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Autore: MaxB    08/08/2016    7 recensioni
Raccolta di one-shots e mini-long basate su immagini di Rboz e Blanania, che mi hanno dato l'autorizzazione. Gajevy totale con accenni ad altre coppie.
Elenco dei capitoli per genere o caratteristiche:
- Serie di immagini: 1, 6, 8, 9, 14
- Immagini singole o a coppie: 2, 5, 7, 12, 18, 19, 23, 24
- Drammatiche: 3, 13
- AU: 5, 15, 18, 19, 20, 22, 24
- Pirates AU: 10, 11 (conclusa)
- School AU: 4, 15, 20
- Council Gajevy: 16, 21
- Gajevy Week 2015: 17
Scrittura e disegno sono due forme d'arte che se accoppiate fanno scintille!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Pantherlily, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Blue Bird AU

Disegnatrice: ?
Universo: Fairy Tail
Caratteri: IC
Genere: romantico; avventura
Personaggi: Gajeel Redfox; Levy McGarden; Pantherlily; un po' tutti.
Coppie: GxL;
Rating: giallo
POV: esterno
Lettura: /
Contestualizzazione: imprecisata
Avvertimenti: nessuno.

 
- I dati dell’operazione? – domandò una ragazza in tailleur grigio sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania del capo.
Mavis Vermilion, alias Fata, capo di un’azienda investigativa di illustre fama e direttrice sotto copertura della Polizia Segreta di Magnolia, la guardava dall’altro lato del tavolo, i lunghi capelli chiari che si muovevano al ritmo della brezza che spirava dalla finestra aperta. Poteva sembrare solo una bambina, ma le sue doti da stratega erano innegabili e aveva scalato con facilità i piani di importanza dell’agenzia segreta. In meno di un anno aveva raggiunto la vetta ed era diventata il più grande capo delle forze dell’ordine dell’America. Magnolia era la piccola cittadina sperduta di cui solo poche centinaia di persone erano a conoscenza. Era stata resa invisibile sulle cartine, protetta dai satelliti del presidente americano per preservare la riservatezza delle ricerche che vi venivano svolte. Persino l’FBI e la CIA non ne sapevano nulla, sebbene prendessero direttamente ordini da loro.
- Hai ricevuto il dossier, figliola? – chiese Makarov, un vecchietto basso che dava loro le spalle e fissava l’anonima pianura che si stendeva come un mare piatto fuori dalla finestra.
Tutti lo chiamavano “il nonnino” perché era il più vecchio agente segreto ancora in azione; ma nonostante il nomignolo quasi derisorio, quella belva sopita che celava nel petto aveva la forza di un gigante, e Makarov non discuteva nemmeno con chi si permetteva di nuocere ai suoi nipotini acquisiti: agiva e basta.
- Sì, Master – rispose la donna con aria seria, occhiali rossi sul viso e cartellina in mano.
Makarov, detto Master in quanto braccio destro di Mavis, intuì che la ragazza aveva appena finito di leggere le pratiche. Deduzione formulata a causa di quegli occhiali che ancora indossava, il nuovo modello per la lettura veloce inventato dal dipartimento scientifico della Polizia Segreta.
- Cosa ne pensi? – domandò Makarov, una volta giratosi per osservarla.
- Nulla che non possiamo gestire. Dovrebbe essere un lavoretto da poco.
- Non sei un po’ troppo sicura di te? Non dubito delle tue capacità, ma ti rendi conto della delicatezza della situazione?
La ragazza sorrise dolcemente. – Certo Master.
Mavis si sporse sul tavolo, l’espressione infantile di gioia scomparsa. C’era troppa serietà in quegli occhi, troppa maturità. – Devi capire di cosa stiamo parlando, perché nel dossier che ti ho fatto pervenire ci sono solo i dettagli di questa banda criminale che si chiama…
- Phantom Lord – concluse la ragazza per lei.
Mavis sorrise. – Esatto, ma tu sai perché siamo sulle loro tracce?
- Per un furto.
Makarov tornò ad osservare l’orizzonte, desiderando per una volta la pensione. Le cose si stavano complicando troppo; quando era giovane lui non c’erano tutti quei problemi di armi di distruzione di massa e gadgets ultrasofisticati. Nella sua epoca d’oro le tracce dei criminali si cercavano annusando le impronte sulla terra e le persone si arrestavano dopo averle battute con del sano karate, non con pistole stordenti o cerbottane paralizzanti.
- Vedi, la Phantom Lord si è appropriata di una nuova invenzione della Blue Pegasus…
- L’azienda di lampadine? – domandò la ragazza, confusa.
Mavis sorrise ancora, comprensiva. – Sì, proprio quella. La Blue Pegasus è come noi, una società che nasconde i suoi affari dietro semplici facciate: investigazione, lampadine. Be’, loro in realtà, oltre a fornirci la luce che ci serve, lo ammetto, sono i più grandi pionieri nel campo delle biotecnologie energetiche. Hanno inventato, specialmente grazie all’aiuto di Hibiki, Eve e Ren, che tu conosci bene, un nuovo prototipo di batteria a combustione illimitata. Si chiama Lacryma. Questa batteria non si esaurisce mai e, regolandone la potenza, potrebbe garantire una quantità di energia tale da illuminare perennemente tutta New York City. Capisci il potenziale di questa Lacryma, un cristallo ottenuto fondendo diversi metalli in differenti stadi di trasformazione?
La ragazza annuì.
Makarov intervenne precedendo Mavis. – Non è solo questo il motivo per cui siamo preoccupati. In fin dei conti, oltre ad essere top secret, questa missione è stata dichiarata MIM-DM.
La saliva si seccò in bocca alla giovane donna, il colorito roseo delle guance scemò via come se d’un tratto il mondo si fosse tinto di bianco e nero, e il respiro le venne tirato fuori a forza, senza poi tornare nei suoi polmoni. Una MIM-DM. Una Missione di Importanza Mondiale – Distruzione di Massa. Ciò significava che il fallimento avrebbe comportato un danno all’umanità così ingente da rendere difficile il perseguimento della vita sulla terra.
Deglutì a vuoto, la saliva come velcro lungo la gola. – Cosa devo fare?
Mavis e Makarov si lanciarono un’occhiata, poi il capo della Polizia Segreta accese uno schermo alle sue spalle e spense le luci. – La banda Phantom Lord ha rubato la Lacryma. Sembra che quella minuscola batteria possa sostenere un reattore nucleare e il capo, Jose, vuole assolutamente creare delle nuovi armi ad energia che si nutrano della Lacryma. Addio pallottole, addio munizioni, addio ricariche per evitare di avere una pistola vuota tra le mani: le nuove armi sparerebbero raggi ad alta intensità in grado di polverizzare un uomo all’istante. E non avrebbero bisogno di ricariche. Ma Jose non è ancora in possesso della Lacryma. Al momento ce l’ha il suo miglior agente – disse indicando lo schermo alle sue spalle, su cui era comparsa la figura di un uomo. Alto, muscoloso, lunghi capelli corvini che ricadevano selvaggi sulla schiena, un ghigno ferino sul volto, negli occhi il riflesso di tutto il sangue che aveva sparso, e numerosi piercing sulla pelle abbronzata del volto.
La ragazza che ascoltava il resoconto lo trovò incredibilmente sexy. Aveva sempre avuto un debole per i suoi nemici.
- Gajeel Redfox – mormorò il Master, distraendola dallo studio dell’immagine. – Alias, Pantera Nera. Nome che calza a pennello se si considerano la sua spietatezza, il colore dei suoi capelli e la sua bravura nel campo. È una belva incurante del pericolo, sanguinaria, dai freddi occhi calcolatori. Una spia infiltrata ci ha riferito che in casa ne ha davvero una, di pantera. Jose gliel’ha regalata per riuscire ad accaparrarselo come sicario e ladro, e si dice che quel felino sia il più grosso mai visto. Ha una cicatrice sull’occhio e si chiama Pantherlily.
- Stavo dicendo – proseguì Mavis, - che Jose ancora non ha la Lacryma. Ce l’ha lui, Gajeel, e la porterà al suo capo nel giro di una settimana, il tempo di tornare dal Marocco, dove si trova ora. Il tuo compito è di sottrargli la batteria e portarla a noi. Senza morire. Chiama nel tuo team poche persone che reputi leali fino alla morte e fai il possibile per carpirgli le informazioni che ti servono. La nasconderà, la Lacryma, questo è certo. Scovala e portacela.
La ragazza sorrise furbescamente e si alzò, raccogliendo il nuovo dossier stampato Top Secret che Mavis aveva fatto scivolare sulla scrivania in vetro. Le luci si riaccesero, ma la ragazza era già con una mano sulla maniglia.
- La Fairy Tail conta su di te – aggiunse ancora Mavis.
Fairy Tail, ecco com’era conosciuta la Polizia Segreta dai membri che ci lavoravano e dal presidente americano. Invisibile come una fata, e misteriosa come i miti che avvolgevano quelle creature magiche, dotate o meno di coda. Nessuno le aveva mai viste, nessuno sapeva com’erano fatte. Proprio come Fairy Tail.
- Buon lavoro, Uccello Blu – le augurò Makarov, l’affetto che traspariva dalla voce come miele.
- Master, Fata, non vi deluderò.
Poi la porta si chiuse e un lampo di capelli azzurri sfarfallò nel campo visivo dei due direttori.
Il loro asso nella manica era in azione.
 
- Ciao Lucy! – esclamò una vocina allegra dentro il treno.
Il serpentone metallico che trasportava centinaia di persone tra alunni, pendolari e vecchiette era mezzo vuoto, a quell’ora della sera. E la voce di una ragazza serena risuonava come in una grotta vuota.
- Io sto bene, grazie – continuò, rispondendo alla domanda che questa Lucy le aveva posto al cellulare. – Dovrei arrivare tra poco.
Un ragazzo ben piazzato e con lunghi e folti capelli neri si girò verso di lei, incuriosito. Era la terza volta che la vedeva, quel giorno, e qualcosa gli diceva che non era solo una coincidenza. Ma era una tipa davvero carina e l’aria innocente la rendeva ancora più appetibile. La osservò in silenzio mentre rideva con la sua amica via etere, e poi le sue sopracciglia di piercing si aggrottarono.
- Ehi, dolcezza, ti va di ridere così anche con noi? – domandò un tipo dai capelli arancioni avvicinandosi. Gli mancava un dente e puzzava di alcool, e a giudicare dal cappello alto e sformato che aveva in testa, doveva essere uno straccione.
- A me è venuta fame, perché non ce la mangiamo un po’? – propose l’amico, un tipo grasso con un pacchetto di patatine in mano e un ridicolo ciuffo di capelli neri che spuntava dalla sommità della testa.
Solo allora il ragazzo dai capelli neri si accorse che nel treno c’erano solo loro tre maschi e la ragazza.
I due furfanti si sedettero ai lati della giovane e lei salutò l’amica con un: - Devo andare, ti chiamo dopo.
Dopo aver messo via il telefono strinse al petto la borsetta e si fece più piccola di quel che era, lasciando intravedere una porzione di coscia dalla gonna che si era alzata.
Il tipo smilzo allungò la mano e le artigliò la gamba. – Ora puoi salutare noi, dolcezza – biascicò avvicinandosi al suo viso.
Lo schiaffo arrivò improvvisamente e lo schioccò riempì la cabina deserta.
- Oh no, patatina – la rimproverò l’altro, quello grasso. – Qui siamo solo noi quelli che possono tirare schiaffi. E tu sei stata una cattiva ragazza, quindi… – sibilò artigliandole i polsi, – è tempo che tu paghi!
Nessuno si accorse dello scatto dell’altro ragazzo finché i due criminali non se lo ritrovarono addosso. E loro non capirono nulla nemmeno dopo, perché in un paio di pugni erano finiti stesi a terra. La giovane, terrorizzata e ansimante, fissava la scena con gli occhi sbarrati. In meno di un minuto era stata quasi aggredita e poi liberata, e si trovava con due uomini incoscienti ai piedi e un paio di occhi rossi e brucianti a fissarla.
- Stai bene? – chiese pacatamente il suo salvatore, chino su di lei.
Notando che però continuava a respirare troppo in fretta, si allontanò di un passo e cercò di trasmetterle serenità, muovendo le mani per farle capire che doveva respirare più piano.
- Rischi di andare in iperventilazione, rallenta, Gamberetto.
Quello le troncò direttamente il fiato.
- Ga… Gamberetto? – mormorò, confusa.
Il ragazzo annuì.
- Perché?
- Non so come ti chiami ed è la prima cosa che mi è venuta in mente – mugugnò, scuro in volto.
Senza che nessuno dei due se lo aspettasse, lei scoppiò a ridere e l’accesso d’ilarità aumentò quando vide gli occhi strabuzzati del tipo davanti a lei.
- Scusa, scusa, penso che sia un modo come un altro per scaricare la tensione – disse quando si fu calmata, ridacchiando di tanto in tanto.
Il ragazzo si grattò la testa, a disagio. – Sì, be’, immagino di sì…
La sua risata dolce e cristallina lo aveva destabilizzato.
- Comunque - continuò lei attirando la sua attenzione, - questa è la mia fermata.
Si alzò e, attenta a non calpestare i due corpi, si avvicinò al suo salvatore. – Ti ringrazio tantissimo, davvero. Mi considerano tutti piccola e debole e, be’, in effetti è vero. Senza di te probabilmente avrebbero trovato il mio cadavere da qualche parte in un fosso. Come posso ripagarti?
- Sopravvivi – rispose lui semplicemente.
Il sorriso che gli regalò lo fece ghignare a sua volta, un ghigno delicato e non malefico come quelli che aveva sempre durante le battaglie.
- A dire il vero - le disse di getto, - per ripagarmi potresti permettermi di riportarti a casa. Qualcuno potrebbe aggredirti.
La ragazza arrossì e sorrise, annuendo.
Quando scesero dal treno era ancora rossa in viso e rimase in silenzio finché non raggiunsero l’esterno della metropolitana.
- Mi permetti di fare una telefonata veloce? – gli chiese. – Oh, a proposito, io mi chiamo Levy. Levy McGarden.
- Gajeel Redfox – rispose lui. – Chiama pure.
Riconoscente, Levy si diresse verso una vecchia cabina telefonica che ormai nessuno più usava, a pochi passi da loro, e vi entrò. Inserì una moneta e digitò un numero di cellulare, seguito a distanza di pochi secondi da un codice segreto che avrebbe bypassato la linea telefonica.
- Qui Fata, la linea è protetta?
- Cabina pubblica controllata. Uccello Blu a rapporto, Fata.
- Novità?
- Il piano procede, Pantera Nera sta per venire a casa con me.
- Sai cosa fare. Non è necessario che tu ti svenda.
- Non accadrà.
- Notizie di Jet e Droy?
- Hanno svolto il loro lavoro egregiamente, così tanto che credo gli ci vorrà un po’ per togliersi l’odore di alcool di dosso.
- Il profumo all’odore di vodka ha funzionato?
- Sì, e anche la botta in testa. Assicuratevi che non abbiano un trauma cranico.
- Sarà fatto, Uccello Blu.
La comunicazione si interruppe e Levy uscì sorridendo. Inciampò e rischiò di sbattere il sedere sull’asfalto, ma due braccia forti le cinsero la vita appena in tempo. Non si sa come, ma Levy si ritrovò schiacciata contro il petto di Gajeel.
- Oh, io, scusami, che sbadata, io…
- Per fortuna ti riporto a casa, altrimenti puoi star certa che ritroveranno davvero il tuo cadavere in un fosso.
Levy ridacchiò e indugiò in quel confortante tepore finché non fu lui a ritrarsi, imbarazzato.
- Da che parte?
La ragazza lo prese per mano e se lo trascinò dietro.
 
- Mi-mi gira la testa… - sussurrò flebilmente pochi minuti dopo.
- Stai bene? – farfugliò lui, l’apprensione che traspariva timidamente dal suo viso corrucciato.
- Io… no… mi viene da vomitare.
- Ho capito – sospirò. – Sta arrivando lo shock per quello che è successo sul treno. Ti porto a casa mia, è più vicina. È un problema per te?
Pallida come un cadavere, Levy scosse la testa e fece un barcollante passo in avanti. Si aggrappò al braccio di Gajeel e sentì le sue braccia attorno alla vita. Senza dire una parola, lui la prese in braccio e si allontanò a passo svelto.
- Sono solo un peso, scusami – mormorò sull’orlo delle lacrime.
- Sei così piccola che non pesi niente. Ora chiudi gli occhi.
Levy abbandonò la testa sul suo petto e lasciò che la sua nausea inventata venisse curata dalla cadenza ritmica dei suoi passi. Non faceva parte del piano farsi portare in braccio, ma per rendere la cosa più credibile abbracciò il collo di Gajeel, il suo nemico.
O forse ne aveva solo voglia.
 
- Eccoci arrivati. Eccoci… Levy… ci siamo. Levy?
Con sgomento Gajeel si accorse che la ragazza si era addormentata, così la depose sul suo divano e chiuse la porta di scatto. Il suo orecchio allenato captò immediatamente il passo felpato della sua pantera e ancora prima di girarsi sapeva che l’avrebbe trovata seduta alle sue spalle.
- ‘Sera, Lily – salutò.
La pantera si diresse verso il divano e annusò la mano dell’intrusa. Poi, decidendo che gli piaceva molto, iniziò a premere il muso contro le sue dita, che penzolavano dal divano. Levy si mosse leggermente e nel momento in cui sentì la lingua ruvida del felino leccarle le dita, ridacchiò.
E poi urlò quando si rese conto che una pantera le stava leccando la mano.
Un trambusto in cucina fu seguito dall’apparizione di uno spiritato Gajeel con gli occhi sbarrati. – Che succede?!
- Hai una pantera in casa?!
- Oh – mormorò lui, raddrizzandosi. Aveva temuto che fosse successo qualcosa. – Già.
- Ed è addomesticata? – bisbigliò Levy, contenendo la voce per non urlare. Si era raggomitolata per allontanarsi dall’animale, ma questo sembrava provare una certa attrazione per la ragazza e salì sul divano con lei.
- Ti ha mangiata?
- No…
- Morsa?
- No…
- Condita?
- Condita? – ripeté lei, basita, prima di urlare perché la pantera le aveva posato la testa in grembo. Alzò lo sguardo e fissò con orrore Gajeel.
Lui scrollò le spalle, come se tutta quella situazione fosse normale, e andò in cucina. – Vuoi del tè?
- Della camomilla! – rispose lei con un filo di voce. – Tanta camomilla – ripeté, a se stessa questa volta.
Pochi minuti dopo, il ragazzo mise un vassoio sul tavolino basso davanti al divano. Due tazze bianche stavano fumando a causa dell’acqua bollente, e l’odore soave della camomilla si spanse velocemente per la stanza. Gajeel prese una tazza e la porse a Levy.
- Attenta, scotta.
- Grazie – rispose lei, afferrando il manico bianco cercando di non muovere troppo la testa della pantera, sopita.
- Direi che gli piaci.
Levy lo osservò, bloccandosi. Poi capì. – Oh, è un lui?
- Sì. Pantherlily.
Gajeel snocciolò una storiella inventata sui permessi che aveva dovuto ottenere per avere una pantera in casa, le conoscenze giuste all’interno della burocrazia e la forza di volontà. Ma Levy, la storia vera, la sapeva benissimo.
- Di te cosa mi dici? – chiese lui, seduto sul tappeto. Non era un gran conversatore, infatti le aveva parlato di Pantherlily a spizzichi e bocconi.
- Io ho un canarino di un insolito colore blu. E prediligo la camomilla con il miele…
Senza parlare, Gajeel posò la sua tazza sul tavolo e, presa quella di Levy, si allontanò in cucina.
Fulmineamente la ragazza tirò fuori dalla tasca della gonna una fialetta e la versò nella camomilla sul tavolo. Pantherlily si agitò e mugolò.
- Buono, buono – lo ammonì lei accarezzandogli la testa. – Vedrai che Gajeel si divertirà…
Un ghigno le fiorì sulla faccia, ma appassì immediatamente quando il ragazzo tornò.
- Ecco a te.
- Grazie – disse accoratamente lei, fissandolo intensamente.
Nei minuti successivi parlarono di cose futili come il lavoro (bugie da entrambe le parti), famiglia (mezze bugie) e loro stessi (più verità di quanta avrebbero dovuto), e Levy scoprì di trovarsi bene in sua compagnia. Non era un orso brutale come nel lavoro, e riuscì ad intravedere un lato dolce sotto a quella scorza ruvida.
- Sei molto carina – ammise lui dopo averla fatta ridere.
Levy si fermò con la tazza ad un soffio dalla bocca.
- E poi il tuo sedere è perfetto.
Con il sorriso di vittoria coperto dalla tazza, Levy gli lanciò una sguardo languido. – Ah sì?
Il rosso degli occhi di Gajeel si fece liquido, sciolto come la sua lingua. – Tu non sai quanto desideri…
Pantherlily ringhiò, bloccandolo.
Levy ridacchiò, sporgendosi verso di lui. – Dimmi qualcos’altro. Qualche altra verità – lo spronò.
- Così chinata ti si vede il reggiseno.
Levy si raddrizzò in un baleno, rossa in viso.
- Parlami ancora di Pantherlily.
- Me lo ha regalato Jose, il mio capo.
- Non avevi detto di averlo ottenuto dopo anni e anni di richieste?
- Bugia – biascicò lui, ridacchiando come un ubriaco. – Me lo sono fatto regalare in cambio del mio lavoro. Sono bravo nel mio lavoro. Il migliore. E io volevo tanto una pantera e Jose è stato l’unico a volermela dare, quindi lavoro per lui, anche se è troppo brusco e dispotico.
- Chi ha detto che sei bravo nel tuo lavoro?
- Tutti. Io lo so, Jose lo sa. Persino la Polizia Segreta mi voleva. Sai dove altro sono bravo? – chiese fissandola con troppa consapevolezza nello sguardo.
Levy deglutì.
- A letto – rispose lui in un soffio, avvicinandosi a lei.
Rossa in viso, la ragazza si schermò da Gajeel usando la pantera, e cercando di soffocare la voglia che dallo stomaco le stava arrivando al cervello. – Non ne dubito, ma…
- Vuoi vedere?
Qui finisce male, pensò Levy, a corto di respiro, mentre lui si toglieva la maglia.
- No, no, vestiti. Ho bisogno che mi parli della Lacryma.
Un ghigno infantile da bambino furbo comparve sulle sue labbra. – L’ho rubata io – disse, prima di iniziare a ridacchiare. – Ti ho detto che sono bravo.
- Già, lo ammetto. Ma ora dov’è?
- Ce l’hanno gli altri. È su un aereo e me la consegneranno a casa sabato. Domenica devo portarla a Jose. Magari mi regalerà un cucciolo di tigre.
- Lo spero per te. Perché hai fatto trasportare una potenziale arma di distruzione di massa in aereo?! – esclamò poco dopo.
- Può fare anche del bene, non è solo un’arma – la corresse lui, le palpebre che si aprivano e chiudevano asimmetricamente. – Se l’avessi portata con me sarebbe stato pericoloso. Sai, per via dei ladri e della Polizia Segreta. Quelli di Fairy Tail sono stupidi, ma furbi. Invece è nel luogo più improbabile. Quando mi arriverà la metterò nel caveau di camera mia e poi la porterò a Jose. Magari mi regalerà un cucciolo di tigre – ripeté, pensieroso, senza badare a ciò che diceva.
Levy sospirò. – Come si accede al caveau di camera tua?
- Sotto al letto c’è una placca di metallo. La rimuovi e premi il pulsante che fa ruotare il camino. Poi inserisci la password e sei dall’altra parte.
- Che password è?
- Farfalline e micetti.
- Gajeel, so che sono teneri, i gattini, ma mi devi dire la password.
- Farfalline e micetti – ripeté lui, stizzito.
- Oh.
Sì, Levy era un po’ stupita.
L’effetto della droga che gli aveva somministrato era un mix di siero della verità e cancella-memoria. La mattina avrebbe dimenticato tutta la conversazione.
- Sei stato un bravo gattino, grazie Gajeel.
- Mi dai un bacino? – implorò lui.
A Levy scappò da ridere di fronte alla sua espressione. Si alzò, si inginocchiò di fianco a lui mentre Lily ringhiava piano per la perdita del suo cuscino, e lo baciò sulla guancia. Quando lo fissò negli occhi vide l’effetto del siero sparire e in un lampo di lucidità Gajeel si avventò sulla sua bocca, reclamandola con gelosia e passione, brutalità e morbidezza. Prima di riuscire a pensare a ciò che stava accadendo, Levy si ritrovò in camera sua, sul suo letto, ingabbiata tra le sue braccia e il suo tonico petto nudo. Lo fissò in volto e notò la scintilla di desiderio che divampava come un fuoco, e allora capì che, al contrario di ciò che aveva detto Mavis, si sarebbe dovuta svendere.
Poi si rese conto che in realtà lei lo voleva. Non era obbligata, non era un atto coercitivo. Per cui si abbandonò a lui e si godette quella notte tra le sue braccia che sapevano di casa.
 
Nei giorni successivi non fecero altro che messaggiare, pranzare insieme e vedersi di sera a casa di uno dei due. Levy credeva che l’interesse di Gajeel sarebbe svanito all’alba della mattina seguente, ma così non fu. Il ragazzo l’aveva tenuta occupata facendole fare tardi al lavoro, le aveva rubato il numero di cellulare e la promessa che sarebbe tornata da lui quella sera.
Il sentimento che aveva letto nei suoi occhi doveva essere uno specchio di quello che provava lei, perché non aveva riflettuto e aveva detto di sì in un attimo.
- Pantera Nera – commentò Lucy il venerdì mattina, leggendo il destinatario del messaggio che Levy stava inviando. Poi scosse la testa come per cercare la lucidità di cui aveva bisogno. – Aspetta un attimo. Quella Pantera Nera?!
Levy arrossì e mise via il cellulare.
- Ma sei matta? Ti ricordi che ha fatto saltare in aria un reparto della Fairy Tail?
- Erano gli ordini… - lo giustificò lei.
Lucy strabuzzò gli occhi. – Non è che comprometterai la missione?
- Oh, no! No. Anzi, procede così bene proprio per questo.
- Lui non ricorda di essere stato drogato?
Levy avvampò ripensando a cosa lui ricordava di quella notte. E di quella successiva. E quella dopo.
- N-neanche lontanamente.
- Bene allora. Andiamo da Mavis ad ascoltare il piano per domani.
L’amica la seguì in silenzio mentre andava a chiamare Jet e Droy. Insieme presero l’ascensore e si diressero nell’ultimo piano sotterraneo, dalla Fata.
- Avanti – rispose lei, dopo che ebbero bussato.
I quattro agenti entrarono e si fermarono davanti alla scrivania, in piedi.
- Ordini pure, Fata – disse Levy.
- Bene, il piano è questo. La Lacryma arriverà con un corriere pagato apposta per viaggiare di sabato, mossa scaltra, devo dire, perché nessuno si aspetterebbe di vedere girare in furgone una cosa così importante. Alle cinque in punto Pantera Nera la sistemerà nel caveau e alle dieci di sera uscirà per comunicare a Jose il luogo dell’incontro di domenica. Per non essere intercettato lo farà passando un biglietto ad un uomo fidato. Questo lo abbiamo saputo ieri grazie ad Uccello Blu. In quel lasso di tempo di dieci minuti, Uccello Blu dovrà entrare in casa usando le chiavi di cui ha fatto la copia, e disattivare l’allarme che sicuramente Pantera Nera avrà impostato. Spirito Stellare dovrà fare da palo mentre Flash e Porchetta - disse fissando Jet e Droy, - saranno appostati sul tetto con il fucile di precisione ben puntato all’interno della casa. Poi un nostro aereo verrà a prendervi pochi tetti più in là e vi porterà in un luogo sicuro. Tutto chiaro?
Quattro teste annuirono.
- D’accordo. A domani, per oggi siete congedati. Riposate bene.
I ragazzi uscirono e discussero brevemente dei dettagli nell’ufficio di Levy. Poi arrivò il momento di andare a casa: avevano tutto il pomeriggio disponibile.
- Pranziamo insieme? – chiese Jet.
- Pranzare… - ripeté Droy con aria trasognata.
- Mi dispiace, io ho un impegno – rivelò Lucy.
- Tu, Levy? – chiese allora Jet, con la voce così intrisa di speranza da sembrare patetica.
Ma la ragazza stava sorridendo scrivendo al telefono, e non si sarebbe accorta nemmeno dell’arrivo di un cane ringhiante.
- Levy? – la riscosse Lucy.
- Sì?
- Vieni a pranzare con noi? – domandò Droy.
- Oh, ehm… magari un’altra volta, ora sono… impegnata. Devo scappare, ciao.
Uccello Blu volò via arraffando in fretta la borsa e sorridendo di gioia all’idea di rivedere il ragazzo che stava per derubare.
 
- Lavori oggi? – chiese Gajeel posando un delicato bacio sulla spalla nuda di Levy, svegliandola.
Era sabato mattina e di lì a poche ore sarebbe dovuta entrare in azione.
Lei sorrise e rotolò su se stessa fino a trovarsi sdraiata sopra il ragazzo, con la testa posata sul suo petto caldo. Sospirò quando sentì il suo cuore accelerare i battiti.
- Gamberetto? – la richiamò lui.                      
Levy era in uno stato di beatitudine tale da poter ignorare quell’orribile nomignolo. – Mh?
- Lavori oggi?
- Shì… - farfugliò. – No. Forse. Tu che piani hai?
- Io devo andare via alle cinque del pomeriggio.
- Ah. Be’, allora mi porti a pranzo e poi mi accompagni al lavoro. Va bene?
Gajeel farfugliò qualcosa di inintelligibile che Levy interpretò come una conferma.
- E ora che facciamo? – domandò lui poco dopo, giocando con i suoi capelli.
- Dormiamo – biascicò la ragazza ad occhi chiusi, la faccia spalmata sul collo del suo nuovo ragazzo.
- Io pensavo a qualcosa di più impegnativo. Tipo mangiare…
Le morse delicatamente la spalla e iniziò a spostarsi lentamente verso il suo collo.
- Mangiare cosa? – chiese Levy, che aveva la leggerissima impressione di pensare una cosa diversa da lui.
- Quello che vuoi.
- Io voglio la colazione.
- E io voglio te – sussurrò vicino al suo orecchio.
Levy si svegliò del tutto con il brivido che le attraversò la schiena, e inclinò la testa per permettergli un maggiore accesso alla sua pelle. Gajeel ghignò e dal collo risalì sino alla mandibola. Ad un soffio dalle sue labbra, lei lo bloccò con un dito. I suoi occhi color nocciola erano inaspettatamente accesi di desiderio, e il ragazzo sentì più che mai di aver perso la testa per quella consulente amministrativa dai capelli blu che aveva conosciuto appena una settimana prima.
- Io mangio la colazione e poi tu potrai addentare quello che vorrai. Va bene? – propose Levy con il divertimento negli occhi.
- Ti farò ingrassare come un maialino – rispose lui dirigendosi in cucina.
 
- Questa sera vieni da me? – chiese Levy sulla soglia di casa, pronta per andare a pranzare con Gajeel.
La sua voce arrivò attutita dal bagno. – Ho da fare questa sera. Se vuoi proprio che venga, arriverò tardi.
- Allora non vieni? – ripeté, tastando il terreno per assicurarsi che non facesse un’incursione in casa sua mentre lei era a riportare la Lacryma ai legittimi proprietari. Non sarebbe stato carino far saltare la copertura.
- Lo so che sei disperata senza di me, quindi aspettami. Per mezzanotte ci sono!
Cavolo. – No, senti, non fa nulla. Vieni da me domani sera, oggi devo andare a letto presto perché domani mattina ho da fare!
- Ma domani è domenica – le ricordò avvicinandosi all’entrata e afferrando le chiavi di casa.
- Vuol dire che ci vedremo nel pomeriggio – continuò lei, sperando di essere decisa.
Gajeel sospirò. – D’accordo.
La prese per mano e si avviò verso il ristorante che era a metà strada esatta fra le loro case.
Non sapeva come fosse successo, ma quella ragazza l’aveva preso così tanto che l’idea di dormire solo con Pantherlily gli faceva venire freddo in fondo al cuore.
 
- Flash a Uccello Blu, io e Porchetta siamo in posizione, passo.
Ricevuto l’avviso, Levy sfruttò le ombre notturne per mimetizzarsi nel giardino di casa di Gajeel. A momenti sarebbe dovuto uscire per incontrarsi con il messaggero, e avevano dieci minuti esatti per entrare in casa, aprire il caveau e scappare sul tetto con la copertura armata di Jet e Droy a poca distanza. Lucy era dalla parte opposta del giardino, vestita di nero e verde per mimetizzarsi nella notte. Levy aveva dovuto optare per qualcosa di meno sospetto, perché dalla strada l’entrata di casa di Gajeel era ben visibile e una figura avvolta in una tuta nera con cintura dotata di fondina e rampino era… leggermente preoccupante. Così aveva indossato dei jeans elastici marroni e una giacca arancione con uno zainetto dello stesso colore dei pantaloni, con gli attrezzi necessari a disattivare l’allarme e mettere al sicuro la Lacryma.
Pochi minuti dopo, alle dieci precise, Gajeel chiuse la porta con un doppio giro di chiavi e si allontanò circospetto. Dopo trenta secondi, appena la porta di casa fu invisibile dal posto in cui era, Levy corse alla porta e tirò fuori dallo zaino le chiavi. Se anche qualche vicino l’avesse riconosciuta, non si sarebbe allarmato: era la sua ragazza. Lucy sgusciò fuori dalle ombre del giardino e si avvicinò silenziosamente alla casa, restando in ombra, i capelli biondi nascosti sotto al cappuccio della tuta aderente.
- Via libera – le sussurrò.
La serratura scattò e Levy entrò facendo un solo passo. Farne due avrebbe comportato far scattare l’allarme. Afferrò dallo zaino cacciavite e grimaldello e, attenta a non muoversi troppo, svitò il pannello quasi invisibile sopra all’interruttore della luce. Una volta che i circuiti furono ben visibili, digitò il codice che aveva visto inserire da Gajeel e un click sommesso le fece capire che non c’erano più pericoli. Avevano impiegato tre minuti. Se avesse avuto il telecomando sarebbero serviti pochi secondi, ma era già un lusso avere la copia delle chiavi di casa. Lucy scattò ed entrò in casa, attenta a non farsi vedere, pochi attimi prima che Levy chiudesse.
- Fuori pericolo – mormorò la ragazza. – Questa missione è fin troppo… ah!
Levy le tappò la bocca prima che l’urlo diventasse acuto e prolungato, e la fulminò con lo sguardo.
- Se urli non potrò impedire a Lily di sbranarti – sibilò.
Cautamente tolse la mano dalla bocca dell’amica e questa si rifugiò dietro di lei.
- Avevi detto che non c’erano più problemi dopo l’allarme. Invece… aspetta, Lily? – mormorò, passando dal panico allo sbalordimento.
Levy si avvicinò con naturalezza all’animale e gli accarezzo la nuca, grattandogli le orecchie.
Gli occhi di Lucy rischiarono i sfuggirle dalle orbite quando il felino iniziò a fare le fusa.
- Che? Cosa?! Aspetta, lui… tu…
- Tieni stretti gli amici e ancora più stretti i nemici – recitò Levy ridacchiando, avviandosi verso camera di Gajeel. – Be’, io l’ho fatto durante questa settimana.
Lucy, dopo alcuni istanti di sgomento, seguì la collega quasi in trance, mentre le sue gambe si muovevano da sole.
- Levy – la chiamò, inducendola a voltarsi verso di lei posandole una mano sulla spalla. L’amica la osservò picchiettandosi l’orologio sulla mano. Avevano cinque minuti. – Tu agisci, io parlo.
- Io agisco, tu fai da palo o nessuna delle due vedrà l’alba di domani – le ordinò Levy chinandosi per raggiungere il pavimento sotto il letto, mentre Pantherlily la osservava con curiosità.
- Non è che lui ti ha preso troppo? Insomma, è un criminale. È nostro nemico.
- E allora? – chiese lei azionando il pulsante che fece ruotare il camino.
- Mi preoccupo per te. Temo che se lui verrà arrestato ci rimarrai solo male. Non voglio vederti soffrire.
- Tranquilla, non accadrà. Fairy Tail offrirà a Gajeel un posto di lavoro in cambio della libertà. Fedeltà assoluta. Solo nel caso in cui però venga fatto mettere in prigione. Altrimenti a me va bene combattere contro di lui. Rende la cosa più eccitante – mormorò inserendo la password “farfalline e micetti” nello schermo del camino. Salutò Lucy con la mano e sparì nel caveau, mentre la stanza tornava ad essere una normalissima camera da letto.
Avevano solo quattro minuti. Levy scese dalle scale che portavano al piano interrato e cercò di non perdere tempo osservando tutto quello che c’era in quella stanza. Avrebbe tanto voluto visitarla meglio. Invece puntò al pacchetto anonimo posato su una scrivania e lo scrutò. Doveva essere quello, perché recava i francobolli e le firme di diversi posti, tra cui il Marocco, da dove proveniva la Lacryma. Afferratolo, risalì di corsa le scale e imprecò. Non si era fatta spiegare come uscire, era in trappola.
Però pochi secondi dopo notò che lo schermo dove inserire la password era proprio davanti a lei. Digitò e si trovò dall’altra parte.
- Sta tornando, ha fatto prima – bisbigliò Lucy, in preda al panico.
Levy si bloccò con le dita a mezz’aria. Stava inserendo un’altra volta la password per far tornare il camino allo stato normale. – Perché non me l’hai detto prima?! – sibilò. Poi premette il pulsante della ricetrasmittente e sentì le voci concitate di Jet e Droy direttamente nell’orecchio. – Flash, Porchetta, perché non mi avete avvisata prima?!
- Ci abbiamo provato, ma non hai risposto!
- Hanno ragione – si intromise Lucy. – Hanno contattato me e io non sono riuscita a parlare con te.
- Una stanza anti-intercettazione – farfugliò Levy, stupita. – Che stupida sono stata a non averci pensato.
- Che facciamo?! Fra trenta secondi entrerà!
- Via. Dalla finestra. C’è il tubo della grondaia sulla sinistra – rispose repentinamente l’amica, la mente lucida e il sangue freddo che tutti le invidiavano in missione. Avrebbe potuto tradurre un testo di greco antico in mezzo ad un bombardamento senza battere ciglio.
In dieci secondi Lucy era già sul tetto e stava correndo per raggiungere Jet e Droy. Levy mise un piede sullo stipite, ma qualcosa la bloccò. Una mandibola, per essere precisi.
Pantherlily la stava trattenendo.
- Ehi, bello, tranquillo, ci rivediamo domani. Ho una cena a lume di candela con il tuo padrone, che non saprà mai che gli ho rubato da sotto il naso la cosa più preziosa che ha. Magari lo licenziano, così faccio in modo che lo assumano da me.
La pantera le leccò la mano con cui lo stava accarezzando e Levy sorrise. Poi sentì dei passi felpati mettere piede in casa e si fiondò fuori dalla finestra. Non aveva tempo per chiuderla: l’avrebbe vista in ogni caso, per cui valeva la pena di avvantaggiarsi nella fuga.
Gajeel fu in camera da letto in pochi e rapidi passi. Non aveva sospettato nulla, ma un senso di inquietudine lo aveva attanagliato quando Pantherlily non gli era andato incontro sulla porta di casa. E poi si era accorto che l’allarme era disinserito. Non perse tempo ad andare nel caveau perché la finestra aperta di camera sua parlava da sola. Così si fiondò fuori e, senza nemmeno aggrapparsi alla grondaia, fu sul tetto.
E vide l’ultima cosa che si aspettava.
Non disponibileCapelli azzurri mossi dal vento, trattenuti sulla sommità della nuca con una fascia arrotolata di un pallido rosso. Gelidi occhi nocciola resi più scuri dalla notte, così diversi da quelli caldi che aveva imparato ad amare in pochi giorni. Sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione e mandibola stretta come chi vede i propri piani crollare e diventare cenere.
Uccello Blu.
Levy.
La sua fama era fra le più note all’interno delle gang della malavita e il suo nome non era sconosciuto nemmeno a Jose in persona. Faceva parte della Polizia Segreta, Fairy Tail. Era conosciuta quanto Salamander, un genio delle esplosioni, Spirito Stellare, la bionda così brava nel mimetismo notturno che non sarebbe stata visibile nemmeno se qualcuno ci avesse sbattuto contro, l’Alchimista, un tizio che poteva svolgere missioni al Polo Nord senza nemmeno bisogno di un cappotto, la Bestia, un ragazzo albino dai muscoli così pronunciati da sembrare addirittura non umano, e altri come Titania, la peggiore di tutti, il Demone, che si diceva fosse sorella della Bestia, e il Fulmine, nipote del secondo in comando.
I maghi di Fairy Tail. Maghi nel loro lavoro. Fairy Tail aveva solo il meglio tra le proprie file.
E la sua ragazza era, ovviamente, il meglio.
Un puntino rosso comparve sulla maglia di Gajeel, proprio all’altezza del cuore, e il ragazzo capì subito: un fucile ad alta precisione che puntava direttamente a lui. Un passo falso e per lui sarebbe stata la fine. Con la sua semplice camicia di jeans e la fascia rossa tra i capelli corvini, fissò con astio la ragazza appollaiata sul suo tetto, in procinto di saltare su quello più in basso. Non avrebbe potuto rincorrerla nemmeno se avesse voluto, perché avrebbe dovuto lottare contro di lei.
Alle loro spalle, le luci della città americana illuminavano la notte impedendo alle stelle di rifulgere. Solo poche avevano l’ardore di combattere e mostrarsi in tutta la loro bellezza.
- Spirito Stellare è con noi, Uccello Blu. Puoi scappare – comunicò Porchetta direttamente nell’orecchio di Levy.
E Gajeel, che aveva un udito sopraffino, lo sentì.
Aveva perso.
Non disponibileIl ghigno che di solito occupava il suo volto venne sostituito dalla smorfia sanguinaria che doveva avere in battaglia. Il muto ringhio ferino che, Levy dovette ammetterlo, le dava i brividi. Doveva ancora decidere se di piacere o di paura. Lei gli regalò un mezzo sorriso di vittoria, e si lasciò cadere, svanendo nel nulla, così com’era comparsa nella sua vita.
- Dannato Uccello Blu – ringhiò sommessamente.
 
L’aereo era arrivato quasi subito e Gajeel era rimasto sul tetto a maledire se stesso e la razza femminile.
Poi aveva deciso che gironzolare per casa non aveva senso, la sua inquietudine non si sarebbe calmata. Aveva bisogno di sfogarsi e frantumare qualcosa, oppure di passare una notte con l’unica ragazza che aveva il potere di calmarlo.
Tirò un pugno al muro mentre una nuova ondata di rabbia lo assaliva.
Stupido, è una dannata traditrice, ricordò a se stesso.
Avrebbe dovuto chiamare Jose. Avrebbe dovuto scappare.
O avrebbe dovuto cambiare lavoro.
O semplicemente datore di lavoro, pensò all’improvviso.
Ghignando, fece velocemente la valigia con le cose essenziali a cui non avrebbe mai rinunciato, caricò tutto in macchina e fece salire anche Pantherlily, non inserì l’allarme e scappò nella notte.
 
Levy rientrò in casa sospirando, vestita ancora con gli abiti che aveva indossato durante la missione. Avevano brindato, al lavoro, per la riuscita della missione, e durante la piccola festicciola si era scatenata una rissa, ovviamente partita da Salamander. La ragazza sorrise ripensando ai suoi colleghi di lavoro e amici, che erano come una famiglia e che non avrebbe scambiato con nulla al mondo.
L’affetto per loro le fece immediatamente pensare ad un altro tipo di sentimento, molto più intenso, fisico e travolgente.
Gajeel.
Chissà com’era finita la storia. Sperava che il suo furto non gli avesse fatto passare dei guai. Si rese conto solo allora del fatto che aveva compromesso una missione per lui di vitale importanza.
Sospirò e calciò via le scarpe. Si tolse la giacca e l’appese all’entrata, rimanendo in canottiera nera con i bordi di pizzo sopra ai jeans marroni.
Vide arrivare Pantherlily, cauto e circospetto, e si chinò ad accarezzarlo sorridendo.
Il felino, che doveva aver intuito la marachella combinata dalla giovane, si lasciò coccolare, facendole capire che l’aveva perdonata.
- Si aggiusterà tutto, vero? – gli sussurrò.
La pantera le leccò la mano in risposta.
Levy alzò lo sguardo e solo allora si ricordò di essere a casa sua. Sgomenta, riaprì la porta e controllò fuori. Sì, era proprio casa sua.
Ma cosa ci faceva Pantherlily lì?
Un brivido di terrore le percorse la schiena. Fece cenno a Lily di fare silenzio e, silenziosa come un ladro, si avvicinò a camera sua. Tirò fuori la pistola dalla fondina e, uscendo allo scoperto, si posizionò davanti alla porta a gambe divaricate, due mani sulla pistola per evitare il rinculo dello sparo e un occhio chiuso per prendere meglio la mira.
Come non immaginava, Gajeel era stravaccato sul suo letto a baldacchino pieno di cuscini, e sfogliava con aria annoiata un libro. A petto nudo.
Erano le due di notte.
Gajeel alzò lo sguardo quasi per caso e osservò con aria impassibile la ragazza che amava, che lo aveva derubato e ora gli stava puntando una pistola alla tempia. Più o meno.
- I ruoli dovrebbero essere invertiti, Gamberetto. O dovrei chiamarti Canarino? Uccellino? Uccello Blu? – chiese con calma, l’aria rilassata e disinteressata di sempre.
Levy abbassò la guardia, basita. Pensava che la volesse uccidere. Credeva che le avesse teso una trappola, non che fosse andato a rifugiarsi sotto alle sue coperte!
- Cosa fai qui? – chiese, non riuscendo a mascherare lo stupore nella sua voce.
- Mi avevi detto che potevo venire sul tardi.
- No! – esclamò lei abbassando le braccia e la pistola. Quella conversazione era assurda. Insomma, erano nemici! – Ti avevo detto che avevo da fare oggi e che dovevi venire domani pomeriggio.
- Oppure era tutta una balla per coprire la tua vera identità… - continuò lui fissandosi la mano guantata, aprendola e chiudendola come a volerne saggiare le giunture e i tendini.
Levy deglutì. – Non avresti dovuto scoprirlo. Ho… parzialmente fallito la missione.
- Ah, quindi volevi solo portarmi a letto per estorcermi informazioni, nascondendomi la tua vera natura, signorina consulente amministrativa – disse, sottolineando la bugia che gli aveva propinato. – Magari non ti chiami nemmeno Levy.
La ragazza abbassò la testa.
- Tsk. Immaginavo. Dimmi, quanto c’è di vero in tutto quello che mi hai detto in questa settimana? Ti chiedo della verità perché la risposta sarà sicuramente più breve che se ti chiedessi delle tue menzogne.
- Io…
- Forse semplicemente non risponderai perché non c’è niente di reale e concreto in questa settimana!
Levy si sentiva in colpa.
Perché lo amava davvero.
- Non rispondi, eh? – sibilò, ogni parola una stilettata d’odio. – Come pensavo. Be’, spero che almeno le tue espressioni a letto fossero vere, o hai finto pure quelle?
La ragazza strinse i pugni e alzò la testa, incatenando gli occhi ai suoi. Quelli cremisi di lui, in cui lei vedeva un fuoco invisibile agli altri, la sciolsero il lacrime. E Gajeel mutò brevemente espressione, lasciando intravedere lo sconcerto. Ma fu solo un attimo.
- Puoi smetterla di fingere, ora. Non serve che continui la farsa – sputò con acredine.
Ma Levy era corsa tra le sue braccia prima che lui se ne rendesse conto, le labbra premute contro le sue, le lacrime calde e salate che colavano sulle sue guance ruvide.
Gajeel la respinse.
- Aspetta, ti prego – lo supplicò Levy, sdraiandosi su di lui. Nascose il viso sul suo collo per non vedere la rabbia nei suoi occhi. E per non lasciar affiorare il dolore nel sentirlo lontano, le sue braccia che non la toccavano, la sua pelle che sembrava ritrarsi da lei. – Era tutto vero – ammise con la voce soffocata. – Tutto. Tranne ovviamente la parte del lavoro. È stato tutto vero sin dall’inizio, sin dalla prima notte, dopo averti drogato.
Gajeel aprì la bocca per parlare, ma la richiuse. Drogato? Ecco come aveva fatto a sapere tutte quelle cose su casa sua.
- Ed è vero quello che ti ho detto l’ultima volta che siamo stati insieme.
- Che non ti piace il sushi? – farfugliò lui.
Lei ridacchiò. – No. Che ti amo. E in queste ultime ore sono stata solo in pensiero temendo che ti avessero fatto del male.
- Nah – bofonchiò lui, indeciso se crederle o meno.
Poi ripensò a quello che avevano passato insieme, a quell’ultima settimana che era stata la più bella e sincera e significativa della sua vita, ai suoi occhi luminosi incapaci di mentire. E si rese conto che si erano adombrati solo quando gli aveva parlato brevemente del suo lavoro, quello fittizio, quello falso. Quella luce spontanea l’aveva vista sempre, tranne in quell’occasione. E allora capì che non gli stava più mentendo.
- Quindi sto con una degli agenti segreti più richiesti del settore? – chiese, lasciando scivolare una mano sulla sua schiena e posando l’altra sulla sua nuca.
Levy alzò la testa di scattò e lo fissò, le iridi annacquate e arrossate, il viso rigato. – Non mi odi?
Gajeel fece spallucce e appoggiò la fronte sulla sua, facendo sfiorare i loro nasi. Chiuse gli occhi, e altrettanto fece lei.
- Come potrei odiarti? Sei l’unica donna che ho conosciuto capace di drogarmi. Letteralmente – bisbigliò sghignazzando.
Levy sorrise. – E ora cosa farai?
- Sono scappato, ho ottenuto la pantera, quindi non c’è più nulla che mi leghi a Phantom Lord. Pensavo ad un… cambio di capo.
- Cosa intendi? – chiese lei, scostandosi.
- Be’, magari è ora di provare il fronte della legalità, no? Da te cercano personale?
Levy sgranò gli occhi. – Ti assicurerebbero alla giustizia – disse, anche se aveva già preparato un piano di eventuale assunzione.
- Non credo. Chiederei l’immunità penale e processuale e l’assunzione senza vincoli in cambio di una piccola informazione riservata – la rassicurò riavvicinandosi a lei.
- Quale? – sussurrò lei ad un soffio dalle sue labbra.
- L’ubicazione del QG della Phantom.
Levy spalancò la bocca e fece per ritrarsi nuovamente, ma la mano di Gajeel glielo impedì e le premette la nuca contro la sua, divorandole le labbra. La ragazza rispose al bacio con tutta se stessa, mettendosi a cavalcioni su di lui e tirandolo a sedere con sé. Gajeel la strinse forte facendo aderire ogni lembo della loro pelle, infilandole le mani dentro la canottiera, a contatto con la schiena calda. Solo quando lui passò al suo collo, Levy si riscosse.
- Sono anni… che la cerchiamo… - ansimò, artigliandogli le spalle.
- Lo so – farneticò lui sulla sua pelle.
- E sei… sicuro che… ah! – esclamò dopo un morso. – Che ti accetteranno?
Gajeel sbuffò. Quando aveva voglia di chiacchierare non c’era niente da fare per bloccarla.
- Con una buona referenza sì.
- E chi sarebbe questo… oh – realizzò. Era lei che doveva mettere una buona parola. – Okay. Allora lavoreremo insieme?
- Se tutto va come deve andare, sì. Contenta?
In risposta Levy riprese il bacio lì dov’era stato interrotto, con l’intento di non parlare più per molto, molto tempo, se non per mormorare qualche frase sdolcinata.
- Vedi di tenere le tue mani lontane dal mio sedere, al lavoro – lo avvisò poco dopo.
Gajeel ghignò. – So essere molto furtivo.
Levy gli tirò una ciocca di capelli e sorrise di fronte al futuro che le si apriva davanti.
Tieni stretti gli amici e ancor più stretti i nemici.
E se il tuo fidanzato è entrambe le cose, be’… diventa un koala.
 
 
 
MaxB
Io adoro questa storia. Non quella che ho scritto io, ma la versione di Gajeel e Levy nei panni degli agenti segreti. Ci sta troppo.
Mh… nient’altro da dire ahahaha.
Fairy Tales non la concluderò finché non mi si esaurirà la fantasia.
A presto,
MaxB



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