Wenn die Sterne leuchten.
Capitolo Sesto.
Not ready to let go
Cause then I'd never know
What I could be missing
But I'm missing way to much
so when do I give up
what I've been wishing for
https://www.youtube.com/watch?v=VvGYYg40Ijw
Anno 844
Prima Università degli Studi Umani di Heinrich, Capitale.
“Largo! Fate strada!”
La bici sfrecciava lungo i
viali alberati, incurante dei signorotti ben vestiti che li percorrevano a
braccetto con eleganti dame in abiti di pregiata fattura e colori vivi. Fritz
non pareva preoccuparsi particolarmente delle occhiatacce e delle imprecazioni
a lui dirette, mentre divertito spiava la strada oltre la spalla di Nina,
seduta sul manubrio, intenta a tenere il capello con una mano e la presa al
braccio dell’amico con l’altra.
“Ci farai ammazzare!” gli
disse, ridendo di cuore, mentre imboccavano una stradina più stretta, fra gli
alti edifici che rilucevano sotto le prime luci della Capitale, innalzandosi
verso l’alto.
Lui, per risposta, pedalò più
in fretta, andando ad infilarsi fra due palazzi e facendo cadere a una povera
donna una cesta contenenti quelle che sembravano lenzuola fresche di bucato “Mi
scusi!” urlò, facendo ridere ancor di più la giovane che stava portando, “Manchi
di fede, Nina!”
“Non la chiamerei mancanza di
fede, quanto più spirito di autoconservazione!”
“Detto da una legionaria
suona ironico!”
Il viale si aprì nuovamente
su una delle strade principali, contornata di alti alberi dalla corolla piena,
mentre tutto attorno a loro la città ancora faticava a svegliarsi. Quelle vie, solitamente
caotiche e piene di persone, sembravano quasi piacevoli nel letargico abbraccio
della mattinata. Nina non sapeva come Fritz facesse a vivere nella Capitale, ma
forse la risposta risiedeva nel fatto che, fra quelle strade curate e quelle
vite piene di apparenze e fronzoli, lui c’era nato. Al contrario di lei che
veniva da un Distretto, sapeva molto bene come rapportarsi alla magnificenza
che con tanta brutalità gli veniva schiaffata in viso. Anzi, non lo sapeva
affatto ed era quello il suo biglietto vincente.
La totale non curanza nei
costumi. L’aveva preso in simpatia da subito perché era pazzo quanto lei.
Arrivati a destinazione, Nina
scese con un saltello, sistemandosi la gonna del vestito e andando anche a
stringere un laccio del bustino che s’era allentato durante la corsa matta e
disperata “Anche oggi sono arrivata viva. Inizio a credere che quelli del Culto
delle Mura ci abbiamo mancati, mentre ci tiravano le loro maledizioni, l’altro
giorno.”
Fritz sbuffò, mentre le
passava la tracolla di cuoio chiara. Si appoggiò poi con le braccia al
manubrio, sorridendole sornione “Tanto rumore per nulla.”
“Sei passato in mezzo a una
processione!”
“Avevamo fretta, ho rischiato
di arrivare in ritardo all’esercitazione di chirurgia! Prendere un’altra strada
era assolutamente fuori discussione, mi pareva ne avessimo già parlato!”
sebbene la difesa fosse un po’ debole, la ragazza parve desistere. Si sfilò il
cappello dalla visiera larga, premendolo sul capo dell’amico, prima di
prendergli il viso fra le mani “Sei sicura che non vuoi che ti porti di fronte
all’ingresso? È un bel pezzo di strada da qui.”
Lei scosse la testa, facendo
salire una delle mani per spostargli i riccioli castani dalla fronte e poterlo
guardare attentamente “Mi piace camminare per il parco, soprattutto se la prima
lezione ce l’ho fra un’ora e mezzo. Sei tu quello che ha premura di arrivare
alle esercitazioni e la sede delle Opere Pie è parecchio distante ancora.” Si chinò
piano su di lui, spiando qualcosa all’attaccatura dei capelli “Sta cicatrizzando
bene…” soppesò infine fra sé e sé.
Fritz arrossì, andando ad
appoggiare una mano su quella di Nina, ancora ferma sulla sua guancia “Ho solo
preso una piccola botta, non è niente.”
“Hai tirato una testata così
forte da alzare il tavolo di una spanna. Pensavo ti fosse venuta una
commozione.” Nina scosse il capo intenerita, prima di baciargli la fronte,
facendo infine due passi indietro “Avanti, vai! Farai tardi!”
Lui si riscosse, annuendo
vago “Sì, giusto. L’intervento. Giusto.” Schiarita la voce e ripresa coscienza di
sé, il giovane alzò un dito, puntualizzando, mentre Nina iniziava già a
imboccare il viale “Ci vediamo a cena! Ricorda che stasera cucina Jara, quindi non far tardi.”
“Ci sarò! Corri!”
La guardò allontanarsi,
osservandole i capelli riflettere la luce del sole e la gonna che lasciava
scoperte le caviglie chiare ondeggiare ad ogni passo, prima di trovare la forza
necessaria per riprendere in mano il manubrio. Lei si voltò un’ultima volta per
salutarlo con un sorriso e Fritz si convinse che quella poteva essere la volta
buona per chiedere la sua mano. Non s’erano visti per niente durante l’anno
precedente e non poteva rischiare di far passare ancora così tanto tempo prima
di prendere una decisione definitiva e buttarsi. Se ne avesse avuto l’occasione,
si sarebbe proposto il giorno successivo, non un giorno casuale. Il giorno del
compleanno della ragazza.
Nina, dal canto suo, vedeva
in modo molto diverso la loro situazione. Aveva solo dieci anni quando, per la
prima volta, era stata portata in Capitale da Erwin per diventare un’apprendista
medico ed era stata presentata alla famiglia Meier. Il figlio minore, Friederich, era diventato fin da subito il suo confidente e
compagno di studi. Il ragazzo, al tempo dodicenne, era praticamente nato con i
ferri in mano e si era rivelato un amico fedele. Lei era stata la prima a
rivolgersi a lui a chiamarlo Fritz, era stato il primo supporto che aveva avuto
dentro e fuori le mura domestiche, che non fosse un libro o un saggio. Per ben
tre anni aveva vissuto con loro, tornando raramente a Stohess,
fino al momento in cui si era arruolata. Colpito dalle belle parole e da un’eredità
personale, anche Fritz aveva deciso di iniziare l’addestramento con l’obiettivo
di entrare nella Legione Ricognitiva, ma solo al termine dei suoi studi, un
anno dopo Nina, poco prima del suo sedicesimo compleanno. Non era però un
ragazzo fortunato, non lo era mai stato, infatti lo avevano spedito a nord,
presso la sede di Renin della ricognitiva, non a sud
con l’amica.
Il motivo era uno solo: la
penuria di dottori nell’armata. In quanto medico, aveva avuto un tipo di
addestramento totalmente diverso, da ufficiale. Nonostante ciò, avevano
condiviso non poche punizioni a causa del temperamento ben poco rispettoso
delle regole sia suo che di Nina, oltre che del gruppo di amici che gli si era
creato attorno.
Erano sempre stati molto
uniti, sotto alcuni aspetti come fratello e sorella, sotto molti altri in modo
totalmente diverso. Per Nina, Fritz era stato il primo bacio, la prima volta
che si era ubriacata così tanto da dimenticare il suo nome e dove si trovasse,
la prima notte passata a fare l’amore fino al mattino, tra risatine imbarazzate
e sospiri lascivi. Per Fritz, Nina era stata l’unica.
Per lei, lui era stato
importante, ma non fondamentale. Per lui, lei rimaneva tutto ciò che voleva
davvero.
Sarebbe stata una moglie perfetta,
brillante, bella e terribile come un’alba ammirata oltre le Mura, dolce e con
un futuro spianato di fronte ai piedi, oltre che con un nome non da poco, nell’ambiente
militare. Suo padre Franza
l’adorava, sua sorella non aveva occhi che per lei quando dimorava da loro a
causa degli studi universitari, persino il gatto riottoso e grasso che Jara si era portata a casa qualche anno prima e che credeva
che il volto di Fritz fosse perfetto per affilare le unghie, appena vedeva la
giovane dottoressa di Stohess faceva le fusa.
Sarebbe stata la donna
perfetta, se solo lei l’avesse amato.
L’edificio era stranamente
vuoto quando Nina vi entrò. Andò diretta al bancone, sorridendo gentile a un
uomo sulla quarantina, calvo e dall’aria già annoiata, nonostante il turno
fosse appena iniziato.
“Come posso aiutarla,
signorina?”
“Dovrei far recapitare una
lettera al Capitano Erwin Smith della Legione Ricognitiva” snocciolò Nina,
avendo una certa famigliarità col sistema postale dopo tanti anni lontani da
casa. Metà della sua vita l’aveva vissuta altrove, era diventata insolitamente
brava a racchiudere la sua intera esistenza all’interno di fogli di carta
macchiati di inchiostro nero, “Di istanza al quartier generale di Irsee, distretto di Trost. Una raccomandata,
per favore.”
Nina passò la lettera all’uomo,
che stava compilando la ricevuta. Quando si voltò per domandare se ci fosse un
messo che era diretto per quelle zone, lei strinse fra le mani una seconda
lettera, che però non prese fuori dalla sacca. Passò lo sguardo sul nome di
Levi, impresso con l’inchiostro sulla
carta bianca, ma alla fine desistette e decise che non l’avrebbe spedita
insieme a quella per il fratello.
“Mittente?”
“Sergente Nina Müller” fu la risposta della bionda, mentre preparava le
quattro monete d’argento che la commissione richiedeva. Se non l’avesse fatto,
con un ottima probabilità, la lettera sarebbe arrivata in due settimane o tre, se
non si fosse persa per strada. L’uomo ci stava mettendo un po’ tutta la sua
vita, scrivendo con una calligrafia tremenda la ricevuta di pagamento, così
lento da permettere a Nina di guardarsi un po’ attorno per ammazzare l’attesa. La
stanza era piccola, claustrofobica per essere un ufficio pubblico e piena di
manifesti dei più svariati temi; qualche locandina del teatro locale, richieste
di prestazioni professionali, qualcosa dell’università. Erano soli, lei e quel
buffo ometto, ad eccezione di un terzo individuo, seduto su una sedia a qualche
metro di distanza. Nina non l’aveva notato all’inizio, ma se ne stava lì, a
leggere un giornale in silenzio. I loro occhi si incontrarono quando si accorse
che la stava guardando, ma non ci fu nessuno scambio verbale. Non ci trovò
niente di strano, in quel posto. Solo, iniziava ad annoiarsi e solo dopo almeno un altro quarto d’ora, finalmente, riuscì ad
andarsene da lì.
Riprese a percorrere il
viale, che andava via via a popolarsi di persone,
lavoratori nelle loro botteghe e studenti diretti verso l’università. Lei aveva
ancora almeno un’ora prima di iniziare le lezioni, così si prese il suo tempo
per godersi un po’ il clima leggero che solo a quell’ora poteva avvertire. Attraversò
la via, prendendo a percorrere il sentiero che si accostava il SiegerPark. Quando di fronte a lei iniziò a stagliarsi alta
e fiera la figura della palazzina principale dell’università di Heinrich, Nina cercò con lo sguardo la prima panchina
libera fra il verde e vi si sedette. La gonna scampanata le permise di
incrociare le gambe, sulle quali andò ad appoggiare il blocco da disegno. Aprì il
libro di anatomia, iniziando a leggere un paio di nozioni sulla fisionomia
della mano, l’argomento della lezione giornaliera, prima di afferrare il
carboncino con la sinistra e portare di fronte al viso la destra. Iniziò a
tratteggiare i contorni, dall’estensore comune delle dita alla base del polso,
fino all’adduttore del pollice. I rintocchi dell’orologio della sede centrale
della Gendarmeria, alle sue spalle, segnalò che erano quasi le nove, ma lei non
alzò gli occhi dal suo lavoro. Non lo fece nemmeno quando avvertì qualcuno
sedersi accanto a lei. Proseguì, tracciando linee sottili e veloci,
ripassandole decisa se soddisfatta, prima di ripassare la muscolatura.
“Chiedo scusa, signorina?”
Una voce leggera,
rassicurante, la costrinse ad abbandonare la concentrazione. Alla sua destra
aveva preso posto un bel ragazzo, con i capelli di un biondo ramato, tenuti in
una coda di cavallo ordinata, e con un paio di singolari occhi scuri. Le stava
sorridendo educato e quando lei ricambiò quello sguardo, lui si grattò
impacciato la nuca “Domando scusa se ho interrotto il suo lavoro, ma ecco…. Volevo congratularmi con lei. È per caso un artista?”
Nina alzò le sopracciglia, un
po’ sorpresa da quell’approccio, prima di replicare con un leggero divertimento
nella voce “Da bambina ero un animo artistico, ora scientifico: studio
medicina.”
Lui abbassò gli occhi sul
libro aperto, frapposto fra loro due, arrossendo vistosamente “Mi scusi, non
sono un grande osservatore, a quanto pare.”
Nina appoggiò il carboncino
nell’astuccio di stoffa verde sbiadito, soffiando sul disegno per far sparire
le tracce in eccesso “Tu invece?” chiese, abbandonando le formalità e indicando
con il mento il libro che il giovane stringeva fra le mani “Sei anche tu uno
studente?”
“Sì, di legge.”
“Ah, un giurista” rispose questa,
mentre lui le mostrava il tomo di diritto penale. “Devo quindi prestare
attenzione a quello che dirò?” rilanciò divertita e civettuola. Non lo faceva
nemmeno a posta, era una nota caratteriale quell’essere sempre un po’ troppo
accattivante nel modo di porsi.
“Direi di no, signorina, se
non avete niente da nascondere” anche lui sembrò rilassarsi un po’ “Una
laureanda in scienze mediche, quindi. Oltre che bella, anche intelligente.”
A Nina sfuggì una mezza risata
“Diretto. Comunque no, sto facendo un corso di formazione per l’abilitazione da
ufficiale medico.”
Lui parve particolarmente
affascinato da quell’affermazione “Gendarmeria?”
“Legione.”
“Quindi oltre che bella e
intelligente, anche coraggiosa?”
Nina ripose il blocco da
disegno, constatando dall’orologio da taschino di suo padre che iniziava a
farsi tardi “Pensavo che avresti detto sprovveduta. C’è chi ci considera dei
pazzi suicidi.”
“L’ignoranza popolare non
conosce limiti. Il vostro è un grande sacrificio.” La guardò alzarsi, prima di
farlo a sua volta, di nuovo imbarazzato “Non volevo infastidirla. Se è a causa
mia che state andando via, vi chiedo di perdonarmi.”
“A dire il vero è a causa dei
corsi” la bionda allungò la mano, “Il sono Nina, comunque. Basta con questo
voi.”
Lui accettò quella stretta “Va
bene, allora, Nina della Legione. Io sono Hans.”
“Il piacere è mio Hans. Se il
destino lo vorrà, ci rincontreremo allora.”
Lui si scostò per farla
passare “Me lo auguro. Buona giornata.”
A tutto ciò, Nina c’era
abituata. Sapeva di essere una ragazza di bell’aspetto, tenuta in costante
allenamento dalle spiegazioni tattiche e dalle spedizioni. Sapeva anche di
essere incredibilmente sfortunata in amore.
Attirava sempre persone a cui
lei non era interessata ed era costretta a stare in contatto con coloro che
bramava senza venire ricambiata.
“Allora, lui com’è?”
Nina smise di passare la
stuoia sul piatto, immergendolo per sciacquarlo, prima di voltarsi di poco
verso Jara per guardarla. Sul viso dell’altra ragazza
c’era un sorriso alquanto inquietante, il sorriso di una persona che sa più di
quanto dovrebbe e che vuole solo confermare una teoria “Non ho idea di cosa a
tu ti stia riferendo.”
“Non prendermi in giro, hai
la stessa espressione che avevi quando volevi avere un appuntamento con Leopoldo
Schitz. La stessa che ha mio fratello tutto il giorno,
tutti i giorni, quando tu sei qui.”
Con le spalle al muro e la
certezza matematica che Jara non le avrebbe permesso
di lasciare la cucina senza prima aver detto tutto ciò che voleva sentirsi
dire, Nina decise di vuotare il sacco. Prese un bel respiro, sentendosi già
giudicata dall’altra, mentre appoggiava il piatto ora pulito sulla rastrelliera
del bancone, prendendone un altro con una certa decisione. Almeno così avrebbe
potuto evitare di guardarla “Lui è-”
“Allora c’è davvero un lui!”
“Si ma non gridare!” Nina si
scostò, sporgendo all’indietro il busto per lanciare uno sguardo al soggiorno
tappezzato di librerie traboccanti di libri. Fritz e il signor Meier non
sembravano essere al corrente del dramma che si stava per consumare in quella
cucina. Meglio così, Nina non voleva che l’amico potesse starci male, se l’avesse
sentita. Non poteva scappare per sempre, certo, prima o poi avrebbero dovuto
parlarne, ma….
Non c’era nulla su cui
rimuginare, perché nulla era ciò che
era successo.
“Allora? Parla.”
“Lui è un uomo.”
Jara sbuffò, muovendo rapida il capo per scostare i
riccioli simili a quelli del fratello, prima di passare lo sguardo sul volto
dell’altra, per setacciarlo a dovere e cogliere ogni emozione “Grazie alle
Sante Mura non è un cavallo.”
“Nel senso che è adulto,
cretina.”
“Parli come se tu fossi un’infante.
Guarda che lo so cosa avete fatto tu e mio fratello nella mansarda.” Fece una
pausa, la figlia maggior del dottor Meier, prima di passare una mano sulla
fronte leggermente sudata a causa della calura estiva. Nina non sembrava
toccata o imbarazzata da quello scambio di parole, aveva la massima fiducia in Jara e non c’erano segreti fra loro. Guardò l’amica appoggiarsi
al bancone, mentre lei era intenta ad asciugarsi le mani nel grembiule color
sabbia. Quando Jara ripartì all’attacco, Nina era
pronta a rispondere a qualsiasi domanda “Da dove esce questo? Quanti anni ha di
preciso?”
“Sono entrambi due quesiti
molto interessanti.” La bionda si sfilò il grembiule, appoggiandolo ordinatamente
sulla sedia, mentre l’altra la imitava
nei movimenti e si faceva più vicina. C’era aria di cospirazione in quella
cucina “Non sono né il cognome, né l’età precisa -anche se suppongo attorno
alla trentina-, né nient’altro, se non che
viene dal ghetto.”
“Un criminale del ghetto? Andiamo
bene. Credevo ti piacessero i soldati, non i rifiuti sotterranei.”
“Il bello è questo: è un
legionario. Adesso.”
Jara appoggiò le mani sui fianchi larghi, “Non sono certa
di aver compreso, allora. Tu sei uno membro del corpo medico e non hai tutti i
suoi dati?”
Per risposta, Nina rise
forzatamente, sottolineando così in modo eloquente quel che pensava. Sembrava una
barzelletta da porto, eppure non lo era “Esattamente. Cogli il mio dramma, ora?”
Sul volto di Jara si dipinse un’espressione consapevole “…Erwin?”
“Erwin.”
Le due si scambiarono un’occhiata
complice, mentre la padrona di casa prendeva da una vetrinetta in vetro del
liquore di more e quattro bicchieri. “Almeno il nome lo sai?”
Nina sorrise, stupendo l’altra
perché per la prima volta da quando la conosceva le parve nascondere un leggero
imbatazzo, rubandole un paio di bicchieri per salvarli
da un equilibrio precario “Levi” fu la sola che pigolò.
“Levi? Che nome altisonante,
per un criminale” un ultimo sguardo segnò la fine del discorso, o la sua
posticipazione al momento in cui si sarebbero ritirate a dormire nella stanza che
dividevano quando Nina rimaneva a dormire lì, in favore di un po’ di compagnia
rispetto alla camera degli ospiti situata, per l’appunto, nella mansarda. Quando
arrivarono in salotto, i due uomini di casa sedevano sulle poltrone di pelle,
entrambi con un libro in mano e l’espressione spensierata che solo la pancia
piena di fa avere “Un digestivo veloce per i lor
signori” li prese in giro Jara, mentre Nina passava
il bicchiere a Fritz e si sedeva sul tappeto di pelliccia, tirando le gambe al
petto. Jara rimboccò i bicchieri prima di sedersi con
lei, guardando poi il fratello “Allora Lotto, quando riprendi servizio?”
Fritz sbuffò, infastidito dal
soprannome. Da bambino era grasso e tutti, in quella casa, lo chiamavano barilotto. Persino suo padre. Ora che
era cresciuto e s’era slanciato,doveva convivere ancora con quello stigma “Ho
un mese intero di licenza per seguire i corsi.”
“Ma pensa che caso; ora che
Nina è qui anche tu chiedi di poter fare gli aggiornamenti.”
Fritz non rispose all’illazione,
mentre sia la bionda che Franz Meier ridacchiavano sotto ai baffi. Fu proprio
quest’ultimo ad alzare il bicchiere, guardandoli tutti e tre “A cento di questi
giorni, insieme, in questa casa.”
“A cento di questi giorni!”
dissero in coro i tre giovani, prima di sorseggiare il liquore, con Fritz
desideroso di iniziare un intricato discorso circa la natura del Morbo degli
Amanti, o Malattia del Bacio, e il modo in cui infettava i tessuti. Carne marcia dopo un pasto, tipico dei tagliaossa, avrebbe detto Ed se fosse stato lì con
loro. Nina però si sentiva bene con loro. A casa. Alle volte, si sentiva quasi
più a casa lì con loro che sotto allo stesso tetto di sua madre. Andava tutto
bene, sarebbe anche potuto migliore se forse avesse spedito quella lettera.
…. Forse no. Si sarebbe
crogiolata nella speranza di una risposta che non le sarebbe mai arrivata.
“Domani è il tuo compleanno”
a riscuoterla dai pensieri fu Fritz, che andò ad appoggiarle una mano sul capo,
iniziando poi a giocherellare con una ciocca ondulata “Hai deciso cosa vuoi che
ti regali?”
“Andiamo già a cena con gli
altri” si lamentò lei, osservandolo mentre arrotolava la ciocca attorno al dito
“Non desidero niente, se non l’avervi con me, davvero.”
Jara sbuffò “Tanto qualcosa lo abbiamo già comprato.”
“Mi ospitate e vi prendete
cura di me per mesi interi! Questo dovrebbe essere il vero regalo!”
“Smettila di lamentarti, quel
che è fatto è fatto.”
Vincere uno scontro verbale
con Jara era impossibile, che fosse esso di natura
accademica o meno. Nina alzò una mano in segno di resa “Un giorno vi ripagherò
delle premure, è una promessa.”
Ci avrebbe quanto meno
provato, ma ripagare quelle persone di tutto ciò che avevano fatto per lei, le
pareva impossibile. Tutto i soldi del mondo non potevano comprare certi
sentimenti e certi ricordi.
“Rielke!”
La voce di Nina era riuscita
a rimbombare per tutta l’osteria, sovrastando il chiacchierio alticcio degli
avventori di quella serata, per lo più gendarmi in libera uscita. Non si
aspettava di vedere suo cugino così presto, né tanto meno di avere la fortuna
di cenare insieme a lui proprio in quell’occasione.
“Buon compleanno Nina!”
trillò questi, sollevandola da terra e girando su se stesso, mentre ricambiava
con egual intensità quell’abbraccio.
Rielke le era mancato ogni singolo giorno. A dividerli erano
giusto una manciata di mesi, per il resto avevano la medesima età ed erano
cresciuti insieme fino al giorno in cui lei era stata costretta a spostarsi per
studiare. A primo acchito, i due si sarebbero potuti dire gemelli: avevano
lineamenti molto simili, le stesse lentiggini e lo stesso colore di capelli. Era
però l’eterocromia dei Müller ad accumunarli per la
maggiore, infatti gli occhi brillavano della stessa curiosa diversità, seppur
quelli di Rielke fossero leggermente più tendenti al
verde. Le similitudini non si fermavano però all’aspetto fisico. Avevano anche
lo stesso energico temperamento e l’atteggiamento affabile.
Nina lo adorava e lui adorava
lei. Era forse il membro della sua famiglia di cui sentiva di più la mancanza,
oltre che suo padre e sua sorella Mielke.
“Ho chiesto una licenza per
poter essere qui a tirarti le orecchie!” le disse il giovane ragazzo, portando
la mano sul lobo dell’orecchio di Nina e iniziando a tirare piano “Diciotto
volte! Qualcuno qui sta diventando grande!”
“Prima o poi ci arriverai
anche tu, scemo!” Nina gli abbraccio i fianchi, appoggiando poi il capo alla
sua spalla, visto che il cugino la sovrastava di almeno quindici centimetri,
seppur la sua magrezza lo facesse sembrare allampanato.
“Ci sarei anche io, se per
caso la festeggiata si decidesse a salutarmi.”
Nina l’aveva notato, ma
dopotutto era quasi impossibile non far caso a Leopold Schitz.
Il pel di carota aveva un qualcosa di particolare che lo rendeva appariscente,
e non erano solo i capelli di un insolito rosso acceso o gli occhi di un verde
così particolare da sembrare gialli come quelli di un felino; era il suo carisma.
Il suo ego riempiva tranquillamente tutta l’osteria. Non era però di sgradevole
compagnia, anzi, sapeva farsi voler bene; non era solo bello e dotato di un
fascino tale da oscurare qualsiasi altro essere di genere maschile con la sua
sola influenza, era anche abbastanza intelligente da schivarsi la Legione.
“Stasera paghi tu, vero? Guadagni
il doppio di quanto guadagniamo noi, dopotutto.” Lo prese in giro Nina, mentre
lo abbracciava e costatava che non il suo profumo non era più così buono e che
gli occhi non erano poi così straordinari. Per la prima volta in quasi sei
anni, non si senti attratta da lui. Il che le sembrò strano, dopo tanto tempo a
guardarlo di sottecchi insieme a Kayla per non farsi
notare e non rovinare quindi quell’equilibrio che s’era formato fra loro.
“Per te posso anche pagare,
ma a questi mentecatti non offrirò niente” rilanciò Leo, portando un braccio
attorno alle sue spalle e guardando falsamente pensieroso sia Rielke che Fritz “Si son fatti addirittura più brutti, non
lo credevo possibile.”
“Io invece non credevo che tu
saresti riuscito a diventare ancora più stronzo, bada bene” rilanciò divertito Rielke, battendogli la mano sul petto, prima di fingere di
sistemargli il colletto della camicia nera “Allora, vediamo di cenare, che a
pranzo ho dovuto sorbirmi la frittata di tua madre e ancora devo digerirla!”
“La cucina della signora Schitz riesce addirittura peggiorare?” si informò all’improvviso
Fritz, fingendosi allibito. Il diretto interessato non aveva la forza di
ribattere, la cucina di sua madre era leggenda e non in positivo. Si sedettero tutti assieme ad un tavolo e
subito Leo ordinò un giro di birre e della carne. Si sarebbero trattati bene,
dopotutto valeva la pena di festeggiare. “Allora, come stanno i giganti?” si
informò proprio questi, appoggiando un braccio sullo schienale della sedia per
poter guardare Nina in viso.
Lei scosse il capo, divertita
da come l’amico aveva formulato la domanda e dal tono che aveva utilizzato “Purtroppo
stanno meglio di tutti noi messi insieme. Non hanno grandi preoccupazioni, la
fuori.”
“Nella prossima vita rinasco
gigante” rilanciò Rielke con disarmante leggerezza.
“Che cosa orribile da dire”
lo riprese immediatamente Fritz, storcendo il naso con disappunto “Con tutti i
morti che s’accumulano, fa di queste battute? Incivile.”
“Pensaci: non puoi parlare
quindi non dici cazzate, devi solo vagare per l’esterno a grattarti il culo dal
mattino alla sera. Non hai nemmeno il cazzo, così hai una scusa valida e non
patetica per il fatto che non fai sesso dall’ultimo anno di accademia.”
Nina e Leo esplosero a
ridere, mentre Fritz sbuffava, incrociando le braccia sul petto, sulla
difensiva “Tu che ne sai?”
“Sesto senso” rilanciò subito
Rielke, con un sorrisetto smaliziato sulle labbra,
mentre si batteva il dito sul lato nel naso per sottolineare che lui, per
questo tipo di cose, aveva intuito. Si lanciò sulla birra non appena l’oste li
servì, tirando un bel sorso “Che peccato non esser tutti qui, però. Degli altri
si sa qualcosa? Non sono potuti venire?”
“La Legione si prepara a una
missione oltre le mura per la fine del mese” lo mise al corrente la cugina,
mentre a sua volta alzava il boccale e lo accompagnava alle labbra. L’ultima
volta che avevano avuto la fortuna di trovarsi tutti insieme era stato il
giorno in cui avevano scelto la compagnia a cui unirsi, ed era stata una serata
dal sapore dolce amaro dato che, in ultimo, Leo aveva deciso di non entrare
nella Legione con tutti loro, ma di prendere il posto che gli spettava di
diritto nella Gendarmeria, visto che era arrivato primo fra i dieci più
meritevoli. Il discorso di Erwin doveva averlo spiazzato, così come il modo
freddo con cui aveva enumerato le ingenti perdite, quasi matematicamente, come
se quelle vite avessero avuto ben poco spessore. In fin dei conti l’aveva
convinto che quello non era il suo posto. Per questo aveva voltato le spalle al
Capitano Smith e aveva lasciato quel luogo, lasciandosi dietro Nina, Eld, Eddart, Kayla
e Nicholas. L’aveva fatto perché era un codardo, non l’avrebbe forse mai ammesso,
ma non era pronto a morire e diventare solo un ‘venti per cento’ sul un foglio di carta abbandonato in uno
schedario.
“Almeno noi ci proviamo a
fare qualcosa di produttivo.” Fritz riportò l’attenzione su di sé, mentre un
tagliere di profumata carne al sangue veniva appoggiato fra loro. Tutti si
sporsero in avanti per annusarne il prelibato odore, eccetto Leopold, che agli
agi c’era ben abituato. “Non come i
gendarmi e gli stazionari.”
“Ehi!” si difese Rielke mentre andava ad afferrare una forchetta, puntandola
minaccioso coltro al dottore, in un chiaro monito “Io faccio turni di nove ore!”
“A guardare un muro? Sai che
roba” rilanciò Nina, decisa a prenderlo in giro e a dare onore e lustro alla
sua compagnia, “Noi facciamo turni di sei giorni, quando siamo all’esterno. Una
volta siamo rimasti isolati quasi un mese, alla Rocca di Boltz.
Eppure ci senti mai lamentarci?”
“I morti si lamentano ben
poco, cugina.”
“Vogliamo parlare di chi
passa la sua vita a importunare i pedoni” proseguì Meier, dando una leggera
gomitata al migliore amico, che sbuffò “Dimmi Leo, quante carrozze si sono
scontrate questa settimana? Perché è la sola cosa di cui la polizia militare si
occupa, a quanto so.”
“Spero continui così” fu la
candida ammissione del rosso, che però si prese il tempo di masticare per bene
la carne prima di proseguire a parlare “Vogliono mandare sei di noi nel ghetto
sotterraneo, come supporto a coloro che già sono di ronda là sotto” spiegò loro,
attirando su di sé l’attenzione di Nina, che s’era distratta per via a cercare
di difendersi da Rielke che voleva tirarle i capelli “Lì
c’è anche troppo lavoro, spero che ci spediscano un’oca che fa parte del mio
turno di ronda. La odio così tanto..”
“Stai ammettendo quindi che
sei fiero di non fare niente per guadagnarti la paga?” si informò Fritz, mentre
l’altro ridacchiava sottecchi e annuiva convinto “Che pezzente. Io, ora che
sono di istanza a Renin, invece-”
“Sei mai stato nel ghetto
sotterraneo, Leo?”
La domanda di Nina arrivò
come una fucilata nella notte. Tutti e tre spostarono lo sguardo un po’ stupito
su di lei.
Il rosso scrollò con non
curanza le spalle “Ovviamente. La gavetta delle reclute inizia con qualche breve
gitarella nel ghetto. Serve a farci fare un po’ le
ossa e a tenerci occupati. Molti entrano nella Gendarmeria per servire il re e
diventare eroi, ma quando riemergono da quella fogna, sono ben felici di
starsene tranquilli al lato di una strada a controllare che, per l’appunto, le
carrozze non si scontrino, né che i signorotti abbiano di che lamentarsi.” Snocciolò
quelle informazioni senza darci troppo peso, preferendo continuare a mangiare,
ma gli occhi della ragazza sembravano particolarmente attenti “Come mai ti
interessa tanto?”
Nina sorrise “Che c’è? Non posso
domandare di qualcosa che non conosco?”
“Assolutamente” rispose
affabile Leo, sporgendosi appena verso di lei “Ma tu non fai mai niente per niente;
hai desiderio di andare nel ghetto?”
“Ma che dici?” lo riprese
Fritz, mentre Rielke preferiva alle chiacchiere il
masticare veloce “Chi mai vorrebbe scendere la sotto? L’aria deve essere
putrida e sono sicuro che molte delle malattie più diffuse, come la Malattia
del Respiro, possa propagarsi più velocemente in un luogo come-”
“Se volessi scendere nel
ghetto, come dovrei fare?” di nuovo, Nina lo interruppe, rivolgendosi
prettamente al rosso. Fritz iniziò ad agitarsi sulla sedia, ma capitava sovente
che non approvasse le sue idee, quindi Nina non ci diede molto peso, assetata
come era di informazioni.
Schitz incollò gli occhi ai suoi, prima di schioccare la
lingua contro al palato “Niente. Devi andare a una delle scale e scendere. Il pedaggio
funziona solo per coloro che vogliono salire. Non per chi scende. Se hai un
permesso di soggiorno per la superficie o la cittadinanza quassù non hai
vincoli. Dopotutto, sono rare le persone che scelgono di loro iniziativa di
andare nel ghetto. È un luogo pieno di pericoli, ci vengono mandati tutti i
criminali o i relitti sociali. Chi sceglie l’esilio lì è solo perché qui
verrebbe giustiziato. Come mai vuoi scendere?”
La bionda fece orecchie da
mercante, infilzando un pezzo di carne “Sono un medico, potrebbe essere
interessante andare la sotto. Studiare da vicino la Malattia del Bacio, la
Malattia del Respiro…. Scommetto che il Morbo degli
Indigenti la sotto prolifera.”
“Questo cos’è?” chiese Rielke.
Leo mugolò rumoroso “Stiamo mangiando,
per la Sacre Mura!”
Troppo tardi, Fritz e Nina
erano già partiti in quarta “Un male molto sviluppato fra i poveri” aveva di
fatto iniziato a spiegare la ragazza, gesticolando sotto al suo naso con la
mano libera “Si diffonde velocemente, la carne marcisce e si inizia col perdere
le estremità come naso e orecchie, proseguendo poi agli arti.”
“Peggio della Malattia della
Sete” proseguì per lei Fritz, annuendo velocemente.
“Ora m’è tornato alla mente
quando hai bevuto il piscio” sbottò disgustato il gendarme, allontanando da sé il
boccale.
Rielke strabuzzò gli occhi “Che strani gusti sessuali hai,
Fritz?”
“Non per quello, coglione te
e idiota quell’altro qua!” si difese strenuamente il medico, scoraggiato dal
fatto che Nina preferiva ridersela piuttosto che soccorrerlo “l’urina diventa
dolce e quindi è facile diagnosticarla. Siete ignoranti.”
“Legionari e pure medici, il
peggio del peggio” trovato il coraggio di prendere un nuovo sorso di birra, Leo
lasciò cadere così il discorso, sperando di concentrarsi su altro. Prima, però,
aveva qualcosa da aggiungere “Non andare là sotto da sola, Nina. Se vuoi fare
la brava dottoressa dei poveri, verrò con te. Magari con un paio di amici belli
grossi.”
“Credo di conoscere già la
persona che potrebbe accompagnarmi” fece presente lei, attirando su di se tre
paia di occhi curiosi. Fritz stava giusto per domandare, ma lo scatto che Leo
fece lo spaventò.
“Comandante, buonasera!”
aveva di fatto detto il rosso, scattando in piedi e facendo il saluto militare,
seguito pochi istanti dopo dai tre compagni di bevuta.
Nina si era alza rapidamente,
appoggiando la mano destra sul cuore, mentre la sinistra andava dietro alla schiena,
non appena riconosciuta la figura che avanzava verso il loro tavolo. Una donna, che pareva perfettamente a suo agio avvolta
in un bel abito di pregiata fattura e una mantella, scura come la notte senza
stelle. Gli occhi, di un taglio prezioso, affilato e obbliquo,
ma grandi ed espressivi, rilucevano dello stesso colore degli zaffiri, in netto
contrasto con i capelli neri come il carbone, tenuti legati in una crocchia
elegante, da cui scappava un singolo ciuffo che cadeva elegante a contornarle volto.
Sebbene avesse ormai
raggiunto i cinquant’anni, Nora Kessler rimaneva la donna più bella che Nina
avesse mai visto in tutta la sua vita. Era bella, delicata nei gesti e nel
parlare, sebbene fosse uno dei migliori soldati sulla piazza. Comandante della
corpo di Gendarmeria ormai da quasi vent’anni, sapeva farsi amare dei suoi
uomini, quanto rispettare. Il fatto che si fosse accostata al loro tavolo, con
quel sorriso leggero e bonario ben impresso sulle labbra piene, fece sorridere
anche Nina.
“Signora, buonasera.”
“Müller,
complimenti per la promozione” disse questa, stupendola. Come poteva già
saperlo? “Riposo, signori, riposo.” Fece segno ai giovanotti di sedersi e
quando tutti ebbero preso posto, lei fece segno ai due ufficiali con cui era
entrata di andare a prendere posto. Lei si accomodò di fronte a Nina.
“Quale onore, averla al
nostro tavolo, Comandante” Leopold fece segno all’oste, che afferrò una bottiglia
di bourbon invecchiato, quello che la donna soleva bere e versandone un
bicchiere, lo allungò al rosso. Questi lo porse a Nora, che inclinò il capo in
segno di ringraziamento.
“Cerca di tenerti in piedi, Schitz. Domani mattina sei di turno, no?” Uno dei molti
motivi per cui era così tanto brava a farsi voler bene, era la sua
straordinaria memoria. Raramente dimenticava un volto e le piaceva conoscere
personalmente i suoi uomini, per quanto ne avesse la possibilità. Leopold faceva
parte del terzo reggimento della polizia militare, quindi avevano spesso l’occasione
di incontrarsi. “Vediamo chi abbiamo qui invece.” Gli occhi zaffirini
saettarono su Rielke, che si mise istintivamente
diritto con la schiena “Tu sei sicuramente un altro Müller.
Riconoscerei i vostri occhi ovunque.”
“Rielke
Müller della Guarnigione di Stohess,
Signora. Per servirla.”
“E tu sei il figlio del
dottor Meier. Friederich, giusto?”
Fritz avvampò, rosso in viso “Sì,
sono io, Comandante.”
“Come mai questo ritrovo?” si
informò quindi curiosa, posando di nuovo gli occhi su Nina “Tutti in licenza
nella Capitale? Immagino tu debba ottenere le abilitazioni.”
“Esatto, Comandante Kessler.”
“Stiamo festeggiando il
compleanno del neo Sergente” confidò Leopold, come se potesse prendersi un po’
più confidenza degli altri, seppur tenendo le dovute distanze che il grado gli
imponeva.
La donna guardò di nuovo
verso Nina “Che tu possa passare altri cento di questi giorni” fu il commento
sincero, mentre alzava il bicchiere alla sua salute “Tuo fratello maggiore? Come
sta?”
Nina se lo aspettava, stava
contando i minuti. Quella era la domanda che Nora avrebbe voluto porle dal
primo istante, Nina poteva leggerglielo in viso. S’erano incontrate in un
totale di dieci volte nel corso della vita della giovane ragazza e ogni singola
volta, lei era venuta per vedere Erwin o, viceversa, era stato lui a recarsi da
lei.
“Ho due fratelli maggiori,
Signora” disse Nina, tirando leggermente la corda più per conferma che per
provocazione, mentre continuava a rivolgersi a lei rispettosa “Il gendarme o il
legionario?”
Nora sbuffò divertita,
muovendo una mano davanti a sé come per scacciare una mosca, mentre con un
sorso deciso svuotava il bicchiere. Come poteva una donna bere così tanto, ma
con cotanta grazia, lo sapeva solo lei “Il gendarme è uno dei miei capitani. Friedelhm lo vedo ogni due settimane quando da Stohess viene a portarmi i rapporti su quello che succede. E
non succede mai nulla” fece una pausa, facendo ridacchiare piano l’intero
tavolo, girando il poco rimasto dentro al bicchiere sul fondo con dei movimenti
lenti del polso “Parlo del leggendario legionario, ovviamente.”
“Erwin sta bene, Comandante. Sta
addestrando una nuova squadra.”
Nora fece un piccolo sorriso,
guardando la superficie del tavolo, prima di alzarsi in piedi “Portagli i miei
saluti e digli di farsi vivo da questa parti, ogni tanto. Shadis
anche potrebbe venire in Capitale, ma so che è impegnato a studiare strategie. Dovrei
invitarli entrambi a cena.” Quando si
alzò dalla sedia, anche gli altri quattro giovani fecero lo stesso, mettendosi
sull’attenti “Tutta questa formalità” commentò divertita, scuotendo piano il
capo “Sedete e divertitevi, che non si sa cosa porterà la prossima alba. Oscar!”
chiamò l’oste, che subito si voltò a guardarla “Qualsiasi cosa questo tavolo
consumi, sarò io a pagare. Inizia col portare una bottiglia di quel vecchio
vino invecchiato che tanto piace al Comandante Pixis.”
“Comandante, non dovete” Nina
non poteva accettarlo. Nonostante l’occhiataccia lanciatole da Rielke, provò a declinare “Non è necessario, davvero. Siete troppo generosa.”
“Un personale regalo di
compleanno e promozione” le passò accanto, appoggiandole una mano sulla spalla
dopo averle spostato i capelli dietro alla schiena “Diventi sempre più bella,
Nina. Ricordo ancora la prima volta che t’ho vista, avrai avuto al massimo
dieci anni.” Prese nuovamente le distanze, inclinando il capo in un cenno di
saluto, prima di ricordarle “Mi raccomando, salutami Erwin.”
Un ultimo sorriso e poi andò
via, sparendo fra i clienti. Nina rimase in piedi a guardarla per qualche
istante, sino a che non fu del tutto fuori dal suo sguardo. Quando ritornò a
sedersi, sul loro tavolo c’erano quattro calici di cristallo dall’aspetto
costoso e una bottiglia di vino che nemmeno nei loro sogni si sarebbero mai
potuti permettere.
“Un brindisi alla salute del
Comandante è d’obbligo” decretò, mentre Rielke
versava, non sentendosi per niente in colpa.
“Secondo te ancora scopano,
quei due?” domandò con tono basso Leopold, avvicinando il capo a quello dell’amica.
Non c’era nemmeno bisogno di
chiedere di chi stesse parlando.
Nina lo guardò allusiva “Se
no perché lo avrebbe nominato per almeno tre volte?” domandò quindi retorica,
prendendo il suo bicchiere e odorando piano il vino. Sembrava assolutamente
delizioso “Erwin però sa tenere i suoi segreti e il Comandante Kessler ancora
meglio.”
Era infondo anche il motivo
per cui la donna s’era presa così tanta confidenza con lei. L’aveva letteralmente
vista crescere fra le strade della Capitale, ogni qualvolta Erwin andava a
trovarla.
“Che invidia” fu il solo
commento di Rielke, mentre lanciava un rapido sguardo
dietro alle sue spalle, come se temesse di venir origliato. “Una donna così
bella a quell’età…. Che bastardo fortunato, Erwin.” Il
volto degli altri due ragazzi si illuminò, come se per loro fosse impossibile
dar torto dall’amico.
Nina scosse il capo,
rassegnata, ma allo stesso tempo divertita “Uomini.”
Il vino era finito in fretta,
così come la seconda bottiglia, molto più economica, ordinata.
Nina sopportava in modo
dignitoso l’alcool, ma al quarto bicchiere, contata anche la prima birra, aveva
iniziato a vacillare. Nell’inferno di uva e luppolo, aveva trovato comunque la
forza di tenersi su, continuando a ridacchiare ai discorsi sempre più senza
senso degli amici, prima di passare ai ricordi dell’accademia, agli scherzi tra
le camerate e a ogni risata o lacrima che avevano condiviso.
“Basta, non posso farcela”
asciugandosi il lato dell’occhio, Nina s’era alzata in piedi “Mi duole il
fianco tanto sto ridendo e il vino non mi aiuta. Ho bisogno di una boccata d’aria
per riprendermi. Leo, hai una sigaretta?”
Fritz, che non pareva
aspettare altro, scattò in piedi come una molla, mentre ancora il rosso cercava
il pacchetto nella tasca del cappotto estivo “Ti accompagno” si propose,
guardandola con aspettativa.
Lei annuì, grata “Meglio, ci
sorreggeremo a vicenda.”
“Non fate bambini per strada o dovrò arrestarvi” li prese in giro
Leopold, mentre allungava una sigaretta e il pacchetto di fiammiferi alla
ragazza, facendo ridere Rielke “Noi vi aspettiamo qui
e quasi quasi ordiniamo un'altra birra. Che dici, stazionario?”
“Perché no? Voi ragazzi?”
“Io passo, non voglio
vomitare come ha fatto Nick quella volta a Rüttherberg”
disse Fritz, facendo ridere gli amici.
“Come lui, non voglio
diventare io la nuova barzelletta del gruppo!”
Nina fece strada, prendendo
Fritz per il polso e sfilando in mezzo a tutte quelle persone. Nonostante fosse
estate, l’aria fresca della sera la risanò, facendola già sentire meglio. Si aggrappò
al braccio dell’amico, mentre attraversavano la strada, andando a sedersi su
una panchina, all’ombra di un cipresso. Alle loro spalle, il lato nord del Siegerpark si
innalzava inquietante “Non ci sono stelle, questa notte” realizzò la bionda
alzando il naso verso l’alto, mentre Fritz accendeva la sigaretta, sprecando un
paio di fiammiferi
“Non vedevo un cielo così
buio dall’ultima uscita” confermò lui, appoggiandosi con la schiena contro al
legno della panchina, mentre buttava fuori il fumo dalle narici “Peccato che mi
abbiano mandato di istanza nel settentrione. Se ci fossi stata tu, avresti
illuminato la mia veglia.”
“Che adulatore” fu la
risposta di Nina, che non tardò di un secondo ad arrivare. Gli sfilò la
sigaretta dalle dita, portandola alle labbra “Secondo te un giorno scopriremo
che queste cose sono nocive?”
“Butti del miasma nei
polmoni, non credo servano degli esperimenti empirici per capire che bene non
può fare.” Per risposta, la ragazza gli soffiò il fumo in viso “Sei dispettosa!”
Fritz portò le braccia
attorno a lei, facendola ridere “Aggressione, aiuto!” cercò di difendersi lei,
mentre la sigaretta le sfuggiva dalle dita in un tentativo di difendersi “Fritz,
dai!”
I loro sguardi si
incontrarono a metà strada, mentre i loro respiri si fondevano e il giovane
medico non attendeva un istante di più per far collidere le loro labbra in un
bacio, che Nina ricambiò con la stessa dolcezza che l’altro ci mise.
C’era qualcosa di sbagliato in
quel momento, e lei lo colse da subito.
Concesse però alla sua
coscienza di goderne per un poco, mentre con la mano scostava i capelli di
Fritz, scivolando fra le ciocche ricce fino alla nuca. La mano dell’altro, invece, andò a posizionarsi sul
suo fianco, mentre il bacio si intensificava.
Fu proprio nel momento in cui
lui le chiese di approfondire il contatto, che lei abbassò fin troppo brusca il
viso, mordendosi il labbro inferiore.
C’era qualcosa di sbagliato, perché
lei stava pensando ad un altro.
Era ora di mettere le carte
in tavola, perché Fritz valeva troppo perché lei potesse immaginare labbra
sottili e occhi di ghiaccio mentre lui la baciava.
“C’è una cosa che devo dirti.”
Non era stata lei a parlare. Stupita,
alzò il viso di nuovo, specchiandosi in quegli occhi nocciola, caldi e
famigliari. “Anche io, Fritz. Inizia tu.”
Lui si scostò, abbassando una
delle due braccia per prenderle la mano. “Nina, ci ho pensato tanto e non posso
più continuare così. Vederci così poco è una tortura, per me.” iniziò,
cautamente “Per questo io-”
La bionda, che già stava
pensando a come poter contrattaccare a quella confessione che avevano rimandato
per anni nel modo più dolce possibile, si ritrovò a chiedersi perché l’altro si
fosse fermato. E perché aveva preso a palparsi il petto in un paio di punti.
“Che succede?”
“Ho lasciato dentro la giacca”
Nemmeno il tempo di poter
dire qualcosa, che era schizzato in piedi, barcollando e inciampando nei suoi
stessi passi, mantenendo però un equilibrio precario. Lei si sentì sempre più
confusa e fece per alzarsi a sua volta.
“Torno subito!” la fermò però
lui, appoggiandole la mano sulla spalla e iniziando a camminare verso l’osteria
“Aspettami qui, ok? Ci metterò un attimo.”
Nina lo guardò allontanarsi,
sperando che arrivasse vivo alla porta. Una volta sparito nell’osteria, lei
affondò il viso nelle mani, lasciando che i capelli lunghi scivolassero in
avanti a coprirla.
Era tropo su di giri a causa
del vino per articolare un discorso coerente, ma temeva quello che Fritz
avrebbe potuto aggiungere. Jara glielo aveva detto
tante volte, che avrebbe dovuto essere spietata dall’inizio. Che avrebbe dovuto
dirgli che anche se s’erano baciati tante volte e avevano fatto l’amore, quell’attrazione
non era abbastanza.
Che lei non lo amava.
La paura di ferirlo era stata
troppa però e lei non se l’era sentita di spezzargli il cuore. Aveva sperato
che gli sarebbe passata, ma evidentemente non ciò era ancora avvenuto.
“Che faccio, ora?” sussurrò a
se stessa, grattandosi gli occhi mentre ricercava inutilmente di riprendere
lucidità.
Dei passi alle sue spalle la
fecero sussultare e immediatamente scattò in piedi, rischiando di perdere l’equilibrio.
“Nina?” Una voce calma e
conosciuta, un volto che sapeva di aver già visto. Nina lo osservò per qualche
istante, poco lucida, prima di capire chi fosse quel giovane.
“Hans?”
“Non posso crederci, stai per
chiederle la mano.”
Rielke teneva entrambe le mani sul volto, con le dita aperte
per permettere ad un solo occhio di spiare Fritz, che stava aspettando che Leo
gli rendesse l’anello che aveva estratto dalla tasca della giacca con un certo
orgoglio.
“Era l’anello di fidanzamento
di tua madre?” domandò infatti il rosso, mentre l’altro annuiva “Spero per te
che non ti dica di no, oppure probabilmente dovremo riportarti a casa in
lacrime come una ragazzina.”
Fritz, a quelle parole,
sbiancò appena “Spero di evitarvi una tale scena” si gonfiò il petto con un
ultimo respiro profondo “Auguratemi buona fortuna.”
“Vai, stallone.”
Rielke alzò un pugno nella sua direzione, per incoraggiarlo
e quando Fritz ripartì deciso, scivolò sulla panca fino ad arrivare vicino a
Leo “Finirà male. Andiamo a spiarli?”
Il rosso lo guardò come se
fosse un autentico idiota “Ovviamente”
Fuori faceva più freddo di
quanto si aspettassero, tanto che lo stazionario si strinse meglio la mantella
nera attorno al collo. Cercarono con gli occhi gli amici, ma trovarono solo
Fritz che se ne stava da solo, fermo dall’altra parte della strada, grattandosi
la nuca.
“Se Nina è scappata, riderò
fino a star male” commentò non senza una piccola dose di cattiveria Leo. Entrambi,
sia lui che il cugino della ragazza, sapevano molto bene che non c’erano
possibilità che quella proposta andasse in porto, ma non se la sentivano di dirlo
a Meier.
Meritava la sua sana dose di
delusione amorosa.
“Cosa fai, scemo?” domandò Rielke al dottore, battendogli la mano sulla schiena,
mentre anche l’altro si affiancava.
“Nina e io eravamo su quella
panchina, ma lei non c’è. Che sia entrata nel parco?” domandò un po’
preoccupato Fritz, guardando verso Rielke, il quale sbuffò
divertito. Leo, invece, lanciò uno sguardo alla panchina, tornando subito però
a fissarla e muovendo qualche passo verso di essa.
“Forse è tornata a casa tua. L’ho
vista bella provata.”
“Può darsi, ma le avevo
domandato di attendermi qui!”
“Ragazzi?” entrambi si
voltarono verso Leopold, che dava loro le spalle. Attesero che dicesse qualcosa
e quando si voltò a guardarli, sembrava bianco in viso. Sembrava pensieroso e
quando velocemente li superò, non diede loro alcuna spiegazione per quel repentino cambiamento di atteggiamento.
“Devi vomitare?” chiese Rielke, prima di notare che teneva qualcosa fra le mani. I due
amici lo seguirono sotto alla grande lanterna ad olio posta sulla via come
lampione, guardandolo mentre leggeva velocemente qualcosa. “Leo?”
La risposta ci mise un po’ ad
arrivare, sembrava che Leopold stesse rileggendo più e più volte. Alla fine si
riscosse nel modo più strano “D-dobbiamo rientrare
subito e andare dal Comandante Kessler” mormorò balbettante, prima di alzare
gli occhi su di loro. Erano spiritati.
“Mi dici cosa è successo?”
chiese Fritz e, per risposta, gli venne piazzata in mano la busta e la lettera
che il rosso aveva trovato sulla panchina. Non aggiunse altro, Schitz, attraversano la strada di corsa e ficcandosi dentro
all’osteria.
“Che diamine sta succedendo?!”
iniziò ad agitarsi anche Rielke, mentre le mani di
Fritz prendevano a tremare, strette attorno alla carta bianca.
“Non può essere…”
sussurrò, prima di passargli i fogli ormai stropicciati, voltandosi verso il
parco “Nina! Nina!”
A quel punto, il biondo aveva
compreso cosa stava succedendo. Non ebbe il coraggio di leggere quel messaggio,
mentre iniziava a crearsi un certo caos di gendarmi attorno a loro.
“Coprite il perimetro esterno
e interno, cercate ovunque” stava impartendo ordini Nora, mentre Leo prendeva
la lettera e gliela passava, parlando concitato per raccontarle cosa era
avvenuto. Fritz urlava alle sue spalle, chiamando Nina sempre più forte e
quello era il solo suono che Rielke sentiva.
Fra le sue mani era rimasta
solo la busta che conteneva la lettera.
Su di essa, una calligrafia
ordinata riportava un solo destinatario.
All’attenzione del Capitano della Legione Esplorativa Erwin
Smith.
Continua…
Nda.
Questo capitolo unicamente
flashback – che posticipa cosa c’è nella maledetta cantina, ma ormai io e Isayama siamo diventati amici in questo – doveva concludersi.
Però non ho proprietà di sintesi e quindi niente, per sapere cosa cavolo sta
succedendo dovrete aspettare il prossimo capitolo. Chiedo scusa in anticipo.
Davvero, la proprietà di
sintesi questa conosciuta.
Questo capitolo è
particolare, perché introduce tutti i personaggi nuovi che andranno a servirmi
più avanti. E a servire a una mia amica che sta a sua volta scrivendo una
storia, visto che Fritz è mio solo in parte.
Per il resto è il suo
protagonista.
E io ho scritto di lui per
prima.
…. Tranquilli, è normale per
noi. Lo facciamo sempre.
A parte il caro dottor Meier abbiamo
la sua famiglia, Rielke che sarà importantissimo, il
carismatico Leo e questo strano Hans.
Nina non ha visto Frozen, evidentemente. Se no non si sarebbe fidata.
Manna che non l’ho chiamata
Anna.
(e fa rima)
Oltre a loro c’è anche il
Comandante Nora Kessler, nella mia ottica il precedente comandante della
Gendarmeria prima di quel poraccio di Nile. Che non
preoccupatevi, arriverà anche lui prima o poi. Non posso mettere un po’ di
scambi su quanto era figa Marie.
Levi solo citato.
Nel prossimo farà la sua
porca figura non temete.
Ho paura di farlo OOC ma
quando non lo metto mi manca.
Passando oltre per non infastidirvi
– evito i comizi medici su tutti i vari morbi, Nina ce ne parlerà andando
avanti - ringrazio le sei anime buone
che hanno inserito questa storia fra le seguite.
Cento volte grazie.
E mille volte per le
meravigliose fanciulle che mi commentano sempre, anche se sono impegnate.
Grazie Auriga, grazie Shinge.
Siete preziose come il foulard
del Capitano Levi.
Ci sentiamo presto con un
capitolo che tornerà ad essere un ordinario presente-passato.
Un bacio a tutti e buona
settimana!
C.L.