi.”

“Lo faremo.” Ed gli strinse l’occhiolino prima di lanciarsi dietro a Nina, che era già partita di gran carriera verso la posizione che, teoricamente, doveva avere assunto la quarta divisione.

Quando non li trovarono, iniziarono a risalire verso sud.

“Possibile che si siano fermati così indietro?” domandò Eldo, affiancato alla bionda.

Lei portò il medaglione dorato di suo nonno alle labbra, tesa “Dipende dove li hanno attaccati.”

 

Lo scenario che si aprì di fronte ai loro occhi era raccapricciante.

La quarta unità era stata distrutta completamente e pezzi di cadaveri giacevano a terra straziati, insieme ai cavalli.

Il sangue tingeva di rosso l’acqua piovana che scorreva fra le rocce e l’erba in un fiume vermiglio, regalando uno spettacolo che Nina sapeva non si sarebbe mai tolta dalla mente.

“Ehi! C’è nessuno!” urlò con tutta la voce che aveva nei polmoni, “Tenente!” chiamò ancora e ancora, avanzando fra i corpi.

Ed prese dalla scatola dei fumogeni uno nero “Questa è l’opera di un anomalo” disse più a se stesso che agli altri, prima di alzare la pistola e sparare.

Nina non l’aveva ascoltato.

I suoi occhi erano fissi su un ammasso di carne scomposta, lasciata a terra come spazzatura.

Non era possibile riconoscere a chi appartenesse, se non fosse stato per la fascia bianca che teneva attorno al braccio sinistro. La ragazza si chinò, sfilandola con accortezza, come se temesse di ferirlo, mentre una lacrima cadeva mista alle gocce di pioggia sul giglio rosso ricamato.

Tenente…” sussurrò sconfortata, stringendo la fascetta fra le mani.

Non c’erano superstiti.

Non c’era più il primo ufficiale medico.

Per qualche minuto, persino la speranza scomparve.

Poi apparve lui.

Il nitrito della cavalla la costrinse ad alzare il capo mentre dalla sua pozione, inginocchiata fra il fango e il sangue che appestava l’aria, poteva vedere solo parzialmente la persona che era giunta sino a lì. Ammantata e nascosta dalla nebbia, per un attimo, le parve quasi una visione immaginaria, ma quando realizzò che si trattava di Levi, si alzò in piedi.

Doveva chiedergli cosa ne era del resto della squadra di Flagon.

Non le diede il tempo di farlo.

Girò il cavallo e partì di nuovo, al galoppo.

“Levi!” urlò, cercando di fermarlo.

Si ficcò la fascetta nella tasca interna della giubba, sotto alla mantella, prima fischiare. Il cavallo la raggiunse e lei montò in groppa con un singolo salto agile.

Ed improvvisò una corsa verso di lei “Nina! Nina, cosa stai-”

“Vai!” la giovane spronò il cavallo, che partì di gran carriera, non permettendo all’amico di terminare la frase.

“Nina!” la chiamò con tutto il fiato che aveva in gola, ma lei non si fermò.

Sparì, inghiottita dalla nebbia.

Inseguendo lui.

 

Nina cavalcò da sola nella nebbia solo per cinque minuti, ma furono in assoluto i cinque minuti più lunghi di tutta la sua vita.

Fu straziante e spaventoso.

Era terrorizzata e determinata allo stesso tempo, le faceva male il cuore tanto batteva veloce contro al suo costato.

Sentiva che doveva essere successo qualcosa di orribile.

Se Ness aveva ragione e avevano perso tutto il fianco destro, allora…

“Siamo completamente nella merda, Arold” disse rivolta al cavallo, spronandolo ad andare ancora più veloce.

La nebbia iniziò a diradarsi, localizzandosi in tanti banchi circoscritti e iniziando a permetterle di guardarsi attorno.

Allora vide, poco distante, cinque giganti.

Sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene quando, guadagnati altri cinquanta metri, vide che da solo a fronteggiarli, c’era Levi.

Al centro di uno spiazzo aperto.

“Levi!” urlò di nuovo, più forte, decidendo di andare avanti anche se cinque giganti, per due persone, erano troppi.

Erano un suicidio.

Non fece comunque in tempo a raggiungerlo che già tre erano a terra, morti.

Guardò con gli occhi spalancati la scena, fermando il cavallo.

Un altro cadde, poco distante da lei, facendo nitrire la bestia che montava.

L’uomo era così veloce che faticava a seguirlo con lo sguardo nonostante la nebbia si fosse diradata.

Sconvolta, Nina non si rese conto dei corpi a terra.

Quando fu tutto finito, quando tutti i giganti vennero sconfitti, scese da cavallo con le gambe che tremavano, cercando di riscuotersi.

Osservò Levi inginocchiarsi accanto alla testa mozzata di un soldato dai capelli così rossi da apparire come il fuoco vivo, chiedendosi come fosse possibile. Isabel era morta e di lei era rimasto ben poco da poter piangere. Poco distante, con il corpo strappato a metà, c’era anche Farlan.

Nina deviò, avvicinandosi a lui e lasciandosi cadere con le ginocchia tra il fango, con le mani nascoste fra le cosce e lo sguardo sbarrato.

Improvvisamente le tornarono in mente le parole di suo fratello.

Un uomo che non ha niente da perdere, non ha nemmeno niente che non rischierebbe.

Si sbagliava. Si sbagliavano entrambi, visto che lei gli aveva creduto. Levi aveva qualcosa che poteva perdere e loro, con le macchinazioni politiche e il doppiogioco, glielo avevano portato via.

La sola cosa che provò Nina, oltre a quel rimasuglio di paura che le torceva lo stomaco e la nausea per lo spettacolo che le si presentava di fronte, era il senso di colpa.

Forse avrebbe dovuto denunciarli alla Guarnigione di Trost.

Se l’avesse fatto, non sarebbero mai usciti all’esterno.

Se l’avesse fatto, non sarebbero morti così e Levi non sarebbe rimasto solo a seppellire quel poco che aveva.

Allungò la mano tremolante, chiudendo gli occhi di Farlan e appoggiando le sue braccia sul petto.

Solo ora che li vedeva morti, comprendeva cosa erano davvero: ragazzi di strada, non addestrati e buttati in pasto ai giganti solo perché volevano una vita migliore.

Una vita vera, sotto a un cielo stellato che non puzzasse di muffa e rancido.

Gli appoggiò una mano sulla spalla, come a volersi scusare, prima di cercare di alzarsi. Non dovette sforzarsi molto, visto che venne tirata su di peso.

“Tu! Tu sapevi!” Levi la tenne sollevata per il collo della camicia scuotendola senza delicatezza mentre ringhiava direttamente coltro al suo viso. Nina gli afferrò i polsi, cercando di tenersi sollevata, ma non aveva forza nelle braccia. “Dillo! Sapevi che sarebbe finita così eppure l’hai permesso!”

Ci fu un istante nel quale Nina cercò una giustificazione, in cui razionalmente voleva spiegargli che non poteva aver causato lei quel tempo avverso e che non poteva prevedere quel gruppo di giganti…

Ma sarebbe stato ancor più egoista.

Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre realizzava che sì, non aveva fatto salire lei la nebbia, ma che aveva portato avanti il progetto di Erwin stando in silenzio.

“Mi dispiace, Levi. Perdonami, ti prego.”

Il corpo dell’uomo ebbe uno spasmo, mentre la guardava incredulo, come se si aspettasse qualsiasi altra risposta, tutto ma non quello. Sembrava quasi che avesse sperato in una bugia, ma Nina non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e mentirgli.

La lasciò cadere, mollando la presa sul colletto e Nina cadde nuovamente a terra, alzando un braccio per aggrapparsi alla cinghia sulla coscia dell’uomo. Le sue spalle vennero scosse dai singhiozzi, mentre teneva il viso chino verso il terreno.

Perdonami…

Lui si staccò con un movimento secco e lei rimase così, alzando il capo solo quando sentì la voce di suo fratello.

No, Erwin. Non doveva avvicinarsi.

Nina cercò di alzarsi, scivolando nel fango. Levi le dava le spalle, volto verso l’arrivo delle due persone a cavallo.

“Erwin! Vattene!” urlò Nina, sentendo la gola in fiamme.

Non servì a niente e a lei non rimase altro se non rimanere pietrificata lì, a terra, mentre Levi si lanciava contro suo fratello con le spade sguainate.

In quel frangente, dimenticò di essere all’esterno.

Si dimenticò dei giganti e della formazione.

Dimenticò persino la Morte.

 

 

 

 

Nda.

Ecco qui il nuovo capitolo!

Ho volutamente interrotto la prima parte con tutto questo pathos perché sono una persona orrenda…

… soprattutto perché il prossimo sarà ambientato a Trost e non riguarderà Nina, almeno non nella parte presente!

 

Un paio di puntualizzazioni veloci: Perché Nina ha delle bende attorno al busto, sul seno? Perché non esistevano i reggiseni sportivi nel medioevo/mondo passato/apocalisse futura o come lo intendete voi. indi per cui cavalcare doveva essere qualcosa di impossibile da fare, soprattutto per molte ore, se non tenendo le gemelle al sicuro e ben strette al corpo. Questo è un tipo di accortezza che alcuni sportivi hanno ancora oggi, per esempio le ragazze che praticano il karate, sotto alla protezione, molto spesso si bendano il petto per evitare di provare fastidio.

 

Ho cercato di narrare un po’ la storia di questo paese, di cui spero di aver modo di rivelare il nome presto o tardi, lasciato deserto a causa dell’arrivo dei giganti. La storia è ricca di avvenimenti come questo, come Prypriat per esempio o altri città lasciate deserte a causa di guerre o avvenimenti catastrofici. Credo che la metafora della tavola imbandita lasciata deserta sia un immagine forte. Ti fa pensare.

Come un bambino nascosto sotto al letto, lasciato solo da genitori sicuramente finiti sbranati. Domando scusa se ho turbato qualcuno con questa immagine, i bambini sono un argomento delicato e lo capisco, ma se volete qualcosa di soft non è proprio il fandom adatto in cui cercarlo.

 

Ho iniziato anche ad introdurre un po’ la storia di Nina, il suo background e la sua famiglia. In particolare, ho marciato un po’ sul rapporto con sua madre, ma ho intenzione di dedicare a tutti loro un capitolo in particolare, da un punto di vista particolare.

 

Il racconto dalla missione oltre le mura…

Allora, ho scelto volutamente di seguire più il manga dell’anime perché, secondo me, è più bello. Tutto qui. Da più ‘figaggine’ a Levi e Farlan… Che lo saluta prima di morire….

Avete capito insomma.

 

Detto questo, vi saluto e vi ringrazio per avere letto fin qui.

In particolare, mando tanti coriandoli e glitter ai due angeli, Auriga e la mia compagna di chiacchiere no sense Shinge, per avermi commentata.

Ringrazio anche RLandH che è una stronzetta che commenta una volta ogni morte di cristo, ma con la quale sto plottando l’implottabile.

 

Spero di riaggiornare presto!

Un saluto a tutti,

C.L.

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