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Autore: osvaldinapeperina    01/08/2016    3 recensioni
Ciao, mi chiamo Roberta, ho 15 anni e vivo a Londra. Dove tutto è iniziato.
[parodia con aggiunta di nonsense ispirata ad alcune fanfiction sul gruppo degli One Direction, creata da una persona che segue pagine sulle peggiori ff del sito e cavolate varie. ]
Genere: Demenziale, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata calda e uggiosa, insolita, rispetto alle altre giornate di novembre. Mi svegliai confusa poiché avevo appena fatto un sogno strano. Cinque nani muscolosi con delle maschere da principe azzurro mi danzavano attorno, agitando i loro bastoni e spruzzando acqua dai loro fiori all’occhiello del mantello luccicoso.
“Devo smetterla di guardare The Vampire Diaries prima di andare a letto”, mi dissi.
“Dio, quanto mi arrapazza Deamon o come si dice.”
Con un sospiro mi sollevai dal letto, cadendo per errore sulla costruzione del castello di Rapunzel edizione limitata e bestemmiando il calendario di Suor Gesù  Maddalena Ippolito, convincendomi a non ricomprarlo da Amazon Prime con consegna in un 1 giorno lavorativo.
Guardai il cellulare di Winnie Pooh della nonna, schiacciando randomicamente i mega tastoni per far accendere lo schermo e con sguardo costernato mi rensi conto di essere in ritardo bestiale.
Così, scesi dalle scale e mi preparai la colazione mentre mi lavavo le ascelle, dando morsi alle fette biscottate mentre mi lavavo i denti; dopo aver sboccato un grosso pastone giallo-verde dal sapore az, mi sbrigai a vestirmi, dimenticandomi di mettere il fondotinta ai peli delle ascelle per renderli invisibili
Una volta finito fui pronta.
Era il mio primo giorno di scuola, il giorno in cui tutto sarebbe cambiato.
Ma questo ancora non lo sapevo.
Quindi perché pensarlo?


 
 
Il primo gradino fu un miracolo.
Il secondo sbattei, ma questo non era un problema. Erano abituati tutti al tempo scivoloso della gran bretagna, in cui tutti prendevano le peggio spaccate rincorrendo i tram e finendo per simulare Pingu con lo slittino.
Una volta rialzata, una ragazza molto carina mi porse l’incisivo insanguinato che avevo perso nella caduta; era davvero bellissima.

“Oh grazie…è il terzo che perdo in questa settimana”.

Lei mi guardò sorridendo, per poi osservare la sua mano; probabilmente avrebbe dovuto sapere che avevo contratto l’aids l’anno precedente, ma non volevo certo rovinare la nostra precoce amicizia.

“ Comunque piacere, sono Roberta.”
Il mio inglese incerto era rovinato dalla cascata di sangue neanche il Rio delle Amazzoni nella stagione delle piogge, ma lei continuò a sorridere impietrita.
< Piacere mio, Osvaldina..>.

Bene, eravamo amiche.
Adesso avrei potuto dirle i miei segreti più nascosti e la verità sul trenino Thomas di cui ero tanto gelosa.
La campana suonò e fu il momento di avviarsi, mentre infilavo pezzi di cartone tra le gengive per fermare l’emorragia.
Affiancai Osvaldina nel corridoio, anche se per qualche strano motivo lei finiva sempre per avanzare a passo svelto, quasi cercasse di lisciare il corridoio per me, rendendomi più semplice la traversata.
“ Che gesto gentile”, pensai sorridendole mentre aggiustavo un pezzo di cartone ciondolante.
Ovviamente non lasciai più il suo fianco, seguendola persino in bagno ed assicurandomi che avesse sempre la carta igienica accanto al water.
In quei cinque minuti imparai più cose di lei che nessuno nella mia vita, tra cui il suo sorriso imbarazzato e allo stesso tempo disgustato che le invidiai immediatamente, desiderando prenderla a pugni.
Se non avessi perso tutti i miei denti, forse avrei avuto lo stesso sorriso, ma Zio Boris già dai miei cinque anni di vita mi consolava con biberon di alcool e pasticche per vecchi, quindi dopo un rapido check-in dal medico, uscì scontato che le mie gengive non potevano che essere avvizzite e che il Polident ormai non bastava più.
Arrivata all’aula di Biologia, mi percorse un brivido nel sapere che avrei dovuto aprire la porta, difatti la corrente era davvero eccessiva e di sicuro non volevo un malore il primo giorno di scuola.
Una volta entrata e richiusa subito dopo davanti al professore, mi resi conto che davanti a me non c’erano banchi singoli, ma sedute di coppia.
Allorchè lo sguardò saettò immediatamente verso Osvaldina, che in quel momento sembrò tirare a se lo sgabello con mano tremante.
“Che carina, vuole che mi sieda vicino a lei..oh, ha anche messo sopra lo zaino per farmi da cuscino.”
Immersa dai feels, mi sedetti come lei aveva fatto intendere, sperando che le mutande dell’anno precedente non lasciassero impronte di quello strano evento.

“Benvenuti a tutti. Questo corso non risparmierà nessuno. Per adesso vorrei chiamare qui a presentarsi la nuova arrivata” disse il professore, indicandomi.
Mi sollevai alla sedia, raggiungendo la cattedra ed inchinandomi come facevano gli orientali.

“ Sono Roberta.”

Detto questo tornai a posto, facendo la ruota ed inneggiando ai mutandoni da nonna, che di sicuro proteggevano di più di quei stupidi Lines.
Non volevo svelare subito tutto della mia vita, né volevo svelare a tutti che coi pannoloni si potesse dare libero sfogo ad ogni necessità fisiologica; per quello avrei atteso la seconda lezione della giornata. Così accanto ad Osvaldina, la quale aveva tolto lo zaino, con mio sommo dispiacere, poggiai i gomiti sul banco in attesa che il professore smettesse di osservarmi.
La situazione continuò per altri cinque minuti, in cui improvvisai un assolo di chitarra ed iniziai a far roteare i vetrini sulle matite dell’astuccio come un giocoliere, quando improvvisamente la porta si schiuse.
Una ventata di puzzo glaciale entrò nella classe, facendo drizzare i peli delle gambe che spuntarono dai jeans, e con esso anche un ragazzo; era bellissimo, alto, con gli occhi velati da un paio di occhiali a fondo di bottiglia e la gotta al collo pecorino.
Si avvicinò a me, guardandomi con lo sguardo penetrante di chi non vede un cazzo, allungando il collo come una tartaruga per lasciar cadere la Vigorsol, per poi proseguire con un baffo di saliva ancora sulle labbra.
“E’ troppo figo..”, pensai mentre rovistavo nel cestino ancora umidiccio per raccogliere il primo vero regalo della persona che ormai veneravo con tutta me stessa.
Un sospiro parve poco per esprimere il tormento che mi attanagliò la gola. Non seppi se fosse il fetore provocato dallo zaino infetto o il pus che ormai stava infestando i cartoni che avevo in bocca; ma una cosa era certa.
Lui era perfetto per me. 
   
 
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