Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: MoonLilith    27/04/2009    2 recensioni
Lui mi sorride, un sorriso assolutamente da togliere il fiato, e mi fa un cenno con la testa.
Faccio per chiudere la porta, lentamente, ma quando è quasi chiusa, qualcosa la interrompe.
La riapro. C’è lui appoggiato allo stipite della porta, con una mano poggiata su di essa, a tenerla aperta.
« Voglio rivederti. » mi dice, serio in volto, guardandomi fisso.
Io? Io boccheggio.
Genere: Erotico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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III.

Passo dopo passo, mi avvio lentamente verso il salotto. Le mie babbucce producono un rumore ritmico e ovattato sul pavimento.
Volto l’angolo, mi affaccio.
Ben Barnes è seduto tranquillamente sul divano di casa mia. E ci sta pure comodo, a giudicare dall’espressione.
Gli sguardi s’incrociano un attimo, poi io non riesco a reggerlo, e lo chino.
« Ehm… Ascolta » inizio a dire, malgrado non sappia perfettamente come spiegargli come mi sento in questo momento.
« Perché non parliamo davanti ad una tazza di thè? Casualmente sono anche le 5, e io non rinuncio alle vecchie abitudini inglesi, quando posso. » dice lui, sorridendo. Sta cercando di mettermi a mio agio, ma come diavolo si fa?
Do un’occhiata al lavandino, che ovviamente è stracolmo di tazze sporche. Non c’è n’è neanche una pulita. Con espressione corrucciata mi dirigo velocemente al lavandino, e mi metto a lavare la prima tazza.
Inizio a strofinarla bene. È da un po’ di giorni che non lavo i piatti.
« Allora, Jolene… »
Al sentire la sua voce pronunciare il mio nome, la tazza mi scivola di mano, e io sussulto. Quella voce mi ha raggiunta come una carezza, come un petalo di rosa che mi sfiora la pelle.
Dice il mio nome in una maniera terribilmente dolce. Nello stesso momento, quasi a farlo di proposito, il suo profumo mi raggiunge. È nello stesso momento intenso e delicato. Dolce e deciso. Mi sta facendo morire, e ancora non ha fatto e detto praticamente niente.
Sento il silenzio, e poi un brivido mi percorre la schiena. Mi volto appena, mi sta guardando, e sorride. Mi giro completamente, e sento la necessità di poggiarmi contro il lavandino, perché mi tremano le gambe.
« Sì? » mi limito a dire, senza guardarlo.
« E’ nei tuoi costumi accogliere gli ospiti con quel tipo di abbigliamento? » mi chiede, ironico, indicando con un cenno della testa verso di me.
Porto lo sguardo in basso, e spalanco gli occhi. Mi ero dimenticata di avere addosso solo una maglietta a mo di vestitino e le babbucce ai piedi. La sua è chiaramente una battuta, ma io lo prendo molto sul serio, e scappo in camera a mettermi qualcosa di decente addosso.
« Ma guarda che non volevo che ti vestissi! Mica mi dispiace vederti così! » sento esclamare lui alle mie spalle.
Mi richiudo dietro la porta. Lo sento ridere, e la sua risata è vibrante e allegra. Mi sta sfuggendo di mano la situazione. Il mio sguardo corre dritto verso la locandina del film “Il Principe Caspian”.
« Dio, Dio, non può essere… » mormoro tra me e me, coprendomi il viso con la mano.
Quindi mi vesto, con una semplice gonna di jeans e una maglia grigia. Mentre esco, ricordo al volo di togliere le babbucce, rimanendo in calzini.
Mi dirigo velocemente verso la cucina, mi affaccio e resto piantata, immobile come un salame, davanti alla scena che mi si presenta.
« Ho trovato la teiera per riscaldare l’acqua, ma non trovo le bustine di thè. Ne hai in casa, vero? » dice lui, voltandosi dai fornelli, e sorridendo.
Resto qualche istante a fissarlo, a bocca aperta.
Ben Barnes sta usufruendo tranquillamente dei miei fornelli per prepararsi il suo thè delle cinque.
Tutto normale, no?
« Ehm… sono qui. C’è sempre del thè in casa mia. » mormoro io, accostandomi a lui, e aprendo uno stipo che sta sopra il lavandino. Ho piazzato la scatolina del thè in alto, e devo mettermi in punta di piedi. Tendo il braccio più che posso, ma riesco solo a sfiorare la scatolina, dall’alto della mia bassezza.
Tutto un tratto, lui mi si avvicina, sento il suo corpo sulla parte destra del mio. Senza neanche tendere troppo il braccio, arriva a prendere la scatola. Me la porge, guardandomi.
« Proprio come una piccola inglesina. » mi mormora lui, mentre io, prendendo la scatola del thè, inavvertitamente sfioro la sua mano con le mie dita.
Trattengo il fiato. Sollevo lo sguardo che si scontra con il suo. Uno scontro devastante, e dolce. Onice contro argento. Sento una fiamma dentro di me, che pian piano va espandendosi in zona guance. Sarò rossa come un pomodoro.
Lui prima sorride. Poi sembra inizi a osservarmi, a studiarmi. Assottiglia le palpebre, ci guardiamo per lunghi istanti, e lui schiude appena le labbra. Le mani sono rimaste lì, a mezz’aria a sfiorarsi, con al centro solo la scatola del thè a fare da ostacolo.
Credo che il mio cuore si sia fermato da circa un minuto. Abbondante.
Il fischio della teiera mi riporta improvvisamente alla realtà. Sobbalzo, la scatoletta mi cade dalle mani. Mi chino velocemente a prenderla da terra, mentre lui si passa una mano tra i capelli, portandoli appena indietro per scostarli dal viso.
« Ehm… lascia, faccio io. Vai pure a sederti. » gli dico, facendogli “sciò-sciò” con la mano. Lui, silenzioso, va a sprofondare sul divano.
Tiro fuori due bustine di thè, le piazzo nelle due tazzine che magicamente ho trovato pulite – o forse, non proprio magicamente – e ci verso cautamente l’acqua bollente e fumante.
Agito un po’ le bustine, in modo da far sciogliere il thè e si crei l’infuso, quindi le copro con i loro piattini, in modo da non far evaporare via mezzo thè, e le lascio un po’ così per far prendere più sapore.
Quindi mi sento pronta per affrontare il ragazzo seduto sul mio divano – manco fosse un assassino – e mi volto verso di lui.
Mi sorride. Ti prego, se vuoi avere una conversazione decente con me, smettila di sorridermi in quel modo così attraente.
« Ehm… » dico io, con poca convinzione.
« Ah ecco, volevo chiederti una cosa, Jolene. »
Dio, ma lo fai apposta allora!
« Dimmi. »
« Come mai questo nome? Non è italiano… giusto? » mi chiede lui, chinandosi in avanti a poggiare i gomiti sulle ginocchia. Mi guarda.
« No, infatti. » confermo io. È un argomento che non mi piace.
Mi guarda. Mi sprona ad andare avanti. Stringo le labbra, me le mordo.
« Non è una cosa di cui mi piace parlare. » rispondo seccamente. Alla fine, sono pur sempre acida.
Anche con Ben Barnes.
« Ma dai, ti ho solo chiesto come mai ti chiami così! » esclama lui, sorridendo.
« Non ti riguarda! » sbotto, ancora più acida. Oh, Cristo. Ho risposto male ad uno degli attori più famosi sulla faccia della terra che è un casa mia e sta per prendere un thè con me.
C’è qualcosa di tragicomico in tutto questo.
Lui, dal canto suo, non dice nulla.
Mi schiarisco la voce, giusto per spezzare un attimo il silenzio. Tolgo i piattini e poggio le tazze su un vassoi etto, insieme allo zucchero.
« Latte o limone? » chiedo, voltandomi. Mi sta guardando, accidenti.
« Latte. » dice lui, senza togliermi gli occhi di dosso. Mi sento a disagio.
Verso un po’ di latte per lui e due gocce di limone per me.
Porto il vassoio verso il divano, poggiandolo sul tavolino che c’è di fronte, sul tappeto. Mi siedo accanto a lui, sul divano. Il suo profumo mi investe, e mi fa partire letteralmente per qualche secondo.
« Grazie. » mi dice lui, semplicemente.
L’avrò fatto arrabbiare? Gli attori sono famosi per il loro caratterino, no?
« Ah! » esclama lui, ad un tratto, aprendo la giacca e frugando in una delle tasche interne. « A terra, vicino al libro, c’era questa. È tua? » mi chiede, estraendo una foto.
Ritrae tre persone. Al centro ci sono io, ed è palese, malgrado sia di qualche anno più piccola. Sto ridendo, anzi, ho un vero sorriso a trentadue denti. Ai miei lati ci sono una donna, bionda, bellissima, felice, con gli occhi grigi, e un uomo, con i capelli scompigliati nerissimi, proprio come i miei.
« La foto! » esclamo ad alta voce, strappandogliela di mano. La guardo, la stringo tra le mani, mi mordo il labbro inferiore.
« Sono… I tuoi genitori? » chiede lui, cautamente.
« Dove hai trovato il libro? » chiedo io, come se non avessi neanche sentito la domanda. L’ho sentita bene, ma non mi va proprio di rispondere.
Lui sembra passarmela, anche questa volta.
« Dopo che tu sei scappata via, io sono tornato alla Feltrinelli, per cercarti. Ho dovuto aspettare un po’, erano tornate quelle ragazzine. Quando sono arrivato, dei libri che ti erano caduti non ce n’era più traccia, poi vicino ad una delle poltroncine ho visto un altro libro, e poco distante questa foto. »
« Capisco. È stato così che mi hai rintracciata. » annuisco mentre zucchero il thè.
« Esatto. C’era il tuo nome e cognome, nel libro. E anche la tua università, il corso, tutto quanto. Mancava solo il codice della tua carta di credito. » dice lui, ridendo. « Non mi ci è voluto molto a trovarti. » aggiunge poi, concludendo.
« Oh quello non l’avresti trovato di certo, non ho mai visto una carta di credito in vita mia. » sbotto ironicamente, poggiando il cucchiaino sul vassoio dopo aver girato il thè.
Inizio a sorseggiarlo, è bollente.
« Ahia. » borbotto, iniziando poi a soffiare pian piano.
Silenzio.
Osservo le sue labbra poggiarsi sulla tazzina. Sembrano morbide. Sollevo di poco lo sguardo, verso i suoi occhi. Sono assurdi. Assurdi e bellissimi. Grandi, neri, espressivi. Rimango ammaliata a fissarli per un tempo indeterminato, finchè lui non si accorge del mio sguardo e si volta verso di me.
Il cuore batte, la tentazione di voltarmi è forte. Ma resto così, con la tazza bollente tra le mani, a fissarlo.
Sembra quasi che non ci sia bisogno di parole.
Siamo in silenzio, nessuno sta parlando, ma mi sento bene. Mi sento… rilassata, serena. Avevo quasi dimenticato un piacere simile, che non fosse scaturito dalla lettura di un libro.
In breve tempo, forse anche troppo breve, lui finisce il suo thè.
Si alza in piedi, dopo averlo poggiato un vassoio.
« Devo andare, è tardi. » dice lui a mezza voce, voltandosi verso di me.
« Ehm… Come ti devo chiamare? Signor Barnes? » chiedo io, alzandomi in piedi lentamente.
« Mi chiamo Benjamin. Ben. » dice lui, accennando ad un sorriso.
« Benjamin, allora. »
« Ben. »
« Ben. » ripeto io, annuendo. Solo pronunciare il suo nome mi fa sentire elettrizzata. Sono emozioni che non ricordavo di poter provare. « Allora, Ben… Grazie mille per il libro. E scusa per la casa in cui sei dovuto venire… » dico io, accompagnandolo alla porta.
Non lo sento dietro di me. Mi volto, vedo che armeggia qualcosa sul tavolo, poi mi raggiunge subito.
« Scherzi? Sono stato bene. » dice lui, sorridendomi, mentre apro la porta.
« E’ stato… un piacere. » mormoro io, accennando ad un sorriso.
« Soprattutto mio, credimi. » mi dice lui, oltrepassando la soglia di casa.
« Allora… buona fortuna. » dico io, consapevole che sto per chiudere la porta al sogno più strano, assurdo e meraviglioso che potesse capitarmi in tutta la mia vita. Ma ho paura. La mia fottuta paura. Sono una vigliacca, e non ho il coraggio di fermarlo. Per dirgli cosa, poi? Sarebbe senza senso. È già tutto così fuori dal normale.
Lui mi sorride, un sorriso assolutamente da togliere il fiato, e mi fa un cenno con la testa.
Faccio per chiudere la porta, lentamente, ma quando è quasi chiusa, qualcosa la interrompe.
La riapro. C’è lui appoggiato allo stipite della porta, con una mano poggiata su di essa, a tenerla aperta.
« Voglio rivederti. » mi dice, serio in volto, guardandomi fisso.
Io? Io boccheggio.
« Voglio vederti ancora, presto. » mi ripete lui, forse per paura che io non abbia sentito, vista la mia reazione praticamente nulla.
« Ma… ma… vuoi rivedere me?! Ma come… cosa… perché?! » esclamo io, incredula.
« Ho trovato una ragazza che può farmi da cicerone a Milano, la voglio vedere, e tu puoi mostrarmela. » mi dice lui, distendendo le labbra in un sorriso.
« Ehm… ok, ma quando? » chiedo io, che forse non mi sto ben rendendo conto di quello che sta accadendo.
« Quando vuoi, fatti sentire tu. L’importante è che sia un orario tranquillo. »
« E non c’è il rischio che qualcuno ti riconosca? »
Lui mi sorride, ironico, e malizioso, e bellissimo. Prende una ciocca dei miei capelli, la solleva, ci gioca un attimo. Il mio cuore palpita, galoppa, implode molteplici volte.
« Sono un attore, non dimenticarlo. Il mio lavoro è non farmi riconoscere dalle persone. » mi risponde lui.
Ovvio, Jolene, quanto sei stupida.
Annuisco, lui sorridendomi mi saluta, e s’incammina verso l’uscita del corridoio. Lo guardo un attimo allontanarsi, poi chiudo la porta.
C’è qualcosa di anormale in tutto questo.
Lentamente, col suo profumo tra i capelli, mi avvio verso il divano. Mi ci lascio cadere, proprio dove era seduto lui. Il mio sguardo si posa sulla tazza da cui ha bevuto il thè, posata sul vassoio. La prendo in mano, è ancora calda.
Con il dito – e mi accorgo di tremare non poco – vado a sfiorare il punto in cui lui ha posato le sue labbra. Lo stomaco mi si rivolta, ma non è una brutta sensazione, è bellissima. Il tutto correlato da una scarica elettrica che corre lungo la mia spina dorsale. Mi rendo conto di avere il respiro irregolare.
Dio, non è possibile.
Poi, i miei pensieri vengono interrotti da una realtà che al momento mi sembra alquanto catastrofica.
Io non posso farmi sentire, non so dove trovarlo!
Panico.
« Lo sapevo, lo sapevo! Era troppo bello per essere vero! » esclamo lasciando senza cura la tazza che poco prima avevo accarezzato. « E’ stata una stupida scusa per togliermi elegantemente fuori dai coglioni… c’era da aspettarselo! Stupida, stupida Jo… » mi rimprovero. Ecco cosa succede a sognare, anche un attimo. Cosa succede a credere in qualcosa. Mi ero ripromessa di non farlo più. Appena ci ritento, me la prendo in quel posto, come sempre.
Mi alzo in piedi, diretta verso la mia camera. Passando vicino al tavolo, però, qualcosa di chiaro in contrasto con il legno scuro cattura la mia attenzione. Un foglietto.
Sento il mio cuore sprofondare.
Mi avvicino, lo prendo in mano. Con fatica, a causa del tremore alla mano, leggo.
Oh, Cristo.

328/xxxxxx
Facciamo domenica? ;)
Ben



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Terzo capitolo appena finito. Sto scrivendo come una pazza! *_*
   
 
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