Crossover
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Autore: Akane    27/04/2009    2 recensioni
Il caso che Gibbs e la sua squadra si trova ad affrontare, questa volta si rivela molto difficile tanto che il Direttore decide di chiamare la squadra di Analisi Comportamentale. Ma se il caso li porta ad incrociare le loro strade con un ulteriore squadra dell'FBI con cui collabora un certo matematico di fama internazionale?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Incontri esplosivi'
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INDAGINI CONGIUNTE

*Vi presento un altro capitolo della crossover fra alcuni dei miei telefilm preferiti. Ne ho molte da scrivere ma non ne mollo nessuna, pian piano vado avanti con tutti. Qua finalmente arrivano quelli di Numb3rs. Per chi non segue il telefilm sappia che non ho preso tutti i membri della squadra ma solo quelli che piacciono di più a me; la coppia che riguarda questa serie è meno accentuata rispetto a quella delle altre 2, però a mio avviso si difende bene. Insomma, la sostanza è che magari non tutti sono d'accordo con me (vedi Taila) ma a me piacciono moltissimo insieme e non sono proprio così inaccettabili o astrusi insieme come qualche altra coppia di cui in giro si legge (Per Taila: qua invece non mi riferisco ai tuoi gusti, lo sai che non mi dispiacciono tutto sommato...)! Bè, fatta questa premessa ringrazio tutti quelli che hanno letto e commentato e che seguono la storia. Auguro buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO IV:

LE STRADE SI INCROCIANO ANCORA

/ Saints of Los Angeles – Motley Crue /
Quando le due automobili di diverso tipo si fermarono davanti al caseggiato indicato nella mappa da Reid e McGee, non poterono certamente notare, parcheggiata appena dietro l’angolo, un altra macchina dell’FBI.
Lo stato d'animo di Gibbs sembrava peggiorare di minuto in minuto e lo si poteva notare da tanti piccoli dettagli che solo chi lo conosceva davvero molto bene poteva cogliere. Il fatto che si mantenesse pericolosamente calmo e controllato faceva salire la tensione in chi, appunto, sapeva che così facendo a breve sarebbe potuto esplodere se le cose non sarebbero andate almeno un po' meglio. Tony era perfettamente consapevole che il suo uomo che guidava in quel modo allucinante, aveva mille motivi per essere furioso. Accettare l'aiuto di chi lavorava in modo diametralmente opposto al suo era stata la ciliegina sulla torta; concedere loro il beneficio del dubbio e lasciarli lavorare con loro, poi, era stato quanto di più insolito. Cosa aspettarsi, ora, una volta che sarebbero scesi?
Avrebbe preferito riuscire a stare un attimo da soli per cercare di far qualcosa per lui ma anche volendo non aveva trovato un solo momento. Dopo che quei tre agenti erano arrivati era andato tutto così veloce e Gibbs stesso si era defilato. Cosa aveva fatto?
Senza proferire parola, una volta arrivati, i cinque agenti scesero dai rispettivi veicoli e seri e concentrati si voltarono verso l’edificio, una specie di vecchio magazzino in disuso da tempo. Fu solo uno scambio di sguardi velocissimo in più rispetto agli altri, che Gibbs e Tony si scambiarono appena chiuse le portiere. Uno scambio che sembrava dire ‘occhi aperti’ per uno e 'non scatenarti' per l'altro. Non servirono altri gesti o parole. Si compresero al volo e annuendo impercettibilmente, come avessero comunicato telepaticamente, condussero spediti e decisi il gruppetto verso il magazzino dalle porte socchiuse.
Quando le videro così capirono subito che dovevano essere state aperte da poco. Non che ci fossero plateali segni di scasso o altro, ma la loro esperienza fece intuire che erano stati preceduti da qualcuno o che per lo meno dentro dovesse esserci qualcuno.
Sperando che si trattasse dei criminali che cercavano, estrassero tutti e cinque in concomitanza le pistole e Gibbs gesticolando secco ed esperto, diede direzioni ad ognuno di prendere un’entrata diversa, quindi trovandosi davanti alla porta principale insieme ad Hotchner, entrambi con la pistola tesa e stretta pronta per sparare con un espressione concentrata, quasi omicida, diede segno anche agli altri di entrare nello stesso istante.
Le menti sgombre rivolte solo all’azione, pronti a seguire il loro istinto. Sentirono l'adrenalina che cominciava ad aumentare il ritmo e al tempo stesso come se una musica crescesse d’intensità intorno a loro. Sapevano che di lì a poco sarebbe successo qualcosa.
Sperarono solo si trattasse di qualcosa di buono.
Cosa ognuno intendesse per ‘buono’, però, era soggettivo.
Le porte in metallo sbatterono facendo non poco casino e immediatamente l’attenzione di coloro che erano all’interno dell’ampio magazzino, fu rivolta verso di loro che già pronti a sparare sembrò come di trovarsi davanti ad uno specchio.
Almeno per qualcuno di loro.
- Fermi! NCIS! - - Fermi! FBI! – Le voci aggressive dei capi al comando delle due spedizioni si sovrapposero mentre ci fu una specie di ferma immagine pieno di tensione dove tutti credettero di dover sparare nell’immediato.
Le pistole puntate da parte di tutte e due le posizioni c’erano, così come un’agitazione esplosiva e la sicurezza di non cedere nemmeno di un passo per nulla al mondo!
Il cuore pompava, poteva essere arrivato il momento decisivo ma non c'era nemmeno il tempo di realizzarlo a pieno. Nessun pensiero, nessun sentimento che non fosse per la propria sopravvivenza. Nulla di nulla. Solo istinto. Poi con espressioni e toni identici l’uno con l’altro, tornarono a ripetere ognuno le rispettive sigle d’appartenenza, quindi smisero di non ragionare e si fermarono.
I respiri irregolari, i battiti accelerati e quel ritmo sospeso.
Erano entrambi agenti federali.
Hotchener, Gibbs e l’altro agente che a quanto pareva era il capo dell’altra squadra, continuarono a guardarsi in cagnesco senza abbassare di un millimetro le pistole, quindi aspettarono che la propria ragione si riattivasse prendendo il posto dell’istinto, cosa per nulla facile almeno per due di loro.
Il primo ad abbassare l’arma fu il capo della squadra di Analisi Comportamentale dell’FBI di Washington, quindi fu anche il primo a parlare con logica freddezza e diplomazia, come era sua caratteristica fare. Era estremamente difficile che perdesse la testa:
- Siamo tutti dalla stessa parte, mettiamo via le pistole! – Non fu un vero e proprio ordine ma nemmeno una richiesta o un consiglio. Semplicemente fu la cosa più ovvia e sensata da fare che, se non fosse stata espressa in quel modo, probabilmente nessuno dei due avrebbe eseguito. Fermo e distaccato.
Fu allora che anche Gibbs e l’altro agente, entrambi riluttanti, l’abbassarono senza rimetterla subito nel fodero, sicuri che sarebbe potuta servire a breve.
I due continuarono a guardarsi male, poco convinti della legalità dell’altro, quindi non parlarono ancora, aspettando le spiegazioni altrui.
Troppo simili in realtà su certi aspetti. Entrambi diffidenti sul mondo intero per partito preso. Entrambi che non cedevano mai per primi. Entrambi come dei carro armati che andavano dritti per la loro strada senza sentir ragioni di nessun tipo, o quasi.
Se fossero stati solo loro due presenti probabilmente il giorno seguente sarebbero stati ancora là a guardarsi in quel modo poco umano, ma la fortuna fu che non erano soli, quindi grazie di nuovo ad Hotchner che prese la parola, si poté sentire almeno la prima parte di spiegazione.
Mentre lui esponeva breve e conciso cosa ci facevano lì, anche gli altri agenti con loro misero via le armi senza smettere di guardarsi diretti e attenti.
Tony, Morgan e l’unico agente che accompagnava lo sconosciuto, sicuramente il capo squadra, si trovavano l’uno davanti all’altro, gli sguardi che si scambiavano erano eloquenti e seri, di chi sperava che l’azione non fosse finita lì. Delusi, quasi. Però estremamente studiosi e selettivi. Cosa pensavano mentre si squadravano in quel modo da capo a piedi?
Tony capì al volo che si trattava di un ex marine, lo capì con un solo sguardo. Ormai li riconosceva subito visto che stava con Gibbs da tempo. Si rese anche conto, come pure Morgan, che non era affatto male ed inoltre aveva tutta l'aria di essere piuttosto forte e non solo fisicamente.
Interessante.” Si dissero infatti allo stesso tempo osservando infine con attenzione il colore nocciola dei suoi occhi sottili. Aveva uno sguardo strano e diretto.
Come se fosse uno di loro. Della loro stessa pasta, in un certo modo. Diverso ma uguale in qualcosa.
Non seppero spiegarsi meglio di cosa poteva trattarsi.
A loro si aggiunse Ziva che era entrata da un'altra porta, quindi osservando come i gruppetti si erano divisi capì anche lei al volo che i ‘club’ si erano già formati a seconda del carattere!
E che quei due nuovi agenti non erano affatto male, per nulla!
- Che succede? – Chiese subito indicando con la testa i tre capi che si guardavano chi male e chi semplicemente serio e sostenuto.
- Siete dell’FBI anche voi? – Chiese allora Morgan al ragazzo che spostò riluttante gli occhi da quelli azzurri di Tony ai soggetti poco distanti da loro che emanavano un aura stranamente oscura!
- Si… - Disse quindi rimanendo inizialmente sul vago, cercando di capire cosa avesse in mente il suo capo e quanto ci avrebbe impiegato a prendere in mano il comando della situazione. Capì tuttavia che non sarebbe stato molto facile.
- Mi sa che ci troviamo sullo stesso caso. – Disse allora Ziva intuendo come stavano le cose, cominciando a mangiarsi il giovane con quel suo modo di fare caratteristico. Molto insistente e snudante!
- Di dove siete? – Chiese di nuovo Morgan sicuro di non conoscerlo nonostante fosse come lui dell'FBI.
- Los Angeles. – Fece allora tornando su di loro ben più contento e curioso di capire che tipi fossero. Si sentiva strano, non sapeva bene come e perché ma il suo radar si era attivato.
Era come se si sentisse in famiglia. Assurdamente.
- Lui e quello che sta spiegando la situazione sono dell’FBI di Washington mentre io, lei e quello che sembra il killer siamo dell’NCIS. Stavamo indagando sul caso dei marines assassinati e siamo arrivati qua cambiando completamente direzione di indagini. – Prese dunque la parola Tony, mostrando tutto il suo protagonismo e la sua parlantina. L’azione appena compiuta gli aveva sospeso per un po’ la funzione demenziale, quindi l’umorismo per il momento era messo prevalentemente da parte ma ben presto sarebbe tornato più attivo che mai.
Fu allora che sorprese tutti e fece la cosa più sensata che nessuno aveva ancora pensato di fare. Tese la mano al ragazzo dai corti capelli castano chiaro e si presentò sorridendo sicuro che fossero dalla stessa parte e che avrebbero collaborato:
- Piacere, io sono l'agente molto speciale Anthony DiNozzo, lei è Ziva David mentre lui è Derek Morgan. – Fu implicita la domanda seguente e l’altro la colse di buon grado con un sorrisino sulle labbra per l'umorismo ritrovato, quindi ricambiò un po’ disorientato e stupito la stretta di mano dicendo finalmente il suo nome.
- Agente speciale Colby Granger. Lui è il mio capo squadra, l’agente speciale Don Eppes. – Non era di molte parole ma sicuramente conoscendosi meglio il ghiaccio si sarebbe sciolto e avrebbe mostrato più disponibilità nei loro confronti. Quel sorriso dall'aria ironica lo diceva chiaramente, ed anche quella stretta di mano vigorosa e per nulla intimorita.
- Siete solo voi due? – Chiese incuriosita Ziva tornando a guardare l’altro uomo che si stava per accingere a spiegare la sua presenza lì.
- Noi due e il nostro consulente che al momento è in macchina. – Agli sguardi interrogativi ed interessati che ricevette, si decise ad aggiungere accentuando il sorriso divertito, immaginando il loro incontro con Charlie. – Consulente matematico, collabora con noi da un po’ di tempo e in questo caso particolarmente complicato ci ha portati addirittura qui, ma noto che non è stato un viaggio a vuoto! – Lì per lì Morgan e Tony non capirono se si riferiva all’incontro con loro oppure a qualcosa che avevano magari trovato nel magazzino, ma pensarono che scherzasse riguardo al consulente matematico. Venne naturale dunque alzare un sopracciglio facendo l'ovvia muta domanda. Consapevole a cosa si potesse riferire il loro evidente scetticismo decise di limitarsi al caso evitando di parlare di Charlie, non era il più indicato per difendere la matematica!
E’ esattamente questo il posto che cercavamo, la base dell’organizzazione a cui diamo la caccia da un po’. Era completamente fuori dalla nostra sede operativa ma ora grazie a Charlie e ad altre informazioni l’abbiamo trovata. – All’udire ciò Tony si mise subito attento e mettendo di nuovo da parte il suo umorismo, strinse gli occhi seguendo un’intuizione che sapeva sarebbe stata giusta:
- Hanno cercato di attentare prima a Los Angeles? – L’altro annuì osservandolo con attenzione, capendo che stava seguendo un ragionamento da non interrompere. – Non ci sono riusciti e dunque si sono riorganizzati cambiando sede. – Diede per scontato che a Los Angeles non ci fossero riusciti ma fossero stati abbastanza furbi da farcela a scappare. Quindi incrociando le braccia al petto trionfante, concluse la sua esposizione intuitiva della situazione: - è da un mese che non avete loro tracce, vero? –
Quando Colby annuì di nuovo confermando i suoi sospetti, Ziva si illuminò capendo anch’essa, dando quindi voce al ragionamento:
- E’ da un mese che sono iniziati gli omicidi dei nostri marines! –
L’agente dai corti capelli castani, allora, corrugando la fronte in segno interrogativo, volle capire cosa stessero dicendo quindi chiese di che parlassero. Fu Morgan, a quel punto, a spiegare degli omicidi e delle varie indagini condotte per arrivare poi all’ultima teoria che ora diventava conferma.
Un intreccio di indagini veramente unico ed insolito che probabilmente non era mai avvenuto prima e mai si sarebbe ripetuto.
Quando fu tutto chiaro anche ai tre capi che ognuno a modo proprio parlava chiarendo velocemente ogni punto oscuro, tutti si trovarono inevitabilmente a pensare alla medesima cosa: quel caso continuava a riservare molte sorprese e tutte sempre più notevoli.
Dove sarebbero finiti per la fine del caso?
Una cosa era certa.
Né Gibbs, né Don avrebbero mollato. Tanto meno Hotchner se ne sarebbe andato prima della soluzione del caso.
Sia per principio che per questione personale. Comunque tutti e tre volevano la stessa cosa, prendere quei criminali.
Cosa rimaneva dunque?
Solo la collaborazione più fuori dal comune mai avvenuta prima nella storia delle indagini congiunte!

/The racing rats – Editors /
Nella mente di Don, nell’esatto istante in cui incrociò la pistola e quindi lo sguardo con Gibbs gli parve come di trovarsi davanti ad uno specchio che deformava solo il proprio aspetto rendendolo diverso ma al tempo stesso uguale.
Sentì provenire dall’uomo davanti a sé, pronto a sparare, una sorta di aura minacciosa pericolosamente simile ad una furia omicida.
Lo capì che ci era vicino, a quell’estremo stato, perché anche lui era esattamente nelle medesime condizioni.
Talmente sotto pressione per quel caso da così tanto tempo, che ora che sembrava essersi avvicinato a coloro che cercava sapeva essere sul punto di esplodere e se fosse successo nessuno sarebbe stato in grado di contenerlo.
Lo frenavano solo due cose: il fatto che se sarebbe ‘partito’ non sarebbe stato abbastanza lucido da proteggere suo fratello che era con lui per la soluzione del caso, e che era il capo squadra. Se lui si lasciava andare poi gli altri si sarebbero trovati in difficoltà. Tutti loro contavano su di lui e sulla sua professionalità, sapevano che era sempre decisivo nelle indagini, così come lo era quasi sempre anche Charlie, e nonostante tutti fossero importanti, lui in special modo era essenziale.
Lo sapeva e non era solo una questione di ego, per nulla. La responsabilità di proteggere chi amava, di guidare chi dipendeva da lui, di fermare dei criminali pericolosi pronti a seminare ancora morte e distruzione, la rabbia per esserseli fatti sfuggire la prima e la seconda volta e poi di non aver avuto nulla per un mese di fila!
Questo e tanto altro aveva contribuito a far di Don, in quel momento, un potenziale omicida invece che agente federale.
La presenza e i modi freddi e contenuti del terzo uomo dai capelli neri, dell’FBI come lui, l’aveva fatto tornare a fatica in sé anche se non ci aveva minimamente pensato a mettere via la propria arma, esattamente come l’altro agente davanti a lui dall'aria e fattezze così fascinose.
Ascoltando con una parte di cervello la spiegazione sbrigativa ma esauriente di quello più calmo di tutti, continuava a fissare liberamente male colui a cui per un pelo non aveva sparato credendolo il capo dell’organizzazione.
Per un attimo, quando l’aveva visto improvvisamente davanti a sé, aveva scollegato la mente e non aveva né sentito né ragionato. Aveva solo creduto di avere il suo obiettivo a portata di pallottola. Le dita gli si erano informicate ed aveva esercitato una forza mostruosa su sé stesso e sui propri muscoli per non andare a fondo sul grilletto.
E mentre si decideva ad ascoltare e capire cosa succedeva, sapeva che quell’uomo davanti a sé era nel suo esatto stato d’animo.
Identico.
Non che loro due fossero uguali, magari solo simili. L'aspetto era completamente diverso: Don era più giovane ed aveva un fisico più atletico rispetto a Gibbs che comunque era forte e pronto a qualunque azione fisica. I suoi capelli inoltre erano più corti, spettinati e castano scuro come anche gli occhi, mentre l'altro li aveva quasi tutti bianchi, ormai, e gli occhi erano di un azzurro che a tratti ricordava il mare o il cielo in tempesta. Anche i modi di vestire erano diversi. Don in jeans e maglia nera attillati con occhiali da sole al momento chiusi sul colletto, Gibbs preferiva abiti più comodi e fuori moda, come spesso diceva Tony stesso. Non gli importava come doveva apparire, lui era lui. Nemmeno a Don interessava ma aveva un impatto completamente diverso, più di stile!
Non era certo l'aspetto che li aveva fatti sembrare simili anche se entrambi erano in possesso di un fascino analogo, volendo. I visi non erano classicamente belli, non da modelli come magari potevano esserlo Colby, Morgan e Tony, però facevano anche loro una gran figura. Ad essere uguali erano i loro modi e come si sentivano dentro. Era uguale ciò che stavano vivendo, l’intensità pericolosa e spaventosa dei rispettivi sentimenti.
Quanto sarebbero resistiti senza scatenarsi?
Riluttante, una volta che colui che si era presentato come Hotchner concluse la spiegazione, toccò a lui presentandosi a sua volta. Presentò anche Colby che parlava con gli altri agenti, quindi si decise a parlare di questa organizzazione a cui da tempo davano la caccia là a Los Angeles, con rabbia sbrigativa disse anche delle due volte in cui gli erano sfuggiti riuscendo però a stanare gli attentati e di come da un mese non avevano più avuto loro tracce. Infine parlò della soffiata ricevuta per conto di un contatto dell’agente Granger e del colpo di genio provvidenziale della mente sempre sorprendente di suo fratello.
Hotchner ascoltò con attenzione senza perdersi un solo dettaglio del suo modo di esprimersi e di porsi, comprendendo fin troppo bene quanto fosse coinvolto in quel caso e di quanto ci tenesse a prendere quei criminali. Non fece altro che osservare e farsi un idea di tutto ciò che continuava ad accadere, al contrario di Gibbs che si perse nella furia repressa, anche se per poco, di quel federale che gli stava davanti.
Comprese solo lo stretto necessario di quanto gli disse bastandogli il semplice fatto che le loro indagini li avevano portati fin lì. Quel che più gli interessava era venuto ben a galla, per lui.
Erano sullo stesso caso e quell’Eppes non avrebbe mai mollato l’indagine, a costo di mandare a quel paese ogni capo dell’FBI esistente.
Lo sentiva e non solo lo vedeva nei suoi occhi furenti e pieni di recriminazioni su sé stesso. Era fuori da ogni grazia divina proprio come lui, lo sentì così similare a sé per quel qualcosa di emotivo e per i modi di fare, che funse stranamente da calmante e sentendolo parlare, senza ascoltare ogni cosa, rimise la pistola nella fondina. Dopo quel gesto anche Don capì che poteva sotterrare le asce di guerra quindi lo imitò facendo tirare un considerevole sospiro di sollievo a tutti gli altri che li osservavano ed avevano temuto il peggio fino all’ultimo.
Specie Colby e Tony che conoscevano fin troppo bene i rispettivi capi.
- A questo punto è evidente che si tratta della stessa indagine e che è molto più complessa e intrecciata di quel che pensassimo. – Fece dunque Don passandosi nervoso una mano fra i capelli castano scuro corti, non nascose minimamente il suo stato d’animo e distogliendo lo sguardo cercò ancora la calma per procedere sensatamente nel suo lavoro.
Non poteva farsi coinvolgere così.
- Io ho un caso di omicidi di marines da risolvere e non intendo mettermi da parte! – Mise subito le cose in chiaro Gibbs decidendosi finalmente a parlare per la prima volta. L’aveva fatto continuando a fissare diretto e ferocemente determinato Don negli occhi, questi tornò a ricambiare lo sguardo cercando di mitigare almeno un po’ la voglia di prendere a pugni qualcuno, ripetendosi continuamente che quel Gibbs non c’entrava e che era solo nelle sue stesse brutali e critiche condizioni. Dopo la centesima volta che se lo diceva mordicchiandosi il labbro inferiore con sempre più nervoso addosso, sospirò pesantemente e allargò le braccia in segno eloquente:
- E io ho un caso di attentati, non cederò certo il passo ora che ci sono vicino! – Rispose allo stesso identico modo. Fu allora di nuovo Hotch a venire loro in soccorso per mitigare gli animi che si stavano nuovamente riscaldando e facendo cenno con le mani di calmarsi tutti e due parlò con maggiore pacatezza e sicurezza. Più loro due si agitavano più lui si ‘raffreddava’.
- Nessuno ha bisogno di farsi da parte. Siamo tutti sullo stesso caso e non c’è motivo per non collaborare. Cerchiamo gli stessi uomini. In quanto a noi della Squadra di Analisi Comportamentale ci hanno chiesto appoggio e appoggio daremo. – Al silenzio che interpretò come un ‘sì’, il moro continuò sentendosi più un padre severo che sgrida i figli litigiosi, piuttosto che un collaboratore al loro stesso livello. – Penso che sia utile, a questo punto, approfondire tutte le informazioni del caso in rispettivo possesso e condividerle subito prima di metterci al lavoro. – Poi si guardò intorno spostando lo sguardo sull’interno del magazzino con in piedi un completo laboratorio per fabbricazione di bombe. Ci volle appena un occhiata per capirlo che era la sede operativa di quell’organizzazione e che ciò a cui puntavano non erano certo i marines morti. Capirono anche subito che ciò che stavano cercando di costruire, questa volta, era qualcosa di davvero grosso e pericoloso e che lì presenti ormai non c’erano altro che dei resti di qualcosa probabilmente già completato.
Però di loro nessun’altra traccia.
- Direi che non abbiamo molto tempo. – La conclusione fu quasi lapidaria, come una sentenzia di morte, in un certo senso.
Non si trattava di salvare dei marines, ormai, ma molte altre persone.
Il punto, però, era che non avevano la minima idea del loro obiettivo.
Nemmeno mezza.
- Ho solo bisogno di un attimo. – Asserì quindi Don alzando una mano in segno di ‘stop’, quindi senza aspettare nessun assenso si diresse in un angolo chiamando Colby con un ‘ehi’, tipico suo.
Il compagno lo raggiunse e appartandosi notò distrattamente che anche Gibbs aveva approfittato per fare la stessa cosa con il suo primo agente di cui ancora non conosceva il nome.
Una volta in disparte lontano da orecchi indiscreti, i due poterono brevemente parlare liberamente guardandosi dritti negli occhi, senza perdersi un solo dettaglio del viso che avevano davanti. Ogni singolo lineamento inclinato in quel preciso modo indicava qualcosa di particolare che entrambi sapevano interpretare perfettamente.
- Collaboreremo con loro, hanno un caso di omicidi di marines in corso causato proprio da loro. Sicuramente l’ordine sarà di lavorare con loro qua ma non possiamo far venire anche gli altri, siamo fin troppi in questo caso, ora. Ci sono anche quelli dell’Analisi Comportamentale. Sarà già tanto se dai piani alti lasceranno noi qua a concludere le indagini. – Cominciò Don a parlare a ruota libera esprimendo tutto ciò che gli frullò nell’immediato nella testa. Colby sapeva perfettamente tutto ed anche a dove sarebbero finiti, ma l’ascoltò assecondandolo sapendo che in quel momento così critico aveva bisogno per lo meno di parlare. Quello sfogo, confronto a come si sentiva, era così insignificante.
Anzi. Nemmeno uno sfogo in realtà.
Aveva bisogno di ben altro, Don, per scaricare il suo nervoso ed il suo stress. Per non parlare della sua rabbia.
Non si faceva mai sfuggire così tanto qualcuno talmente pericoloso. Sapeva come si sentiva e desiderava solo poter aiutarlo in qualche modo a tirare fuori ciò che lo divorava, aiutarlo, togliergli quella tensione minacciosa. Un modo per distrarlo e fargli sfogare quello stress divoratore, in realtà, lo conosceva ed era qualcosa che poteva utilizzare solo lui con Don, qualcosa che nessuno a parte Charlie sapeva. Però non era certo quello il luogo e il tempo adatti.
Per nulla.
Mordendosi la lingua per distrarsi da quei pensieri che avevano stranamente preso una strana direzione, tornò sulle parole del suo capo.
Capo’, per ora, era l’unico termine giusto per definire quello che Don era per lui dal momento che il resto era completamente nel caos più totale. Eppure un'altra definizione da darsi c’era ma era così difficile trovarla… o forse solo ammetterla…
Cos’erano a parte compagni di squadra?
Don, oltre ad essere il suo capo, come poteva definirsi?
Certamente due amici, colleghi o conoscenti non facevano certe cose che loro due in momenti particolari facevano. Non sempre, solo in stati d’animo diversi o critici.
Presto sarebbe successo di nuovo e la consapevolezza riuscì anche ad eccitare Colby.
Don?
Don aveva la testa in tutt’altra direzione.
- Occhi aperti, visto che saremo solo noi non voglio che nessuno ci rimetta. Né mio fratello né tu. Sono stufo di correre come un matto a tirarti fuori dai guai! – Disse quindi consapevole che non era proprio vero che Colby si cacciava così tanto nei guai. Non era proprio alla stregua di Tony che se le cercava col lanternino, ma in un modo o nell’altro finiva sempre per trovarsi nelle situazioni più pericolose o rognose e spesso aveva anche la peggio!
Doveva davvero ringraziare il suo capo. Don l’aveva in effetti aiutato in diverse occasioni e non poco.
- Io sono per l’azione! È Charlie l’uomo da teorie. Io con quelle mi annoio, devo fare qualcosa di concreto o divento io il matto! – Ovvio, no?
Quest’uscita spontanea ed ironica riuscì a strappare un minimo e veloce sorriso all’angolo della bocca di Don che, concedendogli un occhiata un pochino più rilassata, lo ringraziò silenziosamente scuotendo la testa, facendogli capire cosa pensava.
Non cambierà mai ma ne sono contento. Mi farà invecchiare prima del tempo però va bene visto che nei momenti in cui sprofondo riesce a tirarmene fuori facendomi dimenticare tutto.”
Il loro rapporto non era molto sentimentale ed a parte il lato professionale c’era anche quello fisico.
Già.
Il loro, oltre a tutto il resto, era un rapporto decisamente molto fisico che si era sviluppato a quel modo solo dopo alcuni ultimi eventi da cardiopalma che aveva visto coinvolti in special modo loro due.
Non avevano però avuto occasione e coraggio di approfondire quel che avevano iniziato a provare, preferendo semplicemente 'fare' quel che il loro istinto li spingeva a fare quando ne avevano bisogno!
Scoccandosi degli sguardi che parlarono da soli dicendo finalmente le medesime cose, il capo si limitò ad un diplomatico: - Fa venire qua Charlie e vediamo di sbrigarci, non c’è tempo da perdere! Ora ha abbastanza dati per fare quel calcolo di cui parlava tanto! –
Ogni volta che l’atmosfera sembrava ammorbidirsi o scaldarsi un po’, se non potevano dare libero sfogo alle loro voglie improvvise si mettevano a parlare di ciò che meno alimentava l’accendere del loro animo e solitamente era la matematica e quindi Charlie.
Senza aggiungere altro lasciarono i loro sguardi accarezzarsi al volo, quindi si girarono andando ognuno nella propria direzione.
La maratona aveva inizio!
   
 
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