Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Chemical Lady    08/08/2016    3 recensioni
"La tradizione vuole che i soldati che muoiono oltre le Mura diventino stelle" aveva iniziato lui con quel suo tono che aveva un che autoritario anche mentre suonava rassicurante, facendole alzare gli occhi sulla volta celeste con un cenno. "Il loro ardore non smetterà mai di risplendere e illuminare il cammino di coloro che verranno dopo. Per ogni vita che si spezza, si accende una luce."
Lei sapeva che quello era un contentino, una storia per bambini, ma per il cielo, la forza che le aveva dato quel discorso l'aveva rinvigorita. Suo fratello sembrava crederci sinceramente. Una tradizione della Legione, della loro gente, di quelle persone che conoscevano il dilaniante dolore della perdita come lo conosceva lei. Nina non aveva mai capito cosa significasse davvero appartenere a qualcosa, prima di tornare dalla sua prima missione e scorgere sul volto dei compagni lo stessa amarezza che provava lei. Ma anche la stessa forte determinazione nel voler davvero credere che, quelle luci, non si sarebbero mai spente o avrebbero smesso di vegliare.
[[ Levi x OC || Un sacco di OC, like un sacco davvero]]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman, Nuovo, personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Wenn die Sterne leuchten.

 

 

 

 

Capitolo Sesto.

 

 

 

Not ready to let go

Cause then I'd never know

What I could be missing

But I'm missing way to much

so when do I give up

what I've been wishing for

https://www.youtube.com/watch?v=VvGYYg40Ijw

 

 

 

 

 

 

Anno 844

Prima Università degli Studi Umani di Heinrich, Capitale.

 

 

 

“Largo! Fate strada!”

La bici sfrecciava lungo i viali alberati, incurante dei signorotti ben vestiti che li percorrevano a braccetto con eleganti dame in abiti di pregiata fattura e colori vivi. Fritz non pareva preoccuparsi particolarmente delle occhiatacce e delle imprecazioni a lui dirette, mentre divertito spiava la strada oltre la spalla di Nina, seduta sul manubrio, intenta a tenere il capello con una mano e la presa al braccio dell’amico con l’altra.

“Ci farai ammazzare!” gli disse, ridendo di cuore, mentre imboccavano una stradina più stretta, fra gli alti edifici che rilucevano sotto le prime luci della Capitale, innalzandosi verso l’alto.

Lui, per risposta, pedalò più in fretta, andando ad infilarsi fra due palazzi e facendo cadere a una povera donna una cesta contenenti quelle che sembravano lenzuola fresche di bucato “Mi scusi!” urlò, facendo ridere ancor di più la giovane che stava portando, “Manchi di fede, Nina!”

“Non la chiamerei mancanza di fede, quanto più spirito di autoconservazione!”

“Detto da una legionaria suona ironico!”

Il viale si aprì nuovamente su una delle strade principali, contornata di alti alberi dalla corolla piena, mentre tutto attorno a loro la città ancora faticava a svegliarsi. Quelle vie, solitamente caotiche e piene di persone, sembravano quasi piacevoli nel letargico abbraccio della mattinata. Nina non sapeva come Fritz facesse a vivere nella Capitale, ma forse la risposta risiedeva nel fatto che, fra quelle strade curate e quelle vite piene di apparenze e fronzoli, lui c’era nato. Al contrario di lei che veniva da un Distretto, sapeva molto bene come rapportarsi alla magnificenza che con tanta brutalità gli veniva schiaffata in viso. Anzi, non lo sapeva affatto ed era quello il suo biglietto vincente.

La totale non curanza nei costumi. L’aveva preso in simpatia da subito perché era pazzo quanto lei.

Arrivati a destinazione, Nina scese con un saltello, sistemandosi la gonna del vestito e andando anche a stringere un laccio del bustino che s’era allentato durante la corsa matta e disperata “Anche oggi sono arrivata viva. Inizio a credere che quelli del Culto delle Mura ci abbiamo mancati, mentre ci tiravano le loro maledizioni, l’altro giorno.”

Fritz sbuffò, mentre le passava la tracolla di cuoio chiara. Si appoggiò poi con le braccia al manubrio, sorridendole sornione “Tanto rumore per nulla.”

“Sei passato in mezzo a una processione!”

“Avevamo fretta, ho rischiato di arrivare in ritardo all’esercitazione di chirurgia! Prendere un’altra strada era assolutamente fuori discussione, mi pareva ne avessimo già parlato!” sebbene la difesa fosse un po’ debole, la ragazza parve desistere. Si sfilò il cappello dalla visiera larga, premendolo sul capo dell’amico, prima di prendergli il viso fra le mani “Sei sicura che non vuoi che ti porti di fronte all’ingresso? È un bel pezzo di strada da qui.”

Lei scosse la testa, facendo salire una delle mani per spostargli i riccioli castani dalla fronte e poterlo guardare attentamente “Mi piace camminare per il parco, soprattutto se la prima lezione ce l’ho fra un’ora e mezzo. Sei tu quello che ha premura di arrivare alle esercitazioni e la sede delle Opere Pie è parecchio distante ancora.” Si chinò piano su di lui, spiando qualcosa all’attaccatura dei capelli “Sta cicatrizzando bene…” soppesò infine fra sé e sé.

Fritz arrossì, andando ad appoggiare una mano su quella di Nina, ancora ferma sulla sua guancia “Ho solo preso una piccola botta, non è niente.”

“Hai tirato una testata così forte da alzare il tavolo di una spanna. Pensavo ti fosse venuta una commozione.” Nina scosse il capo intenerita, prima di baciargli la fronte, facendo infine due passi indietro “Avanti, vai! Farai tardi!”

Lui si riscosse, annuendo vago “Sì, giusto. L’intervento. Giusto.” Schiarita la voce e ripresa coscienza di sé, il giovane alzò un dito, puntualizzando, mentre Nina iniziava già a imboccare il viale “Ci vediamo a cena! Ricorda che stasera cucina Jara, quindi non far tardi.”

“Ci sarò! Corri!”

La guardò allontanarsi, osservandole i capelli riflettere la luce del sole e la gonna che lasciava scoperte le caviglie chiare ondeggiare ad ogni passo, prima di trovare la forza necessaria per riprendere in mano il manubrio. Lei si voltò un’ultima volta per salutarlo con un sorriso e Fritz si convinse che quella poteva essere la volta buona per chiedere la sua mano. Non s’erano visti per niente durante l’anno precedente e non poteva rischiare di far passare ancora così tanto tempo prima di prendere una decisione definitiva e buttarsi. Se ne avesse avuto l’occasione, si sarebbe proposto il giorno successivo, non un giorno casuale. Il giorno del compleanno della ragazza.

Nina, dal canto suo, vedeva in modo molto diverso la loro situazione. Aveva solo dieci anni quando, per la prima volta, era stata portata in Capitale da Erwin per diventare un’apprendista medico ed era stata presentata alla famiglia Meier. Il figlio minore, Friederich, era diventato fin da subito il suo confidente e compagno di studi. Il ragazzo, al tempo dodicenne, era praticamente nato con i ferri in mano e si era rivelato un amico fedele. Lei era stata la prima a rivolgersi a lui a chiamarlo Fritz, era stato il primo supporto che aveva avuto dentro e fuori le mura domestiche, che non fosse un libro o un saggio. Per ben tre anni aveva vissuto con loro, tornando raramente a Stohess, fino al momento in cui si era arruolata. Colpito dalle belle parole e da un’eredità personale, anche Fritz aveva deciso di iniziare l’addestramento con l’obiettivo di entrare nella Legione Ricognitiva, ma solo al termine dei suoi studi, un anno dopo Nina, poco prima del suo sedicesimo compleanno. Non era però un ragazzo fortunato, non lo era mai stato, infatti lo avevano spedito a nord, presso la sede di Renin della ricognitiva, non a sud con l’amica.

Il motivo era uno solo: la penuria di dottori nell’armata. In quanto medico, aveva avuto un tipo di addestramento totalmente diverso, da ufficiale. Nonostante ciò, avevano condiviso non poche punizioni a causa del temperamento ben poco rispettoso delle regole sia suo che di Nina, oltre che del gruppo di amici che gli si era creato attorno.

Erano sempre stati molto uniti, sotto alcuni aspetti come fratello e sorella, sotto molti altri in modo totalmente diverso. Per Nina, Fritz era stato il primo bacio, la prima volta che si era ubriacata così tanto da dimenticare il suo nome e dove si trovasse, la prima notte passata a fare l’amore fino al mattino, tra risatine imbarazzate e sospiri lascivi. Per Fritz, Nina era stata l’unica.

Per lei, lui era stato importante, ma non fondamentale. Per lui, lei rimaneva tutto ciò che voleva davvero.

Sarebbe stata una moglie perfetta, brillante, bella e terribile come un’alba ammirata oltre le Mura, dolce e con un futuro spianato di fronte ai piedi, oltre che con un nome non da poco, nell’ambiente militare. Suo padre  Franza l’adorava, sua sorella non aveva occhi che per lei quando dimorava da loro a causa degli studi universitari, persino il gatto riottoso e grasso che Jara si era portata a casa qualche anno prima e che credeva che il volto di Fritz fosse perfetto per affilare le unghie, appena vedeva la giovane dottoressa di Stohess faceva le fusa.

Sarebbe stata la donna perfetta, se solo lei l’avesse amato.

 

L’edificio era stranamente vuoto quando Nina vi entrò. Andò diretta al bancone, sorridendo gentile a un uomo sulla quarantina, calvo e dall’aria già annoiata, nonostante il turno fosse appena iniziato.

“Come posso aiutarla, signorina?”

“Dovrei far recapitare una lettera al Capitano Erwin Smith della Legione Ricognitiva” snocciolò Nina, avendo una certa famigliarità col sistema postale dopo tanti anni lontani da casa. Metà della sua vita l’aveva vissuta altrove, era diventata insolitamente brava a racchiudere la sua intera esistenza all’interno di fogli di carta macchiati di inchiostro nero, “Di istanza al quartier generale di Irsee, distretto di Trost. Una raccomandata, per favore.”  

Nina passò la lettera all’uomo, che stava compilando la ricevuta. Quando si voltò per domandare se ci fosse un messo che era diretto per quelle zone, lei strinse fra le mani una seconda lettera, che però non prese fuori dalla sacca. Passò lo sguardo sul nome di Levi, impresso con l’inchiostro sulla  carta bianca, ma alla fine desistette e decise che non l’avrebbe spedita insieme a quella per il fratello.

“Mittente?”

“Sergente Nina Müller” fu la risposta della bionda, mentre preparava le quattro monete d’argento che la commissione richiedeva. Se non l’avesse fatto, con un ottima probabilità, la lettera sarebbe arrivata in due settimane o tre, se non si fosse persa per strada. L’uomo ci stava mettendo un po’ tutta la sua vita, scrivendo con una calligrafia tremenda la ricevuta di pagamento, così lento da permettere a Nina di guardarsi un po’ attorno per ammazzare l’attesa. La stanza era piccola, claustrofobica per essere un ufficio pubblico e piena di manifesti dei più svariati temi; qualche locandina del teatro locale, richieste di prestazioni professionali, qualcosa dell’università. Erano soli, lei e quel buffo ometto, ad eccezione di un terzo individuo, seduto su una sedia a qualche metro di distanza. Nina non l’aveva notato all’inizio, ma se ne stava lì, a leggere un giornale in silenzio. I loro occhi si incontrarono quando si accorse che la stava guardando, ma non ci fu nessuno scambio verbale. Non ci trovò niente di strano, in quel posto. Solo, iniziava ad annoiarsi e  solo dopo almeno un  altro quarto d’ora, finalmente, riuscì ad andarsene da lì.

Riprese a percorrere il viale, che andava via via a popolarsi di persone, lavoratori nelle loro botteghe e studenti diretti verso l’università. Lei aveva ancora almeno un’ora prima di iniziare le lezioni, così si prese il suo tempo per godersi un po’ il clima leggero che solo a quell’ora poteva avvertire. Attraversò la via, prendendo a percorrere il sentiero che si accostava il SiegerPark. Quando di fronte a lei iniziò a stagliarsi alta e fiera la figura della palazzina principale dell’università di Heinrich, Nina cercò con lo sguardo la prima panchina libera fra il verde e vi si sedette. La gonna scampanata le permise di incrociare le gambe, sulle quali andò ad appoggiare il blocco da disegno. Aprì il libro di anatomia, iniziando a leggere un paio di nozioni sulla fisionomia della mano, l’argomento della lezione giornaliera, prima di afferrare il carboncino con la sinistra e portare di fronte al viso la destra. Iniziò a tratteggiare i contorni, dall’estensore comune delle dita alla base del polso, fino all’adduttore del pollice. I rintocchi dell’orologio della sede centrale della Gendarmeria, alle sue spalle, segnalò che erano quasi le nove, ma lei non alzò gli occhi dal suo lavoro. Non lo fece nemmeno quando avvertì qualcuno sedersi accanto a lei. Proseguì, tracciando linee sottili e veloci, ripassandole decisa se soddisfatta, prima di ripassare la muscolatura.

“Chiedo scusa, signorina?”

Una voce leggera, rassicurante, la costrinse ad abbandonare la concentrazione. Alla sua destra aveva preso posto un bel ragazzo, con i capelli di un biondo ramato, tenuti in una coda di cavallo ordinata, e con un paio di singolari occhi scuri. Le stava sorridendo educato e quando lei ricambiò quello sguardo, lui si grattò impacciato la nuca “Domando scusa se ho interrotto il suo lavoro, ma ecco…. Volevo congratularmi con lei. È per caso un artista?”

Nina alzò le sopracciglia, un po’ sorpresa da quell’approccio, prima di replicare con un leggero divertimento nella voce “Da bambina ero un animo artistico, ora scientifico: studio medicina.”

Lui abbassò gli occhi sul libro aperto, frapposto fra loro due, arrossendo vistosamente “Mi scusi, non sono un grande osservatore, a quanto pare.”

Nina appoggiò il carboncino nell’astuccio di stoffa verde sbiadito, soffiando sul disegno per far sparire le tracce in eccesso “Tu invece?” chiese, abbandonando le formalità e indicando con il mento il libro che il giovane stringeva fra le mani “Sei anche tu uno studente?”

“Sì, di legge.”

“Ah, un giurista” rispose questa, mentre lui le mostrava il tomo di diritto penale. “Devo quindi prestare attenzione a quello che dirò?” rilanciò divertita e civettuola. Non lo faceva nemmeno a posta, era una nota caratteriale quell’essere sempre un po’ troppo accattivante nel modo di porsi.

“Direi di no, signorina, se non avete niente da nascondere” anche lui sembrò rilassarsi un po’ “Una laureanda in scienze mediche, quindi. Oltre che bella, anche intelligente.”

A Nina sfuggì una mezza risata “Diretto. Comunque no, sto facendo un corso di formazione per l’abilitazione da ufficiale medico.”

Lui parve particolarmente affascinato da quell’affermazione “Gendarmeria?”

“Legione.”

“Quindi oltre che bella e intelligente, anche coraggiosa?”

Nina ripose il blocco da disegno, constatando dall’orologio da taschino di suo padre che iniziava a farsi tardi “Pensavo che avresti detto sprovveduta. C’è chi ci considera dei pazzi suicidi.”

“L’ignoranza popolare non conosce limiti. Il vostro è un grande sacrificio.” La guardò alzarsi, prima di farlo a sua volta, di nuovo imbarazzato “Non volevo infastidirla. Se è a causa mia che state andando via, vi chiedo di perdonarmi.”

“A dire il vero è a causa dei corsi” la bionda allungò la mano, “Il sono Nina, comunque. Basta con questo voi.”

Lui accettò quella stretta “Va bene, allora, Nina della Legione. Io sono Hans.”

“Il piacere è mio Hans. Se il destino lo vorrà, ci rincontreremo allora.”

Lui si scostò per farla passare “Me lo auguro. Buona giornata.”

A tutto ciò, Nina c’era abituata. Sapeva di essere una ragazza di bell’aspetto, tenuta in costante allenamento dalle spiegazioni tattiche e dalle spedizioni. Sapeva anche di essere incredibilmente sfortunata in amore.

Attirava sempre persone a cui lei non era interessata ed era costretta a stare in contatto con coloro che bramava senza venire ricambiata.

 

“Allora, lui com’è?”

Nina smise di passare la stuoia sul piatto, immergendolo per sciacquarlo, prima di voltarsi di poco verso Jara per guardarla. Sul viso dell’altra ragazza c’era un sorriso alquanto inquietante, il sorriso di una persona che sa più di quanto dovrebbe e che vuole solo confermare una teoria “Non ho idea di cosa a tu ti stia riferendo.”

“Non prendermi in giro, hai la stessa espressione che avevi quando volevi avere un appuntamento con Leopoldo Schitz. La stessa che ha mio fratello tutto il giorno, tutti i giorni, quando tu sei qui.”

Con le spalle al muro e la certezza matematica che Jara non le avrebbe permesso di lasciare la cucina senza prima aver detto tutto ciò che voleva sentirsi dire, Nina decise di vuotare il sacco. Prese un bel respiro, sentendosi già giudicata dall’altra, mentre appoggiava il piatto ora pulito sulla rastrelliera del bancone, prendendone un altro con una certa decisione. Almeno così avrebbe potuto evitare di guardarla “Lui è-”

“Allora c’è davvero un lui!”

“Si ma non gridare!” Nina si scostò, sporgendo all’indietro il busto per lanciare uno sguardo al soggiorno tappezzato di librerie traboccanti di libri. Fritz e il signor Meier non sembravano essere al corrente del dramma che si stava per consumare in quella cucina. Meglio così, Nina non voleva che l’amico potesse starci male, se l’avesse sentita. Non poteva scappare per sempre, certo, prima o poi avrebbero dovuto parlarne, ma….

Non c’era nulla su cui rimuginare, perché nulla era ciò che era successo.

“Allora? Parla.”

“Lui è un uomo.”

Jara sbuffò, muovendo rapida il capo per scostare i riccioli simili a quelli del fratello, prima di passare lo sguardo sul volto dell’altra, per setacciarlo a dovere e cogliere ogni emozione “Grazie alle Sante Mura non è un cavallo.”

“Nel senso che è adulto, cretina.”

“Parli come se tu fossi un’infante. Guarda che lo so cosa avete fatto tu e mio fratello nella mansarda.” Fece una pausa, la figlia maggior del dottor Meier, prima di passare una mano sulla fronte leggermente sudata a causa della calura estiva. Nina non sembrava toccata o imbarazzata da quello scambio di parole, aveva la massima fiducia in Jara e non c’erano segreti fra loro. Guardò l’amica appoggiarsi al bancone, mentre lei era intenta ad asciugarsi le mani nel grembiule color sabbia. Quando Jara ripartì all’attacco, Nina era pronta a rispondere a qualsiasi domanda “Da dove esce questo? Quanti anni ha di preciso?”

“Sono entrambi due quesiti molto interessanti.” La bionda si sfilò il grembiule, appoggiandolo ordinatamente sulla sedia, mentre l’altra  la imitava nei movimenti e si faceva più vicina. C’era aria di cospirazione in quella cucina “Non sono né il cognome, né l’età precisa -anche se suppongo attorno alla trentina-, né nient’altro, se non che viene dal ghetto.”

“Un criminale del ghetto? Andiamo bene. Credevo ti piacessero i soldati, non i rifiuti sotterranei.”

“Il bello è questo: è un legionario. Adesso.”

Jara appoggiò le mani sui fianchi larghi, “Non sono certa di aver compreso, allora. Tu sei uno membro del corpo medico e non hai tutti i suoi dati?”

Per risposta, Nina rise forzatamente, sottolineando così in modo eloquente quel che pensava. Sembrava una barzelletta da porto, eppure non lo era “Esattamente. Cogli il mio dramma, ora?”

Sul volto di Jara si dipinse un’espressione consapevole “…Erwin?”

“Erwin.”

Le due si scambiarono un’occhiata complice, mentre la padrona di casa prendeva da una vetrinetta in vetro del liquore di more e quattro bicchieri. “Almeno il nome lo sai?”

Nina sorrise, stupendo l’altra perché per la prima volta da quando la conosceva le parve nascondere un leggero imbatazzo, rubandole un paio di bicchieri per salvarli da un equilibrio precario “Levi” fu la sola che pigolò.

“Levi? Che nome altisonante, per un criminale” un ultimo sguardo segnò la fine del discorso, o la sua posticipazione al momento in cui si sarebbero ritirate a dormire nella stanza che dividevano quando Nina rimaneva a dormire lì, in favore di un po’ di compagnia rispetto alla camera degli ospiti situata, per l’appunto, nella mansarda. Quando arrivarono in salotto, i due uomini di casa sedevano sulle poltrone di pelle, entrambi con un libro in mano e l’espressione spensierata che solo la pancia piena di fa avere “Un digestivo veloce per i lor signori” li prese in giro Jara, mentre Nina passava il bicchiere a Fritz e si sedeva sul tappeto di pelliccia, tirando le gambe al petto. Jara rimboccò i bicchieri prima di sedersi con lei, guardando poi il fratello “Allora Lotto, quando riprendi servizio?”

Fritz sbuffò, infastidito dal soprannome. Da bambino era grasso e tutti, in quella casa, lo chiamavano barilotto. Persino suo padre. Ora che era cresciuto e s’era slanciato,doveva convivere ancora con quello stigma “Ho un mese intero di licenza per seguire i corsi.”

“Ma pensa che caso; ora che Nina è qui anche tu chiedi di poter fare gli aggiornamenti.”

Fritz non rispose all’illazione, mentre sia la bionda che Franz Meier ridacchiavano sotto ai baffi. Fu proprio quest’ultimo ad alzare il bicchiere, guardandoli tutti e tre “A cento di questi giorni, insieme, in questa casa.”

“A cento di questi giorni!” dissero in coro i tre giovani, prima di sorseggiare il liquore, con Fritz desideroso di iniziare un intricato discorso circa la natura del Morbo degli Amanti, o Malattia del Bacio, e il modo in cui infettava i tessuti. Carne marcia dopo un pasto, tipico dei tagliaossa, avrebbe detto Ed se fosse stato lì con loro. Nina però si sentiva bene con loro. A casa. Alle volte, si sentiva quasi più a casa lì con loro che sotto allo stesso tetto di sua madre. Andava tutto bene, sarebbe anche potuto migliore se forse avesse spedito quella lettera.

…. Forse no. Si sarebbe crogiolata nella speranza di una risposta che non le sarebbe mai arrivata.

“Domani è il tuo compleanno” a riscuoterla dai pensieri fu Fritz, che andò ad appoggiarle una mano sul capo, iniziando poi a giocherellare con una ciocca ondulata “Hai deciso cosa vuoi che ti regali?”

“Andiamo già a cena con gli altri” si lamentò lei, osservandolo mentre arrotolava la ciocca attorno al dito “Non desidero niente, se non l’avervi con me, davvero.”

Jara sbuffò “Tanto qualcosa lo abbiamo già comprato.”

“Mi ospitate e vi prendete cura di me per mesi interi! Questo dovrebbe essere il vero regalo!”

“Smettila di lamentarti, quel che è fatto è fatto.”

Vincere uno scontro verbale con Jara era impossibile, che fosse esso di natura accademica o meno. Nina alzò una mano in segno di resa “Un giorno vi ripagherò delle premure, è una promessa.”

Ci avrebbe quanto meno provato, ma ripagare quelle persone di tutto ciò che avevano fatto per lei, le pareva impossibile. Tutto i soldi del mondo non potevano comprare certi sentimenti e certi ricordi.

 

Rielke!”

La voce di Nina era riuscita a rimbombare per tutta l’osteria, sovrastando il chiacchierio alticcio degli avventori di quella serata, per lo più gendarmi in libera uscita. Non si aspettava di vedere suo cugino così presto, né tanto meno di avere la fortuna di cenare insieme a lui proprio in quell’occasione.

“Buon compleanno Nina!” trillò questi, sollevandola da terra e girando su se stesso, mentre ricambiava con egual intensità quell’abbraccio.

Rielke le era mancato ogni singolo giorno. A dividerli erano giusto una manciata di mesi, per il resto avevano la medesima età ed erano cresciuti insieme fino al giorno in cui lei era stata costretta a spostarsi per studiare. A primo acchito, i due si sarebbero potuti dire gemelli: avevano lineamenti molto simili, le stesse lentiggini e lo stesso colore di capelli. Era però l’eterocromia dei Müller ad accumunarli per la maggiore, infatti gli occhi brillavano della stessa curiosa diversità, seppur quelli di Rielke fossero leggermente più tendenti al verde. Le similitudini non si fermavano però all’aspetto fisico. Avevano anche lo stesso energico temperamento e l’atteggiamento affabile.

Nina lo adorava e lui adorava lei. Era forse il membro della sua famiglia di cui sentiva di più la mancanza, oltre che suo padre e sua sorella Mielke.

“Ho chiesto una licenza per poter essere qui a tirarti le orecchie!” le disse il giovane ragazzo, portando la mano sul lobo dell’orecchio di Nina e iniziando a tirare piano “Diciotto volte! Qualcuno qui sta diventando grande!”

“Prima o poi ci arriverai anche tu, scemo!” Nina gli abbraccio i fianchi, appoggiando poi il capo alla sua spalla, visto che il cugino la sovrastava di almeno quindici centimetri, seppur la sua magrezza lo facesse sembrare allampanato.

“Ci sarei anche io, se per caso la festeggiata si decidesse a salutarmi.”

Nina l’aveva notato, ma dopotutto era quasi impossibile non far caso a Leopold Schitz. Il pel di carota aveva un qualcosa di particolare che lo rendeva appariscente, e non erano solo i capelli di un insolito rosso acceso o gli occhi di un verde così particolare da sembrare gialli come quelli di un felino; era il suo carisma. Il suo ego riempiva tranquillamente tutta l’osteria. Non era però di sgradevole compagnia, anzi, sapeva farsi voler bene; non era solo bello e dotato di un fascino tale da oscurare qualsiasi altro essere di genere maschile con la sua sola influenza, era anche abbastanza intelligente da schivarsi la Legione.

“Stasera paghi tu, vero? Guadagni il doppio di quanto guadagniamo noi, dopotutto.” Lo prese in giro Nina, mentre lo abbracciava e costatava che non il suo profumo non era più così buono e che gli occhi non erano poi così straordinari. Per la prima volta in quasi sei anni, non si senti attratta da lui. Il che le sembrò strano, dopo tanto tempo a guardarlo di sottecchi insieme a Kayla per non farsi notare e non rovinare quindi quell’equilibrio che s’era formato fra loro.

“Per te posso anche pagare, ma a questi mentecatti non offrirò niente” rilanciò Leo, portando un braccio attorno alle sue spalle e guardando falsamente pensieroso sia Rielke che Fritz “Si son fatti addirittura più brutti, non lo credevo possibile.”

“Io invece non credevo che tu saresti riuscito a diventare ancora più stronzo, bada bene” rilanciò divertito Rielke, battendogli la mano sul petto, prima di fingere di sistemargli il colletto della camicia nera “Allora, vediamo di cenare, che a pranzo ho dovuto sorbirmi la frittata di tua madre e ancora devo digerirla!”

“La cucina della signora Schitz riesce addirittura peggiorare?” si informò all’improvviso Fritz, fingendosi allibito. Il diretto interessato non aveva la forza di ribattere, la cucina di sua madre era leggenda e non in positivo.  Si sedettero tutti assieme ad un tavolo e subito Leo ordinò un giro di birre e della carne. Si sarebbero trattati bene, dopotutto valeva la pena di festeggiare. “Allora, come stanno i giganti?” si informò proprio questi, appoggiando un braccio sullo schienale della sedia per poter guardare Nina in viso.

Lei scosse il capo, divertita da come l’amico aveva formulato la domanda e dal tono che aveva utilizzato “Purtroppo stanno meglio di tutti noi messi insieme. Non hanno grandi preoccupazioni, la fuori.”

“Nella prossima vita rinasco gigante” rilanciò Rielke con disarmante leggerezza.

“Che cosa orribile da dire” lo riprese immediatamente Fritz, storcendo il naso con disappunto “Con tutti i morti che s’accumulano, fa di queste battute? Incivile.”

“Pensaci: non puoi parlare quindi non dici cazzate, devi solo vagare per l’esterno a grattarti il culo dal mattino alla sera. Non hai nemmeno il cazzo, così hai una scusa valida e non patetica per il fatto che non fai sesso dall’ultimo anno di accademia.”

Nina e Leo esplosero a ridere, mentre Fritz sbuffava, incrociando le braccia sul petto, sulla difensiva “Tu che ne sai?”

“Sesto senso” rilanciò subito Rielke, con un sorrisetto smaliziato sulle labbra, mentre si batteva il dito sul lato nel naso per sottolineare che lui, per questo tipo di cose, aveva intuito. Si lanciò sulla birra non appena l’oste li servì, tirando un bel sorso “Che peccato non esser tutti qui, però. Degli altri si sa qualcosa? Non sono potuti venire?”

“La Legione si prepara a una missione oltre le mura per la fine del mese” lo mise al corrente la cugina, mentre a sua volta alzava il boccale e lo accompagnava alle labbra. L’ultima volta che avevano avuto la fortuna di trovarsi tutti insieme era stato il giorno in cui avevano scelto la compagnia a cui unirsi, ed era stata una serata dal sapore dolce amaro dato che, in ultimo, Leo aveva deciso di non entrare nella Legione con tutti loro, ma di prendere il posto che gli spettava di diritto nella Gendarmeria, visto che era arrivato primo fra i dieci più meritevoli. Il discorso di Erwin doveva averlo spiazzato, così come il modo freddo con cui aveva enumerato le ingenti perdite, quasi matematicamente, come se quelle vite avessero avuto ben poco spessore. In fin dei conti l’aveva convinto che quello non era il suo posto. Per questo aveva voltato le spalle al Capitano Smith e aveva lasciato quel luogo, lasciandosi dietro Nina, Eld, Eddart, Kayla e Nicholas. L’aveva fatto perché era un codardo, non l’avrebbe forse mai ammesso, ma non era pronto a morire e diventare solo un ‘venti per cento’ sul un foglio di carta abbandonato in uno schedario.

“Almeno noi ci proviamo a fare qualcosa di produttivo.” Fritz riportò l’attenzione su di sé, mentre un tagliere di profumata carne al sangue veniva appoggiato fra loro. Tutti si sporsero in avanti per annusarne il prelibato odore, eccetto Leopold, che agli agi c’era ben abituato.  “Non come i gendarmi e gli stazionari.”

“Ehi!” si difese Rielke mentre andava ad afferrare una forchetta, puntandola minaccioso coltro al dottore, in un chiaro monito “Io faccio turni di nove ore!”

“A guardare un muro? Sai che roba” rilanciò Nina, decisa a prenderlo in giro e a dare onore e lustro alla sua compagnia, “Noi facciamo turni di sei giorni, quando siamo all’esterno. Una volta siamo rimasti isolati quasi un mese, alla Rocca di Boltz. Eppure ci senti mai lamentarci?”

“I morti si lamentano ben poco, cugina.”

“Vogliamo parlare di chi passa la sua vita a importunare i pedoni” proseguì Meier, dando una leggera gomitata al migliore amico, che sbuffò “Dimmi Leo, quante carrozze si sono scontrate questa settimana? Perché è la sola cosa di cui la polizia militare si occupa, a quanto so.”

“Spero continui così” fu la candida ammissione del rosso, che però si prese il tempo di masticare per bene la carne prima di proseguire a parlare “Vogliono mandare sei di noi nel ghetto sotterraneo, come supporto a coloro che già sono di ronda là sotto” spiegò loro, attirando su di sé l’attenzione di Nina, che s’era distratta per via a cercare di difendersi da Rielke che voleva tirarle i capelli “Lì c’è anche troppo lavoro, spero che ci spediscano un’oca che fa parte del mio turno di ronda. La odio così tanto..”

“Stai ammettendo quindi che sei fiero di non fare niente per guadagnarti la paga?” si informò Fritz, mentre l’altro ridacchiava sottecchi e annuiva convinto “Che pezzente. Io, ora che sono di istanza a Renin, invece-”

“Sei mai stato nel ghetto sotterraneo, Leo?”

La domanda di Nina arrivò come una fucilata nella notte. Tutti e tre spostarono lo sguardo un po’ stupito su di lei.

Il rosso scrollò con non curanza le spalle “Ovviamente. La gavetta delle reclute inizia con qualche breve gitarella nel ghetto. Serve a farci fare un po’ le ossa e a tenerci occupati. Molti entrano nella Gendarmeria per servire il re e diventare eroi, ma quando riemergono da quella fogna, sono ben felici di starsene tranquilli al lato di una strada a controllare che, per l’appunto, le carrozze non si scontrino, né che i signorotti abbiano di che lamentarsi.” Snocciolò quelle informazioni senza darci troppo peso, preferendo continuare a mangiare, ma gli occhi della ragazza sembravano particolarmente attenti “Come mai ti interessa tanto?”

Nina sorrise “Che c’è? Non posso domandare di qualcosa che non conosco?”

“Assolutamente” rispose affabile Leo, sporgendosi appena verso di lei “Ma tu non fai mai niente per niente; hai desiderio di andare nel ghetto?”

“Ma che dici?” lo riprese Fritz, mentre Rielke preferiva alle chiacchiere il masticare veloce “Chi mai vorrebbe scendere la sotto? L’aria deve essere putrida e sono sicuro che molte delle malattie più diffuse, come la Malattia del Respiro, possa propagarsi più velocemente in un luogo come-”

“Se volessi scendere nel ghetto, come dovrei fare?” di nuovo, Nina lo interruppe, rivolgendosi prettamente al rosso. Fritz iniziò ad agitarsi sulla sedia, ma capitava sovente che non approvasse le sue idee, quindi Nina non ci diede molto peso, assetata come era di informazioni.

Schitz incollò gli occhi ai suoi, prima di schioccare la lingua contro al palato “Niente. Devi andare a una delle scale e scendere. Il pedaggio funziona solo per coloro che vogliono salire. Non per chi scende. Se hai un permesso di soggiorno per la superficie o la cittadinanza quassù non hai vincoli. Dopotutto, sono rare le persone che scelgono di loro iniziativa di andare nel ghetto. È un luogo pieno di pericoli, ci vengono mandati tutti i criminali o i relitti sociali. Chi sceglie l’esilio lì è solo perché qui verrebbe giustiziato. Come mai vuoi scendere?”

La bionda fece orecchie da mercante, infilzando un pezzo di carne “Sono un medico, potrebbe essere interessante andare la sotto. Studiare da vicino la Malattia del Bacio, la Malattia del Respiro…. Scommetto che il Morbo degli Indigenti la sotto prolifera.”

“Questo cos’è?” chiese Rielke.

Leo mugolò rumoroso “Stiamo mangiando, per la Sacre Mura!”

Troppo tardi, Fritz e Nina erano già partiti in quarta “Un male molto sviluppato fra i poveri” aveva di fatto iniziato a spiegare la ragazza, gesticolando sotto al suo naso con la mano libera “Si diffonde velocemente, la carne marcisce e si inizia col perdere le estremità come naso e orecchie, proseguendo poi agli arti.”

“Peggio della Malattia della Sete” proseguì per lei Fritz, annuendo velocemente.

“Ora m’è tornato alla mente quando hai bevuto il piscio” sbottò disgustato il gendarme, allontanando da sé il boccale.

Rielke strabuzzò gli occhi “Che strani gusti sessuali hai, Fritz?”

“Non per quello, coglione te e idiota quell’altro qua!” si difese strenuamente il medico, scoraggiato dal fatto che Nina preferiva ridersela piuttosto che soccorrerlo “l’urina diventa dolce e quindi è facile diagnosticarla. Siete ignoranti.”

“Legionari e pure medici, il peggio del peggio” trovato il coraggio di prendere un nuovo sorso di birra, Leo lasciò cadere così il discorso, sperando di concentrarsi su altro. Prima, però, aveva qualcosa da aggiungere “Non andare là sotto da sola, Nina. Se vuoi fare la brava dottoressa dei poveri, verrò con te. Magari con un paio di amici belli grossi.”

“Credo di conoscere già la persona che potrebbe accompagnarmi” fece presente lei, attirando su di se tre paia di occhi curiosi. Fritz stava giusto per domandare, ma lo scatto che Leo fece lo spaventò.

“Comandante, buonasera!” aveva di fatto detto il rosso, scattando in piedi e facendo il saluto militare, seguito pochi istanti dopo dai tre compagni di bevuta.

Nina si era alza rapidamente, appoggiando la mano destra sul cuore, mentre la sinistra andava dietro alla schiena, non appena riconosciuta la figura che avanzava verso il loro tavolo. Una donna,  che pareva perfettamente a suo agio avvolta in un bel abito di pregiata fattura e una mantella, scura come la notte senza stelle. Gli occhi, di un taglio prezioso, affilato e obbliquo, ma grandi ed espressivi, rilucevano dello stesso colore degli zaffiri, in netto contrasto con i capelli neri come il carbone, tenuti legati in una crocchia elegante, da cui scappava un singolo ciuffo che cadeva elegante a contornarle volto.

Sebbene avesse ormai raggiunto i cinquant’anni, Nora Kessler rimaneva la donna più bella che Nina avesse mai visto in tutta la sua vita. Era bella, delicata nei gesti e nel parlare, sebbene fosse uno dei migliori soldati sulla piazza. Comandante della corpo di Gendarmeria ormai da quasi vent’anni, sapeva farsi amare dei suoi uomini, quanto rispettare. Il fatto che si fosse accostata al loro tavolo, con quel sorriso leggero e bonario ben impresso sulle labbra piene, fece sorridere anche Nina.

“Signora, buonasera.”

Müller, complimenti per la promozione” disse questa, stupendola. Come poteva già saperlo? “Riposo, signori, riposo.” Fece segno ai giovanotti di sedersi e quando tutti ebbero preso posto, lei fece segno ai due ufficiali con cui era entrata di andare a prendere posto. Lei si accomodò di fronte a Nina.

“Quale onore, averla al nostro tavolo, Comandante” Leopold fece segno all’oste, che afferrò una bottiglia di bourbon invecchiato, quello che la donna soleva bere e versandone un bicchiere, lo allungò al rosso. Questi lo porse a Nora, che inclinò il capo in segno di ringraziamento.

“Cerca di tenerti in piedi, Schitz. Domani mattina sei di turno, no?” Uno dei molti motivi per cui era così tanto brava a farsi voler bene, era la sua straordinaria memoria. Raramente dimenticava un volto e le piaceva conoscere personalmente i suoi uomini, per quanto ne avesse la possibilità. Leopold faceva parte del terzo reggimento della polizia militare, quindi avevano spesso l’occasione di incontrarsi. “Vediamo chi abbiamo qui invece.” Gli occhi zaffirini saettarono su Rielke, che si mise istintivamente diritto con la schiena “Tu sei sicuramente un altro Müller. Riconoscerei i vostri occhi ovunque.”

Rielke Müller della Guarnigione di Stohess, Signora. Per servirla.”

“E tu sei il figlio del dottor Meier. Friederich, giusto?”

Fritz avvampò, rosso in viso “Sì, sono io, Comandante.”

“Come mai questo ritrovo?” si informò quindi curiosa, posando di nuovo gli occhi su Nina “Tutti in licenza nella Capitale? Immagino tu debba ottenere le abilitazioni.”

“Esatto, Comandante Kessler.”

“Stiamo festeggiando il compleanno del neo Sergente” confidò Leopold, come se potesse prendersi un po’ più confidenza degli altri, seppur tenendo le dovute distanze che il grado gli imponeva.

La donna guardò di nuovo verso Nina “Che tu possa passare altri cento di questi giorni” fu il commento sincero, mentre alzava il bicchiere alla sua salute “Tuo fratello maggiore? Come sta?”

Nina se lo aspettava, stava contando i minuti. Quella era la domanda che Nora avrebbe voluto porle dal primo istante, Nina poteva leggerglielo in viso. S’erano incontrate in un totale di dieci volte nel corso della vita della giovane ragazza e ogni singola volta, lei era venuta per vedere Erwin o, viceversa, era stato lui a recarsi da lei.

“Ho due fratelli maggiori, Signora” disse Nina, tirando leggermente la corda più per conferma che per provocazione, mentre continuava a rivolgersi a lei rispettosa “Il gendarme o il legionario?”

Nora sbuffò divertita, muovendo una mano davanti a sé come per scacciare una mosca, mentre con un sorso deciso svuotava il bicchiere. Come poteva una donna bere così tanto, ma con cotanta grazia, lo sapeva solo lei “Il gendarme è uno dei miei capitani. Friedelhm lo vedo ogni due settimane quando da Stohess viene a portarmi i rapporti su quello che succede. E non succede mai nulla” fece una pausa, facendo ridacchiare piano l’intero tavolo, girando il poco rimasto dentro al bicchiere sul fondo con dei movimenti lenti del polso “Parlo del leggendario legionario, ovviamente.”

“Erwin sta bene, Comandante. Sta addestrando una nuova squadra.”

Nora fece un piccolo sorriso, guardando la superficie del tavolo, prima di alzarsi in piedi “Portagli i miei saluti e digli di farsi vivo da questa parti, ogni tanto. Shadis anche potrebbe venire in Capitale, ma so che è impegnato a studiare strategie. Dovrei invitarli entrambi a cena.”  Quando si alzò dalla sedia, anche gli altri quattro giovani fecero lo stesso, mettendosi sull’attenti “Tutta questa formalità” commentò divertita, scuotendo piano il capo “Sedete e divertitevi, che non si sa cosa porterà la prossima alba. Oscar!” chiamò l’oste, che subito si voltò a guardarla “Qualsiasi cosa questo tavolo consumi, sarò io a pagare. Inizia col portare una bottiglia di quel vecchio vino invecchiato che tanto piace al Comandante Pixis.”

“Comandante, non dovete” Nina non poteva accettarlo. Nonostante l’occhiataccia lanciatole da Rielke, provò a declinare “Non  è necessario, davvero. Siete troppo generosa.”

“Un personale regalo di compleanno e promozione” le passò accanto, appoggiandole una mano sulla spalla dopo averle spostato i capelli dietro alla schiena “Diventi sempre più bella, Nina. Ricordo ancora la prima volta che t’ho vista, avrai avuto al massimo dieci anni.” Prese nuovamente le distanze, inclinando il capo in un cenno di saluto, prima di ricordarle “Mi raccomando, salutami Erwin.”

Un ultimo sorriso e poi andò via, sparendo fra i clienti. Nina rimase in piedi a guardarla per qualche istante, sino a che non fu del tutto fuori dal suo sguardo. Quando ritornò a sedersi, sul loro tavolo c’erano quattro calici di cristallo dall’aspetto costoso e una bottiglia di vino che nemmeno nei loro sogni si sarebbero mai potuti permettere.

“Un brindisi alla salute del Comandante è d’obbligo” decretò, mentre Rielke versava, non sentendosi per niente in colpa.

“Secondo te ancora scopano, quei due?” domandò con tono basso Leopold, avvicinando il capo a quello dell’amica.

Non c’era nemmeno bisogno di chiedere di chi stesse parlando.

Nina lo guardò allusiva “Se no perché lo avrebbe nominato per almeno tre volte?” domandò quindi retorica, prendendo il suo bicchiere e odorando piano il vino. Sembrava assolutamente delizioso “Erwin però sa tenere i suoi segreti e il Comandante Kessler ancora meglio.”

Era infondo anche il motivo per cui la donna s’era presa così tanta confidenza con lei. L’aveva letteralmente vista crescere fra le strade della Capitale, ogni qualvolta Erwin andava a trovarla.

“Che invidia” fu il solo commento di Rielke, mentre lanciava un rapido sguardo dietro alle sue spalle, come se temesse di venir origliato. “Una donna così bella a quell’età…. Che bastardo fortunato, Erwin.” Il volto degli altri due ragazzi si illuminò, come se per loro fosse impossibile dar torto dall’amico.

Nina scosse il capo, rassegnata, ma allo stesso tempo divertita “Uomini.”

 

Il vino era finito in fretta, così come la seconda bottiglia, molto più economica, ordinata.

Nina sopportava in modo dignitoso l’alcool, ma al quarto bicchiere, contata anche la prima birra, aveva iniziato a vacillare. Nell’inferno di uva e luppolo, aveva trovato comunque la forza di tenersi su, continuando a ridacchiare ai discorsi sempre più senza senso degli amici, prima di passare ai ricordi dell’accademia, agli scherzi tra le camerate e a ogni risata o lacrima che avevano condiviso.

“Basta, non posso farcela” asciugandosi il lato dell’occhio, Nina s’era alzata in piedi “Mi duole il fianco tanto sto ridendo e il vino non mi aiuta. Ho bisogno di una boccata d’aria per riprendermi. Leo, hai una sigaretta?”

Fritz, che non pareva aspettare altro, scattò in piedi come una molla, mentre ancora il rosso cercava il pacchetto nella tasca del cappotto estivo “Ti accompagno” si propose, guardandola con aspettativa.

Lei annuì, grata “Meglio, ci sorreggeremo a vicenda.”

“Non fate bambini per strada o dovrò arrestarvi” li prese in giro Leopold, mentre allungava una sigaretta e il pacchetto di fiammiferi alla ragazza, facendo ridere Rielke “Noi vi aspettiamo qui e quasi quasi ordiniamo un'altra  birra. Che dici, stazionario?”

“Perché no? Voi ragazzi?”

“Io passo, non voglio vomitare come ha fatto Nick quella volta a Rüttherberg” disse Fritz, facendo ridere gli amici.

“Come lui, non voglio diventare io la nuova barzelletta del gruppo!”

Nina fece strada, prendendo Fritz per il polso e sfilando in mezzo a tutte quelle persone. Nonostante fosse estate, l’aria fresca della sera la risanò, facendola già sentire meglio. Si aggrappò al braccio dell’amico, mentre attraversavano la strada, andando a sedersi su una panchina, all’ombra di un cipresso. Alle loro spalle, il lato nord del Siegerpark  si innalzava inquietante “Non ci sono stelle, questa notte” realizzò la bionda alzando il naso verso l’alto, mentre Fritz accendeva la sigaretta, sprecando un paio di fiammiferi

“Non vedevo un cielo così buio dall’ultima uscita” confermò lui, appoggiandosi con la schiena contro al legno della panchina, mentre buttava fuori il fumo dalle narici “Peccato che mi abbiano mandato di istanza nel settentrione. Se ci fossi stata tu, avresti illuminato la mia veglia.”

“Che adulatore” fu la risposta di Nina, che non tardò di un secondo ad arrivare. Gli sfilò la sigaretta dalle dita, portandola alle labbra “Secondo te un giorno scopriremo che queste cose sono nocive?”

“Butti del miasma nei polmoni, non credo servano degli esperimenti empirici per capire che bene non può fare.” Per risposta, la ragazza gli soffiò il fumo in viso “Sei dispettosa!”

Fritz portò le braccia attorno a lei, facendola ridere “Aggressione, aiuto!” cercò di difendersi lei, mentre la sigaretta le sfuggiva dalle dita in un tentativo di difendersi “Fritz, dai!”

I loro sguardi si incontrarono a metà strada, mentre i loro respiri si fondevano e il giovane medico non attendeva un istante di più per far collidere le loro labbra in un bacio, che Nina ricambiò con la stessa dolcezza che l’altro ci mise.

C’era qualcosa di sbagliato in quel momento, e lei lo colse da subito.

Concesse però alla sua coscienza di goderne per un poco, mentre con la mano scostava i capelli di Fritz, scivolando fra le ciocche ricce fino alla nuca. La mano  dell’altro, invece, andò a posizionarsi sul suo fianco, mentre il bacio si intensificava.

Fu proprio nel momento in cui lui le chiese di approfondire il contatto, che lei abbassò fin troppo brusca il viso, mordendosi il labbro inferiore.

C’era qualcosa di sbagliato, perché lei stava pensando ad un altro.

Era ora di mettere le carte in tavola, perché Fritz valeva troppo perché lei potesse immaginare labbra sottili e occhi di ghiaccio mentre lui la baciava.

“C’è una cosa che devo dirti.” 

Non era stata lei a parlare. Stupita, alzò il viso di nuovo, specchiandosi in quegli occhi nocciola, caldi e famigliari. “Anche io, Fritz. Inizia tu.”

Lui si scostò, abbassando una delle due braccia per prenderle la mano. “Nina, ci ho pensato tanto e non posso più continuare così. Vederci così poco è una tortura, per me.” iniziò, cautamente “Per questo io-”

La bionda, che già stava pensando a come poter contrattaccare a quella confessione che avevano rimandato per anni nel modo più dolce possibile, si ritrovò a chiedersi perché l’altro si fosse fermato. E perché aveva preso a palparsi il petto in un paio di punti.

“Che succede?”

“Ho lasciato dentro la giacca”

Nemmeno il tempo di poter dire qualcosa, che era schizzato in piedi, barcollando e inciampando nei suoi stessi passi, mantenendo però un equilibrio precario. Lei si sentì sempre più confusa e fece per alzarsi a sua volta.

“Torno subito!” la fermò però lui, appoggiandole la mano sulla spalla e iniziando a camminare verso l’osteria “Aspettami qui, ok? Ci metterò un attimo.”

Nina lo guardò allontanarsi, sperando che arrivasse vivo alla porta. Una volta sparito nell’osteria, lei affondò il viso nelle mani, lasciando che i capelli lunghi scivolassero in avanti a coprirla.

Era tropo su di giri a causa del vino per articolare un discorso coerente, ma temeva quello che Fritz avrebbe potuto aggiungere. Jara glielo aveva detto tante volte, che avrebbe dovuto essere spietata dall’inizio. Che avrebbe dovuto dirgli che anche se s’erano baciati tante volte e avevano fatto l’amore, quell’attrazione non era abbastanza.

Che lei non lo amava.

La paura di ferirlo era stata troppa però e lei non se l’era sentita di spezzargli il cuore. Aveva sperato che gli sarebbe passata, ma evidentemente non ciò era ancora avvenuto.

“Che faccio, ora?” sussurrò a se stessa, grattandosi gli occhi mentre ricercava inutilmente di riprendere lucidità.

Dei passi alle sue spalle la fecero sussultare e immediatamente scattò in piedi, rischiando di perdere l’equilibrio.

“Nina?” Una voce calma e conosciuta, un volto che sapeva di aver già visto. Nina lo osservò per qualche istante, poco lucida, prima di capire chi fosse quel giovane.

“Hans?”

 

“Non posso crederci, stai per chiederle la mano.”

Rielke teneva entrambe le mani sul volto, con le dita aperte per permettere ad un solo occhio di spiare Fritz, che stava aspettando che Leo gli rendesse l’anello che aveva estratto dalla tasca della giacca con un certo orgoglio.

“Era l’anello di fidanzamento di tua madre?” domandò infatti il rosso, mentre l’altro annuiva “Spero per te che non ti dica di no, oppure probabilmente dovremo riportarti a casa in lacrime come una ragazzina.”

Fritz, a quelle parole, sbiancò appena “Spero di evitarvi una tale scena” si gonfiò il petto con un ultimo respiro profondo “Auguratemi buona fortuna.”

“Vai, stallone.”

Rielke alzò un pugno nella sua direzione, per incoraggiarlo e quando Fritz ripartì deciso, scivolò sulla panca fino ad arrivare vicino a Leo “Finirà male. Andiamo a spiarli?”

Il rosso lo guardò come se fosse un autentico idiota “Ovviamente”

Fuori faceva più freddo di quanto si aspettassero, tanto che lo stazionario si strinse meglio la mantella nera attorno al collo. Cercarono con gli occhi gli amici, ma trovarono solo Fritz che se ne stava da solo, fermo dall’altra parte della strada, grattandosi la nuca.

“Se Nina è scappata, riderò fino a star male” commentò non senza una piccola dose di cattiveria Leo. Entrambi, sia lui che il cugino della ragazza, sapevano molto bene che non c’erano possibilità che quella proposta andasse in porto, ma non se la sentivano di dirlo a Meier.

Meritava la sua sana dose di delusione amorosa.

“Cosa fai, scemo?” domandò Rielke al dottore, battendogli la mano sulla schiena, mentre anche l’altro si affiancava.

“Nina e io eravamo su quella panchina, ma lei non c’è. Che sia entrata nel parco?” domandò un po’ preoccupato Fritz, guardando verso Rielke, il quale sbuffò divertito. Leo, invece, lanciò uno sguardo alla panchina, tornando subito però a fissarla e muovendo qualche passo verso di essa.

“Forse è tornata a casa tua. L’ho vista bella provata.”

“Può darsi, ma le avevo domandato di attendermi qui!”

“Ragazzi?” entrambi si voltarono verso Leopold, che dava loro le spalle. Attesero che dicesse qualcosa e quando si voltò a guardarli, sembrava bianco in viso. Sembrava pensieroso e quando velocemente li superò, non diede loro alcuna spiegazione per quel  repentino cambiamento di atteggiamento.

“Devi vomitare?” chiese Rielke, prima di notare che teneva qualcosa fra le mani. I due amici lo seguirono sotto alla grande lanterna ad olio posta sulla via come lampione, guardandolo mentre leggeva velocemente qualcosa. “Leo?”

La risposta ci mise un po’ ad arrivare, sembrava che Leopold stesse rileggendo più e più volte. Alla fine si riscosse nel modo più strano “D-dobbiamo rientrare subito e andare dal Comandante Kessler” mormorò balbettante, prima di alzare gli occhi su di loro. Erano spiritati.

“Mi dici cosa è successo?” chiese Fritz e, per risposta, gli venne piazzata in mano la busta e la lettera che il rosso aveva trovato sulla panchina. Non aggiunse altro, Schitz, attraversano la strada di corsa e ficcandosi dentro all’osteria.

“Che diamine sta succedendo?!” iniziò ad agitarsi anche Rielke, mentre le mani di Fritz prendevano a tremare, strette attorno alla carta bianca.

“Non può essere…” sussurrò, prima di passargli i fogli ormai stropicciati, voltandosi verso il parco “Nina! Nina!”

A quel punto, il biondo aveva compreso cosa stava succedendo. Non ebbe il coraggio di leggere quel messaggio, mentre iniziava a crearsi un certo caos di gendarmi attorno a loro.

“Coprite il perimetro esterno e interno, cercate ovunque” stava impartendo ordini Nora, mentre Leo prendeva la lettera e gliela passava, parlando concitato per raccontarle cosa era avvenuto. Fritz urlava alle sue spalle, chiamando Nina sempre più forte e quello era il solo suono che Rielke sentiva.

Fra le sue mani era rimasta solo la busta che conteneva la lettera.

Su di essa, una calligrafia ordinata riportava un solo destinatario.

All’attenzione del Capitano della Legione Esplorativa Erwin Smith.

 

 

Continua…

 

 

 

Nda.

Questo capitolo unicamente flashback – che posticipa cosa c’è nella maledetta cantina, ma ormai io e Isayama siamo diventati amici in questo – doveva concludersi. Però non ho proprietà di sintesi e quindi niente, per sapere cosa cavolo sta succedendo dovrete aspettare il prossimo capitolo. Chiedo scusa in anticipo.

Davvero, la proprietà di sintesi questa conosciuta.

 

Questo capitolo è particolare, perché introduce tutti i personaggi nuovi che andranno a servirmi più avanti. E a servire a una mia amica che sta a sua volta scrivendo una storia, visto che Fritz è mio solo in parte.

Per il resto è il suo protagonista.

E io ho scritto di lui per prima.

 

…. Tranquilli, è normale per noi. Lo facciamo sempre.

 

A parte il caro dottor Meier abbiamo la sua famiglia, Rielke che sarà importantissimo, il carismatico Leo e questo strano Hans.

Nina non ha visto Frozen, evidentemente. Se no non si sarebbe fidata.

Manna che non l’ho chiamata Anna.

(e fa rima)

 

Oltre a loro c’è anche il Comandante Nora Kessler, nella mia ottica il precedente comandante della Gendarmeria prima di quel poraccio di Nile. Che non preoccupatevi, arriverà anche lui prima o poi. Non posso mettere un po’ di scambi su quanto era figa Marie.

 

Levi solo citato.

Nel prossimo farà la sua porca figura non temete.

Ho paura di farlo OOC ma quando non lo metto mi manca.

 

Passando oltre per non infastidirvi – evito i comizi medici su tutti i vari morbi, Nina ce ne parlerà andando avanti -  ringrazio le sei anime buone che hanno inserito questa storia fra le seguite.

Cento volte grazie.

E mille volte per le meravigliose fanciulle che mi commentano sempre, anche se sono impegnate.

Grazie Auriga, grazie Shinge.

Siete preziose come il foulard del Capitano Levi.

 

Ci sentiamo presto con un capitolo che tornerà ad essere un ordinario presente-passato.

Un bacio a tutti e buona settimana!

C.L.

  
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