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Autore: Itsamess    31/07/2016    2 recensioni
[Heronstairs]

Il Nephilim sfoderò uno di quei sorrisi sghembi a cui Jem, anche dopo anni, evidentemente non si era ancora del tutto abituato, dal momento che ne restava affascinato come davanti alla prima nevicata di Dicembre - in entrambe le situazioni, un brivido gli correva rapido lungo la spina dorsale.
Arrossendo a quel pensiero, distolse lo sguardo dal parabatai, nonostante quel sorriso non fosse stato rivolto a nessuno in particolare e comunque non a lui.


Will intanto non si era accorto di nulla, impegnato com'era a declamare i suoi tanti pregi con ostentata nonchalance: «Sono maestro in molte cose... Nel girare per le vie di Londra, nel ballare la quadriglia, nell'arte giapponese di disporre i fiori e nell'imbrogliare ai mimi... Ma nessuno si è mai sognato di chiamarmi Magister, purtroppo… Anche se mi meriterei questo appellativo, essendo praticamente perfetto sotto ogni aspetto!»


Jem scorse Jessamine alzare gli occhi al cielo: Will poteva possedere molte virtù, ma di certo la modestia non era una di quelle.

Ovvero quattro volte in cui Will Herondale donò al mondo un assaggio dei suoi talenti ed una in cui ebbe bisogno dell'aiuto di Jem Carstairs.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notte degli abbracci danzanti
 
 Io non so ballare,
 ma riesco a sentire farfalle danzare in me
 
 
All'Istituto di Londra i giovani Nephilim ricevevano un duro addestramento volto a migliorarne la forza fisica, l'agilità e la destrezza nel maneggiare armi differenti, studiavano la storia degli Shadowhunters e le Rune contenute nel Libro Grigio e quasi tutte le mattine seguivano corsi di latino, greco e lingue demoniache, tuttavia se c'era una cosa che non era mai stata insegnata loro era come cavarsela con una lezione di astronomia a sorpresa.

Pertanto, quella mattina, quando Henry aveva agguantato due arance e con lo sguardo tutto concentrato aveva iniziato a farle ruotare una intorno all'altra disegnando grandi ellissi invisibili, Jem e Will si erano ritrovati orribilmente impreparati: esausti per una notte passata a ridere e prendersi a cuscinate e incapaci di trovare una scusa plausibile per alzarsi da tavola senza ferire i sentimenti dello scienziato, erano purtroppo stati costretti a rimanere seduti al proprio posto.
Mentre il primo si era pazientemente sforzato di prestare ascolto alla spiegazione più noiosa di sempre, l'altro aveva a malapena soffocato uno sbadiglio, troppo assonnato per concepire un pensiero diverso  da quello che tutto quel roteare di arance gli aveva fatto venire voglia di una spremuta.
Will aveva perso il filo del discorso – ammesso che ce ne fosse uno – ed ora si ritrovava ad una festa in onore del Solstizio d'Estate senza avere una minima idea di ciò che fosse.

Non che avesse poi importanza – come non è necessario conoscere il festeggiato per poter assaggiare una torta di compleanno – ma Will si ripromise di chiedere lumi a Jem, quando mai lo avesse trovato.

A proposito, ma dove si era cacciato?
Quello era il loro primo grande ballo!
Non poteva perderselo restando chiuso in camera sua come faceva sempre più spesso…
Will scacciò con determinazione quel pensiero scuotendo la testa, prima di alzarsi in punta di piedi per scrutare meglio la sala, dal momento che era solo un bambino e la maggior parte degli invitati era più alta di lui. Il suo sguardo si soffermò a lungo sui volti dei vari Cacciatori alla ricerca di quello familiare dell'amico, ma senza successo: Jem sembrava davvero scomparso nel nulla, inghiottito da quella girandola di tulle e maschere e chiacchiere. Sul petto, all'altezza del cuore, Will avvertì una punta di delusione per non aver ancora scorto il parabatai, senza il quale il salone, pur addobbato a festa e stracolmo di gente, gli sembrava stranamente vuoto - come del resto tutta la sua vita.
Con un'occhiata distratta controllò di avere le stringhe degli stivali allacciate, prese un profondo respiro e si lanciò alla ricerca dell'amico.

Non trascurò nessuna stanza, passando dall'Armeria alle cucine, dalle camere da letto alla soffitta, controllando perfino in biblioteca, dove Jem si avventurava solo le volte che veniva ad avvisare Will che era pronta la cena. Sfrecciava da un posto all'altro stando attento a schivare gli invitati sparsi per i corridoi ma senza rallentare per paura di mancare il parabatai di un soffio e di essere costretto a rincorrerlo per tutta la serata, come se lui e Jem fossero stati due pianeti con moti di rivoluzione diversi destinati a non incontrarsi mai - o almeno così aveva afferrato dalla lezione di astronomia di quella mattina.

Alla fine le loro orbite riuscirono in qualche modo a collidere, perché Will trovò l'amico in giardino.
Era seduto su una panchina di pietra piuttosto distante dall'ingresso principale. La musica e le risate, che erano stati quasi assordanti nel salone, echeggiavano sempre più lontane e ovattate come canti di sirene man mano che Will si avvicinava a lui.

Jem stava fissando dritto davanti a sé, le spalle leggermente incurvate e il bastone al suo fianco come un fedele cane da guardia.

Will lo posò a terra quando si sedette accanto a lui.

«Eccoti, ti ho cercato dappertutto! Vieni a ballare?»

Jem e il suo sguardo triste: un binomio indissolubile dal 1861.
«Magari dopo» mormorò riabbassando gli occhi.

La malinconia della sua risposta scalfì appena l'entusiasmo dell'amico, come un sasso che rimbalza sulla superficie del mare: Will si lasciò sfuggire solo un piccolo sospiro di impazienza e ripartì alla carica, non avendo alcuna intenzione di accettare un no come risposta. 
«Qual è il problema? Se non conosci i passi posso insegnarteli io… sono modestamente il miglior ballerino di tutta Londra!»

«Non ne dubito» rispose Jem, abbozzando un sorriso un sorriso incerto, velato di esitazione.

«E allora balla con me!»

«Forse alla prossima canzone…ora non mi va» ribadì lui stancamente, scuotendo la testa.

Nei suoi capelli castani Will credette per un istante di intravedere qualche filo argenteo, ma probabilmente era solo un'impressione causata dalla luce della luna, perché anche se Jem era più grande di lui non era possibile che avesse  già i capelli bianchi: aveva solo tredici anni.
Gli toccò delicatamente la spalla
«Dai, non farti pregare… sarà divertente!»

«Will, non ce la faccio, ok?!» sbottò Jem «Non riesco a reggermi in piedi, figuriamoci ballare!»

Il parabatai perse il sorriso.
Ah già.
La misteriosa malattia di Jem di cui nessuno voleva parlargli.
Da quanto aveva capito origliando le accese discussioni che sorgevano fra Charlotte e Henry ogni volta che la carrozza dei Fratelli Silenti lasciava l'Istituto, si trattava di una specie di incantesimo demoniaco, grave come una maledizione e immune ad ogni possibile iratze. Jem ne era stato colpito da bambino, perché Will ricordava il giorno in cui era arrivato all'Istituto con lo sguardo stanco e le ossa delle clavicole tanto sporgenti da fare male a chiunque lo abbracciasse.

Ora che lo osservava meglio, Will poteva notare una leggera ombra scura intorno ai suoi occhi, appena coperta da un velo di trucco che avrebbe dovuto conferire un aspetto più sano all'incarnato di Jem ma che lo faceva apparire soltanto più grande.
ill gli sfiorò la guancia con affetto. Il fard rosato gli rimase sulle dita.
Sotto, la pelle del Nephilim appariva sottile e semitrasparente come carta di riso. Un tocco meno delicato avrebbe potuto strapparla.

«Io- io non lo sapevo… mi dispiace» mormorò Will esitante, come per paura di ferirlo anche con qualcosa di poco appuntito come delle parole «Vuoi che vada a chiamare Charlotte o Henry o-»

«No, ti prego, non farli preoccupare. Sono solo stanco.»
Jem sospirò piano e tornò a guardare per terra. Aveva gli stivali troppo grandi, sproporzionati rispetto alla sua figura esile. Eppure erano l'unico dettaglio imperfetto in un aspetto altrimenti impeccabile. Jem sembrava un principe delle fiabe, nel suo completo elegante blu notte.

Lo sguardo di Will si soffermò sull'elaborato fiocco fatto alle stringhe, sulla giacca ornata da bottoncini di madreperla e sulle ruches arricciate della camicia: di certo una cameriera lo aveva aiutato a vestirsi, ma qualcosa negli occhi di Jem faceva capire al parabatai che era stato comunque stato faticoso. Però era un peccato essere così eleganti e rimanere seduti in un angolo del giardino quando dentro all'Istituto si stava svolgendo una magnifica festa danzante.
Will sentí un groppo in gola all'idea che l'amico avesse esaurito le forze per prepararsi ad un ballo a cui non si avrebbe mai preso parte.

Quasi gli avesse letto nella mente – il legame fra parabatai comprendeva anche la telepatia? – Jem tutto ad un tratto implorò: 
«Raccontami della festa, Will. Per favore.»

Gesticolando animatamente come faceva sempre quando gli leggeva una fiaba o gli declamava uno dei tanti sonetti di Tennyson che conosceva a memoria, Will gli descrisse i lampadari di cristallo e le piramidi di bicchieri scintillanti, le candele che levitavano sorrette da spirali azzurrine e la musica allegra suonata dall'orchestra di Pixies su un lato della stanza.  Gli parlò dei vestiti pomposi sfoggiati dalle invitate più appariscenti e di come producessero un lieve fruscio ad ogni giravolta di valzer. E infine gli raccontò di come Jessamine si fosse specchiata in ogni superficie lucida del salone - compresi i coltellini da burro - e di quanto gli fosse mancato non averlo lì quando era stato il momento della quadriglia, il suo ballo preferito.

Jem aveva chiuso gli occhi.
La brezza notturna gli accarezzava la testa scostandogli i capelli castani dalla fronte, mentre mormorava: 
«Deve essere bellissimo…»

«Lo è» rispose Will, che in realtà non stava pensando alla festa ma al modo in cui le lunghe ciglia di Jem si muovevano quasi impercettibilmente mosse dal vento.

«Anche se forse è meglio così» sussurrò Jem «Sono un pessimo ballerino... Ti avrei pestato i piedi in continuazion-»

«Dammi la mano»  esclamò Will improvvisamente.

«Will-» gemette debolmente l'amico.

«Andiamo, su, dammi la mano»

Il parabatai si arrese, ben sapendo quanto fosse inutile discutere da Will quando se ne usciva con una delle sue idee geniali, le quali il più delle volte li mettevano in terribili guai, oltre ad infrangere almeno un paio di Regole dell'Enclave.
Tremando per lo sforzo si alzò dalla panchina di pietra.

«E ora?»

«E ora sali sui miei stivali, ti reggo io»

Jem sembrò esitare un istante, perché si morse il labbro inferiore e guardò a terra, ma poi obbedì e salí sui piedi del parabatai.

Era cosí leggero che Will a malapena se ne accorse. Iniziò lentamente a ballare, tenendo stretto a sé l'amico in una specie di abbraccio danzante. Dopo un'iniziale, imbarazzata reticenza, Jem cinse debolmente le braccia intorno al suo torso e appoggiò la testa nell’incavo della spalla di Will. Non sapeva se lo sta facendo per stanchezza o per prolungare il contatto fisico e nemmeno se lo chiedeva, esausto com'era. Si sentiva al sicuro e vivo e salvo.

Restarono abbracciati per un tempo indefinito fino a quando Will domandó tutto ad un tratto:
«Jem... Tu alla fine lo hai capito che cos'è, il Solstizio?»

«È il momento in cui il Sole raggiunge il punto più alto rispetto all’orizzonte, cosicché il numero di ore di luce nell’arco di una giornata è il massimo possibile.  Di conseguenza, questa è la notte più breve dell'anno»

«E perché Charlotte ci tiene così tanto a festeggiarla?» 

«Non lo so… Forse perché le cose brevi hanno più valore, tipo quei fiori che sbocciano solo per poche ore o le eclissi totali. Sono avvenimenti speciali e non se ne puó perdere nemmeno un istante» suggerì Jem.
Nessuno poteva saperlo meglio di lui, che era destinato ad una vita piú breve di quella riservata agli altri e per questo era incline a trattarla con maggiore cura e attenzione. Ballare con il parabatai gli dava la sensazione di poter fermare il tempo, cristallizzarlo per sempre cosí com'era in quell istante, come un insetto imprigionato in una goccia d'ambra. Quella era la notte più breve dell'anno e lui aveva la vita più breve di tutte, eppure si sentiva eterno, lí abbracciato a Will.

«O forse Charlotte cercava solo una scusa per organizzare un ballo!» abbozzò Will ridendo.

«Forse» gli fece eco Jem.

Continuarono a ballare piano sulla musica sincopata e allegra della quadriglia e restarono abbracciati ancora qualche istante anche dopo la fine della canzone, prima che Will commentasse che iniziava a fare freddo e avrebbero fatto bene a rientrare, anche solo per tentare un'ultima volta di assaggiare di nascosto il ponce alcolico che Charlotte aveva severamente proibito loro.

 





 
Angolo dell'autrice
Eccoci giunti al secondo capitolo - scusate il ritardo nella pubblicazione, ho avuto dei problemi con la rete internet.
Ringrazio infintamente le tre fanciulle che hanno recensito il primo capitolo e anche chi sta semplicemente leggendo, che l'Angelo vi protegga.
 
Off topic non richiesto: Mi sono disegnata con l'henne una runa parabatai sul polso abbinata a quella di mia sorella, perchè abbiamo appena finito di leggere Città delle Anime Perdute e siamo troppo troppo prese dalla saga! (anche se per me Le Origini resta migliore)
 
Un abbraccio e vi auguro una bellissima estate
Itsamess
 
  
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