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Autore: Sanae77    17/08/2016    6 recensioni
Tutto segue le regole: Sanae e Tsubasa felicemente sposati.
Una vita tranquilla.
Una nuova avventura lavorativa.
Vecchi conti rimasti in sospeso.
Un tarlo che s'insinua nella testa...
Che cosa può accadere se un 'SE' resta in sospeso?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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… venti giorni dopo
 
 
Non credevo che sarebbe stato così difficile vivere senza di loro.
Sanae mi riempie di foto e messaggi, ma non è come averle qua.
Sto girando a vuoto per la casa da circa un’ora, io non ce la faccio a vivere così, con lei in Spagna.
Fortuna che ci sono tre giorni di riposo, domattina dopo l’allenamento prenderò il primo volo disponibile e correrò da lei… anzi da loro; perché non avrei mai creduto ma il batuffolo rosa mi manca moltissimo.
Sospiro ancora controllando le valigie già pronte per domani.
Ancora poche ore e le rivedrò.
Afferro il telefono e la chiamo.
“Ciao, finita la giornata?”
“Sì, non vedo l’ora di essere a domani e prendere quel maledetto aereo.”
“Come siamo scontrosi, forza pensa a domani e cerca di rilassarti. Tutto bene oggi con gli allenamenti?”
“Le solite cose.”
“Goal presi?”
“Stai scherzando? Nessuno che diamine.”
“Portiere?”
“Mh?”
“Ti adoro quanto t’infiammi.”
“La smetti una buona volta di prendermi in giro?”
“Genzo…” la sua voce è cambiata sembra si sia trasformata in un sussurro.
“Sì?”
“Ho voglia di te.”
Sospiro e sorrido mentre mi sono completamente appoggiato allo stipite della porta. Perché mi manca come l’aria.
“Anch’io: non immagini quanto…”
“Ti aspetto, a domani.”
 
 
E finalmente domani è arrivato.
Percorro il vialetto di casa a grandi falcate, infilo le chiavi e apro.
“Sanae, sono a casa.”
“Ciao Genzo.”
E non era certo la voce che mi aspettavo di trovare.
“Tsubasa, che cosa ci fai qua?”
“Che domande, sono passato a vedere Hikari.”
Sbuffo un po’ di aria che non mi ero reso conto di trattenere.
Sento dei passi sopraggiungere dal reparto notte.
Sanae comprare con la piccola in braccio, e… francamente me ne infischio se c’è lui.
“Ciao.”
La raggiungo in fretta, vorrei baciarla, ma lei frappone tra noi due la bambina.
Capisco, così, che non vuole di fronte a lui.
“Bentornato” mi strizza un occhio come a tranquillizzarmi, dopo mi supera sulla sinistra e raggiunge il Capitano.
“Allora Tsubasa, ha mangiato, è pulita sistemata, lì c’è la carrozzina se vuoi puoi portarla in giro, credo che per le prossime tre ore sia a posto.”
“Ma non vieni con noi?” le chiede lui.
Sollevo gli occhi al cielo, mentre Sanae nega con la testa.
“Azumi dov’è?” chiedo.
“È dovuta partire un giorno prima, Taro si è stirato un polpaccio e deve stare a riposo assoluto, quindi, l’ho spedita quasi a calci nel sedere. È giusto che stia con suo marito, ha detto comunque che tornerà.”
“Bene.”
Si è creata una situazione di stallo nessuno parla, francamente sto aspettando che Tsubasa esca…
Anego mi stupisce; mette la figlia nella carrozzina, dopo si gira verso Tsubasa e parla: “Bene, è pronta per la passeggiata con il papà.”
Ed è impossibile per lui rifiutare.
Quindi afferra il mezzo ed esce con la figlia.
Appena chiusa la porta, Sanae ci si appoggia e sbuffa fuori un sorriso.
Dopo punta i suoi occhi nei miei e si avvicina come un felino che ha individuato la sua preda.
Si muove sinuosa verso di me.
Ancora credo che non abbiamo sbattuto le palpebre.
Sento l’unghia del suo indice passarmi sotto al collo.
“Bene S.G.G.K, sfruttiamo queste tre ore a nostro favore.”
“Vuoi dire che possia-…”
“Diciamo che ci proviamo, dopotutto da una parte dobbiamo iniziare no? E oggi abbiamo tutto il tempo che vogliamo, prendiamocela comoda.”
Ed è talmente tanto che non facciamo l’amore, tra il fastidio per la pancia ingombrante e per il parto dopo, che la sollevo direttamente come una sposa che supera la porta della casa nuova.
Ha preso a baciarmi il collo durante tutto il tragitto.
Imbocco subito la porta della nostra camera.
Porta che chiudo con un calcio.
La poso a terra in prossimità del nostro letto.
Siamo soli finalmente e posso amarla di nuovo.
Lentamente la spoglio, lei si solleva sulle punte e arriva fino al mio orecchio: “Dovremmo far finta che oggi sia la mia prima volta sai…”
“Non temere, farò conto che lo sia, anzi, ne sono onorato.”
 
 
“Non ricordavo che tu fossi così morbida, Sanae.”
Ansimiamo l’uno nella bocca dell’altro. Mentre i baci non si risparmiano.
“E io avevo quasi scordato che potesse essere così bello.”
“Tutto bene? Hai sentito dolore?”
Nega e sorride.
“No, tranquillo!”
“Allora possiamo iniziare dal principio.”
Una risata cristallina esce dalle sue labbra.
“Vedo che il periodo di astinenza forzata ti ha fatto bene…” il tono è leggermente canzonatorio.
“Diciamo che stavo per impazzire… e non per il sesso, Sanae, è stare lontano da te che mi fa impazzire, non vivere la quotidianità con voi mi rende triste e nervoso. Io sto bene solo dove ci siete voi, mi sento solo ad Amburgo.”
Il mio tono è serio non ho certo voglia di scherzare.
Afferrandomi il viso con le mani lo blocca, fintanto che le sue labbra non raggiungono le mie. Dopo avermi baciato con passione sussurra:
“Non pensiamoci, la bambina crescerà e sarà più facile gestire il tutto. Potrà restare dal Capitano anche per la notte e io magari potrò raggiungerti.”
Sorrido, perché non voglio darle pensiero in questo momento di ritrovata intimità ma a me non basta. Non più. Quindi decido seduta stante che m’impegnerò a trovare un'altra soluzione.
 
 
Apro gli occhi allungo la mano, ma lei non c’è.
Il suo lato del letto è vuoto ed è freddo, quindi capisco che è già da un po’ di tempo che deve essersi alzata.
Passo una mano su tutto il volto per scacciare gli ultimi residui di sonno, scalzo e cercando di fare meno rumore possibile vado alla ricerca di Sanae.
Una leggera cantilena proviene dalla cameretta di Hikari, è ancora molto presto, forse sta tentando di riaddormentarla.
Mi soffermo sullo stipite e resto incantato a guardarle.
Sono così belle.
La bambina dorme tra le sue braccia, Sanae le sussurra dolci paroline, e quando mi concentro finalmente riesco a scorgere qualche spezzone di questo monologo, perché Hikari dorme profondamente e non può certo sentire quello che la madre sta dicendo.
“Sai dobbiamo essere forti io e te, perché in questa grande casa spesso saremo da sole, e dovremo essere felici anche in due, e non dobbiamo mai far sapere a quel burbero di un portiere quanto la sua presenza ci manchi…”
Si sofferma sospira e una lacrima brilla nel primo raggio del mattino.
Un improvviso groppo mi nasce in gola.
È sempre così allegra e solare, non aveva mai manifestato questa sofferenza, ho sempre pensato che fosse, in un modo o nell’altro, abituata alla lontananza.
Improvvisamente m’illumino e capisco.
Ovviamente è abituata; lo sa più che bene che cosa significa.
Tsubasa è stato lontano da lei per tre lunghi anni.
Quindi sa perfettamente che sacrifici comporta questa cosa.
Io invece? Lo so?
Alla fine quando ho scelto di venire in Germania è come se di fatto mi fossi avvicinato ai miei genitori.
Certo ho lasciato gli amici, ma ho sempre avuto la mia famiglia, e finora io non ero mai stato innamorato.
Ancora un sussurro: “No, amore non dobbiamo fargli sapere quanto invece ci manca, perché adesso la sua carriera è al culmine e non possiamo permetterci cambiamenti, ma sono sicura che nel futuro troveremo un soluzione.”
La lacrima cade sulla figlia e lei l’asciuga veloce.
“Scusa piccolina mia.”
Un sorrido dolce si distende sulle sue labbra, e dopo essersi sollevata dalla sedia va verso il lettino per coricare la figlia.
Svelto torno in camera non voglio che mi sorprenda.
Ma questi discorsi non possono che confermare la scelta che ho fatto.
 
 
… dieci mesi dopo
 
 
“Hikari, lascia stare la pianta ho detto!”
Da quando gattona non ho più un attimo di tregua.
Suona il campanello, finalmente il Capitano è arrivato.
“Vieni” dico aprendo la porta e correndo subito dalla piccola peste che si è interessata un po’ troppo ai CD del portiere.
“Tutto ok?” Chiede il mio ex.
“Era meglio quando stava ferma nel passeggino.”
E appena avvertita la voce del padre gattona come un razzo nella sua direzione.
“Pa-pa.”
“Sì, amore papà è venuto a prenderti, andiamo al parco a mangiare un gelato che ne dici?”
La solleva facendola roteare, per tutta risposta ottiene una risata immensa a ben quattro denti e due manine paffute che battono incessantemente.
Sono così belli.
Finalmente vedo Ozora sereno, è stata così dura.
Sarà così dura.
“Vieni a mangiare un gelato con noi?”
Mi riscuoto alla richiesta di Tsubasa.
“No… io” tentenno.
“Guarda che se per una volta usciamo tutti e tre insieme non succede niente, non ti mangio Sanae.”
Sospiro, perché so, che dovrei regalare a mia figlia dei momenti solo con noi tre, ma è difficile riallacciare con lui… e Genzo è geloso marcio.
Sposto il peso da un piede all’altro temporeggiando, ma dopo cedo.
 
E ora che siamo tutti insieme al parco credo di aver fatto una saggia scelta a regalare questo momento a mia figlia.
In mezzo a noi sta facendo vola vola ridendo serena.
Arrivati al chiosco dei gelati ci sediamo.
Tsubasa torna con tre coni.
“Fragola e panna se non ricordo male.”
Sorrido…
“Ricordi bene.”
Mangiamo in silenzio il gelato mentre Hikari è intenta a giocare nella sabbiera, il suo cono era piccolo e ha finito prima, adesso si sta beatamente passando della sabbia con un'altra bambina.
“Dove abbiamo sbagliato Sanae?”
Mi volto di scatto, non mi aspettavo una domanda così, dopo tutto questo tempo.
“Te l’ho detto… è successo, non si poteva prevedere.”
“Ti trascuravo vero?”
“Ho sempre saputo che nella tua vita il pallone era al primo posto, e ti avevo accettato così, per com’è giusto che sia, per come sei fatto tu. Ma poi… non so cosa sia accaduto con Genzo. Mi sentivo al primo posto, considerata e complice. Non ho mai avuto questa complicità con te… mi dispiace.”
“Se solo potessi tornare indietro… è tardi ora vero?”
Mi volto totalmente verso di lui.
Metto una mano sul suo viso, l’ho amato così tanto.
“Sì, Tsubasa, è tardi.”
Annuisce e tra noi cala un silenzio di riflessioni.
Passa un tempo indefinito prima che lui parli di nuovo.
“Pensavo… secondo te posso assumere una baby sitter per Hikari? Vorrei portarla a dormire anche a casa mia e tenerla più a lungo ora che il seno non è più il suo pasto principale.”
Muovo la testa in senso affermativo.
“Credo sia un’ottima idea anche se sono sicura che saresti in grado di badare a lei senza nessun problema, ma se questo ti fa sentire più tranquillo, non vedo un motivo per il quale dovrei essere contraria.”
“La scegliamo insieme?”
Sorrido, ma nego.
“Deve stare a casa tua, non a casa mia.”
“Ok, recepito. Però ho un’ultima richiesta da farti.”
Sollevo gli occhi al cielo.
“Vai spara.”
“La prima notte che dormirà da me… puoi restare anche tu?”
Sgrano gli occhi: è impazzito?!
“Tsubasa, ma che dici?”
Agita le mani.
“Aspetta, temo solo che la bambina non riconoscendo la casa si metta a piangere… invece se tu fossi lì…”
Lascia cadere la frase mentre io passo in rassegna la proposta, che, di fatto ha una ragione ovvia e precisa…
Dovrei farlo capire anche a Genzo però.
“Vediamo, non ti prometto nulla, ci penso, magari posso restare fino a tardi e poi vado a casa, ti faccio sapere.”
Sputa fuori un sorriso sarcastico.
“Cos’è: Genzo non vuole?”
Ok, mi vuole provocare non devo cadere in trappola.
“No, Tsubasa, sono IO che proprio non me la sento.”
“Hai paura che accada quello che è accaduto in Germania con il portiere?”
Mi punzecchia, non devo cedere.
Così decido di alzarmi raggiungo Hikari e la sollevo da terra.
“Andiamo amore, per oggi la passeggiata è finita.”
Così mi avvio seguita a ruota dal Capitano.
“Sanae, aspetta…”
Ma non mi fermo, so di essere nel torto, ma non ho certo intenzione di litigare qua in un parco pubblico.
Mi affianca.
“Sanae io…”
“Tsubasa, lasciamo perdere, non ho voglia di discutere sulla pubblica piazza. Ci vediamo domani.”
Ed è così che all’uscita del parco le nostre strade si dividono portandoci ognuno alla propria dimora.
 
 
… Due giorni dopo, Amburgo
 
 
Inspira
Espira
Inspira
Espira
 
Non avrei mai creduto che quelle lezioni di concentrazione potessero servirmi in questo istante.
Istante nel quale sto stringendo, poco garbatamente, il giornale tra le mani.
 
Non tutto è perduto
 
Una famiglia felice.
Questo quello che appare dalle nostre foto. I coniugi Ozora fanno fare vola-vola nel parco alla loro figlia. Molto probabilmente la lontananza con il portiere e la vicinanza con il marito. (Oramai ex da voci certe) hanno permesso ai due di chiarire.
In questa splendida sequenza di foto osserviamo i volti rilassati dei protagonisti.
Il campione Giapponese, dopo un periodo scadente dal punto di vista calcistico sta tornando a brillare come prima.
Che sia merito del riavvicinamento con la ex moglie?
Certo tutti sappiamo quanto influisca la tranquillità familiare sul rendimento.
Prosegue…
 
Devo calmarmi, sono soltanto giornalisti che stanno cercando la notizia e lo scoop.
So che Sanae è più che certa della scelta fatta.
Continuo a guardare il cellulare, non resisto lo afferro e la chiamo.
“Pronto?”
La sua voce calda mi avvolge facendomi ingelosire ancora di più.
“Buongiorno.”
“Portiere buongiorno, passata bene la notte?”
“La notte sì, è la colazione che mi è andata di traverso, Sanae.”
“Perché? Che cosa è accaduto?”
“Non hai ancora letto il giornale vero?”
“No.”
“Aspetta ti mando una foto.”


“Genzo io…”
“Dimmi che cosa sta succedendo per dio” forse la frase mi è uscita un po’ troppo sopra le righe visto che sento il suo respiro cambiare e dopo parte.
“Non sta succedendo proprio nulla, abbiamo solo portato la bambina al parco, ma non sarà neppure l’ultima volta sia chiaro. Se i giornalisti non hanno meglio di cui parlare… beh, peggio per loro. E mi meraviglio di te, che pure ci credi. Idiota!”
Detto questo mi aggancia il telefono in faccia.
Fisso un attimo il cellulare stordito. Una rabbia improvvisa m’investe, afferro la felpa ed esco. So perfettamente che cosa fare e dove andare.
Tre ore dopo raggiungo la meta. Sta piovendo e sono bagnato da capo a piedi.
Imbocco il vialetto di casa spalanco la porta entrando come una furia.
Percorro a grandi falcate il corridoio e finalmente arrivato individuo l’oggetto del mio desiderio.
Sanae.
È in veranda e si sta occupando delle piante.
“Anego, non provare mai più ad attaccare il telefono mentre stiamo parlando!”
Un urlo terrorizzato la sconvolge, si sbilancia e cade all’indietro.
Indietreggia con lo stile di un gamberetto strisciando a terra.
E la scena sarebbe davvero comica se non fossi incazzato come una bestia.
“Gen-gen…” neppure riesce a formulare il mio nome da quanto è lo stupore.
Mi avvicino sovrastandola. Lentamente una piccola pozza si sta formando ai miei piedi.
Finalmente si alza con sguardo furente e dito puntato al mio petto inizia lo sproloquio.
“Tu sei un folle… che diavolo ci fai qua?”
“Non provare mai più a riattaccare il telefono: siamo intesi?”
“Sentiamo altrimenti che cosa mi fai?” Domanda in tono sarcastico sollevando prima le mani al cielo per poi adagiarle sui fianchi con fare di sfida.
“Questo!”
E me la carico sulle spalle dirigendomi nel reparto notte.
 
 
***
 
 
Sto tranquillamente sistemando i fiori quando una voce… per l’esattezza la sua voce mi fa vibrare il corpo.
Mi volto e trovarmelo alle spalle tutto bagnato da capo a piedi non solo mi spaventa ma eccita da impazzire.
Quei jeans attillati fradici gli donano come un dio. Ha lanciato la felpa zuppa sulla sedia e quello che intravedo sotto mi fa salire un'ondata di caldo incredibile.
Ma non crederà mica di averla vinta così; quindi inizio a battibeccare come si deve. So che l’articolo lo ha fatto infuriare, ma Tsubasa resterà sempre il padre di Hikari e io non posso ignorarlo.
Sbraita e i muscoli si tendono. Bene sentiamo che cosa ha da dire.
“Sentiamo altrimenti cosa mi fai?” Chiedo a presa in giro.
E dopo la risposta mi carica sulle spalle.
Scalcio senza ritegno dando l’impressione di essere quantomeno un po’ incazzata.
Non ha neppure idea invece di quanto io voglia raggiungere la nostra camera.
Spalanca la porta e dopo averla chiusa a chiave mi scaraventa sul letto.
Ansimiamo entrambi, vuoi per la leggera colluttazione, vuoi per il fervore del momento.
Mi sta fissando a braccia conserte. Non riesco a non tartassare il labbro inferiore. Decido di osare di più a questo punto.
“Beh, finita la scena da uomo delle caverne?”
“No.”
E me lo ritrovo addosso che mi bacia schiacciandomi sotto di lui con tutto il suo peso.
Le mie mani stanno togliendo la maglietta bianca zuppa d’acqua, per toccare quella pelle liscia che sotto arde.
Non capisco più niente mentre i baci si consumano tra il mio collo e il petto.
Petto oramai nudo dopo che la maglia è stata strappata con foga.
“Sei solo mia” ripete in continuazione.
La nenia prosegue mentre inebriata da lui rispondo: “Solo tua.”
I baci si alternano alle risposte sempre più spezzate.
I ti amo sussurrati tra i capelli, tra le labbra, tra la pelle.
E sono davvero soltanto sua mentre i nostri corpi uniti si muovono all’unisono.
Mentre il piacere ci avvolge nel suo caldo abbraccio.
Mentre Genzo si adagia delicatamente sul mio corpo.
Mentre le mani sfiorano la morbida pelle lasciando scie di brividi che prolungano il momento del piacere.
Il momento in cui i cuori tornano a battere nel petto.
Il momento in cui il desiderio è stato soddisfatto.
Il momento in cui i respiri tornano ad essere regolari.
 
 
Confesso che mi scappa da ridere. “Non ti facevo così geloso portiere!” Esclamo passando le mani tra i suoi capelli e fissandolo intensamente negli occhi.
“Anego sposami! Mettiamo fine a tutte queste dicerie.”
Strabuzzo gli occhi incredula, ma un sorriso scorre sulle labbra.
“Stai scherzando?”
“Non sto scherzando. Sei mia, voglio solo che sia chiaro a tutti.”
Ed è serio, estremamente serio.
Porto una mano al mento con fare riflessivo.
“Mh… devo valutare bene, vediamo geloso, possessivo e un po’ cavernicolo!”
“Simpatica, simpatica davvero!” si sta alterando, quindi lo afferro per le guance costringendolo a tuffare i suoi occhi antracite nei miei.
“Quello che vedo in realtà però… è un portiere tanto innamorato quindi la mia risposta è: sì!”
“Ti amo Nakazawa!”
“Anch’io Wakabayashi!”
 
 
Apro un occhio quando sento Hikari piangere, mi sollevo di scatto afferrando il lenzuolo.
“Ehi” il mugolio infastidito di Genzo mi fa sobbalzare.
Oddio, allora non era un sogno. È piombato qua in casa e ha chiesto di sposarmi.
“Cavolo” borbotto mentre vado in cameretta dalla piccola.
Una volta recuperata entro di nuovo nella nostra stanza e la metto nel lettone, lei appena vede il portiere perde la testa, quindi gattona spedita nella sua direzione mettendosi sulla schiena a cavalcioni.
Dopo inizia a saltellare tutta felice sbrodolando un “Waka-waka.”
“Accidenti che risveglio” mugugna lui lasciandosi fare ogni tipo di tortura possibile.
La tolgo; così da permettere almeno che si metta a pancia in su.
Ma dura poco perché la bambina torna a torturarlo mettendosi proprio su questa.
“Vedi: con te gli addominali vengono benissimo, Hikari, dovrei proporti all’allenatore” e ride alla bambina, sono bellissimi insieme.
“Waka-waka!”
“Possibile che tu mi chiami come una canzone? Con tutti i diminuitivi possibili proprio questo” le dice prendendo le manine paffute e agevolandola nel gioco.
Dopo sollevandola la fa volare come un aereoplanino.
Ci sa fare, non c’è che dire.
Una volta atterrata sul suo petto la bambina gli getta le braccia al collo e lo stringe forte dandogli ripetuti baci sulle guance.
“Mamma mia che ruffiana abbiamo qua!” esclamo dando delle leggere pacchette sul culetto coperto dal pannolone.
“Cara Hikari sei proprio sfortunata, pensa te… quando dovrai uscire con il primo ragazzo e dovrai passare il test di ben due padri!”
“Ah, sarà Ozora a decidere” risponde il portiere sicuro di sé.
“Sai che non ci credo neppure se ti vedo, che non avrai niente da obiettare se lei uscisse con uno che non ti piace?”
Fa spalluccia…
“Io non direi assolutamente niente, il padre è Tsubasa… Io lo aspetterei semplicemente in un vicolo molto buio.”
Ci guardiamo ed esplodiamo in una risata.
La bambina ride con noi, sono felice che nonostante le tensioni e le inevitabili discussioni lei stia crescendo serena.
Ma la nostra vita non sarà certo come quella di una normale famiglia, avremmo sempre una terza persona che influirà inevitabilmente nelle nostre scelte.
“Genzo devo chiederti una cosa, ma prima che tu vada in escandescenza dammi la bambina.”
 
 
***
 
 
Sto facendo una sfuriata per la stanza dopo quello che mi ha detto Anego.
Porca miseria, vuole che resti a dormire da lui, perfetto, giusto, sacrosanto è sua figlia, ma non può chiedere che si fermi anche lei.
Credo solo che sia una scusa bella e buona.
E sto tentando di farglielo capire.
Certo, lo ammette anche lei, ma per il bene della figlia vuole restare fino a tardi, così se si sveglia e piange lei può essere lì.
Solo per la prima volta ha detto.
Tento ancora di regolarizzare il respiro.
Cavolo non mi era mai capitato di dover mettere in pratica questa tecnica per due volte di seguito in meno di dodici ore.
Non ho mai provato così tanta gelosia verso una donna. Per l’esattezza è la prima volta che la provo ed è la prima volta che mi batte così il cuore.
 
Hikari mi guarda come se stesse seguendo una partita di tennis spostando la testa a destra e a sinistra.
Mi blocco proprio di fronte e lei e immediatamente allunga le braccia per essere presa.
“Anche se sbraiti non fai poi così paura” ammette la mia compagna con un alzata di spalle.
“Siete due streghe. E va bene, vada per questa mezza nottata, ma appena arrivi a casa mi telefoni.”
“Anche se è notte fonda?”
“Certamente.”
“Guarda che se volessi far qualcosa non importa mica l’orario…” vuole stuzzicarmi e ci sta riuscendo divinamente.
“Mh… Anego che nervi, lo so benissimo… voglio solo sapere quando arrivi a casa e che stai bene.”
“Oh, ma che premuroso!”
Mi paro di fronte a lei.
“Ti diverte tanto prendermi in giro?”
Si alza dal letto e solleva sulle punte. Dopo avermi sfiorato le labbra con un bacio sussurra: “Da impazzire portiere, vado a fare una doccia.”
E mi lascia lì con il fagotto il mano.
“Ringrazia solo che ho Hikari tra le braccia altrimenti…”
“Altrimenti?” chiede sporgendosi oltre lo stipite della porta.
“C’è una minore in stanza, meglio che taccia. E datti una mossa che tra due ore ho il volo.”
“Ma non stai qua per qualche giorno?”
“Anego, sono venuto inventando una scusa, devo tornare subito ad Amburgo.”
Si sbatte il palmo della mano sulla fronte.
“Non posso crederci tu sei pazzo.”
La raggiungo.
“Sì, pazzo di te!”
E la bacio.
 
 
Ancora aeroporto; ancora Amburgo; ancora questa maledetta casa vuota.
E ora che ho deciso di sposarla non posso continuare questa vita così.
Devo assolutamente trovare una soluzione, non possiamo certo essere marito e moglie in due nazioni differenti.
Quindi chiamo il mio procuratore e gli espongo il piano.
Dovrò fare delle sostanziali modifiche nella mia vita, ma per lei questo e altro.
Mi darà ancora del pazzo, ma poco m’importa, così non posso andare avanti, questo è certo.
Raccolgo la busta che giace sulla console chiusa.
La apro e un ennesimo invito a una festa importante è lì che mi guarda spavaldo.
Odio queste cose… anche se… forse per una volta può volgere a mio favore.
Afferro il telefono e chiamo Anego.
“Sono arrivato.”
“Fatto buon viaggio?”
“Sì, senti…”
“Mh… come mai quando parti così suona sempre male?”
“Perché tu sei prevenuta. Tra circa quindici giorni ho un festa della società dove gioco, avrei piacere se tu fossi al mio fianco ufficialmente, Sanae.”
La sento sospirare…
“Per favore…” aggiungo.
“Parlo con il Capitano per sentire se posso portare la bambina per qualche giorno lì, ma non ti prometto niente, cerca di capire.”
“Cerco di capire che prima o poi dovremmo fare la nostra vita e non dipendere sempre da Tsubasa.”
“Sei geloso.”
“Sarò geloso, ma tu gliele dai tutte vinte.”
Ancora un sbuffo, pare un toro infuriato.
“Non ho voglia di litigare ancora con il rischio che magari tra due ore e mezza piombi qua in casa come un pazzo, quindi dammi il tempo di chiederglielo.”
Mi mordo la lingua per non mandarla a quel paese.
“Però ti è piaciuto…”
“Mh… passabile.”
“Come passabile… SANAE!”
Esplode in una risata cristallina.
“Oddio, sto morendo… avrei voluto vedere la tua faccia; giuro!”
E continua a ridere senza alcun ritegno.
“Vuoi che prenda ancora il prossimo volo?” il tono è un mix tra il minaccioso e l’erotico.
“Magari… amore, a parte di scherzi, prometto che glielo chiederò.”
 
 
… quattro giorni dopo, Spagna
 
 
Osservo la tavola, tutto è finemente apparecchiato per stasera.
Hikari resterà a dormire, Sanae ovviamente ha detto di no, ma non nascondo che sto tentando di riconquistarla.
Il campanello suona e io corro ad aprire.
Sanae con un piccolo trolley compare sulla porta.
Allevio subito il peso delle borse e la faccio accomodare.
Hikari è talmente curiosa di esplorare la nuova casa che a mal fatica mi ha salutato.
“Ciao. Tsubasa ti consiglio di togliere quelle due piante, non so il perché ma adora mangiare le foglie.”
“Oddio se ti sentisse mia madre… lo facevo io da piccolo.”
“Ecco, ora si spiega tutto!”
Papà” ed ecco un piccolo gattino che si sta arrampicando sulle mie gambe, quindi mi chino e la prendo tra le braccia.
“Schifo, Hikari, le piante, non si mangiano.”
Pa-pa, one
“Non sono buone, fanno male al pancino” dico toccandoglielo.
Mentre Sanae prende le povere piantine incriminate e le mette a distanza di sicurezza.
“Venite andiamo a mangiare, ho preparato in cucina così è meno dispersivo e più intimo.”
“Accidenti, non sapevo che tu cucinassi, per lo meno, non lo avevi mai fatto prima.”
“Hai ragione, non ho mai fatto una cosa così carina nei tuoi confronti… prima.”
Restiamo un attimo in sospensione, ma è lei a spezzare l’imbarazzo chiarendo:
“Buttiamoci tutto alle spalle… quindi cosa hai cucinato di buono?”
“Confesso che io ho solo apparecchiato e che la mamma di Pinto mi ha preparato la paella, se non ricordo male era il tuo piatto preferito.”
Avvicinandomi con la mano sposto un ciuffo mettendolo dietro al suo orecchio.
Lei fa un passo indietro e finisce di sistemare il mio lavoro incompleto.
Ci fissiamo un secondo negli occhi, dopo lei distoglie lo sguardo e capisco che questo tipo di effusioni non posso più permettermele.
Oramai è troppo tardi per qualsiasi tentativo di conquista, la vedo come si tiene a distanza.
“Sediamoci e mangiamo, così dopo ti spiego tutto su come fare con Hikari. Dovrai farle anche il bagnetto.”
“Va beh, lo abbiamo fatto altre volte a casa tua no?”
“Vero, ma ora dovrai riuscire da solo, come se io non ci fossi.”
Annuisco mentre mi siedo a tavola.
La cena scorre tranquilla tra vari aneddoti del passato e ricordi della nostra vita insieme.
Ogni tanto si distrae con il cellulare, temo sia Genzo, ma non posso farci davvero nulla, oramai siamo divorziati.
Hikari gattona tra la cucina e la sala, dove sono stati sparsi vari giochi. Non la perdiamo mai di vista.
Finito il dolce decidiamo di guardare un po’ di tv nell’attesa dell’ora della nanna.
“Tsubasa senti dovrei dirti una cosa, anzi due.”
“Quanto mi faranno incazzare?”
“Abbastanza…” ammette.
“Vai, sono pronto.”
“Tra circa quindici giorni devo raggiungere Genzo in Germania, vorrei portare la bambina.”
Mi alzo di scatto e inizio a passeggiare.
“Scordatelo!”
“Lo sapevo, perché devi sempre rovinare tutto.”
“Ah, io rovino tutto? Senti chi parla…”
“Ti ho già chiesto scusa un milione di volte è successo e mi dispiace, ma oramai sto con lui, credo che tu debba fartene una ragione.”
“Non temere, me la sono fatta.”
“Beh, non mi sembra, comunque ho la soluzione. Andrò ad Amburgo senza Hikari, starà da te così non uscirà dai confini spagnoli e tu sarai tranquillo.”
Ammettiamolo il tono è sarcastico e mi rendo conto che con questa cosa mi ha incastrato.
“Ma tu non puo-…”
E non mi fa finire si avvicina e punta un dito al petto.
“Sia chiaro, su tua figlia hai voce in capitolo, su di me NO. Ah, ho anche un’altra notizia prima che tu la venga a sapere dai giornali… io e Genzo ci sposiamo.”
Resto come un ebete a fissarle il volto, ha gonfiato le guance come da ragazzina. Dio, erano secoli che non vedevo quest’espressione.
Tutto è perduto, adesso la certezza si concretizza attraverso queste parole.
“Credo sia meglio che torni a casa, sono certa che saprai cavartela alla grande Tsubasa, sei un ottimo padre.”
Si china dalla figlia e dopo le classiche raccomandazioni del caso afferra la borsa salutandomi.
“Mi raccomando se hai bisogno non esitare chiamami, tanto al massimo in quindici minuti sono qua da te.”
Annuisco e non riesco a proferire altre parole se non Ciao.
   
 
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