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Autore: Alaide    28/04/2009    1 recensioni
Seconda classificata al contest "Home sweet home", indetto da Writers Arena
La notizia che i nipoti dell’Egilda si sarebbero stabiliti al Podere delle due Noci è sulla bocca di tutti da una settimana e da una settimana si attende il loro arrivo. Le donne ne parlano al ritorno dai campi o davanti alla chiesa, gli uomini ne discutono davanti ad un bicchiere di vino, proprio qui sotto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Capitolo II

Inquietudine

[Dal diario di Adalgisa]

20 marzo 1887

Credo che oggi nessuno abbia seguito con attenzione la Messa. Quando sono entrata, c’era unicamente un gran brusio. La Piera mi ha bloccata sull’ingresso per dirmi che tutti si chiedevano se i nipoti dell’Egilda sarebbero venuti in chiesa oggi.
Il fatto è che nessuno li ha visti ieri, nemmeno la Filoma quando è andata a fare le faccende in casa dell’Egilda. E la Maria non ne ha spettegolato con lei quando si sono viste. Ovviamente la curiosità di tutti noi è aumentata a dismisura.
Ogni volta che la porta della chiesa si apriva, ecco tutti ci giravamo verso quel punto. Ma siamo rimasti delusi diverse volte. Poi finalmente sono entrati.
L’Egilda era davanti e camminava con quel suo passo sicuro. Dietro di lei venivano i suoi nipoti, un giovane uomo, di qualche anno più vecchio di me e una giovane, che ha colpito subito la mia attenzione. Forse perché era pallida come un cencio, forse perché aveva i capelli nerissimi, ben visibili sotto il cappello elegante. Non sono riuscita a vederle bene gli occhi, ombreggiati dalla veletta, ma li ho immaginati enormi e neri come i capelli. La cosa più straordinaria è che suo fratello ha i capelli castano chiaro, quasi biondi, proprio come li aveva l’Egilda prima che le si ingrigissero. Visti così non sembrano nemmeno parenti.
Ho sentito chiaramente due donne, nel banco dietro al mio, dire che doveva esserci qualcosa sotto. Una delle due ha sostenuto che la ragazza è la figlia naturale del cognato dell’Egilda (sue parole testuali). Io non so cosa pensare, ma di certo i due fratelli sono molto uniti. Ho avvertito chiaramente la giovane sospirare quando il fratello si è recato verso uno dei banchi nella parte destra della navata, dove siedono gli uomini. E durante tutta la messa ha tenuto il capo chino e di tanto in tanto guardava verso il fratello. In fondo l’avevo davanti ed ho potuto vederla bene.
Questo però mi ha impedito di sentire la predica di Don Piero, ma credo di essere in buona compagnia. Mi sa che in molti diremo degli Ave e dei Pater in questi giorni.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 20 marzo 1887

Siamo andati alla Messa oggi. Non volevo andare. Ero troppo arrabbiata e disperata per poter pregare Dio, ma Normanno e zia Egilda mi hanno convinta.
È stato un tormento.
Tutti quegli occhi fissi su di me, curiosi. Tutti i mormorii.
Durante la predica del curato avrei voluto urlare e mettermi a piangere. Sentivo chiaramente che nessuno la stava seguendo, che tutti, come nel resto della celebrazione, erano intenti a scrutarmi. O a scrutare Normanno. Ma so che a lui tutto questo non dà fastidio. Quel senso di soffocamento, che ho sentito durante la Santa Messa, mi ha impedito di pensare alla rabbia che mi ha colta stamattina.
Ogni mia speranza di poter suonare il pianoforte e cantare è andata in fumo.
Quando, poco prima di andare a Messa, mio fratello e la zia sono andati a fare una passeggiata nel podere, mi sono avvicinata al pianoforte, ma non sono riuscita a sollevare il coperchio che ne copre i tasti. L’ho osservato quindi con attenzione.
Ha la serratura ed è stato chiuso a chiave.
È stato Normanno.
E, che Dio possa perdonarmi, l’ho odiato terribilmente in quel momento, l’ho odiato, anche se so che agisce per il mio bene. Come sfida ho iniziato a intonare una nenia, ma una serva che lavora per la zia mi ha raggiunta subito e mi ha chiesto, guardandomi con i suoi occhi stolti, di non cantare... «che la signora si era raccomandata tanto e che non voleva disobbedire alla signora.»... la signora... mio fratello era meglio che dicesse. Se soltanto non mi avesse fatto pietà, forse avrei continuato a cantare, invece mi sono zittita. E tutta la vita che sentivo dentro di me, se n’è andata, lasciandomi, a parte per quella rabbia atroce, che sta però già sbollendo da ore, morta.

Basilicanova, 22 marzo 1887

Niente canto. Niente musica.
Solo solitudine.
Nemmeno quella strana voce che alle volte mi pare di sentire, mi ha chiamata oggi.




[Dal diario di Adalgisa]

23 marzo 1887

Non so nemmeno perché abbia fatto passare così tanti giorni dalla Messa, ma oggi mi sono finalmente decisa ad andare a casa dell’Egilda. Ho preso in mano il libro che mi aveva prestato e mi sono incamminata verso il Podere delle due Noci.
Ho avuto un attimo di incertezza quando mi sono trovata davanti al cancello, aperto come il suo solito, quasi non avessi il coraggio di entrare. Mi chiedo adesso che cosa temessi in quel momento. Alla fine sono entrata e ho percorso tutto il vialetto. Quando ho bussato alla porta è venuta l’Egilda stessa ad aprirmi.
Mi ha invitata ad entrare con il suo solito calore e mi ha presentata ai suoi nipoti, dicendo che avrebbero gradito la compagnia di un’altra giovane. La nipote dell’Egilda si chiama Erminia ed ha parlato pochissimo per il tempo che mi sono fermata. Suo fratello si chiama Normanno ed ha una bella conversazione. Parla come un signore. Nessuna frase in dialetto, tutto in perfetto italiano, come nei libri che mi presta l’Egilda. Anche la giovane parla in questo modo, per quel poco che ha detto.
Sembrano veramente molto differenti, ma, sono convinta che siano molto legati. Il signor Normanno è molto gentile e premuroso con la signorina Erminia. Mi chiedo se non sia affetta da un qualche male incurabile, tanto è pallida. La cosa più importante però è che hanno accettato la mia proposta di una gita a Montechiarugolo per la prossima domenica. E questo non può che rendermi assolutamente contenta.




Basilicanova, addì 23 marzo 1887

Mia amatissima Corinna,
sono stato molto felice di ricevere una vostra lettera. Vi pregherei, mia cara sorella, di informare vostro marito che le condizioni di Erminia sembrano essere invariate. Eppure inizio a nutrire salda fiducia che questo soggiorno le possa giovare, per quanto in questi giorni non sia riuscito a convincerla a seguirmi nelle mie passeggiate.
Questo però non vi deve angustiare, mia cara sorella. Infatti la prossima domenica è in programma una visita a Montechiarugolo, il capoluogo comunale, ed Erminia ha accettato di unirsi a me, alla zia e ad una giovane del luogo di nome Adalgisa che è venuta a farci visita oggi. Ma credo che voi, Corinna, vogliate che io vi racconti tutto quello che è accaduto in questi giorni. Certamente non posso proporvi la narrazione di mirabolanti avventure, né di particolari accadimenti. Semplicemente vi racconterò del mio girovagare nei dintorni del paese e dell’argomento che credo vi stia più a cuore.
Il sabato successivo al nostro arrivo sono rimasto con mia sorella nell’abitazione della zia. Ho scoperto con mio grande disappunto che la nostra parente possiede un pianoforte. Anche Erminia l’ha visto e vi giuro, che il suo volto è cambiato di colore. Improvvisamente le gote si sono colorate, divenendo rosate e gli occhi si sono come accesi, ma, quando ha incontrato il mio viso, si è come spenta. Credo che sia perché sa che quello strumento le è proibito. Dopo che la nostra cara sorella si è ritirata per dormire ho parlato a zia Egilda della sua malattia e di come il cantare le possa essere dannoso, se non mortale, come sostiene vostro marito. Abbiamo chiuso a chiave il pianoforte.
Il giorno dopo, domenica, Erminia deve essersi accorta di questo fatto, mentre io e la zia eravamo intenti a camminare nei dintorni della casa. Quando siamo rientrati era agitatissima e la ragazza che lavora nella casa ha detto che l’ha dovuta fermare perché stava cantando. Sono certo che mi abbia odiato quel giorno, ma che altro potevo fare? Che fratello sarei se lasciassi mia sorella in pericolo? Se la abbandonassi?
Eppure, sorella mia, non riesco in alcun modo a togliermi dalla mente il fatto che Erminia stia soffrendo, solo e unicamente a causa mia.
Durante l’intera durata della Santa Messa, a cui ho partecipato con mia sorella e mia zia, il senso di colpa è stato devastante, ancor più quando sentivo lo sguardo di Erminia su di me. Quasi non mi sono accorto, perso com’ero nei miei pensieri, che la gente del luogo pareva osservarci entrambi con una curiosità ben comprensibile in un piccolo paese come Basilicanova.
All’uscita della chiesa, un piccolo edificio con mattoni a vista, non molto dissimile da altre chiese che costellano il parmense, mi sono accorto di quanto Erminia fosse sofferente. Credo che per lei le occhiate dei paesani siano state insopportabili.
Il lunedì ho iniziato il mio girovagare. Seguendo le indicazioni di Maria, la serva che lavora nella casa, mi sono recato in quella parte di Basilicanova, chiamata le Ghiare. Il percorso non è molto interessante, ma è stato piacevole, forse perché, al contrario del giorno del nostro arrivo, v’era un certo tepore nell’aria.
Ho ripercorso un tratto della strada fatta in carrozza. Sono passato davanti all’osteria e l’ho osservata meglio. Forse un giorno potrei essere abbastanza incuriosito da volervi entrare. Ho sempre trovato estremamente caratteristici locali come questo. Poi il mio sguardo è caduto sulla macelleria, proprio nell’istante in cui una delle donne del posto entrava per acquistare un tocco di carne. Ovviamente mi ha guardato curiosamente, ma, per qualche strana ragione che ignoro, non ha fatto domande. Pochi passi e sono arrivato al Crocile. Ti posso assicurare che quest’incrocio ha un’aria strana, pittoresca quasi. Forse perché non vi sono case che prospettano su di esso, se non l’edificio della macelleria e dell’osteria, forse perché il sole proiettava in maniera curiosa l’ombra di un albero, dritto nel suo centro, forse perché è asimmetrico, tanto che non ho dovuto attraversarlo leggermente storto per raggiungere la strada che porta alle Ghiare, lasciando alla mia destra la strada per Parma e alla mia sinistra la sua continuazione che porta a Mamiano.
Ho percorso tutta la viuzza, che si stringe notevolmente man mano che avanza, attraversando la campagna. Poi ho incontrato un gruppo di casupole e, chiedendo ad una donna che procedeva in direzione opposta alla mia con un secchio di panni bagnati in mano, ho saputo che sono quelle le Ghiare.
Proseguendo ho potuto capire perché portano quel nome. Non mi ci è voluto molto per vedere il letto della Parma e l’acqua scorrere lenta. Alcuni bambini stavano scorrazzando lungo le sue rive. E forse, se io fossi un pittore di paesaggi, ne avrei fatto un bel quadro.
Il giorno successivo mi sono spinto fino al Casale. Te ne ho già parlato. Si stacca sulla destra dalla strada per Parma. E qui ho iniziato a fare vera conoscenza con la gente del paese. Un certo Anteo mi ha detto che suo nonno ricorda che non ricordo più chi gli ha detto... e via di seguito, perdendosi nella notte dei tempi, che un tempo da quelle parti c’era una fornace romana e di certo il fatto che alcuni chiamino un gruppuscolo di case poco più sotto Fornace Vecchia è assolutamente significativo.
Ma non credo che vi interessi più di tanto sapere di queste vecchie storie, anche se so che avreste più che volentieri passeggiato con me.
E voi potete ben immaginare, Corinna, che avrei desiderato con tutto me stesso poter aver con me Erminia, ma non è mai voluta uscire. Forse non si sente ancora pronta per farlo. Come vi ho già detto, sorella mia, domenica prossima andremo a Montechiarugolo e spero con tutto me stesso che questo possa fare del bene ad Erminia. Magari anche la compagnia della signorina Adalgisa le sarà d’aiuto. Deve aver soltanto un anno o due più di lei e, per essere la figlia di un oste di campagna, sembra piuttosto colta. Zia Egilda ha detto che tempo fa l’ha presa sotto la sua ala protettiva e le ha trasmesso la passione per la lettura. Spero di non avervi annoiato con questa lunga lettera, mia cara sorella e prego di potervi dare notizia più confortanti su Erminia tra qualche giorno.
Il vostro affezionato fratello,
Normanno.




[Dal diario di Erminia]

Basilicanova, 24 marzo 1887

Un’altra giornata terribile, come ieri.
Il pensiero di dover uscire domenica prossima per andare a Montechiarugolo, in compagnia di una giovane del posto mi toglie il riposo. Me la immagino già... curiosa, mentre tenta di riempirmi la mente di domande senza capo né coda. Avrei voluto rifiutare, ma Normanno non mi ha lasciato altra scelta. Come avrei potuto negare la mia presenza, quando mio fratello aveva appena dato il suo assenso? Sarei risultata insensata e priva di educazione, ma soprattutto avrei dato adito a domande da parte di quell’Adalgisa. Se soltanto avessi la consolazione di poter cantare... se soltanto non fossi costantemente osservata... se soltanto zia Egilda non continuasse a chiedermi di uscire con lei per passeggiare un poco intorno alla casa padronale... forse tutto sarebbe migliore, forse riuscirei ad accettare il pensiero di trascorrere una giornata insieme alla figlia dell’oste e a Normanno.
Invece questo mi risulta sgradevole e inquietante.
E forse non riesco nemmeno a capirne bene il motivo. So solo che la mia mente disdegna e teme quando giungerà il momento.
E la voce, quella voce che mi chiama... quella voce si è fatta forte e sempre presente nella mia mente. Non mi ha fatta dormire. E mi tormenta anche adesso, in questo momento, mentre scrivo.
Mi sembra di impazzire.
Vorrei soltanto che tacesse, che tacesse... per sempre... Non posso credere che sia la voce della mia anima malata e triste... è malvagia... estranea al mio essere.
Ed ho paura.
Paura.
E sono sola. Cosa potrei mai dire a Normanno? Mi crederebbe mai? O mi prenderebbe per pazza? Ed io non voglio far la fine di un pazzo... non voglio trascorrere quel che mi rimane da vivere in un manicomio.
Dio, il solo pensiero mi stordisce e mi fa piangere.
Eppure questa voc... forse sono già pazza.
Ma non posso... non voglio crederlo.

Basilicanova, 25 marzo 1887

Mi sembrano unicamente una sciocchezza i pensieri di ieri. Forse ero unicamente infastidita al pensiero di dover andare a Montechiarugolo, forse mi mancava semplicemente troppo il canto... mi manca il canto... forse era unicamente il lamento della mia anima.
Non saprei spiegarmelo, ma oggi mi sembra tutto così irreale.
Forse perché non odo quella voce, forse perché non voglio credere di aver potuto pensare di essere impazzita all’improvviso.

Basilicanova, 26 marzo 1887

Mi sembra di essere una banderuola che si gira ad ogni sbuffo di vento.
Ieri mi dicevo tanto calma e tranquilla, certa che quello che pensavo il ventiquattro fosse dovuto ai moti del mio animo.
Oggi, invece, mi sento nuovamente agitata e tesa.
Per tutta la giornata quella voce non mi ha dato requie.
Mi pareva anche di distinguere alcune parole. Fino ad oggi non è mai accaduto. È sempre stato più un lamento indefinito, come una specie di vocalizzo, ma oggi mi è sembrato chiaramente di distinguere delle parole di senso compiuto.
Parole che mi spaventano e mi turbano.
Parole d’aiuto, di supplica... di chi? Di chi?
Di nessuno forse. O di un fantasma.
Eppure so che è una sciocchezza. I fantasmi non esistono. Sono solamente racconti di fantasia, leggende nate dalle menti semplici. Che senso ha credere che vi siano spiriti che vagano senza pace per la terra, dopo che il loro corpo è morto?
Nessuno.
Eppure io odo questa voce.
La odo!
Possibile che mi stia immaginando tutto? La mia mente può essere a tal punto turbata da credere di udire suoni che non esistono?



Ecco a voi un altro capitolo! Spero vi possa piacere!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Grazie mille per i complimenti carissima!! Sono lusingatissima dalle tue parole. Alle volte ho il terrore di calare improvvisamente di tono o di scrivere capitoli poco interessanti. Sappimi dire cosa pensi di questo!

Un grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e a chi legge soltanto!
  
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