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Autore: PandorasBox    21/08/2016    2 recensioni
#1 [Talia/Reyna]
#2 [Jason]
#3 [Nico/Will]
#4 [Luke/Talia]
#5 [Talia/Reyna]
#6 [Nico/Will]
#7 [Leo, Teen Wolf!au]
In quel momento, la sua già di suo triste e complicata vita, era diventata un film. Ma non un film bello, un film che somiglia più alle infinite telenovelas che vede tía Rosa in cui, ad una sfiga se ne aggiunge un’altra ed un’altra e poi un’altra ancora e arrivi a milleottocento puntate senza aver risolto nulla e con più morti di una guerra nucleare. Solo che i morti che vorresti tornassero non tornano e restano sottoterra
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'hai visto che, e chi l'avrebbe detto,

si può sbagliare senza perdere affatto.





La cosa che più la innervosisce di lui, gli dice sempre Clarisse, è quell’aria perennemente tranquilla che ha stampata in faccia, quel modo che ha di sorridere con gli occhi anche quando è una pessima giornata e quel suo modo di fare che sa farti infuriare e sbollire in quindici secondi netti.

La innervosisce non essere mai riuscita a dargli un pugno come avrebbe voluto perché a colpire un soggetto del genere, a quanto pare, ci si sente troppo in colpa.

Will non ha mai capito il modo di pensare di Clarisse ma, forse, non ci ha neanche mai provato. Sono amici senza sapere neanche loro il perché e Will si dice che una guardia del corpo può tornare sempre utile, soprattutto quando sei bravo a fare a pugni quanto lo sei a ballare il tip tap e non sei proprio famoso per essere un ballerino di tip tap.

Le gambe penzoloni dal davanzale della finestra, Will osserva la via, osserva le macchine passare, la gente camminare, la TV accesa in casa Montes trasmette l’ennesima telenovela brasiliana, la pizzeria dei Benvenuti inizia ad aprire per la cena. Sente lo stomaco borbottare e si domanda se prendere di nuovo una pizza sia così sbagliato, poi ricorda che forse sua madre gli ha lasciato qualcosa per cena prima di quella sua serata a tre ore di macchina da lì.

«Cazzo guardi?» chiede la voce sgraziata di Clarisse alle sue spalle e Will si limita a stringersi nelle spalle e scendere dal davanzale.

«Non c’è molto da guardare, in questo quartiere: la pizzeria.»

«Qui uno ci viene per i prezzi da fame,non per la bella vista.» conclude lei, allungandogli un quaderno perché possa controllare quel che c’è scritto e vedendoselo restituire poco dopo con un paio di correzioni a matita.

«Fanculo, Solace, come fai?»

«È matematica, Clarisse, logica e pazienza, non è difficile.»

Lei gli lancia il più astioso degli sguardi  e, con una banconota in mano, lo spedisce fuori dalla sua stanza con la sua solita grazia.

Non gli ha ancora ripetuto quanto sia sprecato in quel quartiere, forse oggi glielo risparmierà e si risparmierà i pensieri che accompagnano certe parole.

«Ci vediamo mercoledì?»

«Non se continui a sorridere così. Ora fuori dalle palle che sto aspettando Chris.»




 

Lou Ellen gli ripete spesso che è una persona troppo buona: troppo buona per quel quartiere e troppo buona per il mondo in generale e Will non ha ancora capito da dove le venga quest’idea.

Quel che non sopporta di lui, gli dice, è la sua mania di dover essere sincero e corretto ogni attimo della sua vita, con qualsiasi persona incontra. Il suo insulto peggiore risale ai suoi quattordici anni quando diede del perdente anemico ad uno smilzo snob di un’altra scuola, da lì in poi solo parole buone.

Certo, non è Cecil ed i suoi cugini che hanno una denuncia per furto a testa, non è i fratelli Stoll e la loro compravendita di macchine rubate, non è come Katie e le sue sorelle che hanno quel “vivaio” un paio di case più in là, ma lui non si sente una brava persona.

«Vuoi fare il medico, Will, non puoi non essere una brava persona!» insiste lei, seduta sul suo letto,  incitandolo a scegliere una carta senza fargliela vedere, facendola poi sparire nel mazzo che prende a mescolare con cura.

Quel discorso lo hanno affrontato così spesso che, volendo, potrebbero ripeterlo anche i muri pieni di mensole e perline della camera della ragazza.

«Potrei sempre diventare un medico corrotto.»

«Con quella faccia?» aveva chiesto Lou Ellen, divertita, dividendo il mazzo a metà.

«Questa ho.» aveva replicato, stizzito, indicando il mazzo a destra. «Potrebbe essere tutta apparenza.»

«Will, tu restituisci il resto sbagliato alla cassa del supermercato.» erano state le sue ultime parole poi aveva semplicemente preso la prima carta del mazzo a destra porgendogli il cinque di picche.

«È la tua carta?» aveva chiesto, cambiando discorso e sostenendo lo sguardo perplesso di Will che annuisce.

«È facile, Solace, è matematica. Dieci dollari e ti spiego il trucco.»




 

Kayla gli ripete spesso che è tutta una questione di trovare la propria strada, che non sempre quella degli altri è buona anche per te.

Quel che meno sopporta di lui, gli dice sempre Kayla, e il fatto che non capisce che magari uno dovrebbe concentrarsi meno su quel che non sa fare e più su quello in cui riesce bene.

Mirare dritto al bersaglio, tirar la corda finché serve e far centro, dice lei.

Ma Will non è mai stato bravo e non hai mai avuto questa gran mira: quando giocano a freccette per decidere chi paga finisce sempre lui con il portafoglio in mano.

«Hai ricucito Paolo più volte di quanto papà non abbia ricucito i miei vestiti da bambina, sei bravo!» gli aveva fatto notare Kayla ma Will si era semplicemente stretto nelle spalle ed aveva sistemato una cornice storta attaccata alla parete.

«Mi stai dicendo che dovrei darmi al ricamo?»

«Solo se ti metti a fare mezzopunto.» era stata la risposta sarcastica di sua sorella, accompagnata da una gomitata dritta dritta sulle costole. Kayla era tornata a preparare la sua borsa per l’ennesima gara e lui era rimasto a guardarla prima di decidersi a prendere il suo zaino ed andarsene.

«Torna con una coppa, mi raccomando.» e quel che le dice, salutandola con un bacio sulla guancia.

«Se faccio montare un’altra mensola papà mi ammazza.»




 

Il problema di Will, gli dice sempre Austin, è che ha troppe persone con cui confrontarsi anche se nessuno gli chiede di farlo.

Quando tuo padre non sa tenerselo nei pantaloni, però, ti fornisce di un arsenale di fratelli sparsi per tutta la città, fratelli che conosci perché tuo padre ha voluto così, fratelli che il più delle volte fanno e riescono dove tu provi e fallisci, fallisci e fallisci di nuovo prima di riuscire. Questo però non deve bloccarti dal cercare di essere chiunque tu voglia essere.

«Lo sai, vero, che se io vedo una goccia di sangue svengo?» ripete Austin, sistemando le corde della sua chitarra, e Will si strige nelle spalle.

«Ma tu andrai a suonare in qualche orchestra importante di cui non ricordo il nome, il prossimo autunno. Io no.»

«E tu diventerai un medico di quelli alla Grey’s Anatomy, tra qualche anno. Io no.» era stata la risposta di suo fratello mentre gli piazzava in mano un pacchetto di spartiti perché facesse da leggio e voltasse la pagina quando richiesto.

«Non sono abbastanza promiscuo per poter essere un medico di Grey’s Anatomy.»

Austin aveva sorriso ed aveva alzato un sopracciglio, indicando con il mento il numero 13 in fondo alla via.

«Meglio per te, non ci tengo a vedere te sotto terra e  Nico dentro per omicidio.»




 

Quel che gli dà più fastidio di lui, gli dice Nico, è...beh, in realtà è un po’ tutto.

Da che si conoscono, quattro anni o giù di lì, non c’è stato un attimo in cui non gli abbia ripetuto quanti piccoli dettagli in lui gli facciano perdere le staffe ─ che poi sono le stesse cose che lo hanno fatto innamorare di lui, pare, ma questo guai a dirlo.

In tre anni e mezzo di relazione, poi, ci ha tenuto a sottolineare più volte quanto, a momenti, avrebbe una gran voglia di dargli una testata e lasciarlo solo il mezzo alla strada a contemplare quanto può essere scemo ed irritante.

Se Will non conoscesse bene l’altro ragazzo, se non avesse anche solo provato a vedere un po’ oltre, probabilmente gli avrebbe creduto. Ma Will lo conosce bene e lo sa, sa cos’è che l’altro non sopporta di lui.

 

Le mani aperte di fronte al viso dell’altro e lo sguardo confuso che questo gli scocca mentre cerca di capire dove il discorso voglia andare a parare hanno una luce diversa sotto ai lampioni un po’ fiochi disseminati per la via.

Seduti sulle scale abbandonate del numero 2 -e chissà se qualcuno è mai vissuto in quella casa- Will capisce chiaramente che il fastidio di Nico sta diventando quasi un terzo ospite per di più molto ingombrante.

«Cosa vedi?» gli chiede e vede gli occhi dell’altro ragazzo assottigliarsi, studiando le sue mani e poi la sua faccia.

«Cerotti colorati di cattivo gusto. Non credevo ti piacesse Spongebob.» è la risposta che lo obbliga a roteare gli occhi e avvicinarle ancora un po’.

«E sotto?»

«Dieci dita. Mi stai misurando la vista in qualche modo strano, non capisco…»

«Mani, Nico, la risposta giusta è mani. Inutili. Dimmi cosa so farci.»

«Potresti schiaffeggiartici, ad esempio. O potrebbe farlo Clarisse, sono anni che muore dalla voglia.»

«Sii serio!»

Nico gli scocca un’occhiata piena di rassegnazione e, di nuovo, si mette a scrutare quei palmi, quella dieci dita, sfiora un paio di cerotti per poi borbottare.

«Giocare a pallacanestro, non sei male a suonare il piano. Picchiettare sopra ad una calcolatrice quando non riesci a fare i conti a mente.»

«Vedi? Kayla sa tirare con l’arco, Clarisse sa tirare cazzotti ed hai mai sentito Austin? Io cosa so fare di utile con queste dieci dita?»

«Curare, Will, ecco cosa sai fare. Devo ricordarti Annabeth? E Paolo? I Montes avrebbero passato la sua infanzia al pronto soccorso, altrimenti!» Will lo vede alzarsi, scendere gli scalini, dare un calcio ad un paio di pietre come per calmarsi e poi tornare a sedersi accanto a lui con le mani infilate in tasca.

Nico glielo ripete spesso: quel che gli dà più fastidio di lui è il fatto che si ostini ad essere tanto ansioso dentro quanto tranquillo fuori. Arriverà il giorno in cui esploderà, gli dice, ma Will è stoico -ed un po’ stupido- e continua per la sua strada.

La sua, poi, è un’ansia tutta particolare fatta di paura di non fare abbastanza e consapevolezza di fare fin troppo. «È come se dovessi pagare un debito che non ricordo di aver mai contratto.» aveva ammesso una volta e la sensazione è ancora lì.

Poggia la testa contro la spalla dell'altro e lo sente irrigidirsi, come al solito, prima di sentire una mano salire a spostare qualche ciuffo ribelle dal suo viso.

Un silenzio confortevole tra di loro, solo i rumori ovattati e le voci della via a far loro compagnia.

«Devo ricordarti che ho rischiato di tranciarmi un dito tagliando una carota? Chiedi davvero a me cosa sai fare con dieci dita?» mormora Nico, sovrappensiero, e Will non ce la fa a non ridere ricevendo come regalo un coppino ben assestato.

Il rumore di qualcosa che esplode li fa sobbalzare, del fumo inizia ad uscire da quella sorta di officina qualche casa più in là, qualcuno urla il nome di Harley, qualcuno quello di Nyssa subito seguito dalla parole “estintore”.

Will si lascia scappare un lamento, le spalle che cadono, accanto a sé l’altro ragazzo ride di una risata esasperata.

«Non ho intenzione di disinfettare nessuna bruciatura.» è quel borbotta, sperando di non farsi sentire, ma Nico gli dà una spallata e continua a ridere.

«Allora dovresti fare la cosa che sai fare meglio?»
«Lamentarmi?»
«No, correre.»





 

«Sai Will, ho trovato un’altra cosa che odio di te.»

Piegato a metà, le mani sulle ginocchia tentando di riprendere fiato, Will alza lo sguardo sull’altro.

«La lista si allunga...ma dimmi.» riesce a replicare, tornando dritto, e lo sguardo dell’altro cade inevitabilmente sui suoi piedi.

«Le tue infradito.»

«Credevo avresti detto la mia faccia.»
   
 
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