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Autore: Emmastory    21/08/2016    4 recensioni
La sfortuna della giovane Rain continua a perseguitarla. Sono passati due anni, e il regno di Aveiron è ancora in ginocchio, sotto la costante minaccia dei Ladri, persone assetate di ricchezza e potere, che faranno di tutto per ottenere il completo controllo del regno. Alla ricerca di salvezza, Rain è fuggita verso il villaggio di Ascantha alla ricerca dei suoi genitori, e nonostante i contrasti avuti con loro, è ora fiduciosa e pronta. Sa bene di dover agire, e di non essere sola. I nostri protagonisti si trovano quindi catapultati in una nuova e pericolosa avventura, costretti a far del loro meglio per fronteggiare il pericolo. Si assiste quindi alla nascita di amicizie, amori, gioie, dolori e tradimenti, ma soprattutto, e cosa ancor peggiore, oscure minacce provenienti da voci sconosciute. A quanto sembra, il regno nasconde molti segreti, e toccherà alla nostra Rain e al suo amato Stefan risolverli dando fondo ad ogni grammo di forza presente nei loro corpi. Nelle fredde e buie notti, l'amore che li lega è la loro guida, ma nessuno sa cosa potrà accadere. In ogni caso, bentornati nel regno. "Seguito di: "Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-III-mod
 
Capitolo VII

Il covo

Non sono sicura di quanto tempo sia passato, ma so di aver finalmente ripreso i sensi. Lentamente, riapro gli occhi, e facendolo, scopro che la testa mi fa male. Il dolore è tremendo, così forte da impedirmi di pensare. Guardandomi intorno, tento di scoprire dove sono, ma senza successo. Tutto attorno a me è buio, e uno spiraglio di luce filtra da una finestra, le cui metalliche sbarre rendono l’intero ambiente più cupo e macabro di quanto già non sia. Facendo saettare lo sguardo in ogni direzione, mi sento confusa. “Dove sono?” non faccio che chiedermi, mentre il dolore alle tempie non accenna a diminuire. Decisa a far luce su questo mistero, provo a mettermi in piedi e muovermi, ma qualcosa mi blocca. Istintivamente, abbasso lo sguardo, e fissandolo sui miei palmi, mi lascio vincere dal terrore. I miei polsi sono bloccati da delle pesanti catene, e per quanto ci provi, non riesco a liberarmi. Ogni mio tentativo si rivela vano, e l’unico risultato che ottengo, è quello di ferirmi. Lamentandomi per il dolore, scopro che una piccola ferita non sanguina, ma nonostante questo, brucia come fuoco vivo. Disperata, chiedo aiuto, ma in risposta non c’è che silenzio. Il tempo scorre, e mentre la frustrazione si fa largo in me, continuo a urlare, sperando vivamente che qualcuno mi aiuti. Ancora una volta, nessuna risposta. Niente, il nulla più totale. Un silenzio di tomba cala nella buia stanza, e improvvisamente, una voce. “Ciao, Rain.” Un saluto rivolto a me, e pronunciato con una pacatezza quasi innaturale. Quasi per istinto, mi volto, ed è allora che lo vedo. A quanto sembra, è uno dei miei aguzzini. Ha ancora il volto coperto, ma è avvicinandosi che sceglie di mostrarmelo. Raggelando, sento le gambe deboli. Il mio battito cardiaco accelera a causa della paura, e guardandolo quel losco figuro negli occhi, non riesco a credere che sia vero. È Maddox. Lo stesso ragazzo che aveva cercato di farmi del male nel giorno del mio arrivo nella dimora di Lady Fatima, e forse l’unica persona che odi. “Cosa vuoi da me? Dov’è Stefan?” chiedo, sfidandolo con lo sguardo e la voce. “Rain, non lo vedi? Il tuo amato è proprio accanto a te.” Disse, per poi spostare il suo sguardo verso un punto preciso della stanza, che in quel momento venne illuminato dalla luce di una sporca lampadina penzolante dal soffitto. A quella vista, trattenni un conato di vomito. Era vero. Il mio Stefan era lì, e dalla ferita che aveva allo stomaco gocciolava del sangue, che in tutto quel tempo, aveva finito per formare un disgustoso grumo sul pavimento. Tremando come una bestiola impaurita, iniziai a parlare con me stessa, tentando in tutti i modi di convincermi che nulla di quanto avevo appena visto fosse vero, ma invano. Ogni cosa corrispondeva al reale, e lì, accasciato su quella sedia, c’era il mio tanto amato marito. Gli occhi spalancati e vitrei, la bocca chiusa, e per pura fortuna, o forse per opera di forze a me sconosciute, il suono del suo debole respiro. Quasi impercettibile, ma presente. Respirando a fondo per tentare di calmarmi, credetti che fosse un miracolo, ma continuando a guardarlo, non potei fare a meno di piangere. Crollai quindi in ginocchio, e chiamando a gran voce il nome di Stefan, gli dissi che lo amavo. I miei lamenti risuonarono nell’intera stanza, echeggiando come le voci di spiriti dimenticati, mischiandosi poi ad una malefica risata. “Perché stai piangendo? Ci sono io con te.” Disse Maddox, parlando in tono gentile e avvicinandosi a me al solo scopo di rincuorarmi. “Vattene via subito.” Ringhiai, inviperita. Per nulla intimorito dalle mie parole, Maddox tentò di abbracciarmi, e spingendolo via con tutte le mie forze, sentii un improvviso scatto. La catena che mi legava uno dei polsi si era spezzata, e anche se con un immane sforzo, riuscii a liberarmi completamente. Subito dopo, corsi verso Stefan, e pur vedendolo in quello stato, non esitai a parlargli. Notandomi, chiamò con voce flebile il mio nome, e rispondendo a quella sorta di richiamo, ricominciai a piangere. “Sì, Stefan, sono io, sono qui amore, andrà tutto bene.” Dissi, con la voce che tremava almeno quanto il resto del mio corpo. “Ti amo.” Dissi poi, avvicinandomi e posando le mie labbra sulla sua quasi esangue guancia. “Tu credi?” chiese poi il mio ormai conosciuto aguzzino, per poi tacere nell’attesa di una risposta. Per sua sfortuna, quella domanda non trovò mai una vera risposta, poiché la rabbia mi impedì di controllarmi. Dando difatti inizio ad una corsa sfrenata, mi avventai su di lui, e atterrandolo, ritrovai il pugnale regalatomi da mia madre. Istintivamente, lo afferrai, ma scoprii che la lama era troppo consunta per essere di alcuna utilità. Lasciando che le lacrime mi rovinassero il viso, piansi in silenzio, e rialzandosi da terra, Maddox mi raggiunse. “Non disperare, piccola, sono qui.” Disse, sempre nel vano tentativo di calmarmi. “Allora allontanati.” Risposi a muso duro e con l’occhio invelenito. “Cosa? Non posso farlo! Io ti amo.” Continuò, risultando quasi offeso dalle mie parole. “Non è vero. Sai che amo Stefan, e tu sei… sei…” provai a rispondere, sentendo quella frase morirmi in gola. “Gay? Andiamo, ci hai davvero creduto? Se lo fossi non proverei il desiderio di baciarti, non credi?” indagò, avvicinandosi lentamente e stringendomi in un abbraccio dal quale volli solo scappare. Disgustata dalla sua presenza, provai a divincolarmi, ma il mio misero tentativo si rivelò vano. Falli quindi nel mio intento, e in quel preciso istante, la sua mano scivolò sulla mia guancia carezzandola lentamente, e le sue labbra raggiunsero le mie. Lottando per liberarmi dalla sua ferrea presa, gli assestai un pugno sul braccio finendo per cadere, e per qualche strana ragione, la cosa divertì quell’orribile essere. “Cosa fai? Cerchi di scappare?” si informò, per poi ridere di gusto non curandosi del dolore fisico ed emotivo che mi stava provocando. Mantenendo il silenzio, non risposi, ma concentrando il mio sguardo su Stefan, lo vidi tentare di muoversi. Con il cuore pieno di speranza, chiamai il suo nome, e osservandolo meglio, notai che aveva perfino cercato di medicarsi la ferita. Si era strappato le maniche della camicia nel tentativo di farlo, ma a me non importava. Era ancora vivo, e l’emorragia si era fermata. In quel momento, Stefan chiamò a raccolta le sue forze e il suo coraggio, e provando ad alzarsi in piedi, cadde rovinosamente. “Guardalo, sta cercando di proteggerti.” Osservò Maddox, deridendolo e prendendosi gioco di lui. Non dandosi per vinto, Stefan provò a riacquistare l’equilibrio, e pur non riuscendoci, pronunciò una singola frase. “Sei un mostro, questa è tutta colpa tua.” Sibilò guardandolo fisso negli occhi. I suoi, azzurri e freddi come cristalli, sembravano brillare nel buio, e di fronte a quell’offesa, Maddox non ebbe alcuna reazione. Guardandoci alternativamente entrambi, sorrideva maliziosamente, e mantenendo un silenzio degno di un cimitero o di un luogo di culto, non parlava. Ad ogni modo, il tempo scorreva, ed io non sentivo altro che il suono di una voce nella mia testa. Il mio istinto di sopravvivenza parlava. “Scappa.” Mi diceva, fornendomi un utile consiglio che avrei seguito non appena l’occasione adatta si fosse presentata. Incerta sul da farsi, guardai Stefan, e notando per l’ennesima volta la gravità delle nostre rispettive ferite, capii che la situazione era critica. Dovevamo fuggire, ma sapevo che quel mostro non ce l’avrebbe permesso. Cosa fare dunque? Un unico pensiero che mi vorticava in mente, e un quesito al quale non riuscivo a trovare una risposta. Colta all’improvviso da un nuovo senso di frustrazione, piansi di nuovo, e stavolta lanciai un urlo. “Basta!” gridai, sentendo la gola dolere e bruciare per lo sforzo. “Perché hai deciso di farci questo?” chiesi poi fra le lacrime, attendendo una qualsiasi risposta da parte di quel viscido verme. “Te l’ho detto! Io ti amo!” disse lui, fissandomi con quei suoi occhi azzurri come splendenti e preziosi zaffiri. “Ne ho abbastanza! Questo non è amore! Se davvero mi amassi mi lasceresti andare!” un secondo urlo che risuonò nella stanza, e per pura sfortuna, le ultime parole da me pronunciate prima di perdere i sensi e svenire crollando in terra. Non volevo crederci, ma era successo. La stanchezza aveva nuovamente prevalso su di me, e nonostante la mia forza d’animo, avevo ceduto. La verbale lotta avuta con Maddox mi aveva vista perdente, e finendo in terra, il mio corpo aveva comunicato la sua resa. Ero priva di forze, ma non ancora morta. Non potevo lasciare che accadesse, né che quel mostro mi plagiasse. Avrei combattuto fino alla fine per liberarmi e fuggire da quel covo.
   
 
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