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Autore: SabrinaSala    21/08/2016    13 recensioni
André l’aveva penetrata con quel suo sguardo irriverente e sornione, annientandola, spazzando via in un battito di ciglia la sua ostentata sicurezza, fragile come il più sottile bicchiere di cristallo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13 – Tensione
 
 
«Posso sapere dove stiamo andando, Oscar?»
La voce di André, estremamente calma, si infranse contro la schiena di Oscar che lo precedeva.
«Devo passare in un posto» rispose lei, atona. Senza voltarsi e senza accennare a rallentare il passo di Caesar.
Di nuovo il silenzio calò tra loro, aumentando la distanza che separava le cavalcature. Un silenzio ovattato, che cristallizzava il respiro.
André serrò la mascella, cupo, ma lo rispettò, nonostante avesse riconosciuto la direzione che era stata presa.
Quando si fermarono, non si stupì. Non si era sbagliato. Nessuna falsa illusione. Oscar aveva promesso di presenziare alla festa organizzata in suo onore e lì si era diretta. A quella stupida festa dove si sarebbe esposta alla mercé di occhi avidi e indiscreti,  indegni di lei.
Deglutì e quando Oscar scese da cavallo, senza una parola o uno sguardo, un’ombra scura gli annebbiò la vista.
«Aspettami qui, André».
Un ordine. Un ordine secco e perentorio che lo inchiodò alla sua disgustosa consapevolezza.
«Torno subito» aggiunse il comandante, e la tranquillità con la quale quell’ultima frase era stata pronunciata lo colpì.
Dunque Oscar aveva già deciso! pensò.
Doveva essere così… Altrimenti, non le sarebbe bastata una manciata di minuti per assolvere al suo dovere di donna.
Torno subito… ripeté mentalmente André, infliggendosi quella frase come una dolorosa litania.
Perché quell’affondo? Si domandò. Che bisogno c’era di umiliarlo in quel modo, quando in precedenza lei stessa gli aveva chiesto di non intromettersi. Di lasciarle sbrigare da sola l’intera faccenda.
Sorrise. Socchiuse le palpebre e accentuò la piega amara delle labbra, cercando inutilmente di convincersi che se l’era cercata.
Sì. Quella situazione se l’era cercata. Aveva tirato la corda, troppo, e questa infine si era spezzata. Dallo stolto che era, si era illuso di poter provare un sentimento che gli era inevitabilmente precluso per ceto e per nascita. Ma non si era fermato a questo. No… Si era spinto ben oltre. Non solo non l’aveva soffocato fino alla fine dei suoi giorni, quel sentimento, ma lo aveva espresso, lo aveva condiviso e preteso. 
Smontò di sella.  
Percorse con lo sguardo il dorso morbido della collina. Mescolò il verde dei suoi occhi a quello cupo dell’erba vestita a sera. Ma qual era veramente la sua colpa? Quale? Se amare Oscar era come respirare… Nessuna!
Torno subito… si schernì di nuovo, raccogliendo un sasso da terra e lanciandolo lontano con un gesto secco.
«Congratulazioni…» mormorò. «Congratulazioni» ripeté a voce alta, rivolto al nulla, sopraffatto dalla rabbia e dalla gelosia, afferrando bruscamente le redini e tirandosi addosso i due cavalli. Il suo e Caesar. Cercando conforto nel calore del loro sbuffo.  Combattuto tra l’aspettare il ritorno di Oscar, ligio al proprio dovere come sempre o quasi,  o correre il più lontano possibile.
Una risata amara gli gorgogliò sulle labbra. Lontano? Quanto lontano?
Tolse il cappello, si passò una mano tra le ciocche scure e sugli occhi, vi racchiuse un sospiro, e quando li riaprì, Oscar era riapparsa. Silenziosa e fiera. Forse solo un po’ accaldata, come dimostravano le guance appena arrossate.
André l’aggredì con lo sguardo. Dissimulando immediatamente e a fatica ansia e tensione. Immobile, eppure desideroso di afferrarla e di scuoterla fino a farle confessare di aver accettato la proposta del conte Girodell e di averlo voluto al suo fianco solo per  infliggergli quell’ulteriore, spietata, inutile punizione.
Sei davvero così crudele, Oscar?
Senza una parola, Oscar rimontò in sella. Recuperò le redini dalle mani del soldato, indifferente al loro tremore, e incitò Caesar a muoversi.
«Andiamo, André», disse «Ho voglia di bere. Accompagnami a Parigi, adesso»  
Si volse, come guidata da una fastidiosa percezione. E con un certo disappunto, si accorse che André era rimasto immobile là dove lo aveva lasciato.
«Andiamo! » ordinò.
«No»
All’evidente irritazione di Oscar, André non si affrettò, come sempre, a stemperare la tensione con un sorriso.  Non era più solo il compagno di giochi di un tempo. L’attendente. Il soldatino. Era un uomo che pretendeva una risposta.
«Non fino a quando non mi dici cosa è successo là dentro, Oscar». Era irremovibile.
Un brivido percorse la schiena di Oscar e terminò con un afflusso vermiglio di stizza a colorarle il viso.
Non era abituata ad essere contraddetta e quello, per André, stava diventando un vizio.
Capì che non si sarebbe mosso se non avesse avuto riscontro alla sua stupida domanda. E a modo suo, glielo concesse.
«Ho solo chiarito un equivoco e ribadito un concetto» disse sostenendo con durezza il suo sguardo. «Adesso possiamo andare?».
I muscoli di André si rilassarono. Scioccamente, perché la frase enigmatica di Oscar non voleva dire niente. Detestava quel suo modo ermetico di esprimersi. Eppure qualcosa, tra le righe di quella misera manciata di parole, riaccese le sue speranze.
Montò in sella. La raggiunse. Addirittura la superò di una misura. Poi tirò indietro le redini perché il cavallo girasse su se stesso e lui potesse tornare a fissarla.
Cosa non mi stai dicendo, Oscar?
Non lo disse. Non disse nulla.  Ma in silenzio l’abbracciò con lo sguardo, attirandola a sé. Colse il suo leggero turbamento. Il suo timido sussulto. Decise di farsi bastare quelle parole. Per il momento. Almeno per il momento…
 
***
 
La Fille Rouge!
Oscar buttò giù l’ennesimo bicchiere, sorprendendosi ancora del sapore sgradevole di quel vino troppo acido per essere considerato buono.
Si passò il dorso di una mano sulle labbra e si guardò attorno con diffidenza. Ma i suoi occhi non si spinsero lontano perché tornarono ad infrangersi ancora, in una danza monotona, contro l’avvenente sagoma di Camille…
Picchiò un pugno sul tavolo. Istintivamente. E quel gesto richiamò l’attenzione di André e di Alain che si volsero contemporaneamente a guardarla.
Oscar sorrise. Ironica. Cinica.
Bella scoperta! Tra tutte le taverne di Parigi, André aveva scelto la bettola di Camille. Una bettola frequentata dagli elementi più strani… compreso Alain de Soissons!
L’iniziale irritazione che l’aveva colta nel trovarsi faccia a faccia con quel borioso soldato dal cognome altisonante, era presto sfumata nell’intravvedere la possibilità di avvicinarsi ai propri uomini, a quelli che ancora non l’accettavano, conquistandoli laddove meno le so sarebbero aspettati. Un terreno insidioso, maschile, tutto da conquistare… Ed erano ancora molti, gli elementi che preferivano rispondere ad Alain piuttosto che a lei! Che mettevano in discussione il suo ruolo e il suo grado di comando.
Aveva quindi deciso di vincere la ritrosia di André, intenzionato ad andarsene dal momento che Alain aveva già sorbito un numero imprecisato, ma comunque elevato, di bicchieri, e lo aveva costretto a sedersi con lei al suo tavolo.
Poi aveva scorto Camille. Bella e procace. Rossa e brillante come un buon calice di vino, avvolgente e robusto…
Camille si era avvicinata. Aveva civettato con André e risposto per le rime alle occhiate impertinenti del giovane Soissons. Poi, senza rivolgerle una parola, aveva guardato Oscar come si guarda ad una rarità. Con un misto di ammirazione e scetticismo. Infine, si era allontanata tornando ad occuparsi dei propri ospiti, lascivi e molli al pari di otri flaccide.
«E così, il nostro comandante è di bocca buona…» farfugliò Alain, strappandola dai suoi pensieri. Lo sguardo lucido e il sorriso largo e irriverente.
Nemmeno il tempo di schiudere le labbra per rispondere che André l’aveva già battuta sul tempo.
«Smettila Alain…» lo rimbrottò. «Stai esagerando» lo avvisò, attirando su di sé la sua attenzione, maligna come la sbornia che si stava procurando.
«Non te la prendere, André…» ridacchiò il soldato. «Non era a te che alludevo»  lo sogguardò sollevando il mento. «Ma al vino!» precisò.
Poi si piegò sul tavolo, in direzione di Oscar, e allungò una mano, afferrandola inaspettatamente per il bavero.
«Deve essere abituata a ben altro, il nostro comandante… » mormorò fissandola negli occhi. Sottolineando una volta ancora e sbeffeggiando il suo grado.
«Basta!» proruppe André, allontanandolo da lei. «Ce ne andiamo e tu dovresti fare altrettanto, Alain…» suggerì. «Hai bevuto troppo».
Si sollevò dalla sedia e attese che Oscar facesse lo stesso. Lei lo imitò subito dopo.
Un fischio e la reazione di Alain non si fece attendere.
«Obbediente come un cagnolino! » rise fragorosamente. «Forse il troppo vino vi ha confusi al punto da non ricordare più chi è il comandante e chi il soldato… » li provocò, divertito, passando lo sguardo e l’indice dall’uno all’altro.  
André inspirò profondamente, a labbra serrate, tirandosi in gola attraverso le narici il gusto dolciastro della taverna. Oscar, al suo fianco, si irrigidì.
«Comandante…» nel tentativo di porre rimedio a una gaffe che Alain era stato tanto bravo e sciocco da notare e mettere in evidenza, André la invitò con rispetto e sussiego a prendere la decisione successiva.  
«Andiamo» confermò Oscar, precedendolo alla porta.
Ma nell’attimo stesso in cui André si mosse per seguirla, la mano di Alain afferrò il suo braccio, trattenendolo.  
Con un sorriso in tralice, il soldato sostenne il suo sguardo.
«Fai attenzione, amico… » disse, improvvisamente lucido. «La tua tresca con il comandante non è passata inosservata alla truppa… E qualcuno potrebbe non digerirla bene o affatto», lasciò la presa e sistemò la giacca del commilitone rimettendolo in sesto. «Io ti ho avvisato… Guardati le spalle». Dunque, una mano tra i capelli scuri e poi sugli occhi annebbiati dall’alcool, Alain si lasciò cadere rumorosamente sulla sedia e, ridendo, reclamò dell’altro vino e belle donne.
Indeciso se prestare attenzione alle sue parole o classificarle come lo sciocco vaneggiamento di un folle ubriaco, André gli lanciò un’ultima occhiata torva.  Poi se ne andò.
Fuori, l’aria fresca della sera lo schiaffeggiò inattesa,  donandogli sollievo.
Cercò Oscar con lo sguardo. La trovò.
Mosse un passo nella sua direzione.
Rallentò.
Si fermò nell’ombra.
Investita dall’intenso bagliore di una lucerna, Oscar si fermò a sua volta, sorpresa di non sentire il suono familiare del suo incedere alle proprie spalle.
«Vorrei sapere cosa è successo veramente in quella stanza, Oscar»
André non aveva atteso che lei si voltasse.
Non aveva atteso che lo richiamasse.
Aveva semplicemente espresso un desiderio. Il proprio desiderio.
Ora, avviluppato dagli strali scuri della notte, semplicemente attendeva una risposta.
Oscar si umettò le labbra, sollevò il mento, dandogli ancora le spalle, e aggiunse consapevolmente un pericoloso tassello alla frase sibillina pronunciata solo poche ore prima.
«Si aspettavano un bel vestito…» mormorò. E la sua voce calda e gutturale impregnò la notte. «Non una donna» disse, cullandosi poi nel silenzio per un lungo istante. Nel silenzio e nella piena consapevolezza di quanto appena affermato. «E sono rimasti delusi» ridacchiò infine, a metà tra l’irritato e il divertito. Un risolino  che si trasformò presto in una risata sporca e greve.
Si volse. Il volto pallido rischiarato improvvisamente dalla luce del lampione, incorniciato dalla cascata di capelli biondi che si intrecciavano ribelli sullo sparato della divisa.
André avvertì un fremito. Lo stesso, identico fremito, che avvertiva da anni al suo cospetto. Un fremito che nel tempo era diventato qualcosa di fin troppo evidente, difficile da nascondere.
Avanzò. Il passo malfermo, barcollante. Si chiese se per il troppo vino o per l’eccitazione. Lentamente la raggiunse. Lei che era rimasta immobile e severa. Il suo miraggio.
E quando le fu dinnanzi, prima si fermò. Penetrò testardamente la scintilla blu dei suoi occhi, scoprendola piacevolmente e sorprendentemente complice di quell’inattesa intimità. Poi sopravanzò. Lentamente.  
Il suo incedere, silenzioso e caparbio, la costrinse ad arretrare.  
Con il peso del proprio corpo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, André la sospinse verso il vicolo dove avevano lasciato i cavalli.
Le spalle  al muro,  Oscar avvertì l’ostacolo. Sollevò il mento. Sfiorò quello di André le cui labbra si stavano inevitabilmente adagiando sulle sue, schiuse dalla sorpresa.
Nella fugacità di un respiro, Oscar assaporò il residuo aspro del vino. Sussultò.
Non togliere a quella donna il gusto della conquista…
Fu come una fitta alla testa, dolorosa e insistente, e André scivolò via.
Si rifugiò ansante tra le chiome soffici e profumate e lì si fermò. Sfiorò con il respiro il suo orecchio. Solleticò la pelle sensibile tra il collo, deliziosamente esposto, e il lobo, piccolo e morbido.
«A me non serve un vestito… » mormorò rauco tra i suoi capelli, grato per avergli inaspettatamente offerto il fianco. «Te l’ho già detto»
Si staccò da lei. Bruscamente. Lasciandola addossata a quel muro umido di muffa.
Oscar avvertì le gambe farsi molli, le ginocchia cedere dolorosamente. Ma prima che fosse troppo tardi, André le cinse la vita con un braccio, sorreggendola.
«Attenta, Comandante… » disse, lo sguardo scuro di desiderio. La voce roca. Il volto trasfigurato e duro.  Le labbra serrate, subito dopo, in un’espressione indecifrabile, deciso a dissimulare desiderio e tensione. A confonderla.
Oscar si passò una mano sulla fronte.
«Credo di aver bevuto troppo» mormorò, affrettandosi a giustificare la propria ridicola reazione. Abbassò le palpebre. Avvertì le guance ardere. Deglutì. «Andiamo a casa, André»
Parole che le sfuggirono dalle labbra con una semplicità disarmante.
Gli occhi sgranati, Oscar serrò la mascella. Pallida come se avesse commesso il più terribile dei peccati. Poi sollevò lo sguardo in quello di André. Fiera. Indomita. Decisa a non retrocedere di un passo. A non confermare il proprio desiderio, espresso a voce alta, né ad ammettere l’errore. L’aver abbassato la guardia.
Nel silenzio assordante che seguì, al vaglio di quegli occhi insaziabili, Oscar provò per la seconda volta al loro cospetto, il pruriginoso timore di una donna dinnanzi dell’esplicita ammirazione di un uomo e del suo sguardo esigente.  Si sentì deliziosamente fragile tra le sue braccia. Nuda. A dispetto di quell’uniforme, che vestiva come una corazza, e dei gradi che indossava. Ma, soprattutto, si sentì stanca di portare il peso di quell’armatura immaginaria, nella quale si era calata per anni, e che ora inaspettatamente la soffocava.
André la sollevò da terra. Improvvisamente. Senza una parola.
La issò in sella. Assicurò il proprio cavallo a Caesar e montò alle spalle di Oscar.
Quando il dolce peso del Comandante Jarjayes sfiorò il suo petto, finalmente si decise a parlare.
«Se non riesci a reggerti in piedi… » disse con severa pacatezza. «Probabilmente non riesci nemmeno a cavalcare». Nulla a cui poter obiettare.
Tirò le redini e spronò Caesar al trotto. Ne moderò l’andatura. Lo rallentò.
Non aveva fretta di rientrare.
«Meglio non rischiare, non credi, Oscar?» concluse, spingendo lo sguardo lontano, senza aspettarsi una risposta. Senza volerla, in fondo.
Ebbro di vino e di piacere. Apparentemente indifferente a tutto. In realtà teso fino allo spasmo.  
Immobile davanti a lui, il fiato sospeso per la sorpresa, Oscar non protestò. Non replicò, non si ribellò. Semplicemente, assaporò la forza e la dolcezza di cui quel gesto inatteso era intriso. Lasciò che il suo spirito, sfinito dall’estenuante lotta intestina, ne giovasse.
Complice il vino e una tensione inespressa, Oscar si chiese semplicemente che male potesse esserci nel lasciarsi andare. Nel godere per un momento di quell’abbraccio, delicato e forte come una carezza. Fermarsi. Un attimo. Soltanto un attimo…
 
***
 
«Questa non è la strada per Palazzo Jarjayes…»
La flebile protesta di Oscar strappò un sorriso ad André. Un sorriso che lei non poteva vedere.
«Infatti» rispose lui, sfiorandole i capelli con il respiro. «Non credo tu sia in grado di affrontare tuo padre, stasera» mormorò. «Se, come hai detto, hai ribadito la tua indipendenza di fronte ai migliori partiti di Francia… » la punzecchiò «Il Generale non sarà felice di saperlo»
Oscar non rispose. Non aggiunse altro.
Il suo silenzio fu la più assordante delle conferme.
Il sorriso di André si allargò.
Proiettandosi in avanti, il giovane Grandier aderì alla schiena di Oscar e galvanizzato da quella tacita risposta, spronò istintivamente Caesar al galoppo, diretto alla caserma.  Certo, ormai, che Oscar non si sarebbe spostata. Non subito. Non presto. Non con il conte Girodell…
Raggiunto il cortile interno della struttura, smontò da cavallo con un balzo, agile ed entusiasta. Tese le braccia ad Oscar. La fissò.
Lei, dopo una prima esitazione, poco avvezza a quel tipo di attenzioni,  accettò.
Una volta a terra, barcollò, portandosi di nuovo una mano alla fronte.
«Va tutto bene, Oscar? »
La vibrante soddisfazione nella voce di André la colpì. Annuì. Dando ad intendere che il pessimo vino di quella bettola l’aveva confusa e intorpidita.
«Aspetta…» le suggerì lui, ponendola premurosamente al riparo da occhi indiscreti, accompagnandola sotto al portico che correva lungo tutto il perimetro del cortile. Lasciati i cavalli alla scuderia, tornò da lei. Le porse un braccio perché continuasse a sorreggersi.
Oscar dissimulò l’accenno di un sorriso. A metà tra il colpevole e il divertito.
Era stanca. Era vero. Ed era ubriaca. Ma non al punto che gli stava facendo credere. Era comodo, nascondersi dietro a una sbronza… Non esigeva spiegazioni né comportamenti adeguati all’etichetta. Esattamente quello di cui Oscar sentiva di avere bisogno: una tregua. Perché puntualizzare?
Salirono scale, percorsero affiancati lunghi corridoi in ombra.  Varcarono la soglia del suo ufficio, poi quella dei suoi appartamenti privati.
Un attimo di esitazione, per entrambi. Poi Oscar si staccò da lui. Scivolò in quella stanza sprofondata nel buio. Un’oscurità quasi perfetta, stemperata dal solo bagliore delle lucerne che dall’esterno filtravano incostanti attraverso la grande vetrata velata da tende.  
Si volse in direzione di André. Gli si pose dinnanzi cercando il suo sguardo.
Dritta come un fuso, perfettamente salda sulle gambe. Immobile. Trovò i suoi occhi.
Si chiese se André avesse compreso. Se avesse capito il suo gioco.
Avvinto a quello sguardo inespugnabile, André gemette, rimangiandosi il proprio supplice lamento. Avvertendo un diffuso formicolio in tutto il corpo.
Non aspettò che gli occhi si abituassero al buio. L’afferrò per la vita, attirandola a sé. Mani invadenti e capaci scivolarono lungo la cintura. Incontrarono la fibbia. Liberarono i suoi fianchi.
Senza una parola e senza lasciarle volgere lo sguardo le sfilò la giacca. Lentamente. Delicatamente. Avrebbe voluto sorridere…
Quante volte l’aveva aiutata a spogliarsi? Quante? Ma la tensione paralizzava ogni muscolo.
Oscar fremette e lui adombrò lo sguardo.
Tratteneva il respiro, Oscar. Come lo tratteneva lui…
Un muto cenno d’intesa, e il bell’ufficiale dai capelli biondi retrocesse fino al letto. Sedette sul bordo.
André indugiò a guardarla. Sovrastandola. Le gambe a sfiorare appena le sue ginocchia.
Non esagerare, Oscar… pensò, Non esagerare… la rimproverò tacitamente per quella originale accondiscendenza, perso nei suoi occhi sempre così esigenti. Troppo esigenti. Non farlo… Non sfidarmi adesso. Non così. Non in questo modo…
Si chinò su di lei. Cercò il suo orecchio.
«Adesso ti aiuto a togliere gli stivali…» mormorò.
Si piegò. Afferrò i gambali e li sfilò con gesti rapidi e decisi.  
Sapeva che Oscar lo stava guardando. Sentiva i suoi occhi carezzargli la nuca.
Si alzò.
«Buonanotte, Oscar» disse. La voce arrochita dal desiderio.
Strinse i pugni lungo i fianchi, sfiorò inavvertitamente i lombi. Si rimangiò un’imprecazione e le volse le spalle, guadagnando la porta rapidamente perché lei non fosse bruscamente esposta alla parte meno romantica del suo amore.  
«Sarò qua fuori, se hai bisogno…» mormorò guardandola da sopra una spalla. «Stenditi e non muoverti da qui…» continuò. «Hai bevuto davvero troppo, stasera. E non vorrei che qualcuno approfittasse della situazione».
Lo scatto della porta di infranse contro la maschera indecifrabile di Oscar.
L’integerrimo comandante Jarjayes inspirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli, poi si lasciò cadere di schiena sul letto.
Cosa diavolo si era messa in testa di fare? Cosa avrebbe voluto provare?  Fino a che punto sarebbe stata disposta a giocare se André non avesse abbandonato la stanza?
Strinse gli occhi con forza. Cancellò con un battito di ciglia il soffitto alto e scuro della caserma. E con esso cercò di cancellare i ricordi di quella sera. Di quella giornata. Di una vita.
«Dannazione! » imprecò.
Si portò un braccio sopra la testa. Spostò il dorso della mano sulla fronte e poi ancora sugli occhi. Sperò che il sonno la cogliesse presto. Subito. Profondamente. Che le strappasse di dosso il puzzo di alcool e di sudore. Che le togliesse quel peso dal petto. La nausea… Il disgusto.... Che le donasse sollievo.  
Fermarsi… pensò. Un attimo… Solo un attimo. Che male ci sarebbe stato?
Rise amaramente. Fermarsi… In fondo, a cosa sarebbe servito?
Oltre la porta, André si addossò all’asse di legno scuro.
Si accorse di stringere ancora la giubba di Oscar tra le mani. La guardò, poi la portò alle labbra e ne assaporò la fragranza. Cuoio e lavanda… Sempre.  
Sorrise, passandosi le dita tra i capelli umidi.
«Troppo facile, Oscar» mormorò tra sé. Troppo facile, pensò scrollando le spalle, Non puoi cavartela così. Fingendo una sbronza.
Rovesciò la testa indietro, fino a toccare la porta.
Così non va bene, Oscar… Per nessuno dei due. Non per me, almeno.
Con uno scatto deciso dei reni si staccò dalla tavola di legno. Raggiunse lo scrittoio. Afferrò la sedia e la posizionò in direzione della porta oltre la quale forse Oscar già dormiva o era intenta a studiare per lui una nuova, esemplare e crudele punizione. La voltò, affinché lo schienale gli facesse da appoggio per le braccia. Sedette. Si piegò in avanti. Deglutì, affilando lo sguardo. Quasi potesse attraversare la tavola di legno e posare gli occhi su di lei.

Non è così che funziona, Oscar… Non è così…

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DUE CHIACCHIERE...

Appurato che senza un PC, e soprattuto una connessione internet al PC, io non riesca a scrivere e ragionare - non ho la pazienza e la maestria necessarie a ESPLETARE tutte queste mansioni con lo smartphone, almeno da neofita quale sono - , spero che abbiate trascorso delle ottime vacanze - ovunque siate stati!
Finalmente rientrata in postazione, mentre mi dedicherò alle risposte e alle chiacchierate in sospeso (e a confessare dove, quando e perché il capitolo precedente mi ha "strappato" un sorriso), vi lascio a disquisire sull'emicrania "post-sbronza" del nostro povero André...

Curiosa di conoscere le vostre "conclusioni", 
UN GRAZIE sempre ENORME dalla vostra ritardataria (in lettura e scrittura) Sabrina!
 
 
   
 
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