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Autore: kiliaduicaps    29/07/2016    1 recensioni
(...) vorrebbe chiedergli se ricorda di tutte le volte che ha desiderato per lui una fine migliore per un Angelo del signore. Se ha mai trovato l’album pieno zeppo di suoi ritratti. Raccolta Destiel!Stucky senza né come né perché.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Dipingimi distorto come un angelo anormale, che cade 
Fandom: Captain America 
Personaggi/Pairing: Bucky Barnes, Steve Rogers, vari; Steve/Bucky 
Genere: Dai. È quel verse. Lo sapete.
Avvertimenti: dopo svariate sudate per convincermene... Dean!Steve, Cas!Bucky (e Sam!Sam \o/ Solo io trovo divertentissima la cosa?), End!Verse
Parte: 4/?
Rating: Arancione
Conteggio Parole: 1676
Riassunto:  (...) vorrebbe chiedergli se ricorda di tutte le volte che ha desiderato per lui una fine migliore per un Angelo del signore. Se ha mai trovato l’album pieno zeppo di suoi ritratti. Raccolta Destiel!Stucky senza né come né perché.
Note: Io vi giuro che era partita come una flashfic come le altre. Non so cos’è successo. Non so come mai c’è del mezzo p0rn e perché sembro essere particolarmente affezionata alla Steve che fa bocchini/Bucky che non riesce a ricevere un bocchino come si deve (vedi). Mi volete bene lo stesso? :*
Il titolo è ripreso da Until We Bleed.


Dipingimi distorto come un angelo anormale, che cade


4 – and if bridges gotta fall



Lasciano New York come ultima città in cui tornare.

Dum Dum sta indossando un paio di occhiali da sole vecchi di anni, senza una lente. “Alla faccia della Grande Mela,” commenta, sorridente, la faccia sporca di fuliggine. Gli è caduto l’ennesimo dente, fatto saltare dal gruppo di croats nascosti dentro l’ultimo diner che hanno saccheggiato. La donna responsabile della gomitata sulla sua mascella ha avuto giusto il tempo di vederlo sputare e sorridere, le labbra macchiate di sangue, prima di cadere a terra a causa del proiettile che le ha perforato il cranio. “Ah, Francia mia,” sospira, senza terminare la frase.

Bucky non può fare a meno di pensare a quanto, ora più che mai, assomigli davvero ad una grande mela - da cui è stato strappato un morso. Il sole di giugno, impietoso, scintilla sui cumuli di ruggine e ferro, sui bidoni devastati, sugli edifici divelti come sullo scheletro di un cadavere in putrefazione. La Cherokee si lamenta ad ogni metro, gli ammortizzatori e le sospensioni affaticate dalle strade distrutte, e il radiatore è sul punto di cedere. Alla radio mandano Wish You Were Here. Morita, alla guida, lo considera fottutamente divertente, soprattutto perché è in ripetizione da ore, il conduttore probabilmente ucciso o infettato dal virus.

Seduto al suo fianco, Steve scruta la mappa nelle sue mani e aggrotta le sopracciglia, lo sguardo scuro, mentre un muscolo della sua mascella si contrae. Non è mai stato un tipo emotivo, il loro capitano: di questi tempi il suo stato d’animo lo si intuisce dalla violenza con la quale si reprime e chiude in se stesso. “Bushwick Ave. Lì ci separeremo. Ci si rivede alla macchina alle cinque di questo pomeriggio e non più tardi.”

Nessuno commenta, perché, in tempi come quelli, far tardi non vuol dire nulla di positivo. Bucky aspetta che la macchina si fermi e scivola via, silenzioso, scassinando la prima automobile abbandonata in cui si imbatte e sperando per la sopravvivenza di tutti e tre. Per come la racconta da sempre Steve, New York era una città talmente rumorosa da dar fastidio, sempre in movimento, piena di vita: gli bastano due ore per verificare la gravità dello sterminio avvenuto e avere i brividi a causa del silenzio innaturale, della desolazione e del terrore che aleggia nell’aria, come se la città fosse stata evacuata e i suoi abitanti non avessero mai passato anni ad uccidersi a vicenda. È facile mettere da parte una quantità più che sufficiente di provviste, così facile che si chiede come se la cavino gli altri con il loro lavoro.

L’ora di pranzo lo trova a staccare morsi al proprio panino. Puzza di bruciato, Boerum Hill, e il formaggio è andato a male, così decide di non rischiare e si prepara per un ultimo giro di ricognizione prima di tornare al punto di partenza. La Subaru su cui ha messo le mani ha ancora il serbatoio carico di benzina e la Beretta riposa tranquilla nella sua fondina, inutilizzata; è andata meglio del previsto, si dice, prima di sentire un urlo e il rumore di uno sparo provenire dalla casa di fronte alla quale è parcheggiato.

Jim è contro il muro, la canna di un fucile contro la sua tempia. “Cosa ci fa una bambola come te in un posto del genere?” domanda, sornione, le braccia rilassate ai suoi fianchi, una smorfia ironica a contorcergli il viso. La ragazza scuote la sua testa bionda con violenza, ma le sue dita rimangono lontane dal grilletto e, nel vederlo fare irruzione nella stanza, ha l’espressione di chi sa già di aver perso in partenza. Quando il fucile le scivola dalle mani Bucky è costretto a chiudere gli occhi. “Prevenire è meglio che curare,” gli ricorda Morita, mirando al petto della sconosciuta e fissandone il corpo andare giù con un tonfo secco, definitivo.

Kuebiko, pensa. Quando sono diventato così umano? Sospira. “Non dovresti essere qui. Non dovremmo essere qui.”

“Dammi tregua, Barinael,” risponde, chiamandolo con un nome che non gli appartiene più. “I newyorkesi sono stati talmente impegnati ad uccidersi l’un l’altro che non ho trovato né armi né munizioni. Forza, dammi una mano a perquisire anche qui.”

Bucky si guarda intorno. Non è rimasto nulla, dal 1983, che faccia pensare a Sarah, al marito e ai suoi due figli, all’incendio in cui è morta, anche perché, in fin dei conti, non c’è niente che testimoni la presenza di esseri umani. Osservando le tende ingiallite svolazzare ai lati delle finestre spalancate, gli sembra non sia passato molto, dalla tragedia che si è consumata all’interno dell’appartamento, seppur le pareti rovinate dall’umidità raccontino il contrario: i mobili sono ancora intrisi di sangue, col tavolo con le gambe rotte finito dall’altra parte rispetto al punto in cui era originariamente e le pagine dei libri caduti dalla libreria sparpagliate sul pavimento. Il suo scarpone fa troppo rumore, pestando i resti del televisore distrutto.

“Ehi, hai mai provato l’LSD?” gli chiede Morita, dopo qualche minuto. Fa finta di ignorarlo.






Bucky è nel letto a dormire.

Steve lo sa perché, oltrepassando il vuoto che c’è al posto della porta del suo alloggio, lo scuote ripetutamente per fargli riprendere coscienza, chiamandolo forte, con fretta. La stanza è abbastanza quieta da rendere rumoroso il fruscio del cuscino nel momento in cui viene sollevato e inquietante la rimozione della sicura della Glock accanto al punto caldo in cui si trovava la testa dell’uomo precedentemente sdraiato. Si è tirato a sedere, Bucky, all’erta ma disorientato. Non è estraneo alle situazioni di emergenza, ma per aver portato il leader senza macchia e senza paura in casa sua deve trattarsi di qualcosa di incredibilmente urgente. “Che succede? I croats sono qui? Cosa?”

L’altro ride - di gusto, addirittura, buttando la testa all’indietro e scuotendo la testa, il primo segno di qualcosa che non va, il suono distorto e derisorio, un vago ricordo della sua felicità. Alzandosi in piedi, barcollando e ricadendo sul materasso, ancora assonnato, Bucky si rende conto che gli è talmente vicino da impedirgli di allontanarsi dalla posizione in cui si trova, e quando i loro sguardi s’incontrano la flebile luce della notte gli permette di rendersi conto delle sue pupille dilatate all’inverosimile. “Hai rimesso assieme il mio corpo,” gli risponde, senza senso, un singhiozzo a scuotergli il corpo e gli occhi divertiti. Ha bisogno di toccarlo. Sghignazza: “Io vorrei solo cadere a pezzi nelle tue mani,” confessa, mordendosi un labbro, incontrando di nuovo i suoi occhi. Non riesce più a ricordarsi per quale motivo ci sia ancora così tanto spazio fra di loro, perché siano così lontani, quando ha così bisogno di lui - l’unica ragione che lo fa ancora rimanere in piedi, combattere, non perdere le speranze - e appena la sua mano entra in contatto con un lato del suo viso smette di tremare e sorride, sorride, sorride.

Perciò, con un movimento veloce, fa in modo che le loro labbra si incontrino.

Bucky sente qualcosa scivolare sulla sua lingua e si costringe ad ingoiare, a fatica. La bocca di Steve è prepotente, vorace, ingorda e non gli lascia il tempo di riflettere, mentre lo spinge sulla branda e lo copre col proprio corpo. Lui lo lascia fare, improvvisamente del tutto sveglio e sconvolto dal suo comportamento e dalla propria incapacità di reagire. Gli sembra di essere consumato da un fuoco lento e che ogni terminazione nervosa sia in procinto di esplodere, lasciandolo in balia della propria mente e amplificando ogni tocco, ogni rumore, ogni odore.

Per quanto continui a fidarsi di Steve vorrebbe chiedergli cosa diavolo gli abbia appena fatto. Sentendosi sfilare la cintura e i pantaloni emette un ansito, spaventato. “LSD,” risponde lui, come ad avergli letto nel pensiero, una nota euforica nel suo tono di voce. Sembra ringiovanito di qualche anno. Bucky sente il principio di un mal di testa - non sapeva nemmeno di riuscire a provarla, la nostalgia. “Starai bene,” continua, quasi ironico, levandogli di dosso l’intimo, lasciandogli un bacio sulla mascella e scomparendo dalla sua vista.

Ginocchioni ai piedi del letto, in mezzo alle sue gambe, l’Uomo Giusto osserva il suo cazzo con la stessa concentrazione di un tiratore scelto sul campo, come se dopo anni di domande avesse finalmente trovato una risposta. Non c’è traccia di esitazione in lui, mentre si avvicina al suo bacino: il primo contatto con le sue labbra lo lascia talmente senza fiato che è costretto a chiudere gli occhi e a respirare profondamente. Gli gira la testa, come se nel suo cervello stessero scoppiando dei fuochi d’artificio. La lingua di Steve lo avvolge senza pietà, esperta. Ricorda una conversazione passata, una velata allusione al bisogno di soldi in gioventù e l’amarezza di dover nascondere alla famiglia i soldi che conservava per i vari compleanni di Sam, e all’improvviso non riesce più a pensare perché poi―

Poi―

È un rumore così acuto che a malapena riesce a percepirlo. Ha la testa talmente dolorante che gli sembra di averla rotta e i suoi timpani sono in condizioni addirittura peggiori - è abbastanza sicuro che il calore che sente scivolare lento sul suo collo sia provocato dal sangue che scende dalle sue orecchie. Bucky se ne rende a malapena conto, abbagliato. Era convinto di aver dimenticato qualsiasi cosa non riguardasse la sua forma corrente, che il proprio cervello umano non riuscisse a sopportare il semplice ricordo del prima, e si sente a un passo dalla morte, ma lo splendore dei giardini del Paradiso è lo stesso di quando gli era permesso di camminarci e le voci dei suoi fratelli risuonano potenti nella sua testa, tanto da lasciarlo in dubbio. Si sente così alieno, in quell’involucro che non gli appartiene, lontano dalle schiere celesti, che allunga una mano e apre gli occhi, sicuro di star avendo un’allucinazione ma speranzoso del contrario: è così che l’illusione si spezza e lo riporta alla realtà, sulla Terra, mortale, solo.

Non commenta, Steve, mentre i suoi stivali risuonano delicati sul pavimento e se ne va. Bucky osserva il buio, indifferente alle lacrime che gli scorrono sulle guance, svuotato di qualsiasi emozione: gli pare di vederci le chimere create dalla propria immaginazione.

   
 
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