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Autore: Ella Rogers    02/08/2016    2 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Diverbi e Decisioni
 

“Perché stai facendo questo? Sono tuo amico.”
 
Buio. Eco di una voce conosciuta. Buio.
 
“Non lo hai compreso? Eppure dovrebbe essere chiaro. Vendetta.”
 
Buio. Ancora buio. Suono distinto di un’altra voce.
L’acustica è più limpida. Eppure, non la riconosce.
 
“Hai detto anche di essere certa di non aver sentito Thor arrivare.”
Questo è Steve.
Steve che non si fida, non le crede, è arrabbiato.
 
Qualcosa si muove … ma cosa?
No, non qualcosa. Il suo corpo si muove. Si muove veloce e colpisce.
Qualcuno grida. Chi?
E c’è un suono, ovattato, lontano, non riesce a districarlo dalla cacofonia di grida che ha sostituito il silenzio di quel buio denso.
 
Smettila! Smettila di gridare!
Perché gridi? Perché?
 
Una bruciore pungente. Il braccio destro sembra andare a fuoco. Fa male.
Il suono. Il suono è più vicino.
Il braccio fa male.
 
“Non erano questi gli accordi, Heith.”
“Come mi hai chiamata?”
“Con il tuo nome.”
“Hai sbagliato persona. Io non ti ho mai visto prima.”

 
Le grida si spengono. Qualcuno piange.
Il suono. Lo sente distintamente. È un tintinnio. Sono catene che tintinnano.
 
Perché piangi? Perché?
 
Perché ho paura.
 
Di cosa hai paura?
 
Le catene tintinnano. Le immagina serpeggiare nel buio. Le immagina avvolgere il suo corpo e stritolarlo.
È odore di sangue quello che impregna l’aria?
Le catene tintinnano.
Il braccio fa male. Brucia.
 
Di cosa hai paura?
 
Me. Ho paura di me stessa.
 
Le catene tintinnano. Il braccio fa male. C’è odore di sangue.
Qualcuno piange.
 
 
*
 
 
Fasci di luce squarciarono i rimasugli di oscurità e le sue iridi brillarono di un inconsueto miscuglio di colori, rivelando sfumature violette.

Il Sole stava sorgendo pigramente e il cielo plumbeo si intesseva di luce, rivelando a tratti squarci di azzurro.
La tempesta era passata, lasciandosi dietro qualche strato in più di neve e l’apparenza di una strana e precaria quiete.
 
Era piombata in un profondo stato di apatia.
Il cuore le martellava violentemente contro la gabbia toracica e credette di sentire le costole flettersi pericolosamente, quasi potessero spezzarsi.
Le gelide sferzate del vento la trascinarono bruscamente verso la realtà, da qualche parte in un bosco di conifere i cui rami creavano intricati reticolati di ombre sul manto di neve che ricopriva il terreno.
I sensi assopiti ricominciarono a captare gli stimoli provenienti dal mondo esterno.
I piedi nudi affondati nella neve avevano perso parte della sensibilità a causa del freddo. Come un automa, portò le dita a toccare la guancia sinistra e subito ritrasse la mano. Osservò con confusa circospezione il sangue che ora sporcava la punta delle candide dita.
E poi eccolo, l’apice della consapevolezza.
È la stessa sensazione che si prova quando il confine tra sogno e realtà diviene netto, quel momento in cui ci si sveglia, ci si accorge che l’accaduto delle ultime ore non è altro che una artificiale costruzione del cervello e si torna coscienti dell’effettività del reale.
 
Era sulla Terra. E quello era già il terzo giorno.
Ma perché era nel bel mezzo di un bosco? Perché non era sotto le coperte, al fianco di Natasha?

Momento di vuoto.
Così Anthea definiva analoghe esperienze divenute un’assidua costante nella sua vita da ... da quando non lo sapeva.
Piangere sangue la spaventava meno di quelle ellissi totali nella memoria.
Il buco mnemonico più profondo - ma non il primo - risaliva a dieci mesi addietro, quando si era ritrovata sulla Terra ed era tornata da Steve. Non ricordava di aver lasciato Asgard, non ricordava di aver mai deciso di raggiungere Steve, troppo occupata a risanare le spaccature interne al suo popolo appena riunito.
Eppure, l’aveva fatto.
 
Scosse il capo e con foga strofinò i palmi sulle guance, intenzionata a pulire via il sangue sgorgato dagli occhi.
 
“Il suo potere è instabile, mia Signora.”
“Insegnami, Damastis. Insegnami a stabilizzarlo.”
“Posso insegnarle a controllarlo, mia Signora, ma la stabilità è un’intima condizione interiore e il suo raggiungimento non segue una univoca strada. Deve trovare la sua e solo il tempo potrà aiutarla.”

 
Le parole di uno dei più anziani del suo popolo, colui che l’aveva iniziata all’arte del controllo delle forze irrazionali che si celavano nella mente, la accompagnavano da quasi due anni ormai, eppure non era ancora riuscita a scorgere la sua strada nemmeno lontanamente.
Continuava ad essere instabile. Si sentiva come un funambolo troppo inesperto rispetto la sfida che aveva deciso di affrontare.
Sarebbe bastato un alito di vento per spezzare il suo caduco equilibrio.
 
Mentre rimuginava sul caos che dominava la sua volubile interiorità, uno scintillio improvviso la costrinse a voltare il capo.
Alla sua destra, a meno di un passo di distanza, la lama della spada dall’elsa bianca rifletteva la luce pallida dell’alba.
 
“Sei certa che sia lì?”
 
La domanda di Steve risuonò con spaventosa forza nella sua testa.
Le mancò il fiato.
Costrinse il braccio destro a sollevarsi e a tendersi verso la spada conficcata nella neve. Le dita tremule circondarono l’elsa bianca e, seppur recalcitranti, la strinsero.
Un’indistinta molteplicità di flash accecò la sua vista fisica e un affastellarsi di immagini confuse le colmò il cervello, ma, per quanto si sforzasse, non riuscì a renderle nitide.
 
 
“Perché stai facendo questo? Sono tuo amico.”
 
 
Il contatto con l’arma scatenò una scarica di elettricità innaturale e un intenso bruciore si irradiò lungo il braccio destro della giovane, che istintivamente ritrasse la mano.
Con una lentezza quasi nauseante, abbassò la zip della felpa e fece scivolare a terra l’indumento. I bracciali argentei che le circondavano i polsi rifletterono i tenui raggi del Sole e brillarono della loro luce.
 
“Che mi succede?” furono le parole appena udibili che abbandonarono le sue labbra.
 
Un complesso intreccio di linee rossastre andava ramificandosi lungo l’intero arto, fino ad infilarsi sotto la manica della maglietta nera.
L’oneiriana si disfò anche della maglia, ignorando il freddo che le morsicò la pelle nuda, e seguì il percorso di quelle linee contorte che si diramavano lungo il petto, il ventre e, se avesse potuto osservare la schiena, le avrebbe viste allungarsi sul deltoide ed il dorsale destro.
Bruciavano in modo sopportabile, ma il dolore sembrava intensificarsi gradualmente.
Chiuse gli occhi e solo allora si accorse di aver trattenuto a lungo il respiro.
 
Con un gesto secco e deciso afferrò l’elsa della spada e una nuova scarica elettrica riverberò nel suo corpo.
E ancora una volta la sua mente fu presa d’assedio da frammentarie immagini e indistinti suoni.
Il bruciore al braccio si accese con rinnovato ardore, facendole serrare i denti, ma non allentò la presa sull’arma, bisognosa di sapere cosa il suo spirito e il suo corpo stessero cercando di riportare a galla.
Poi ci fu un istante di buio squarciato da un lampo impetuoso che illuminò i meandri più oscuri dell’inconscia memoria.
 
 
“Perché stai facendo questo? Sono tuo amico.”
 
“Non lo hai compreso? Eppure dovrebbe essere chiaro. Vendetta.”
 
“Non voglio combattere contro di te.”
 
“Combattere, non combattere … cadrai in ogni caso, Thor.”
 
 
E tutto si spense.
 
Anthea riaprì gli occhi, mentre tentava di regolarizzare il respiro affannato.
Estrasse dalla neve la spada, rivolgendone la punta verso il cielo. Osservò accuratamente la lama e scorse increspature percorrerne la superficie.
Un dolore bruciante le trapassò ancora il braccio destro e si diramò fin dove le strane linee rossastre le solcavano la pelle.
Era come se una strana energia avesse impregnato la sua spada e, nel momento del contatto, l’arma avesse fatto defluire quella stessa energia nel suo corpo. Ora si sentiva bruciare dall’interno.
Si prese la testa tra le mani e si piegò sulle ginocchia, serrando le palpebre con estrema violenza.
Lacrime scarlatte le stavano rigando le guance esangui.
Se nel recente passato gocce di sangue avevano abbandonato i suoi occhi, quelli erano stati eventi sporadici e legati agli allenamenti cui veniva sottoposta la sua psiche, il fulcro del suo potere.
Messo piede sulla Terra, la cosa era degenerata ed era frustrante non riuscire a controllarla.
Le visioni l’avevano sconvolta, nonostante avessero preservato una fatiscenza che non le aveva permesso di comprenderne fino in fondo il contenuto. L’unica certezza era rappresentata dalle emozioni. Qualunque cosa stesse lottando per riaffiorare nella coscienza la terrorizzava.
 
Il dolore sembrò alleviarsi e la giovane tornò in piedi, con la spada stretta nella mano destra. L’arma si era svuotata a quanto pareva, perché aveva smesso di riversare in lei energia dalla dubbia natura.
Diede un’ulteriore occhiata alle linee rossastre che serpeggiavano sulla pelle nuda del suo ventre. Poi afferrò la felpa abbandonata a terra e la indossò, chiudendo la zip fin sopra il collo.
Sospirò.
Sapeva che avrebbe dovuto affrontare Steve. La domanda che lui gli aveva posto sulla spada non era stata casuale e lei gli aveva mentito, ma non intenzionalmente.
Era certa di aver lasciato l’arma ad Asgard.
 
“Hai detto anche di essere certa di non aver sentito Thor arrivare.”
 
Un brivido agghiacciante le percorse per intero la colonna vertebrale, mentre riascoltava nella propria testa le parole incerte del super soldato.
Adesso faceva fatica a dire di cosa era certa, ma doveva mantenere la calma e placare il turbinio di emozioni che le aveva preso d’assedio il cuore. Era vitale capire come la spada fosse arrivata sulla Terra e con quale energia fosse stata riempita, energia che ora scottava come brace ardente dentro di lei.
 
Sospirò ancora, prima di iniziare a correre verso la casa sicura.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Tony era stato a letto con un numero spaventosamente elevato di donne. Consumato l’amplesso, aspettava che queste si addormentassero per svignarsela, evitando qualsiasi tipo di scocciatura che sarebbe derivata da un congedo diretto e inevitabile.
Non aveva mai dormito con le sue amanti, non le aveva mai strette tra le braccia per poi sussurrare loro parole dolci.
Soddisfatto il piacere, odiava prolungare oltre il contatto fisico, così se la filava.
 
Le cose erano cambiate quando aveva deciso di legarsi a Pepper non solo fisicamente, ma anche e soprattutto sentimentalmente.
Tony non poteva fare a meno di tenere la sua Virginia tra le braccia e, diverse volte, lei aveva dovuto svegliarlo con un “Tony, mi stai soffocando” assonnato ma mai veramente infastidito.
 
La verità era che Tony Stark temeva da sempre il buio, in tutte le sue forme.
Forse era anche per questo che analizzava e studiava qualunque cosa il suo cervello ritenesse misterioso e oscuro. Spingersi oltre i limiti del raziocino era per lui consuetudine e un modo per fare luce ovunque il suo folle genio potesse arrivare.
Conoscere le cose fin nella loro molecolare struttura gli dava la facoltà di poterle manipolare a suo piacimento e un distinto senso di onnipotenza. Ma, se il mondo fisico non aveva segreti per lui e poteva essere razionalizzato da cristalline leggi matematiche, il mondo irrazionale dei sentimenti lo vedeva come un labirinto dove orientarsi era impossibile.
Il buio lo spaventata perché innescava nella sua mente razionale un processo di esplorazione di quella sfera sentimentale, che lo faceva sentire come un antico fisico che non riusciva a spiegarsi quale oscura forza permettesse alla Terra di girare intorno al Sole.
Era imprescindibile. Quello che non comprendeva, lo spaventava, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
 
Virginia era la luce che illuminava i complessi sentimenti che abitavano il cuore di Tony, perché lei lo capiva, lo conosceva ed era in grado di gestirlo.
Con Virgina, la paura del buio si affievoliva, fino a divenire una vaga sensazione di disagio. Facendo uso di una smisurata pazienza, la ramata era riuscita a lenire anche la paura di quel buio che Tony aveva visto oltre il wormhole che aveva attraversato con una testata nucleare sulla schiena.
Nel silenzioso buio della notte, Pepper era la sua isola sicura. Si era chiesto più volte come fosse riuscito a sopravvivere senza di lei, senza la sua sicura presenza, e ancora non aveva trovato una risposta decente.
 
Così, per Tony Stark, era adesso un’abitudine imprescindibile scivolare verso la sua Pepper, avvolgerle la vita con le braccia e tirarla contro il suo petto.
Amava il suo profumo e quei suoi fianchi morbidi dalle curve delicate e … dov’erano le curve morbide e delicate? E perché la schiena della sua dolce metà non aderiva al suo petto come sempre?
 
Con gli occhi ancora appiccicati per il sonno, Tony poggiò la fronte sul corpo che continuava a stringere e ne saggiò la consistenza con le mani.
 
“Tesoro, forse stai esagerando con la palestra” biascicò e ottenne in risposta un mugolio sommesso.
 
“Interessante questo nuovo soprannome, Stark.”
Fu la saccente e divertita voce di Barton a rispedire Tony dritto verso la realtà e a fargli prendere consapevolezza del fatto che non era il corpo di una palestrata Pepper quello a cui era avviluppato.
La conseguente reazione - esponenzialmente esagerata - dell’inventore fu quella di spingere con entrambe le mani - e con sorprendente forza per uno appena sveglio - il malcapitato Steve Rogers fuori dal giaciglio di coperte che occupava il pavimento.
 
Il super soldato, stordito e strappato dal sonno profondo a cui si era abbandonato, scattò in piedi e i muscoli del corpo si tesero con uno spasimo, pronti ad una immediata reazione.
Ma ben presto, Steve si accorse che non c’era nessuno ad attentare alla sua vita.
Spostò lo sguardo da Tony, seduto scompostamente tra le lenzuola a terra e con un’espressione stranamente confusa in viso, a Clint, che si stava sbellicando come un dannato mentre si rotolava sul divano.
In tutto questo, un ignaro Sam si stava stropicciando gli occhi mentre mormorava uno strascicato “Buongiorno, commilitoni”, per poi aggiungere un più arzillo “Cosa mi sono perso?”.
 
Barton riacciuffò un po’ di contegno e abbandonò il divano, raggiungendo il giaciglio sfatto.
Oh Wilson, mi dispiace per te, ma ti sei perso Stark che ha chiamato Rogers tesoro, mentre lo abbracciava come un koala bisognoso di coccole.”
 
“Tu cosa?” sbottò Steve, lanciando al suo molestatore un’occhiata sbigottita.
“È stato un incidente” si giustificò quello.
 
Oh sì, è stato un incidente, tesoro.”
 
“Barton, smetti di dire Oh e tesoro in quel modo” berciò Stark, perforando l’arciere con uno sguardo di fuoco.
 
Oh tesoro, non ti infervorare. Fa male alla salu-”
 
Clint si ritrovò con il sedere per terra, dopo che Tony aveva tirato con forza il lenzuolo sgualcito su cui distrattamente l’arciere aveva messo i piedi.
 
“C’è già abbastanza gente che ha una voglia matta di ammazzarci, perciò evitiamo di ucciderci tra noi.”
 
“Parole sante, Capitano. Limitiamoci agli abbracci. Prendiamo esempio da Stark.”
 
“Stai attento, Barton. Una delle frecce che ti ho gentilmente regalato potrebbe esploderti in faccia.”
 
“Smettetela. Tutti e due.”
Steve, con ancora un evidente rossore a colorargli le guance, fulminò l’arciere e l’inventore con occhiatacce che promettevano dolori in caso di ulteriori battute poco felici.
 
“Certo che avete tutti un diavolo per capello la mattina e non solo metaforicamente.”
 
Tre paia di occhi luccicanti di non buoni propositi sostarono su Sam per un istante abbastanza lungo da fargli rimpiangere il tempismo che aveva avuto nello scoccare quell’audace frecciatina.
Più tempo passava con i Vendicatori, più si chiedeva come potessero sopravvivere sul campo di battaglia se non riuscivano a trovare un pacifico accordo nemmeno per le cose più semplici.
Li immaginò litigare su chi avrebbe dovuto salvare chi durante uno scontro e riuscì ad arrivare alla triste conclusione che vedeva il chi da salvare morire, mentre i suoi compagni se la giocavano a morra cinese.
Okay, forse aveva un tantino ingigantito le cose, ma comunque continuava a non spiegarsi come quella squadra così eterogenea potesse funzionare. Molto probabilmente l’avrebbe scoperto presto, dato sembrava prospettarsi un gigantesco scontro sanguinolento nel prossimo futuro.
Sam non aveva affatto dimenticato il cinquanta uscito dalla bocca di Stark, quando si era toccato l’argomento nuovi super soldati. C’era quindi una consistente inferiorità numerica a preoccuparlo, senza contare che già un solo mostro viola gli aveva fatto rivoltare lo stomaco, figuriamoci cinquanta!
 
L’attenzione dei tre Vendicatori, per la felicità di Sam, slittò sulla figura di Barnes, che veniva dalla cucina con un bicchiere d’acqua in mano.
Fu poi il Soldato a tirare un sospiro di sollievo, quando gli sguardi passarono da lui ad Anthea, sopraggiunta dalla porta d’ingresso con passo incerto.
 
“Abbiamo un problema” annunciò la ragazza, senza permettere a nessuno di aprire bocca.
“Uno solo?” fu il sarcastico commento di Stark, che ammutolì di colpo non appena notò che la ragazza era esageratamente pallida.
 
L’oneiriana venne avanti con la spada stretta nella mano destra e, impossibilitata a fare altrimenti, piantò gli occhi bui in quelli di Steve.
Il super soldato era talmente teso da sembrare sul punto di spezzarsi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, incapace di metabolizzare ciò che stava accadendo. Gli occhi chiari erano spalancati e le pupille fisse sul viso della ragazza. Non si accorse di Natasha e Virginia che scendevano le scale, forse svegliate dal rumore che avevano creato poco prima.
 
Per secondi infinitamente lunghi, tutto parve congelarsi e nessuno osò rompere il silenzio che era disceso nella sala.
Sam dimenticò perfino di respirare, mentre alternava lo sguardo dall’oneiriana al Capitano.
 
“Avevi ragione.”
Due parole. Secche ed incolori.
“Avevi ragione a dubitare di me. Sapevi che la spada non era ad Asgard fin dall’inizio, eppure ieri non mi hai accusata di mentire. Adesso, so che sembrerà assurdo, ma io non ti ho mentito. Ero certa di ciò che dicevo, credimi. Ora devo sapere dove hai visto questa spada, per favore.”
“Era nella base da cui mi hai tirato fuori” rispose flebilmente il Capitano e Sam tornò a respirare.
“Come …?” iniziò poi il biondo, ma l’oneiriana lo fermò preventivamente con un sincero e dispiaciuto “Non lo so” e poi, senza esitazioni, abbassò la zip della felpa per mostrare l’anomalia che le segnava la pelle.
“So solamente che chi c’è dietro mi vuole fuori dai giochi, perché ha caricato la spada con dell’energia che mi è entrata dentro e il mio corpo non riesce a estinguerla.”
 
“È mortale? C’è qualcosa che può aiutarti?” chiese Natasha, tra lo sbigottimento generale.
“Non ne ho idea. Forse gli anziani del mio popolo possono capire cosa mi succede, ma non voglio abbandonarvi ora” confessò Anthea, mentre tornava a nascondere le linee rossastre sotto il largo indumento.
 
“Potrebbe essere stato quello che ha riportato il Tesseract sulla Terra e che molto probabilmente impedisce a Thor di riunirsi a noi. Il famoso Esterno in contatto con Teschio Rosso. In poche parole c’è un dannato alieno che ci mette i bulloni tra i circuiti.”
Tony portò una mano al viso e lisciò il pizzetto che non curava in modo maniacale da quando era stato sfrattato da casa sua. Percepì sotto i polpastrelli l’imprecisione delle linee intorno al mento e la cosa gli diede parecchio fastidio.
 
“Dobbiamo dividerci.”
Rogers guardò i suoi compagni e lesse la perplessità nei loro volti stanchi.
Il tempo a loro disposizione era troppo poco e la priorità l’avevano Thor, Bruce e adesso anche Anthea. Se volevano avere delle possibilità di vincere questa ennesima battaglia, dovevano lottare tutti insieme, senza contare che mai il Capitano avrebbe lasciato indietro anche uno solo dei suoi compagni.
“Metà di noi andrà a cercare un rimedio per Anthea e a recuperare Thor e l’altra metà aiuterà Bruce.”
“Sai che aiutare Anthea e recuperare Thor implicano andare su Asgard, vero Rogers? Senza contare che nel momento in cui entreremo nel Pentagono ci saranno tutti addosso. Vuoi mandare tre di noi a morire?”
Tony si piazzò dinanzi al super soldato e incrociò le braccia al petto, non nascondendo il disappunto. Steve sorresse il suo sguardo senza mostrare l’incertezza che in realtà gli rodeva lo stomaco.
“È questione di tempistica, Stark. Abbiamo un modo per accedere al Pentagono, direttamente nel luogo dove è confinato Bruce, e abbiamo il passaggio che può condurci ad Asgard.”
Nel dire passaggio, il biondo scoccò un’occhiata ad Anthea, che annuì nonostante la sorpresa per quella svolta. Poi il Capitano continuò.
“Quando ne abbiamo avuto bisogno, Thor è venuto qui ad aiutarci e credo sia il momento di ricambiare il favore. Inoltre, potremmo avere l’opportunità di capire come il Tesseract e la spada siano arrivati qui. Se riusciamo a muoverci nei giusti tempi, ci ritroveremo insieme. Tutti insieme. Credo di avere un piano adeguato per-”
 
“Una volta oltre i confini della Terra, non ci sarà modo di rimanere in contatto. Se la metà della squadra che parte muore, l’altra metà non verrà mai a saperlo e la stessa cosa vale al contrario. Dannazione, Rogers, pensaci!”
Stark cominciava a perdere la calma e il fatto che l’espressione del super soldato rimanesse imperscrutabile gli dava sui nervi.
“C’è sempre il rischio di morire, Tony. Sempre. Ma vuoi sapere una cosa? Senza Thor e Bruce siamo spacciati, perché ci sono cinquanta super soldati all’avanguardia pressoché indistruttibili. Non uno, ma cinquanta. E in questo caso non è più rischio ma certezza di morire.”
 
Tony Stark odiava Steve Rogers in quei momenti.
Non si fermava.
Una volta che si ficcava in testa qualcosa e decideva di intraprendere una strada, Steve Rogers non si fermava e per questo Tony lo odiava.
Steve gli lasciava solo due scelte percorribili e l’una escludeva l’altra. O Tony decideva di fidarsi del Capitano ed era quindi con lui, o rimaneva della propria idea ed era contro di lui.
L’irremovibile e testardo Tony Stark aveva incontrato qualcuno che lo superava in irremovibilità e testardaggine.
E anche questa volta, Steve non si sarebbe fermato.
 
“Sono d’accordo con il Capitano.”
 
Quando Natasha annuì all’affermazione di Clint, Tony seppe che non ci sarebbe stato modo di dissuaderli. Non perse nemmeno tempo a chiedersi cosa ne pensassero Wilson e Barnes, perché era fin troppo scontato.
 
“Ti stai affidando alla fortuna, lo sai questo, Rogers?”
Tony tenne dentro di sé il ‘Fermati’ che avrebbe voluto urlargli in faccia.
Potevano trovare un altro modo per gestire quel casino, senza dividersi di nuovo. Avrebbero potuto cercare l’appoggio delle sezioni militari non corrotte, avrebbero potuto tentare di mettersi in contatto con Fury o far rinsavire Ross.
Stark temeva anche il buio dell’incertezza e la decisione di Rogers trasudava incertezza. Anni luce avrebbero separato le due metà della squadra e non ci sarebbe stato modo di prestare aiuto in caso di bisogno.
 
“Ti sbagli. Mi sto affidando a voi, Tony. Se tutti facciamo la nostra parte, non ci saranno distanze abbastanza lunghe da impedirci di tornare insieme. Ma ognuno di noi dovrà fidarsi degli altri e credere in loro. Quello che fa dei soldati un vero esercito è la fiducia. E so che non ci consideri soldati, ma il concetto rimane quello.”
 
Sam sorrise. Fidarsi dei propri compagni era indispensabile per non morire in guerra o anche per gettarsi dal quarantunesimo piano, certi di trovare una mano tesa pronta ad afferrarti.
 
“Eri così convincente anche quando facevi propaganda? Si spigherebbe l’arruolamento in massa dei soldati americani.”
Stark cercò di non pensare al fatto di essere capitolato ancora. La sicurezza di Rogers era contagiosa e sperò che fosse un bene. Ma rimaneva il fatto che il ragazzo riponesse troppo fiducia nelle persone e, nel mondo in cui vivevano, la cosa era parecchio svantaggiosa.
“No, facevo pena con i copioni già scritti. Vado meglio con i discorsi a braccio.”
“Confermo” se ne uscì Wilson, scambiando con Steve uno sguardo d’intesa.
 
“Come ci dividiamo?”
La domanda di Natasha riportò l’attenzione su ciò che era prioritario.
 
“Aspetta, Nat. Prima di scatenare un altro litigio, perché litigheremo, propongo di mangiare qualcosa. Non so voi, ma io muoio di fame e, per nostra fortuna, ci sono delle scorte.”
Barton si diresse in cucina senza aspettare una risposta e gli altri lo seguirono di buon grado.
Effettivamente, era da un po’ che non mettevano qualcosa sotto i denti e discutere a stomaco pieno sarebbe stato meno faticoso.
 
“Sì, l’ho visto il triste cibo in scatola che vuoi rifilarci” commentò l’inventore.
 
“Non lamentarti. È l’unico a lunga scadenza” gli fece presente l’arciere, roteando gli occhi.
 
 
                                                            *
 
 
Dopo aver mangiato dello schifoso - Tony aveva usato aggettivi ben peggiori - brodo di pollo di prima mattina, assieme a dolci ciliegie sciroppate - se l’amore rende ciechi, la fame addormenta le papille gustative -, la combriccola si riunì di nuovo in salotto per decidere come dividersi.
 
“Sono l’unico che può tenere sotto controllo il frammento del Tesseract, perciò io penso al Pentagono.”
 
“Egocentrico ma ragionevole. Quindi Stark rimane sulla Terra e-”
 
“Ed io con lui” concluse Natasha, interrompendo Clint.
“Ho le informazioni che servono per aprire il portale, ricordate? Mentre fingevo di essere la Hawley, Ross me lo ha spiegato abbastanza bene. Invece, Steve e Sam lavorano bene insieme e Barnes può essere il terzo della squadra che si occuperà di Thor.”
 
“No. Se io parto, Bucky rimane con voi e Clint viene con me.”
 
A Tony andò di traverso l’acqua che stava sorseggiando per ripulire la bocca dal sapore di brodo di pollo, mentre James rivolse a Steve uno sguardo tra il confuso e il ‘Stai delirando, idiota?’, molto simile a quello impresso sulle facce dei due assassini provetti.
La stessa Anthea ostentò perplessità, ma rimase in silenzio, conscia della ragionevolezza che il super soldato metteva in ogni mossa che proponeva.
 
“Mi sembra logico” fu il commento tranquillo di Sam.
“Per voi che rimarrete sulla Terra c’è il pericolo di uno scontro con quei mostri viola. Il Soldato d’Inverno ha più possibilità di non morire, senza offesa Occhio di Falco. È questione di equilibrare le forze a nostra disposizione e di rendere efficaci entrambe le squadre.”
“Esattamente. Se una squadra dovesse soccombere, allora avremmo perso” aggiunse Steve e sorrise in direzione di Wilson.
 
“Ti concederò anche questa, Rogers, ma solo perché la situazione è disperata e il tuo ragionamento è sensato. Prega che il tuo amico non faccia cazzate, perché non mi farò uccidere nel tentativo di farlo rinsavire. Io non sono te.”
La voce di Tony era fredda e tagliente e Barnes non rimase in silenzio dinanzi a tanta ostilità.
“Assicurati di colpire forte, Stark. Sono un osso duro.”
L’inventore piegò le labbra in un ghigno agghiacciante e i suoi occhi ambrati si piantarono per la prima volta in quello grigio azzurri di James.
“Oh, stai certo che lo farò, Sergente.”
 
“Stark …”
“Limitati a spiegare il piano, Rogers” lo zittì Tony, rivolgendogli un’occhiata parecchio gelida.
“Okay” fu la fievole risposta del Capitano.
 
Nel mezzo di un’atmosfera trasudante tensione e incertezza, i pezzi del piano che avrebbe dovuto riunire tutti i Vendicatori vennero assemblati uno dopo l’altro.
 
 
 
                                                         ***
 
 
 
“Quarantotto ore. Non un secondo di ritardo.”
 
Così Tony si congedò, prima di rientrare in casa, non senza aver lasciato un ultimo imperscrutabile sguardo al giovane super soldato con la sorprendente capacità di farlo ammattire.
 
“Gli passerà. In caso contrario, gliela farò passare personalmente. State attenti.”
Pepper sorrise fievolmente prima a Steve, abbracciò velocemente ma con trasporto Anthea e seguì i passi dell’inventore.
 
Era quasi mezzogiorno, ma l’onnipresente coltre di nuvole nel cielo impediva ai raggi solari di riscaldare la fredda aria invernale.
La tenue e bianca luce, che pareva quasi provenire dalla terra imbiancata di neve, disegnava deboli riflessi sul vibranio dello scudo assicurato sulla schiena di Rogers. L’uniforme spiegazzata e usurata in diversi punti evitava che il calore del corpo si disperdesse e le gote del ragazzo erano appena più rosate del solito.
 
“Come va?”
 
Anthea percepì gli occhi di Steve posarsi su di lei e le venne da sorridere.
Aveva indossato di nuovo le sue vesti da guerriera, ma non aveva rinunciato alla felpa nera omologata Stark. Il largo indumento copriva le linee rossastre sul braccio destro e parte delle gambe lasciate scoperte dall’attillata e corta divisa.
Era debilitata e il bruciore era tornato a invaderla. Occhieggiò la spada piantata nella neve alla sua destra e, ancora una volta, si chiese chi l’avesse portata sulla Terra.
Sospirò.
 
“Potrebbe andare peggio.”

“Troveremo un modo per aiutarti.”
 
Anthea annuì appena e guardò in direzione della casa. Non c’era nessuno nei paraggi.
Clint e Sam dovevano ancora essere impegnati con gli ultimi preparativi in vista dell’imminente partenza.
Decise di sfruttare quel momento, perché era certa che avrebbe dovuto attendere parecchio prima di poter riavere un’occasione simile. Erano solo lei e Steve, adesso. Niente occhi indiscreti o pericoli incombenti.
Pronta ad accettare qualsiasi conseguenza, l’oneiriana fece un paio di passi per porsi di fronte il super soldato. Si spinse sulle punte degli stivali neri, mentre la mano sinistra raggiungeva la nuca del giovane e lo costringeva a chinarsi in avanti.
Lo vide spalancare gli occhi azzurri quando le loro labbra si toccarono, rincontrandosi dopo quasi un anno.
E se per un attimo credette di sentirlo tirarsi indietro, nell’attimo contiguo fu estremamente felice di essersi sbagliata, perché Steve ricambiò, seppur con incertezza, quel bacio sfrontato e fortemente sentito.
Poi finì come era iniziato, ovvero troppo velocemente.
Si guardarono negli occhi, frastornati, e ripristinarono una certa distanza tra i loro corpi.
 
“Sai, Steve, io-”
 
“Datevi una mossa, signorine!”
Natasha uscì in veranda e lì si fermò ad attendere che Clint e Sam la raggiungessero, ma fu James a varcare il portone d’ingresso.
La mano di metallo che spuntava dalla felpa nera emise un debole baluginio. I capelli scuri gli sfioravano le spalle e qualche ciuffo dondolava sulla fronte. La leggera barba sfatta, insieme alle occhiaie, evidenziavano una stanchezza che prescindeva da quella fisica.
Il Soldato scese i scalini della veranda e camminò dritto verso Rogers, che si riprese a stento dalla confusione emotiva che Anthea aveva scatenato in lui e sperò di non essere arrossito troppo.
 
“Non fare nulla di stupido finché non torno” disse il biondo con un sorrisetto divertito a piegargli le labbra, quando James fu a un passo da lui.

Il luccichio che attraversò le iridi di Bucky venne seguito da un ghigno che mise in mostra i denti bianchi.
“Come potrei? La stupidità te la porti tutta con te.”
 
E se a occhio estraneo quello scambio di battute veniva recepito come un singolare modo di farsi raccomandazioni a vicenda - e non era stato che quello, settant’anni prima -, per i due super soldati assumeva un significato che svicolava dallo ‘Stai attento’, finendo per divenire una specie di ‘Sei ancora tu?’ ‘Sì, sono io.’, oppure un ‘Fino alla fine?’ ‘Sì, con te fino alla fine.’
 
“E tu tieni duro. Non ce la farei a gestire gli istinti suicidi di questo qua da solo.”
 
Anthea si ritrovò addosso lo sguardo di James e, per un secondo, si chiese se l’azzurro di quegli occhi fosse mai stato limpido e non occultato da un grigiore trapelante sofferenza dominata a stento.
 
“Beh, lo stesso vale per te. Quando torno voglio ritrovarti intero o chi lo regge questo qua?”
 
Questo qua vi sente.”
 
Si lasciarono andare a una lieve risata, mentre venivano raggiunti da Sam, Clint e Natasha.
Sia Wilson che Barton indossavano i vestiti omologati Stark e Falcon aveva attaccato le cinghie dello zaino contenente le ali sopra le felpa.
 
“Se foste persone normali vi raccomanderei di fare attenzione, ma siete degli idioti perciò è inutile. Solo ... siate puntuali.”
La Vedova non si dilungò nei saluti, perché quegli idioti sarebbero tornati presto. Quarantotto ore. Solo quarantotto ore. Poi si sarebbero riuniti. La squadra al completo.
Si fidava di loro e loro non l’avrebbero delusa.
Fece qualche passo indietro, imitata da James.
 
Era tempo.
 
“Una volta attraversato il Bifrost, ci troveremo sul territorio abitato dagli oneiriani. Dovete sapere che ponte di luce si dirama in tante vie i cui accessi sono sparsi ovunque. Ah, tranquilli, sarà veloce ed indolore. Pronti?”
 
La prima fermata sarebbe stata proprio la Città di Oneiro. Anthea aveva bisogno di aiuto e lì potevano trovarlo.
La giovane riprese possesso della spada e sollevò lo sguardo verso il cielo.
 
“Abbiamo scelta?” borbottò Wilson, prima di accostarsi leggermente a Steve.
“A quanto pare no” convenne Barton.
 
“Heimdall! Apri il Bifrost!”
 
E scomparvero nel fascio di luce che squarciò il cielo non appena la ragazza terminò di pronunciare l’iconico richiamo.
 
James e Natasha si soffermarono a contemplare l’intricato disegno racchiuso in un perfetto cerchio che ora marchiava una buona porzione del terreno, dove la neve si era completamente sciolta nell’immediato contatto con l’energia del ponte.
 
“E ora veniamo a noi.”
 
Il Soldato d’Inverno voltò il capo per incontrare gli occhi della Vedova Nera.
Non riuscì ad interpretare il commento atono che la donna gli aveva rivolto, perciò si limitò ad annuire.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Planetoide di Asgard
Città di Oneiro

 
 
“Sto per dare di stomaco. ”
 
Forse era durato poco più di un battito di ciglia, ma si sentiva come uno che aveva passato ore su montagne russe esageratamente alte e piene zeppe di giri della morte. Aveva le vertigini e la vista richiedeva una messa a fuoco.
Percepì una mano posarsi sulla sua spalla e respirò profondamente un altro paio di volte prima di voltare il capo. La nebbiolina dinanzi gli occhi si dissipò, permettendogli di notare l’espressione preoccupata di Steve.
“Tu non ti senti uno schifo?” gli chiese, incredulo.
 
Rogers fece spallucce.
“Un po’ frastornato.”
 
“Solo un po’? Ah giusto, il Super Siero” fu il seguente lamento di Wilson, in lotta per sedare la rivolta scoppiata nel suo stomaco.
 
“Se può consolarti, Clint non sta meglio di te.”
Rogers indicò l’arciere, a cui Anthea stava dando appoggio mentre gli assicurava che quel brutto momento sarebbe passato presto.
Poi Steve spostò lo sguardo sull’orizzonte e cominciò a prendere coscienza di ciò che lo circondava.
 
Colline verdeggianti si estendevano a perdita d’occhio in tutte le direzioni.
C’erano alberi dai possenti tronchi nodosi con fronde lunghe e piangenti, le piccole foglie brillavano di colori tenui e delicati. Con le loro chiome bianche, celesti, rosee o verdi, tali alberi vivificavano le distese smeraldine.
Steve notò alla sua sinistra un fiume serpeggiare tra due colline e gettarsi in un lago dalle sponde frastagliate e le acque limpide. Se spingeva lo sguardo avanti a sé, poteva intravedere montagne rocciose e, se l’occhio non lo ingannava, doveva esserci una cascata di notevoli dimensioni che discendeva da quelle pareti rocciose.
Il cielo possedeva una trasparenza tale da apparire una vetrata oltre la quale erano visibili numerosi pianeti, o forse erano satelliti, tante lune che riflettevano la luce della stella più vicina - chissà se era lo stesso Sole che illuminava la Terra?

Quando il giovane Capitano rivolse l’attenzione ai suoi compagni, vide nei loro volti lo stesso stupore che aveva sensibilmente accelerato il battito del proprio cuore.
 
Le labbra di Anthea si piegarono in un dolce sorriso. Sollevò un braccio e puntò l’indice su un preciso punto, laddove era visibile un insieme di costruzioni non naturali eppure in perfetta armonia con il paesaggio.
“Dobbiamo camminare un po’” annunciò e prese a muoversi, subito seguita dai suoi tre compagni di viaggio, troppo impegnati a guardarsi intorno per dire qualsiasi cosa.

Durante il tragitto, la ragazza spiegò loro che gli oneiriani vivevano in una particolare simbiosi con la natura e per questo erano in grado di controllare i quattro elementi fondamentali.
“Ognuno di noi tende ad avere una particolare propensione per un singolo elemento” disse con fare sapiente.
“E tu?”
La voce di Steve tradì la sua sincera curiosità.
“Propendo per il fuoco” affermò Anthea, tutta orgogliosa.
“Siete tutti telecinetici?” chiese Sam, che aveva ormai smaltito gli effetti del viaggio.
La ragazza annuì.
“Sì. Ciò che cambia da individuo ad individuo è il grado di capacità, oltre che il livello di forza psichica.”
 
Nonostante stesse cercando di apparire tranquilla, a nessuno dei tre Vendicatori sfuggì la rigidità che dominava il corpo della giovane.
Anthea era tesa. Era tesa perché si sentiva bruciare dentro. Ed era tesa perché avrebbe dovuto spiegare ai membri del Consiglio - i più saggi del popolo, ossessionati dal rispetto delle leggi - il perché della sua non autorizzata scappatella sulla Terra.

“Statemi vicino. Non so quali reazioni scatenerà la vostra presenza” convenne, nel momento in cui misero piede su una strada di ciottoli bianchi e levigati che si allungava fino ad una struttura visibile in lontananza, una struttura che aveva tutta l’aria di essere un palazzo.
In realtà, Anthea sapeva che avrebbe dovuto chiedere l’approvazione del Consiglio prima di portare stranieri in città, ma sperava che capissero la gravità della situazione.
 
Case di pietra grigia, levigata in alcuni punti e frastagliata in altri, si susseguivano in file ordinate ai lati della strada. Dietro queste prime file di tozze abitazioni, c’erano case di solido legno scuro e altre sia di pietra sia di legno, tutte poste con maggiore casualità e meno simmetria. Alcuni edifici erano ancora in fase di costruzione.
La città si estendeva per svariati chilometri.
 
L’attenzione dei tre Vendicatori venne però del tutto assorbita dalle figure che piegavano rispettosamente il capo al passaggio di Anthea e che poi guardavano con ostentata sorpresa i terrestri.


Sam si sporse verso Steve e, con un filo di voce, gli chiese se Anthea fosse una qualche specie di dea lì.
“È la loro sovrana, Sam” lo mise al corrente il biondo, con voce altrettanto bassa, e Wilson rispose con un secco Oh.
“Non sembrano tanto scontenti di vedere noi” fu poi il sussurro di Clint.
 
Gli oneiriani avevano sembianze umane. La loro pelle era talmente bianca da brillare sensibilmente quando colpita dalla luce. I volti allungati ospitavano nasi piccoli e all’insù, ma il tratto più peculiare era rappresentato dagli occhi grandi.
A differenza delle iridi di Anthea, quelle degli oneiriani spiccavano per i colori chiari e limpidi.
Scuri erano invece i loro capelli, che assumevano tonalità dal nero pece al castano e creavano un contrasto netto con la carnagione chiarissima. I loro abiti erano costituiti da tessuti leggeri che calzavano come una seconda pelle.
Cinque bambini, seduti sull’erba al limitare del ciottolato, scattarono in piedi non appena intercettarono Anthea e le sorrisero con calore mentre agitavano le mani in segno di saluto. Subito dopo, i loro grandi occhi curiosi contemplarono quelli che erano a tutti gli effetti alieni provenienti da un altro pianeta.
Un leggero chiacchiericcio risuonava nell’aria scossa da una fresca brezza.
 
Nell’imbarazzo più totale, i tre Vendicatori si limitarono a seguire i passi di Anthea. La sensazione di essere sotto attenta analisi non era affatto piacevole.
Dopo un tempo che parve infinito, arrivarono alla fine della strada, dinanzi un palazzo di marmo nero venato di bianco. Niente muro di cinta o torri dove poter rinchiudere principesse. La struttura aveva una forma del tutto simile ad una moschea e l’unica grande cupola che si innalzava maestosa brillava di un grigio perlaceo.
Le ante della grande entrata, anch’esse grigie, erano spalancate e ne uscì un distinto oneiriano, il quale venne loro incontro. Indossava una lucente armatura argentea, non molto dissimile da quella di Thor se non si contava l’assenza del mantello. I capelli nerissimi erano tirati indietro e gli sfioravano le spalle.
Le iridi erano di un celeste glaciale e accese da una scintilla superba.
 
“È il comitato di accoglienza?”
“Sam” lo riprese immediatamente Rogers, tendendosi alla vista del guerriero.
 
“Sei audace, non c’è che dire” fu la prima cosa che disse quello, rivolto ad Anthea, e subito dopo squadrò i terrestri dietro di lei.
“Il Consiglio ti aspetta” aggiunse alla fine, riportando gli occhi sulla giovane.

Anthea annuì brevemente e si rivolse a Steve.
“Spiegherò come stanno le cose. Voi-”
 
“Rimarrò io con loro. Adesso va’.”
 
Seppure rimostrante, Anthea si vide costretta ad accettare la proposta dell’oneiriano e il Capitano le fece un leggero cenno del capo, come per dirle di non preoccuparsi e che l’avrebbero aspetta senza combinare casini.
La situazione era palesemente delicata.
 
Una volta che la ragazza sparì oltre il vano del palazzo, l’oneiriano in armatura dedicò la sua completa attenzione ai tre Vendicatori.
“Tra di voi c’è l’ambasciatore di Midgard?”
 
“Oh sì, io. Piacere, Clint Barton. Loro sono il mio scudiero, Steve Rogers, e il mio personale Falcon messaggero, Sam Wilson.”
Nonostante la vena sarcastica nella voce, l’oneiriano prese per vere le parole di Barton.
Steve strinse tra pollice ed indice il ponte del naso e Sam incenerì l’arciere con lo sguardo.
 
“Andras, capitano dei guerrieri posti alla difesa del regno. Sarei molto curioso di visitare il vostro pianeta, così finalmente capirei cosa spinga la nostra sovrana a rimanerne così legata.”
 
“Beh, passa quando vuoi. Siamo abituati a visite di alieni. Alcuni si affezionano talmente tanto al clima della Terra, da desiderare di conquistarla.”
 
Sul viso di Andras si disegnò un ghigno sottile.
“Voi umani siete tutti così fastidiosamente spiritosi?”
 
“Assolutamente no. L’umorismo è per pochi” rispose tranquillamente Clint.
 
Questa volta fu un’espressione seccata a contrarre i lineamenti dell’oneiriano.
“Venite. Attenderemo la regina in una delle sale del palazzo.”
 
Prima di seguire Andras, Steve scoccò un’occhiata eloquente a Clint, come per dirgli di limitare la sfacciataggine.
Il Capitano era certo di una sola cosa, ovvero non erano i benvenuti.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Terra
Washington. Pentagono.

 
 
Lo specchio gli restituì il riflesso del suo viso. Lo contemplò a lungo, alzando appena il mento e ruotando il capo a destra e sinistra.
C’era voluto del tempo, ma la pelle gravemente danneggiata dalle fiamme era andata in contro ad un lento processo di guarigione.
Un anno prima, il siero ricavato dal sangue del Soldato d’Inverno aveva risaldato le ossa rotte, ripristinato l’udito danneggiato e guarito gli organi interni ridotti a poltiglia. Un corpo che sarebbe stato da buttare - da seppellire - era stato tramutato in una macchina da combattimento.
La formula di Zola mutava sensibilmente la massa muscolare, garantiva forza e riflessi sovraumani e una rigenerazione cellulare più veloce del normale. Senza il siero, le ustioni che gli deturpavano il viso ed il corpo sarebbero state una condanna a vita, un onnipresente ricordo della disfatta schiacciante - schiacciante in tutti i sensi - in cui era incappato a causa di Steve Rogers.
 
La sua incorruttibile lealtà nei confronti dell’Hydra e le ineccepibili capacità strategiche dimostrate durante gli anni trascorsi a fingere di lavorare per lo SHIELD, erano stati il movente che aveva spinto Schmidt a concedergli la chance di tornare sul campo di battaglia e vendicarsi.
Teschio Rosso aveva affermato di aver tenuto d’occhio la nuova Hydra guidata da Pearce dal novembre del 2013. Aveva ripetuto più volte di dovere il suo ritorno alla creatura con la quale aveva stretto una particolare alleanza.
Rumlow aveva intravisto una sola volta quella creatura. L’aveva vista consegnare a Schmidt una spada dall’elsa bianca, la stessa spada la cui insolita emissione di energia aveva permesso all’Hydra di attirare i Vendicatori sull’Empire.
 
Schmidt teneva per sé parecchi segreti, ma a Brock importava poco la conquista del mondo, poiché il suo unico obiettivo era la vendetta e nient’altro.
Da quel che aveva potuto constatare, c’era una certa concorrenza nel settore ‘Falla pagare a Steve Rogers’, perciò avrebbe dovuto giocare bene le sue carte per non lasciarsi sfuggire l’occasione di mettere le mani sul moccioso prima degli altri contendenti.
Benson, Lewis e Schmidt erano teoricamente suoi superiori, ma nel momento cruciale se ne sarebbe fregato di quel particolare.
 
Passò una mano sulla leggera barba sul mento e ghignò. Le pelle stava tornando quella di una volta, non era più l’ammasso informe che lo aveva costretto ad indossare una maschera.
 
Uno scatto di una serratura lo richiamò alla realtà.
 
“Hai finito di vomitare?”
 
“Questo è il bagno riservato alle donne, Brock. Sai, il disegno fuori alla porta, l’omino con il vestito. Ti dice niente?”
Mentre lo rimproverava con scarso entusiasmo, Kristen si diresse verso i lavandini, aprì l’acqua e sciacquò il viso pallido e sudato.
 
“Oggi il Pentagono è chiuso al pubblico. Non c’è pericolo che entri qualcuno.”
Rumlow si posizionò alle spalle della donna e i loro occhi si incontrarono attraverso lo specchio.
 
“Beh, stai invadendo la mia privacy, soldato.”
Kristen si asciugò la faccia con le maniche del camice bianco.
 
“Lewis chiede di te. Sono pronti a dare inizio alla fase tre” la avvisò l’uomo e la osservò perdere colore e stringere tra i denti il labbro inferiore.
 
Senza dire una sola parola, Kristen uscì fuori dai bagni e si immise nel reticolato di corridoi per raggiungere il bunker sotterraneo, dove Lewis stava progredendo nella realizzazione di un’arma micidiale, un corpo indistruttibile frutto di un mix micidiale di cellule e formule genetiche.
Stava cercando in tutti i modi di rallentarlo. Era arrivata anche a falsificare i dati di diverse analisi e questo l’aveva fatta sentire malissimo, perché se l’avessero scoperta … Dio, cosa le avrebbero fatto!
 
“Non hai una bella cera.”
 
La voce profonda di Rumlow la fece sussultare appena. Il soldato la raggiunse con ampie falcate, fino ad affiancarla.
Ecco, Brock Rumlow era un grosso problema per la Myers, perché lui sembrava leggerla fin troppo bene.
Kristen aveva la fottuta paura di potersi tradire in qualche modo. Fingere non era il suo forte.
Gli occhi penetranti e indecifrabili di Rumlow puntati addosso la facevano sentire a disagio.
 
“Lo so da me, Brock. Vammi a prendere un’aspirina.”
“Se me lo chiedessi con gentilezza, potrei quasi pensare di farlo.”
La donna lo fulminò con lo sguardo e il ghigno sul viso di Rumlow divenne più accattivante.
 
Presero l’ascensore e arrivarono al bunker in pochi attimi.
Quando le porte si spalancarono, Kristen prese un grosso respiro e raggiunse Lewis, chinato su una lettino di metallo ospitante un corpo mostruoso.
“Devo congratularmi con lei. È riuscito a trovare la soluzione per passare alla terza fase” disse con finta ammirazione.
Il dottore si voltò verso di lei e scosse il capo, per poi indicare un punto alla sua destra.
“Deve congratularsi con lui, mia cara.”
 
Nel momento in cui Kristen spinse lo sguardo nel punto indicatole da Lewis, il suo cuore mancò un battito.
Il genio che aveva permesso il passaggio alla terza fase le venne in contro e le porse la mano, sorridendo gentilmente.
 
“È un piacere fare la sua conoscenza, dottoressa Myers. Sono Bruce Banner.”
 
Cercando di tenere a freno il tremito della mano destra, Kristen strinse quella tesa di Banner e contemplò con rammarico la patina azzurra che gli occultava le iridi, segno che lo scettro di Loki lo aveva fatto suo schiavo.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Lo so, avevo detto a fine mese e invece ho accumulato un ritardo di due giorni. Sono un caso disperato, credetemi.
Questo capitolo è stato un parto, davvero, e ancora non sono convinta del risultato. Spero di non essere scivolata nell’assurdo e di aver reso le cose abbastanza comprensibili. Ci sono ancora molti nodi da sciogliere, ma se avete qualcosa da chiedere, come sempre, io sono qui ;)
 
Ringrazio tutti voi che continuate a seguire questa contorta storia, ne siete il sostegno <3
Un saluto alla New Entry che ha messo la storia tra le ricordate, Black_cat_is_lucky! Ti mando un caloroso abbraccio <3
 
Voglio poi assolutamente ringraziare Eclisse Lunare - Fragolina dolcissima! Ho separato Nat e Clint, ma il segreto della nostra Vedova Nera non rimarrà nascosto ancora a lungo! Tanti baci e caramelle <3 -, the little strange elf - Ci avviciniamo a Thor e Bruce, visto? E anche alla verità! Ti mando un enorme abbraccio <3 -, _Abyss_ - Ci sciogliamo a vicenda, mia cara! Attenzione a Steve e Tony! Non è che arrivano a darsele anche qui? Ti ringrazio ancora per la tua gentilezza calorosa! Un abbraccione <3 -,  Siria_Ilias - Povero Tony! Dovrà collaborare con il Soldato d’Inverno e speriamo che non si ammazzino! Un grande a maturo abbraccio! <3 - e Ravinpanica - è sempre un piacere parlare con te! Ti aspetto! Un abbraccio e tanti baci <3.
 
Infine ringrazio la mia Sister Ragdoll_Cat, che ha avuto la santa pazienza di seguire il parto di questo capitolo *.*
Grazie! Grazie davvero! Ma come farei senza di te? <3
 
Allora vi aspetto al prossimo aggiornamento!
Un Super Abbraccio a tutti <3
 
La vostra Ella
   
 
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