Cap. 4 - La Festa
Piano
piano arrivammo in casa mia dove mamma, uscita prima dal lavoro, ci
stava
aspettando con i costumi. Davide più rapido di me si
inventò una scusa per il
ritardo, sapevamo entrambi che era iperprotettiva nei miei confronti,
dopo aver
saputo che ero svenuto mi avrebbe tenuto in casa con le buone o con le
cattive.
Andammo in camera mia a
vestirci, mia madre ci
lasciò anche i suoi trucchi e le mie lenti a contatto rosse.
Ci cambiammo e io truccai
Davide facendo in
modo che sembrasse sporco sulla faccia, gli misi anche
l’eyeliner. Anch’io lo
misi e con il rossetto mi sporcai un angolo della bocca facendo in modo
che
sembrasse sangue appena colato.
Vestiti e truccati mamma ci
fece una foto
ricordo, che io odiavo, mamma se le metteva tutte in un suo album
grigio. Non
lo avevo mai visto e l’unica volta che mi ci ero avvicinato
per sbirciare
all’interno mamma me lo aveva tolto.
Papà era ancora
all’ospedale, molte persone
erano state ferite gravemente da quella bestia, la polizia scientifica
non era
ancora risalita a nessun animale a loro noto. Dagli squarci profondi si
ipotizzava fossero stati inflitti da artigli affini a quelli di una
pantera, ma non ci sono
pantere in città e nessun zoo nelle vicinanze ha dichiarato
di aver perso un
animale. Papà era molto richiesto e spesso si alzava presto
e tornava a tarda sera.
Salutammo mamma e lei ci
augurò buon
divertimento.
Prendemmo
i nostri motorini e corremmo a scuola visto che ormai si erano
fatte le
sette e mezza.
Entrando ci accorgemmo che
la festa non era
ancora iniziata, i professori ci stavano ancora controllando e il DJ
teneva a
bada i suoi spinti spiriti sul metal rock. Con un dito assaggiai la
bevanda
ancora analcolica, presto sarebbero arrivati Mino con Eric a risolvere
la cosa.
Davide mi scrutava con uno sguardo che diceva “Bevi ora il
tuo succo analcolico
che dopo non te ne farò bere neanche una goccia”.
Lo ascoltai e mi presi un
bicchiere.
Verso
le otto i professori se ne erano andati e il DJ aveva iniziato a fare
il DJ.
Poco dopo arrivarono Mino e Eric con gli alcolici e le ragazze. La
festa
divenne caotica.
Tutti
bevevano il punch alcolico, tutti sudavano e ballavano, tutti si
stavano
divertendo.
Ballai
a ritmo di quella musica che mi pulsava nelle orecchie, mi stava
scoppiando il cuore. Ragazzi e ragazze si strusciavano l’uno
contro l’altro, e
una ragazza lo stava facendo proprio con me, non provavo niente ma era
una
festa e ci si divertiva quindi non ci pensai due volte a fare lo stesso
con
lei, che sembrò apprezzare particolarmente quando nel
ballare gli accarezzai i
fianchi. Lei era bella, occhi azzurri capelli neri, alta e formosa,
avrebbe
fatto impazzire qualunque ragazzo. La vedevo, si muoveva sempre
più
sensualmente, sapevo cosa voleva. Ad un certo punto mi prese per il
polso e mi
trascinò fuori dalla massa di corpi accaldati, capii che
eravamo diretti nello
stanzino della palestra. Mi impuntai sui piedi, lei girò di
scatto la sua
chioma corvina ma non sembrava arrabbiata, mi sorrideva e mi sorprese.
Le sue
labbra toccarono le mie prima gentilmente poi più
impazienti. Sapeva di punch,
era ubriaca. Mi staccai dal suo bacio umido, ma non sapevo cosa dire,
Davide
che aveva visto la scena dall’inizio visto che era accanto a
me intervenne.
–
Scusa Monica ma il mio amico è impegnato, vatti a cercare un
altro da farti stasera
– lei gli rivolse una smorfia di disaccordo ma si
allontanò.
– Grazie amico,
non sapevo più cosa dovevo
fare – lui mi sorrise.
– Non ti
preoccupare ma la prossima volta che
non vuoi questo tipo di situazioni evita di strusciarti come un porco
su di
loro o ce le fai credere – sapevo di aver fatto una cavolata,
ma non capivo il
perché. A me non piace no? E allora perché lo
stavo facendo.
Non ci stavo pensando, lo
stavo facendo e
basta.
Mi
guardai incuriosito intorno. La gente si appartava sui divanetti
allestiti o si
dirigeva fuori dalla palestra, probabilmente nelle classi.
Chissà quanti ce
n’erano nello stanzino.
Il rumore era forte e la
testa mi girava,
troppe voci, troppe grida.
Avvertivo
l’odore acre del sudore, mi sedetti su un divanetto e
osservai i miei amici
divertirsi, Alessandra ballava con un tipo che non avevo mai visto,
mentre gli
altri ballavano tra loro. Mino si era tolto il mantello e si era
slacciato la
camicia nera. Sorrisi.
A volte è bello
poter vedere gli altri da
fuori, noti come le cose vanno davvero e osservi tutto da un altro
piano. In un
qualche modo mi divertiva pensare che per quel poco tempo potevo essere
un esterno,
non mi ero mai sentito davvero parte di quel gruppo di scalmanati ma
presto mi
ci ero affezionato, erano i miei migliori amici. Eric ci stava
letteralmente
provando con Giovanna ed era buffo e goffo nei movimenti, lei neanche
lo
guardava nei suoi sforzi.
In quel momento mi misi
davvero a ragionare su
cosa avrei fatto da grande mentre ognuno di loro si costruiva una
famiglia, e
io invece, sarei invecchiato da solo. Magari avrei trovato una tipa
simpatica
con cui non mi dispiaceva passare del tempo insieme ma non me ne sarei
comunque
innamorato e una volta che lei lo avrebbe capito mi avrebbe lasciato da
solo di
nuovo.
Odiavo la solitudine, quando
ero solo in casa
solitamente mettevo la musica a palla per colmare il silenzio di quelle
quattro
mura.
Questo mi riportò
a riflettere nuovamente sul
sogno, a quanto mi sia sentito terribilmente straziato da quel vuoto e
silenzioso spazio nero. A quanto abbia pregato per sentire un rumore o
uno
spicchio di luce. E i suoi occhi erano arrivati.
Non potevo sognare
così tante volte e con
particolari accurati il viso di una persona che non avevo mai
conosciuto o
visto. Nulla aveva senso in questo ultimo periodo.
Sul tavolinetto difronte a
me c’era un
bicchiere di punch alcolico, al
diavolo Davide, lo presi e lo bevvi tutto di un sorso.
Alzai lo sguardo sui
presenti, sulla fronte di
tutti era presente un simbolo. Lussuria.
Mi
guardai intorno per capire chi aveva parlato, poi capii che ero stato
io
stesso.
Non capivo,
perché sapevo il significato di un
simbolo mai visto? Mi alzai e andai ad mischiarmi di nuovo nella folla,
ma non
per ballare ancora. Volevo vedere quei simboli da più
vicino. Intravidi la
chioma bionda di Davide, così mi avvicinai.
Lo vidi agitato, stava
cercando qualcosa nella
folla e da come stringeva i pugni non la stava trovando. Gli posai una
mano sul
braccio per richiamare la sua attenzione, si girò sorpreso
ma deluso allo
stesso tempo.
–
Chi
stai cercando? – era ancora confuso ma aveva smesso di
guardarsi intorno e ora fissava
me. Corrucciò le sopracciglia e mi toccò la
fronte.
Mi ricordai della mezzaluna
viola tatuata
sulla fronte di tutti i presenti, lui non l’aveva.
Tolsi
la sua mano dalla mia fronte e lo guardai, cosa succedeva?
– Davide
cos’hai? – era bianco come un cencio.
Scosse
la testa più volte ma non rispose. Improvvisamente mi mise
da parte dietro la
sua spalla e con il braccio mi tenne fermo dietro lui.
Cercai di capire cosa stava
accadendo e mi
sporsi. In mezzo alla massa di corpi accalcati che ormai non si
limitava solo a
ballare, lo vidi.
Un ragazzo scuro di pelle
vestito
completamente di nero, occhi vitrei, denti appuntiti e sporgenti, dalla
bocca
colava della bava. Era munito di artigli e la sua pelle stava
diventando mano a
mano più pelosa.
I miei occhi andarono sul
suo polso, niente
orologio. Ero sicuro che fosse lui, dall’aura che emanava e
l’effetto che aveva
su di me.
I suoi occhi su di me ed io
immobile, quasi
impietrito mi accorsi di ciò che era diventato.
Alto
come un cavallo, nero come la notte. La testa di un lupo e il corpo
equino, la
coda da scorpione, cosa diavolo era!?
Possibile che la gente
intorno a me non si
accorgeva di nulla?
Indietreggiai
di qualche passo, ma delle mani mi sorressero, la testa
iniziò a formicolare, i
miei respiri si fecero irregolari, stavo per svenire ancora.
Cosa mi succedeva,
perché mi sentivo di nuovo
così frustrato, forse avrei dovuto dar retta a Davide, non
dovevo bere.
Non ero svenuto ma le mie
gambe mi avevano
abbandonato, sentii il “lupo” sibilare sinistro
– Vogliamo l’umano che è con te
figlio di Abraham – Davide emise un ringhio.
– Mai! –
continuò – Come siete tornati? –. La
risata demoniaca della bestia mi gelò il sangue nelle vene,
capii di essermi
ripreso. Mi voltai per capire chi mi aveva sorretto.
Non feci in tempo, intorno a
me le persone
iniziarono a gridare come anime in pena.
– Lussuria, mi
chiamano – il mostro aveva una
nota di puro divertimento nella voce.
Lussuria,
pensai, era uno dei sette vizi capitali.
–
E
non è importante per te saperlo adesso, sono qui solo per
riportare a casa chi
deve – stava guardando me e il suo sguardo non faceva altro
che tentarmi.
Le mani che mi sorreggevano
si strinsero
intorno alle mie spalle. Di nuovo quella sensazione. Non era quel
mostro quindi
che mi faceva sentire in quel modo ma la persona dietro me. Sentii
chiaramente
la risata di quest’ultimo, era maligna ma io pensai solo di
aver sentito il
suono più bello della mia vita.
Il mio sguardo
scattò sul suo polso. Il mio
cuore perse un battito, era
lui.
Le persone gridarono più forte, ma quegli urli non erano causati dalla paura come avevo sperato pensando che finalmente si erano accorti del mostro, erano solo di intenso piacere.
Davide strinse di più i pugni sbiancando le nocche e lo fissò con rabbia, poi ringhiò.
– Basta, finiscila demone! Lui è solo un comune mortale cosa te ne vuoi fare!? – la bestia rise, non aveva niente di divertente.
– Ne sei proprio sicuro?
– con una zampata sbatté Davide a quattro metri
di distanza, contro un muro che si incrinò per la forza
d’urto possente del
demone.
Emisi un grido non molto
virile mentre vedevo
Davide afflosciarsi a terra con il sangue che scorreva veloce dalla sua
testa.
–
Infondo sei solo un Novizio, figlio di Abraham – i suoi occhi
emettevano
scintille.
Come
schegge si fermarono su di me che non mi ero accorto di piangere, le
lacrime cadevano
da sole dai miei occhi fino a toccare il pavimento, ormai sfocato alla
mia
vista. Avevo il continuo presentimento di stare svenendo ma non volevo.
Cercai di liberarmi dalla
morsa della persona
dietro me ma era troppo forte.
–
Sei diventato così debole? – era stato il
“lupo” a parlare?
Una
risata
scosse ancora l’incappucciato dietro me, capii che la voce
apparteneva a lui e
che si trattava di un ragazzo.
Cercai di voltarmi per
guardarlo in faccia ma
lui tirandomi forte i capelli mi rigirò la testa
dall’altra parte, a guardare il
mostro che era tornato ragazzo. Un angolo della sua bocca era
arricciato verso
su in un ghigno arrogante.
Dentro di me non facevo
altro che pregare,
volevo che tutto fosse solo un sogno.
Il
ragazzo si avvicinò rapido, si inginocchiò per
arrivare alla mia altezza e per
guardarmi dritto negli occhi.
I suoi occhi non avevano
vita, erano neri,
troppo neri, non si distingueva la pupilla.
–
Com’è
che stai fratello? – Fratello,
io non
avevo fratelli.
Dietro me la persona si
irrigidì e mi strinse
più forte, non vedevo la sua espressione ma
quest’ultima fece arrabbiare la
bestia.
–
Mi
sbaglio o ne abbiamo già parlato!? Non sopporto le tue
reazioni del cavolo
verso questo ragazzo, tu fai solo quello che ti dico, hai capito?
– dietro me
il ragazzo emise un borbottio di scuse e allentò la presa su
di me.
Stavo tremando come una
foglia dalla
cattiveria del suo sguardo. Il mostro se ne accorse.
–
Come
ti chiami ora? – la domanda poteva risultare gentile ma detta
da lui mi faceva
solo temere di più. Sporse una mano a toccarmi i capelli, si
rivelò essere una
tirata di capelli lancinante, urlai dal dolore e vidi le stelle. A
confronto quella che avevo ricevuto dal ragazzo non era niente, si
poteva paragonare ad una
carezza.
– Mirko
– sussurrai in preda al dolore.
– Bene hai capito
chi comanda, ora Mirko, che
ne dic… – il mostro volò in aria per
schiantarsi dall’altra parte della sala,
sfondando il muro.
I miei occhi corsero al
punto dove si trovava
Davide ma lui era sparito.
Il
ragazzo che mi teneva mi trascinò di lato, schivando una
freccia d’argento
scintillante.
Da dove veniva? Mi guardai
intorno ma non vidi
nessuno.
Presi
il momento di debolezza del ragazzo per voltarmi a guardarlo.
Gli
occhi completamente neri come la pece, così pallido, la
fronte ampia dove
alcune ciocche corvine ricadevano sui suoi occhi, i lineamenti erano
delicati come quelli di una ragazza e mi chiesi se magari dalla sua
voce avevo
capito male e fosse sul serio una femmina. Improvvisamente
l’immagine del
bambino che continuava a tormentarmi le notti insonni mi si ripropose
nella mia
testa. Il ragazzo davanti a me aveva quell’aria spaventata ma
al tempo stessa
malinconica mentre ricambiava il mio sguardo. Non aveva nulla di
cattivo, sul
suo viso era espresso solo il tormento.
Sentii un altro schianto e
la bestia che
ululava furiosa. Il ragazzo si riprese ed assunse un’aria
impassibile e
calcolatrice. Rapido mi riguardò, stavolta ghignava, mi mise
una mano sulla
guancia, quel solo lieve tocco bastò a mandarmi in fiamme il
punto sfiorato, il
cuore accelerò, provai ripulsione per quel gesto che tanto
bramavo, sentii
calore all’altezza della pancia, le vene pulsavano, la testa
andò in
confusione. Tutto all’improvviso si calmò e sentii
arrivare quel freddo che
avevo già sperimentato.
Svenni nuovamente.
Ero bloccato in un limbo senza immagini.
Molto lentamente aprii un
occhio, poi l’altro,
c’era troppa luce, troppo bianco, la stanza era troppo
bianca, un odore di erbe
e candeggina mi investì.
Quando capii dove mi
trovavo, un blocco si
formò nel mio stomaco e la mia mente tornò
indietro nel tempo.
Mi stavo guardando intorno,
la maggior parte
del mio piccolo corpo era fasciato, la benda che circondava la mia
testa era
troppo stretta, dalle finestre entrava troppa luce, volevo chiuderle,
ma due
braccia che non riconoscevo mi abbracciarono da dietro.
Mi voltai di scatto, una
donna con le lacrime
agli occhi mi stava guardando addolorata ma incredibilmente felice.
Dietro lei un
uomo poco più grande mi guardava con gli occhi spalancanti,
una lacrima
solitaria rigava la sua guancia. Non li conoscevo, non sapevo chi erano
ma
vederli così mi procurava un’immensa tristezza.
Gli chiesi chi fossero e le
loro braccia mi
strinsero più forte. Dopo molti minuti si calmarono, mi
dissero di essere i
miei genitori e che non dovevo affaticarmi nel ricordare.
Stavano per mettersi
nuovamente a piangere
quando entrò una signora sulla sessantina, il suo sorriso
nel vedermi era
luminoso, non pianse, non lei, lei rimase immobile sulla soglia mentre
mi
guardava felice, era pura gioia quella dipinta sul suo volto. Non ne
ricordavo la forma, solo il sorriso.
I miei presunti genitori
invece erano a tratti
attraversati da puro dolore, i loro sorrisi erano causati dal mio
risveglio ma
presto mi accorsi che il loro pianto era la conseguenza di qual
cos’altro. La
donna sulla porta si avvicinò e con una mano mi
accarezzò i capelli, la manica
le si alzò per il movimento, aveva una piccola cicatrice sul
polso, quasi
invisibile, ma cosa… cosa aveva intorno al polso.
Il ricordo sbiadì
lasciandomi dell’amaro in
bocca. Quella donna aveva lo stesso orologio del ragazzo che mi ha
portato la
lettera anonima e che l’altra sera mi teneva immobile al
cospetto di quel
mostro. I ricordi della sera precedente mi sommersero, finalmente avevo
capito
che qualcosa in quel ragazzo risvegliava una parte di me ancora
sconosciuta, ma
quest’ultima mi creava iperattività, maggiori
pulsazioni del cuore e respiro
affannoso, subito dopo seguiva la stanchezza e lo svenimento. Tutto
questo in
pochi secondi.
Notai qualcosa che si
muoveva con la coda
dell’occhio. Mamma.
Era
seduta su una sedia, stava dormendo. Non era sveglia e attenta per il
mio
risveglio, pronta ad abbracciarmi. No, era stanca, aveva le occhiaie
nere sotto
gli occhi e le guance scavate. Piano cercai di svegliarla, lei
aprì lentamente
gli occhi e mi sorrise.
I suoi occhi erano
arrossati, aveva pianto. Mi
abbracciò.
–
Mirko,
mi hai fatto preoccupare, così tanto… –
scossi la testa e gli sorrisi anch’io
per fargli capire che andava tutto bene.
–
Cosa
è successo? Perché sono svenuto…?
– stavo per dirle che ero già svenuto, meno
male che mi ero fermato in tempo.
La vidi andare nel panico, capivo che non si era preparata una risposta. Ricordavo bene quello che era successo ma decisi di non renderle le cose difficili. Odiavo vederla in quello stato.
–
Non mi ricordo molto, ricordo la festa, ricordo che
ballavo e poi il nero – cercai di essere il più
credibile possibile.
–
Davide ci ha detto che avevi bevuto tanto e un ragazzo, ancora
più ubriaco di
te, per sbaglio ti ha rotto un bicchiere sulla testa, lui ti ha portato
all’ospedale sulle spalle – al nome di Davide mi
irrigidii.
ANGOLO AUTORE
Buon salve a tutti lettori,vi prego di commentare e di essere oggettivi, questa storia può funzionare? Ho ancora qualche capitolo da pubblicare BUT non so se ne vale la pena. Se la storia vi interessa e volete sapere come vada a finire vi prego di aiutarmi, per capire sopratutto come favorire la lettura. Grazie a tutti quelli che la stanno leggendo. Notte notte! :3