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Autore: FedeB    13/08/2016    3 recensioni
Quattro volte in cui Stiles si è addormentato nei posti più improbabili e una in cui l'ha fatto nel posto migliore del mondo.
A Derek va bene così.
[STEREK! GAY ALL THE WAY! Don't like it? Don't read it!]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Il branco, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quella volta sul pullman.
“Three’s a pattern.”


Non è che alla terza volta ci avesse fatto l’abitudine, solo che qualche dubbio era iniziato a sorgergli.

Fino a qualche tempo prima, se non aveva il suo cuscino preferiva stare sveglio e morire di sonno, poi… poi le cose erano cambiate, ma non sapeva dire se in peggio o in meglio.

Prima c’era stato il portico di casa Hale, poi il divano del loft di Derek e infine quello.

“Ragazzino…”

“Sì, sì, scendo!” il panico era stata la prima reazione naturale ed oltremodo giustificata di Stiles.

Del resto, chi non l’avrebbe scoprendo di essersi ritrovato dall’altra parte del Paese per uno stupido errore?

Ma riavvolgiamo il nastro a qualche ora prima. Precisamente, a quel mattino.
Quel giorno era il giorno. Il giorno dell’anniversario della morte di sua madre e Stiles si era già svegliato triste.
Aveva passato la mattinata con suo padre a ricordare i momenti felici di quando erano loro tre. Non avevano mai accennato alla malattia, ma il retrogusto amaro di quella perdita prematura si faceva sentire con tutto il suo peso ingombrante.
I primi tempi erano stati insopportabili; Stiles non riusciva a concepire l’idea di poter andare avanti senza sua madre, soprattutto durante quel giorno.

Da circa tre anni, però, aveva trovato il suo modo di riconcigliarsi con l’universo intero e quella volta non era stata diversa.
Prendeva il pullman – rinunciando alla sua amata Roscoe – sorbendosi circa un’ora di strada per scendere ai piedi di una collina, riserva naturale grande il doppio della
riserva di Beacon Hills.
Poi iniziava a camminare, ogni anno prendendo sentieri diversi, ma che portavano tutti alla cima della collina, ad attenderlo un panorama mozzafiato di tutta Beacon Hills, incastrata e protetta dai rilievi circostanti.
Spegneva il cellulare, si sdraiava sull’erba e guardando il cielo iniziava a parlare. Di tutto.

Era una cosa che gli aveva insegnato proprio sua madre: se vuoi parlare con qualcuno di caro, basta raggiungere la cima di una collina e parlare, là dove la terra e il cielo sembravano toccarsi.
Si sentiva più vicino a sua madre. E parlava, parlava per ore intere, spesso perdendo la voce, dicendo cose senza senso e ritrovandosi ad osservare le stelle che, silenziosamente, lo ascoltavano proprio come faceva Claudia quando da piccolo litigava con Scott.

Dopo il funerale non era più tornato al cimitero.
Non gli era mai piaciuta l’idea di vedere il volto di sua madre confinato in una lapide, l’intera sua vita confinata in due date.
Sua madre era molto più di tutto quello.

Il suo sorriso era una splendida giornata primaverile, con il cielo terso e il sole alto e la sua risata era lo scorrere cristallino di un fiume.
I suoi lunghi capelli ricci e scuri erano le fronde di un albero scosse da una leggera brezza e i suoi occhi si illuminavano come le stelle in un cielo notturno sgombro dalle nuvole.

Suo madre era quello e molto altro ancora.

A volte piangeva.

Quella volta non era stata diversa.

Era tornato a valle appena in tempo per prendere l’ultimo pullman, dopo essersi reso conto delle basse temperature e soprattutto del buio.

A parte lui, il pullman era completamente deserto. Stiles si era seduto su un sedile, appoggiando la testa contro il finestrino e sospirando aveva chiuso gli occhi.

Forse era stata la stanchezza di quella giornata, tutto lo stress che sembrava essersene andato, perché Stiles si era inconsciamente addormentato.

Quando si era risvegliato, davanti a lui c’era il conducente – un uomo paffuto e baffuto – che lo guardava.

“Dove… dove siamo?”

“Al capolinea, ragazzino.”

Per poco Stiles non si strozzava con la sua stessa saliva: “Ca – capolinea? Merda!”

“Hai mancato la fermata?”

“Dovevo scendere a Beacon Hills!” la disperazione nella sua voce.

“Già, hai mancato la fermata.” Il conducente si era sistemato la cintura dei pantaloni. “Senti, ragazzino, mi spiace tanto per te, ma io vorrei tornare a casa, quindi per favore scendi dal pullman.”

E una volta sceso, abbandonato a sé stesso a chissà quanta distanza da Beacon Hills, Stiles si era lasciato prendere dal panico.

Aveva riacceso il cellulare con mani tremanti, osservando il messaggio di suo padre che lo avvertiva che era stato chiamato in centrale per un turno di notte e si era accasciato sul marciapiede con un sonoro lamento.

Aveva passato i successivi cinque minuti in uno stato di completa catalessi, poi aveva riafferrato il cellulare e aveva composto il numero dell’unica persona a cui riusciva a pensare.

“è mezzanotte e mezza.” Gli aveva risposto Derek dopo soli due squilli.

“Lo so e mi dispiace, moltissimo, te lo giuro, ma ho un problema e non so come risolverlo e ho pensato che fossi l’unico a potermi aiutare e – “
“Stiles.”

“Ok, ok, scusa.” Aveva preso fiato, riempiendo i polmoni per cercare di calmarsi e poi aveva continuato. “Vedi, il problema è che ho mancato la fermata del pullman e mi sono ritrovato al capolinea e non so più come tornare perché non ci sono più corse.”

Dall’altro lato del telefono Stiles era riuscito a cogliere il rumore di un sospiro di Derek, seguito da un clangore metallico, segno che si stava già avviando verso la macchina. Per un attimo a Stiles si era ristretto il cuore.
“Dove sei, ora?” Stiles aveva risposto, leggendo il cartello sbiadito e Derek, sconcertato, aveva ribadito con un “Lì?! È tipo un’ora di macchina da Beacon Hills! Come diavolo hai fatto?”

Per poco Stiles non si era messo a piangere mentre – colpevole – gli rispondeva: “Mi sono addormentato!”

“Avrei dovuto aspettarmelo. Ok, rimani lì e stai fermo, ok? Cercherò di fare il più in fretta possibile.”

Stiles non aveva fatto in tempo a rispondere, perché Derek gli aveva sbattuto il telefono in faccia.

Si era stretto nel suo maglione, forse un po’ troppo leggero, e tremando ogni tanto si era messo ad aspettare.

Non voleva sapere quante regole del codice della strada avesse infranto, perché Derek lo aveva raggiunto in quarantacinque minuti.

Si era seduto sul sedile del passeggero a testa bassa e aveva mormorato un “grazie” tra i denti, poi era calato il silenzio.

L’abitacolo era piacevolmente caldo e Stiles poteva quasi sentire i suoi occhi chiudersi nuovamente, se non fosse stato per Derek: “Soffri di narcolessia, Stiles?”

“Co – cosa? No! Cioè, almeno credo.”

“Non ti ho mai visto addormentarti così frequentemente durante il giorno. Sei sicuro di star bene?”

Derek Hale era preoccupato per lui. Preoccupato. Per lui. Derek Hale.
Per pochissimo Stiles non si era messo a piangere.

“Sì, sto bene. Sono solo… stanco, ultimamente.”

“Non ho bisogno dell’udito da lupo per capire che stai mentendo, Stiles. Non insisterò, se non vuoi parlare, ma per favore, dimmi cosa non va.”

“Ehi, sono veramente stanco. Oh, mio Dio, mi sento così violato certe volte. Quando mi sono addormentato sul portico ero esausto per colpa della scuola. Ancora mi chiedo come Scott sia riuscito ad organizzarsi meglio di me. Cioè, ti rendi conto?”

“Quando si tratta di organizzazione sono tutti meglio di te, Stiles.”

“Ok, quello? Quello era ciò che io definisco rude. Non c’era bisogno di infierire sulla mia dignità. Ma questa volta lascio passare, sono troppo stanco persino per lamentarmi, ritieniti fortunato.”

“Non mi sembri molto stanco per non parlare, però.”

“Amico, rude. Ancora. Al loft ero stanco, ma era un altro tipo di sensazione. Mi sono sentito sicuro, a casa. Quel divanetto è comodissimo, ottima scelta.”

“E oggi?” gli aveva chiesto Derek, senza staccare nemmeno per un attimo gli occhi dalla strada. Non c’era nessuno, a quell’ora, e viaggiavano nella notte a velocità moderata, rispettando tutte le regole stradali. Fortunatamente.

Stiles aveva sentito chiaramente il tonfo del suo cuore nell’udire quella domanda, quindi non c’erano dubbi che anche Derek lo avesse sentito, tuttavia il lupo era stato abbastanza magnanimo da non dire niente.

“Oggi è stato diverso. È un giorno diverso. Dovevo allontanarmi e parlare.”

“C’era Scott.”

“Non capirebbe. Per favore, non farmelo dire ad alta voce. Mi sono addormentato perché ero oltremodo esausto, provato psicologicamente.”

Derek non aveva risposto immediatamente, ma aveva fatto due più due e aveva capito.

“Io avrei capito.”

Stiles si era passato una mano sugli occhi, che minacciavano di rigargli il volto da un momento all’altro, poi si era voltato verso l’altro rivolgendogli un sorriso grato.

“Già, forse hai ragione.”

“La prossima volta vai in macchina, però.”

“Quando guido penso. Non mi piace pensare. Se mi concentro sul paesaggio, invece, stacco il cervello.”

La Camaro aveva intanto accostato di fronte a casa Stilinski ed entrambi erano scesi.

Derek gli si era piazzato davanti, tenendo tra le mani qualcosa.
Nell’oscurità, Stiles non era stato in grado di riconoscere cosa fosse, poi Derek aveva fatto un movimento con le braccia e allora aveva capito: ad avvolgergli le spalle c’era una coperta, calda e tremendamente morbida.

Prima che Stiles fosse stato in grado di ringraziarlo, però, Derek lo aveva attirato a sé, chiudendolo in un abbraccio che il ragazzo aveva apprezzato, infossando la testa nell’incavo della spalla di Derek e stringendosi a lui.

“La prossima volta,” gli aveva detto Derek, il naso affondato nei capelli del figlio dello sceriffo, “Vieni da me.”

Il cuore di Stiles aveva mancato un battito e, tremando, aveva annuito. “Lo farò, sì. Grazie, Derek.”

Era stato proprio Derek ad allontanarsi, lasciandogli un’ultima carezza sui capelli. “Buonanotte, Stiles.”

Stiles aveva risposto rientrando: “Buonanotte, Derek.”

Solamente alla luce della sua camera aveva constatato che l’alfa gli aveva lasciato la coperta color prugna.

E avvolto dall’odore di Derek, Stiles si era di nuovo addormentato.

Questa volta, fortunatamente, nel suo letto.




Niji’s corner~
Ciao a tutti! Eccoci finalmente giunti alla fine di questo terzo capitolo!
Innanzitutto, come al solito, ringrazio le persone che hanno recensito il capitolo precedente, chi ha aggiunto la storia tra i seguiti, i preferiti e i ricordati e chi ha anche solamente letto.
Per quanto riguarda questo capitolo, spero vi sia piaciuto: è leggermente emotivo rispetto a tutti gli altri (sia precedenti, ma anche i successivi), ma detto sinceramente ne vado abbastanza fiera, perché l’ho scritto esattamente come lo avevo immaginato nella mia testa.
Quindi sì, spero piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo!
Ci vediamo molto molto presto con il quarto e penultimo capitolo di questa mini raccolta!
Un abbraccio strettissimo!!
Niji <3
  
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