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Autore: Ellery    11/08/2016    2 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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13. Ossessione
 

Marzo 1942. Fronte Occidentale, Francia. Base tedesca.
 

Weilman scagliò una bottiglia di Bourbon nel caminetto ancora acceso, godendo del sibilo del fuoco. Il poco vino rimasto evaporò immediatamente con un piccolo scoppio, ravvivando le fiamme e gettando ombre sinistre sulla stanza.

L’ufficio del capitano era semplice, stretto e buio: nessuna finestra, se non una feritoia appena sopra un vecchio arazzo. Non vi era altro che una scrivania malmessa, ingombra di carte e volumi pesanti; una poltrona di pelle era accomodata davanti al focolare e, al momento, ospitava la figura crucciata dell’ufficiale.

Quella puttana l’aveva fregato! Se n’era andata di buon mattino, prima che potesse fermarla.
Al suo risveglio, si era trovato davanti un dottoruncolo tremante, che gli aveva consegnato un telegramma dalla capitale: Berlino autorizzava la rimozione del Maggiore Smith dai suoi compiti ed affidava a Herr Kapitan il controllo completo sulla base di Arras. Al medico Zoe, inoltre, veniva accordato il trasferimento a Bruxelles.

All’inizio, quelle notizie lo avevano rincuorato: si sarebbe disfatto di due piantagrane in un colpo solo! Avrebbe scacciato Fraulein Hanji con il massimo del disonore, costringendola ad abbandonare lì tutte le sue ricerche; avrebbe bruciato i suoi appunti e libri, prima di sbatterla fuori dalla caserma, senza neppure un mezzo di trasporto. Anzi, senza concederle il lusso di fare la valigia. L’avrebbe allontanata immediatamente, obbligandola a camminare nel freddo del mattino e nel buio della notte. Quanto a Smith… lo avrebbe fatto arrestare e rinchiudere nei sotterranei; poi si sarebbe dedicato all’Inglese. Magari avrebbe permesso al Maggiore ad assistere al trattamento speciale che aveva in mente per lo sfortunato pilota. In fondo, ogni uomo aveva un punto debole, persino l’intoccabile Herr Smith. Sarebbe stato divertente.

Aveva già stappato una bottiglia di liquore, pronto a festeggiare, quando una sentinella era corsa nel suo ufficio: Ackerman era fuggito e non vi era traccia nemmeno di Smith. Zoe se n’era andata e così il suo fidato barelliere.  Come era possibile? Ridicolo! Come avevano potuto organizzare un piano di fuga? Aveva piazzato soldati ad ogni porta… qualcuno di corrotto li aveva lasciati passare? Probabile.
Il suo piano era sfumato immediatamente in una nuvola di rabbia. Quegli stronzi gliel’avrebbero pagata! Si sarebbe vendicato. Avrebbe inseguito il Maggiore fino in capo al mondo: lo avrebbe cacciato come una volpe fa con un coniglio; braccato, stanato e allora…si sarebbe preso la sua rivincita. L’Inglese? Era con lui, senza dubbio. Dove erano diretti? Probabilmente alla Repubblica di Vichy, unico territorio ancora indipendente. Avrebbe dovuto muoversi ed intercettarli. Si era fatto portare delle mappe e le aveva studiate a fondo, per tutto il pomeriggio: l’unica strada conduceva da Arras a Parigi, piegando poi per Orleans. Era la via più facile e diretta, quella che sicuramente avrebbero percorso; quella che anche lui avrebbe seguito, nella spietata ricerca. Li avrebbe trovati, quei figli di puttana! E allora…
 

Si versò un bicchiere di liquore, svuotandolo di un fiato. L’alcool era ristorante e confortante. Sentiva già la testa più leggera e la fantasia pronta a galoppare a briglia sciolta.

«Non posso arrendermi, non ora» sussurrò, spiando le braci nel caminetto «Pensi di avermi fottuto, Smith? Pensi d’avermi messo nel sacco… allora sei uno stupido. Non ti lascerò andare. Sei la mia preda, ora» sorrise, alzandosi dalla poltrona e sgranchendosi le gambe. Cos’era quella sensazione che gli galleggiava alla bocca dello stomaco? Un’ossessione. Non intendeva lasciar correre: Smith lo aveva offeso per l’ultima volta. Quel bastardo aveva, infine, commesso un errore: era fuggito, macchiato dalla codardia. Catturarlo sarebbe stato semplice ed appagante: lo avrebbe raggiunto a Parigi e scovato. Non importa quanto tempo ci sarebbe voluto. Sarebbe tornato a Berlino da vincitore, coperto di onori, pronto a ricevere una promozione ed a stringere la mano al Fuhrer. Avrebbe trascinato il suo prigioniero davanti alla corte marziale ed avrebbe brindato all’infausto verdetto. Come era gradevole il sapore della vendetta.

Raggiunse la scrivania, osservando la fotografia nella cornice argentata: un uomo anziano, dallo sguardo severo e i baffetti arricciati ad incorniciare le labbra, lo stava fissando attraverso il vetro trasparente.

«Padre, avete la mia parola. Non vi deluderò. Io… lo odio. Odio quell’uomo, odio Smith! Non gli sarò più secondo, mai più!» ringhiò, abbandonando il portaritratti e riprendendo a camminare nervosamente lungo la stanza «Brucio a questo pensiero. Fremo all’idea. Lo annienterò.» la voce stava prendendo una piega strana, nervosa e quasi irrazionale «Non ho colpe per questa fuga… è stata improvvisa, sì. Devo porvi rimedio. Non vincerai anche questa partita!» sollevò il capo, fissando il soffitto, le mani strette a pugno alzate verso il cielo «Non vincerai! Vuoi giocare con me, Smith? Maledetto … credi di potermi dare scacco matto un’altra volta? Oh, no. Sei sempre stato più bravo di me in quel gioco. Sei uno stratega, sei un calcolatore, ma… non hai più la forza di combattere. Ora sei solo un illuso, schiacciato dalle sue colpe.» rise, isterico «Aspettavo un tuo errore. La pagherai. Pagherai per quello che mi hai fatto!» stava urlando, ma non poteva trattenersi.

Era… la sua ossessione. Non sarebbe riuscito a disfarsene tanto facilmente: non doveva solo fermare il rivale, ma annientarlo e disgregarlo. I grandi uomini continuavano a vivere anche dopo la morte, bazzicando tra le pagine dei libri di storia. Smith, senza dubbio, apparteneva a quella categoria. Ucciderlo non sarebbe stato sufficiente. Occorreva umiliarlo, sì…

Piegò la testa, piegando le labbra in un ghigno innaturale «Soffrirai. Piangerai e ti dispererai. Supplicherai e invocherai il mio nome. Ti costringerò a guardare…»

Oh, si! Come era dolce quell’idea. Avrebbe torturato quello sciocco Inglese davanti ai suoi occhi: perché Smith ci tenesse tanto non riusciva a comprenderlo. In fondo, però, non gli interessava. La sua ossessione. Tutti avevano tallone d’Achille e quel piccolo bastardello britannico era la chiave: catturarlo significava possedere Smith. Seviziarlo, ottenere suppliche. Ucciderlo, lo strazio. Quanto sarebbero state dolci, allora, le urla: avrebbe accolto ogni grido come le note delicate di una sinfonia. Avrebbe costretto Erwin a implorare, a pregarlo di risparmiare quel pidocchio. Lo avrebbe accontentato? Assolutamente no. Lo avrebbe lasciato a guardare, mentre si divertiva con l’Inglese. Ackerman, eh?

«Ti spaccherò ogni osso che hai in corpo. Ti vedrò piangere e contorcerti come un verme. Potrei accarezzarti con un ferro ardente. Sono sicuro che ti piacerà…» sogghignò, stringendo il calice tra le dita «Sadico, dici? Naturalmente. Credi sia stato crudele quando ho torturato il tuo amichetto? Non hai ancora visto niente allora, credimi. Potresti sperimentare i miei giochetti sulla tua stessa pelle… e lo sai perché? Perché… sei il suo punto debole.» volse il capo, cercando una nuova figura con cui parlare «Ehi, Smith…chi ti credi di essere? Pensi d’essere intoccabile? Lo vedremo.»

Erano dolci quelle congetture; così leggere, pacate… era un trastullarsi interiore, come il lieve cullare del sonno. Presto avrebbe avuto vendetta; avrebbe seguito Smith, lo avrebbe rincorso per tutta la Francia. Lo avrebbe trovato, presto o tardi. La caccia sarebbe stata eccitante, la vittoria delicata. L’avrebbe bevuta d’un solo fiato, come un bicchiere di buon vino.
Avrebbe spezzato le catene di quella fissazione solo umiliando Smith, prima di donargli una morte lenta e dolorosa. Lo avrebbe visto penzolare dal patibolo, la ruvida corda attorno al collo, lo sguardo azzurro ridotto alle lacrime e le labbra mosse in una silenziosa supplica.
E poi…

Un sonoro bussare lo strappò a quei sogni.

«Avanti» mormorò, passandosi una mano sul volto e cercando di ricomporre un’espressione indifferente. Non poteva farsi vedere così, in preda al delirio ed ai fumi dell’alcool, neppure dai suoi fidati tirapiedi.

Il suo attendente si presentò alla soglia, la mancina sollevata in un saluto «Heil! Porto notizie, Herr Kapitan»

«Riposo, Konrad» squadrò per qualche attimo la figura ordinata, impeccabile nella divisa scura. I capelli erano completamente rasati, mentre delle sopracciglia cespugliose segnavano uno sguardo sottile e spento. La mascella squadrata era coperta da una corta barba ispida «Parla pure»

«Abbiamo ritrovato la Kommadeurwagen!­»

A quelle parole, il cuore mancò un battito. La fortuna finalmente girava dalla sua parte! Sapeva che una macchina tanto vistosa non poteva passare inosservata. Smith era stato uno sciocco a rubarla. Lo avevano già rintracciato. Chiuse i pugni, assaporando in anticipo il gusto della vittoria.
«Dove?»

«Nelle campagne di Lachelle. Un camion di rifornimenti, percorrendo la strada, l’ha notata. Era accartocciata contro ad un albero. All’interno vi erano tracce di sangue»

«I fuggiaschi?»

«Non li abbiamo trovati, ma a poca distanza c’è un casolare. Abbiamo supposto avessero trovato rifugio lì; feriti, inoltre, non possono essersi allontanati troppo»

«Splendido» non trattenne un sorriso soddisfatto «Domani mattina partirò per Lachelle. Fai preparare la scorta. Cinque di noi basteranno, ma ben armati»

Il sottoposto batté sui tacchi e si ritirò.
Weilman si versò un ultimo bicchiere, sollevandolo verso il ritratto dell’augusto genitore.

«Alla mia salute, padre. Presto sarò Maggiore e dormirò tra guanciali dorati»


 

Angolino: Odio tantissimo Weilman, concedetemelo. Lo detesto, è viscido e raccapricciante... L'idea di dovergli dedicare un capitolo, all'inizio, mi disgustava abbastanza (e si vede, temo). Però, purtroppo, ho dovuto dedicargli una paginetta: era necessario, a questo punto, mostrare almeno una parte della sua ossessione (oltre ad introdurre il ritrovamento della macchina). Ciò non toglie che lo odi tantissimo... e che prima o poi la ruota gira u.u per ora, tuttavia, mi serve vivo e vegeto. So che questo capitolo è un altro abbastanza "di passaggio", non troppo rilevante ai fini della storia; e ammetto, purtroppo, d'averlo scritto con grande difficoltà. Weilman non è uno di quei personaggi che ti entra dentro, né lo sento nelle mie corde. ha parecchi lati oscuri, forse anche troppi. tuttavia, un piccolo spaccato sulla sua fissazione per Erwin doveva essere inserito, così da accennare la cosa. Scusatemi, comunque, se il capitolo lascia un po' a desiderare e non soddisfa le vostre aspettative: è stato durissimo muovere Weilman in uno dei suoi deliri di onnipontenza.
Presto, comunque, spero di poter aggiornare (anzi, prestissimo...il prossimo capitolo è quasi pronto...e per fortuna Weilman non c'è XD). AL solito, se avete consigli e pareri, mandatemeli tranquillamente: sono sempre graditissimi e ben accetti!
Un abbraccio e un grazie gigante <3
  
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