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Autore: alessandroago_94    22/08/2016    12 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 22

CAPITOLO 22

 

 

 

 

 

In quel periodo della mia vita mi erano chiare solo poche cose.

Tra quelle poche, che mi chiamavo Antonio Giacomelli e che avevo qualcosa che mi tormentava. Non mi sentivo pienamente me stesso, ma vittima di soprusi e di un destino forse troppo pesante per un ragazzo poco più che adolescente.

Va bene, ciò che mi aveva lasciato intendere Roberto, cercando di farmi ragionare tramite i suoi pensieri sempre complessi e contorti, mi aveva riscosso, e sapevo che dovevo agire in un qualche modo ed uscire dalla mia inerzia, che mi stava costringendo a vivere quel lunghissimo e doloroso periodo di stallo. Uno stallo che stava coinvolgendo un po’ tutti gli ambiti della mia vita. Ed io dovevo almeno riuscire a interromperlo, in un qualche suo punto.

In quei giorni, non so di preciso cosa mi spinse ad accettare di recarmi da Melissa. Anzi, fui proprio io a cercarla e a dirle che, se voleva, avevo un po’ di tempo libero e potevo recarmi da lei.

Stavo comunque continuando a mentire a me stesso, poiché sapevo esattamente cosa mi aveva spinto a compiere quel gesto, che per un po’ di tempo avevo preferito evitare con qualche scusa.

Il motivo era che la ragazza, da quel che mi aveva detto, in casa teneva un pianoforte, ed io necessitavo assolutamente di esso. Dovevo tornare a posare le mie dita sui tasti di quello strumento, suonarlo e ritrovare almeno in parte la mia pace interiore, visto che ciò in casa mia ormai mi era negato per dispetto.

Ero certo che mio padre chiudesse a chiave la porta della saletta per recarmi danno, e mia madre a riguardo non sapeva imporsi, visti i modi dell’uomo. Neppure Roberto poteva darmi una mano, poiché gli veniva continuamente detto che in quella casa nulla era affare suo, a parte quelle tre stanze che aveva affittato, ed io non riuscivo neppure a parlare col mio losco genitore, poiché se lo facevo dapprima Sergio non mi degnava neanche di uno sguardo, e poi mi rispondeva con una risata. Mi rideva in faccia, quindi, da vero fellone. Sapevo che non avrebbe acconsentito alla mia richiesta, ed anzi, più volte l’avrei supplicato di lasciarmi suonare, più lui ci avrebbe trovato gusto a chiudere la stanza. Ed io ero completamente disperato, senza la musica e il mio strumento.

Sapendo che quella era la causa principale e la base dei miei tormenti, decisi quindi di aggirare l’ostacolo tentando di andare a casa di Melissa e sperando che essa mi lasciasse toccare il suo strumento. Magari, avrei potuto tornare a suonarlo per un po’ e a riprenderci la mano.

Dopo aver concordato tutto con Melissa ed essermi organizzato in fretta, avvisai con altrettanta frettolosità mia madre e mi recai in stazione, dove acquistai i biglietti che mi servivano.

La stazione del mio paesetto era davvero piccola, una sorta di capanna con due misere rotaie che l’attraversavano. Tra l’altro uno dei pochi treni che avrebbe fatto la sua fermata lì quel giorno era proprio quello che faceva al caso mio, e che mi avrebbe condotto alle periferie di Bologna.

Mi attendeva davvero un viaggetto corto, ma grazie alla mia totale imbranataggine in fatto di treni, feci fatica fin da subito a muovermi. Per fortuna i mezzi che si fermavano alla stazione erano davvero pochi.

Dopo un viaggio molto corto, di neppure una mezzoretta, giunsi a destinazione, e lì ad attendermi trovai Melissa, che era stata di parola. Mi aveva infatti detto che mi avrebbe atteso alla stazione per accompagnarmi a casa sua, e così fece.

La ragazza, che a quanto pareva aveva un anno in più di me, mi portò a casa sua con la sua auto, un’utilitaria molto comune nell’aspetto esteriore, guidando con una prudenza che molte volte sfociava in una sorta di insicurezza. Non mi aveva fatto tanta festa alla stazione, limitandosi a sorridermi e ad accompagnarmi alla sua macchina, e all’interno del mezzo stesso non disse praticamente nulla, tenendo sempre gli occhi fissi sulla strada, sgranandoli leggermente quando doveva effettuare un qualche sorpasso, operazione che tra l’altro limitava ai casi più estremi.

Non mi sentivo per nulla in buone mani e cominciai a sentirmi in pericolo quando la ragazza imbucò una strada a carreggiata unica che portava in campagna, e che deviava dalla fitta rete di case dei quartieri più periferici di Bologna. Infatti, la carreggiata era molto stretta ed ogni volta che incrociavamo un auto proveniente dal senso opposto di marcia la guidatrice era costretta a lasciare il passo, oppure ad affiancare lei stessa l’altra auto che si era fermata per concedere la precedenza corretta e la corsia.

Ebbene, Melissa a volte titubava, ed io restavo sempre per qualche istante col fiato sospeso.

C’era il detto popolare e diffuso che mi tornava alla mente e che narrava il fatto che una donna al volante è un pericolo costante, ma non avevo mai creduto a ciò, poiché ritenevo che molte donne fossero più brave degli uomini a guidare, visto che erano più attente a tutto, ma in quell’occasione mi dovetti ricredere per qualche istante. In seguito, col senno di poi, compresi di non essere mai stato realmente in pericolo all’interno del mezzo, ma in ogni caso quei tentennamenti che la guidatrice aveva dimostrato non erano certo segno di sicurezza.

Per fortuna, anche quel viaggetto durò molto poco, a malapena un quarto d’ora. Un quarto d’ora intenso, però.

Quando finalmente giungemmo a destinazione, le mie mani erano leggermente sudate e il mio viso tirato, e molto probabilmente dovevo avere assunto una strana espressione sul volto, forse a causa della tensione accumulata negli ultimi minuti, e non riuscii a gustarmi appieno l’abitazione della mia amica, in un primo momento.

Solo quando lei parcheggiò l’auto, dopo essere entrata in un vasto giardino ben curato ed immerso nel verde, dopo aver varcato un bel cancello di ferro battuto, notai che di fronte a me si estendeva un’abitazione niente male. I genitori di Melissa non dovevano essere persone da nulla.

‘’Che bella casa!’’, le dissi infatti, dopo un attimo in cui cercai di ristabilire i miei sensi.

‘’Grazie! Beh, sì, è una classica villa di campagna…’’, mi rispose l’amica, sorridendomi compiaciuta mentre chiudeva lo sportello dell’auto. Aveva detto tutto quanto come se avesse parlato di una casa qualsiasi, quando invece a me quella pareva una reggia.

Avrei voluto chiederle se la voleva scambiare con la mia, ma stetti zitto, lasciando perdere la vena ironica che sul momento mi aveva colto all’improvviso. Non ero mai stato bravo a fare dell’ironia e temevo già di impantanarmi in qualche sabbia mobile fin da subito.

‘’E comunque non è tutta casa mia e dei miei genitori. Al piano inferiore ci vivono i miei zii e mio nonno paterno’’, aggiunse poi la giovane, come se anche lei si fosse accorta che comunque l’abitazione era davvero ampia. Si trattava di una di quelle abitazioni signorili di metà Ottocento, restaurata in modo sublime, ed esteriormente appariva già più vasta di quello che avrei mai potuto immaginare.

Conducendomi verso l’ingresso di casa attraverso un bel sentiero di ghiaino, tutto ben curato, Melissa di tanto in tanto mi rivolgeva qualche occhiata, ma la mia attenzione era totalmente rivolta all’ambiente accudito e nobiliare che mi circondava.

‘’Davvero, mai mi sarei creduto che tu abitassi in una simile villa’’, le dissi, continuando a guardarmi attorno. Il giardino era anch’esso spazioso, e ovviamente recintato e pieno di alberi e piante varie, anche a cespuglio, che purtroppo in quella stagione donavano una sfumatura di marrone ovunque, e non di vivace verde come dovevano apparire durante i sei mesi più caldi dell’anno.

‘’Te l’ho già detto, non è tutto dei miei’’, ribadì la mia interlocutrice, come a voler dimostrare che un simile sfarzo purtroppo lo doveva condividere con altri parenti. Inconsciamente, mi chiesi chi fossero i genitori e i nonni della ragazza, per potersi permettere tutto ciò.

Mentre ancora mi guardavo attorno e i miei pensieri erano più concentrati verso gli aspetti più materiali di ciò che mi circondava, quasi venni travolto dalle quattro cugine di Melissa, che uscendo di casa ci vennero incontro con il loro solito modo di fare molto rumoroso. Ebbi un momento di confusione di fronte al loro festante e incasinato saluto collettivo, e continuai a notare che quelle ragazze, quando erano assieme, dovevano essere davvero pestifere ed insopportabili. Peccato che, molto probabilmente, dovevano passare molto tempo assieme.

Notando il mio comportamento impacciato e sopraffatto dalla moltitudine di cugine, Melissa, la più grande di tutte tra l’altro, mi trasse in salvo e mi condusse in fretta dentro l’abitazione, mentre le ragazze se ne rimasero in giardino.

Entrato in casa, mi condusse direttamente al piano superiore, ma non potei non notare il vasto atrio, e le belle opere d’arte appese alle pareti d’un bianco candido. Le ampie scale interne che collegavano il piano inferiore a quello superiore erano una sorta di divisorio tra i vari alloggi, ed erano tutte di un bel marmo tenuto splendente.

Melissa doveva aver notato il fatto che mi sentivo in soggezione nell’ambiente, e che effettivamente non ero a mio agio fin dal momento in cui avevo lasciato il treno, per poi salire sulla sua auto. Forse per quello decise di cominciare la visita col botto, donandomi uno zuccherino estremamente dolce e appetibile. In pratica, mi offrì il mio desiderio su un piatto d’argento.

Non incontrammo nessuno nel tragitto che ci portò fin di fronte ad una stanza dalla porta chiusa, che fu aperta dalla mia accompagnatrice e padrona di casa, che a quel punto parve rilassarsi anche lei.

‘’Ecco, ho pensato che, per cominciare…’’.

Non l’ascoltavo neanche più. Non appena mi affacciai in quella stanza spaziosa, ben arredata e con a lato un magnifico pianoforte, il mio cuore esplose di gioia e felicità.

Una sensazione assurda mi pervase dalla testa ai piedi, mentre a passi lenti mi avvicinavo allo strumento.

Melissa stava dicendo qualcosa, mostrandosi per la prima volta timida, sfoggiando un atteggiamento che, in un’altra situazione, mi avrebbe fatto subito pensare che con me fosse in soggezione, chissà per quale motivo, ma in quell’istante i miei occhi planavano sul vicino strumento musicale e nelle mie orecchie già risuonava una possibile sinfonia.

Lentamente, constatai che quel pianoforte era un modello molto antico, e molto più pregiato del mio. Tutto in sé risplendeva, tuttavia.

Non seppi trattenermi oltre, di fronte alla spinta dei miei desideri.

‘’Posso provare a suonare qualcosina?’’, chiesi improvvisamente alla ragazza, che ancora stava parlando di qualcosa che non mi importava.

Lo so che è bruttissimo da pensare e da ammettere, ma effettivamente sapevo che avevo fatto tanta strada e mi ero permesso quel viaggetto solo ed esclusivamente per quello strumento musicale, e non per ascoltare Melissa, o parlare con lei. Dentro di me, il mio lato più oscuro mi passava soddisfazione e tentazione di suonare, mentre l’altra parte di me, opposta, mi consigliava di vergognarmi per quel mio comportamento da misero approfittatore.

Ma, d’altro canto, si sa che la natura umana è debole, e che di fronte alle tentazioni della vita non sa proprio dire di no. Quindi, anche se non volevo, in realtà stavo quasi sbavando come un cane di fronte ad una ciotola di fragranti crocchette, come avrebbe potuto affermare il grande studioso Ivan Pavlov, e molto probabilmente non mi sarei dato tregua fintanto che non avessi avuto modo di appoggiare le mie dita su quei tasti tanto invitanti.

Melissa mi allungò uno sguardo leggermente sorpreso per la mia richiesta frettolosa, e forse neanche troppo gentile, ma non si oppose minimamente.

‘’Beh, certo, se vuoi…’’.

Non mi serviva altro. Avevo il permesso per appoggiare le mie dita su quel magnifico strumento, e il resto veniva tutto dopo e non m’importava, in realtà.

Venni colto da una frenesia ansiosa che per qualche istante mi fece provare qualche brivido per tutto il corpo, per poi calmarmi non appena mi fui ben seduto di fronte alla mia possibile fonte di felicità ed ebbi sfiorato i tasti. Da quel momento in poi, vissi qualche minuto di panico.

Melissa continuava a parlarmi e a guardarmi, e avevo voglia di spegnerla come avrei fatto con una tv o una radio molesta, mentre io cercavo di familiarizzare con quello strumento che in realtà non era mio e che quindi aveva qualcosa di diverso. Ogni oggetto è diverso dall’altro, ogni cosa ha una sorta di propria anima, in grado di renderla distinta e differente dalle altre, a meno che non sia prodotta in serie dalle industrie dalla tecnologia più avanzata.

Mi accorsi a quel punto che tremavo nuovamente. Frenesia, ansia e altre mille sensazioni differenti si erano unite alla mia impellente voglia di esaudire subitissimo il mio desiderio, ed io ancora riflettevo su non so bene cosa.

Mi feci coraggio ed affrontai tutto di petto.

‘’Non hai un qualche spartito?’’, chiesi alla padroncina di casa, che ormai si era accorta che non la ascoltavo e se ne stava mogia alle mie spalle, immersa in un muto silenzio che poteva voler dire molte cose, nascondendone altre, tra cui anche la curiosità.

‘’No, questo è il vero problema. Nessuno in casa è capace di suonare il pianoforte, a parte mio nonno, ma lui i suoi spartiti li tiene sempre con sé e non li lascia incustoditi in questa stanza…’’.

Ok, ciò non aveva particolare importanza, pensai, tagliando di nuovo i punti col mondo reale. Ero pronto a suonare qualsiasi cosa, anche una sinfonia immaginaria e orribilmente storpiata. Sapevo che mi stavo comportando come un gran maleducato, ma ormai avevo perso ogni nesso con la realtà, e l’oggetto dei miei desideri era lì, a portata delle mie dita.

Mi chiusi totalmente in me stesso, e l’ansia che mi attanagliava da ogni parte svanì come la nebbia autunnale dinnanzi al primo tiepido sole della giornata, e pure io come il nostro grande e luminoso astro m’innalzai sopra ad ogni mio limite.

A quel punto, inutile dire che persi il controllo di me. Non so per quanto suonai, e neppure cosa suonai di preciso, per tutto il tempo. Sapevo solo che nessuno aveva cercato di interrompermi in alcun modo.

Ero talmente tanto preso da quello strumento che mi era molto mancato in quelle ultime settimane che non badai a nulla, se non a cercare di suonare e di ricreare qualcosa di decente. Il resto veniva dopo, e il mio livello di attenzione era davvero bassissimo, in quegli attimi.

Fu una sorta di raptus, di quei momenti in cui si esce da sé stessi per entrare in sintonia con un oggetto che diventa prolungamento del proprio corpo, e tutto ciò che mi circondava veniva dopo. Il pianoforte, nonostante non fosse quello che tanto amavo e utilizzavo a casa mia, si dimostrò un valido compagno, e non deluse assolutamente le mie aspettative, anzi.

Dopo un periodo di tempo indeterminato, le forze sembrarono venirmi a mancare tutte assieme. La sintonia che avevo raggiunto con lo strumento si sciolse, lentamente, oppure troppo in fretta, dipendeva da come si rifletteva sulla situazione, ed io rientrai in me, rendendomi conto di quello che avevo fatto.

Le dita si fecero pesanti, le gambe molli, la vista sfocata. Lasciai perdere e, in pochi secondi, lasciai anche che le mie mani scivolassero giù, lontane dai tasti. E allora mi voltai, sentendo il mio viso arrossarsi, comprendendo che doveva essere trascorso un bel po’ di tempo da quando mi ero praticamente impossessato di quell’oggetto non mio, quasi snobbando la povera Melissa, che doveva esserci rimasta davvero male.

Quando mi girai, cercandola con lo sguardo, mi trovai di fronte ad una platea di gente, che in silenzio mi osservava con attenzione.

La mia mandibola cedette un po’ e per un attimo mi parve di restare senza fiato, trovandomi immerso in una situazione quasi paradossale ed in una casa che mi era sconosciuta, così come la maggior parte dei suoi abitanti.

Tra le persone che avevano preso posto nell’ampia stanza, riuscii a riconoscere Melissa, che incrociando il mio sguardo stupito sorrise, e poi notai anche le altre quattro cugine, più in un angolo rispetto agli altri presenti, che non conoscevo e non avevo mai visto in vita mia. Quella fu la mia prima sorta di concerto, tra l’altro a sorpresa.

Tutti mi osservavano in silenzio, quasi mi studiavano con insistenza. L’unico seduto, posizionato tra l’altro in una posizione centrale della camera, era un uomo anziano, a cui diedi un’ottantina d’anni, coi capelli bianchi tirati all’indietro ed un volto severo, dai tratti marcati nonostante l’età e le rughe lasciate dal tempo, e dai baffetti allungati e leggermente arricciati, che mi ricordavano tanto quelli rappresentati nei ritratti di fine Ottocento.

Fu proprio lui il primo a parlarmi e a interrompere il silenzio.

‘’Come ti chiami, ragazzo?’’, mi chiese, con una voce forte che risuonò nella stanza, una voce della stessa specie di quella di mio padre. Imbarazzato e in soggezione, deglutii prima di rispondere con titubanza.

‘’Antonio’’, gli dissi, semplicemente.

L’uomo anziano annuì col capo.

‘’Bene, Antonio, piacere di conoscerti. Potrei sapere come sei finito in questa casa?’’.

‘’L’ho invitato io, nonno. Io e le ragazze l’abbiamo conosciuto qualche settimana fa, in un posto dove eravamo andate a fare un giretto. Insomma, è stato tanto gentile, e ci ha fatto anche da guida. Quando ho scoperto per caso che apprezzava il pianoforte e lo sapeva suonare, beh, l’ho invitato a farci visita’’, spiegò Melissa, prima che io potessi rispondere in un qualche modo e spiegando tutto quanto.

Il vecchio annuì nuovamente, con aria seria, mentre tutti tacevano ancora nella stanza. I presenti, dieci in tutto comprese le mie giovani amiche, erano tutti maturi a parte le ragazze, e mi pareva evidente che formassero una grande famiglia, quella di cui mi aveva accennato Melissa.

‘’La tua visita è stata molto apprezzata. Sei molto bravo e dotato, e mi fa piacere che le mie nipoti abbiano avuto modo di conoscerti. Spero veramente che vorrai tornare in questa casa, e grazie per la musica che hai suonato, era davvero splendida’’. E così dicendo, l’anziano si alzò dalla sedia senza alcun tentennamento, e poi, appoggiandosi ad un bel bastone da passeggio, abbandonò la stanza, senza mai abbandonare quella sua aria severa e tirata, subito seguito a ruota dalle due coppie di adulti, che non mi degnarono neppure di uno sguardo in quel frangente. Non me ne dispiacque.

Subito, le ragazze si avvicinarono a me.

‘’Grande, Antonio! La tua musica è risuonata tra le mura di questa abitazione, è giunta ovunque. Noi e i nostri genitori, assieme al nonno, non abbiamo saputo resistere e siamo venuti ad ascoltarti, senza disturbarti’’.

‘’Sei un maestro, mentre suonavi sembravi perso in te stesso!’’.

‘’Grande, davvero’’.

‘’Hai fatto un figurone, sono pochi coloro che riescono a piacere al nonno. E tu gli piaci. Scommetto che se tornerai a farci visita, ti passerà un suo prezioso spartito’’, mi disse Melissa, emergendo dal caos delle scatenate cugine, che come ogni volta infuriavano su di me, ancora seduto. Le sorrisi.

Poi, i miei occhi caddero sul mio piccolo orologio da polso; segnava le diciassette.

‘’Ragazze, io sono felice di esservi piaciuto e di avervi fatto udire qualcosa, ma ora dovrei proprio lasciarvi. Entro quindici minuti dovrei essere in stazione’’, dissi loro, smorzandone l’entusiasmo e mostrando una smorfia agitata. L’ultimo treno che mi avrebbe potuto condurre al mio paese passava alle diciassette e quindici, e quindi dovevo fare in fretta a giungere in stazione, per non rimanere a piedi. In quel caso, nessuno sarebbe passato a prendermi lì, e chissà come avrei fatto a passare la notte.

Sperai anche in un piccolo ritardo del mezzo.

‘’Oh, certo, capisco. Allora andiamo, ti riporto in stazione’’, mi disse prontamente Melissa, comprendendo subito la mia necessità.

Le sorrisi e a passo svelto la seguii fuori dalla stanza, dopo aver salutato le cugine che, dal canto loro, parevano deluse di non potermi tormentare più col loro chiacchiericcio. Quando Giorgia si azzardò ad inseguire Melissa e a chiederle se poteva venire con noi in auto, lei non si era preoccupata di dirle di no. Forse anche la più grande tra le cugine la pensava un po’ come me, a volte.

Non incontrammo nessun altro in giro per quell’immensa abitazione silenziosa, e in un attimo fummo dall’auto, mentre la cupa sera autunnale già aveva voglia di lasciare spazio alla prematura notte di quel periodo dell’anno.

Inutile dire che partimmo con una sgommata, di quelle classiche, ma non seppi mai se fosse voluta oppure no. Preferii restare col dubbio e non chiederlo con la guidatrice, di nuovo tesa al volante. Non volevo parlarle, per non disturbarla da quella missione che pareva portarle via tutta l’attenzione(d’altronde, ne valeva anche della mia salute personale), ma fu lei a rivolgersi a me.

‘’Grazie per essere venuto a trovarmi, davvero. Anche se magari non l’hai capito, la tua visita ha davvero portato una ventata di novità in casa nostra, e ciò mancava da tempo. Avrai notato che i miei genitori, i miei zii e il nonno sono molto seri e severi, eppure tu sei riuscito a svagarli, ne sono certa. Ed hai svagato e sorpreso anche me e le mie cugine! Grazie’’, mi disse la ragazza, continuando a guidare con attenzione.

‘’Piacere tutto mio’’, le risposi, con grande galanteria. In realtà, la mia mente era già in stazione, e in un corpo possibilmente illeso da quel viaggio.

‘’Sei il nuovo idolo di casa Giacomelli, insomma’’, aggiunse, ridacchiando per la prima volta.

Sgranai gli occhi a quelle parole.

‘’Come?!’’, sbottai, stupito dall’aver udito il mio stesso cognome.

‘’Ho detto che sei il nuovo… oh, insomma, ti attendiamo ancora a casa Giacomelli, per farla corta. Per la cronaca, mi chiamo Melissa Giacomelli’’, mi disse la mia interlocutrice, cercando di fare un po’ d’ironia e non comprendendo la mia perplessità.

‘’Come si chiama tuo padre?’’, le chiesi, a bruciapelo. Avevo ormai una vaga impressione che mi girava per la testa.

‘’Piero, Piero Giacomelli. Ma… perché tanto interesse?! Il tuo cognome qual è?’’, mi chiese lei, sempre più perplessa dalle mie parole.

‘’Abitate in una gran bella casa, davvero’’, mi affrettai a risponderle, cercando di deviare il discorso e sperando che la ragazza abboccasse e che non mi riproponesse la domanda, obbligandomi in un qualche modo a fornirle una risposta.

Se non ricordavo male, mio padre aveva un fratello minore di nome Piero, e quindi forse Melissa e le altre ragazze erano le mie cugine, a rigore di logica. E l’anziano che aveva ascoltato la mia musica era mio nonno paterno, sempre forse. Ecco il motivo di quella strana familiarità che avevo trovato in loro fin dal primo momento in cui avevo avuto modo di recuperare il portafoglio della mia interlocutrice.

Il mondo mi parve crollare addosso assieme alla sorta di flebile consapevolezza di aver conosciuto casualmente le mie cugine e di aver frequentato la loro casa senza che nessuno di noi fosse volutamente al corrente del nostro grado di parentela. Sperai vivamente che le cose non fossero così e che tutto si rivelasse molto meno complicato. Ma sapevo che non c’erano molte altre possibilità.

‘’Hai ragione, è davvero molto bella’’, mi rispose cortesemente Melissa, lanciandomi un breve sorriso e lasciando cadere la sua domanda nel nulla. E poi, per fortuna, il viaggetto in auto finì e giungemmo in stazione, giusto in tempo.

Scesi dalla macchina in fretta e furia, mentre la ragazza mi diceva un semplice ciao e un ci risentiamo per messaggio, lanciandomi verso il punto dove il mio treno mi avrebbe aspettato per riportarmi a casa, non badando alla mia maleducazione. Per quel giorno, avevo strafatto a riguardo.

Il treno giunse puntualissimo e non dovetti attendere neppure un attimo, saltando subito in carrozza e riprendendo poi il fiato, una volta sedutomi in un posto vicino al finestrino, in quella terza classe in cui pochi in quella sera stavano viaggiando. Avevo la mente confusa, non volevo pensare a nulla e non vedevo l’ora di tornare a casa mia e di rinfrescarmi le idee.

Non badai neppure al cellulare, quando esso suonò per un po’. Avevo paura, e nonostante il fatto che io avessi appena trovato lo sfogo ad una mia necessità ed avessi esaudito un mio desiderio, facendomi avanti come mi aveva suggerito Roberto, il risultato era stato solo la nascita di un nuovo caos nella mia mente.

Tenni gli occhi socchiusi per buona parte del viaggio, cercando di non pensare a nulla e di stare in un qualche modo tranquillo.

 

Quando giunsi alla mia meta, e scesi alla stazione del mio paese, trovai una sorpresa ad attendermi.

Jasmine, imbronciata, mi attendeva lì, sola e in piedi. Non appena mi vide, si diresse subito verso di me, con grande rapidità.

‘’Ti pare questo il modo di comportarti?! Tua madre temeva fossi sparito…’’.

‘’Ehi, stai tranquilla! Mia madre crede che io nell’ultimo periodo sia diventato pazzo, ma non è così. E poi, lo sapeva che sarei stato via tutto il pomeriggio’’, le dissi io, cercando di avvolgerla in un abbraccio tranquillo. Ma lei si ritrasse, bruscamente.

‘’A volte non riesco a capirti, Antonio. Dei giorni mi sembri un ragazzo limpido e sereno, altri mi sembri un dannato che sta cercando in un qualche modo di nascondere qualcosa. Ha forse un’altra ragazza?’’, mi chiese, a bruciapelo. Era la prima volta che mi affrontava così di petto, da quando ci conoscevamo.

Alzai le mani, in segno di resa e di sincerità.

‘’Ti giuro, non ho nessun’altra ragazza. Oggi pomeriggio dovevo andare in un posto, e ho scoperto… insomma, non so nulla di certo e in questo momento ho solo una gran confusione in testa, un altro giorno ti spiegherò tutto quanto, ok? Ma sappi che io amo solo te’’, le risposi, sinceramente.

Lei mi rivolse un’occhiatina perplessa, ma non volle infierire. Ed io ne approfittai per allungarle un bacio sulle labbra, molto gradito.

‘’Se ti comporti ancora in questo modo, me la prendo sul serio’’, mi disse poi Jasmine, allontanandosi da me e donandomi un breve sorriso, prima di darmi le spalle e di tornare a dirigersi verso casa sua.

Scossi leggermente la testa, divertito dall’atteggiamento della ragazza che, pur cercando di nasconderlo e di non dirmelo direttamente, si era preoccupata per me. E questo era davvero un bel gesto da parte sua.

Inoltre, indirettamente, mi aveva fatto capire quanto mi amava. La conoscevo bene ormai, e sapevo che dentro di lei scorreva un sangue selvaggio e indomito, e che mai si sarebbe piegata a dichiarare profondamente il suo amore in modo aperto, poiché lo riteneva quasi una sorta di umiliazione. Io e Jasmine ci capivamo, ci volevamo bene e ci amavamo in un modo tutto nostro ed originale, poiché entrambi avevamo le nostre ben precise idee sull’amore e su ogni cosa.

Ma l’importante, in fondo, era amarsi, e decantare in giro e a parole il nostro amore non ci soddisfaceva, e ci importavano di più i nostri sporadici contatti fisici e i nostri sguardi. Il resto, contava molto meno, durante quei primissimi tempi della nostra relazione.

 

Giunsi a casa in fretta, e altrettanto in fretta mia madre mi si piazzò davanti, sbucando da chissà dove e come un’indemoniata.

‘’Signorino, dov’è stato quest’oggi?’’, mi chiese, in un modo che mi irritò in un solo secondo.

‘’Mamma, non c’era bisogno di fare una scenata così, cavolo! Te l’avevo detto che sarei stato via tutto questo pomeriggio, e che sarei tornato per la sera. Hai spaventato anche Jasmine’’, le dissi, allargando le braccia.

‘’Ah, la ragazza che ha bussato alla nostra porta nel pomeriggio… era davvero preoccupata per te, quando le ho detto che pure io lo ero. In più, eri anche irraggiungibile e non rispondevi al cellulare…’’.

Mia madre stava sfogando la sua disperazione, mostrandomi due occhietti inumiditi dalle lacrime.

‘’Oh, mamma… devi smetterla di preoccuparti così tanto per me’’, mi limitai a dirle a quel punto, donandole un piccolo abbraccio, subito ricambiato.

‘’Sai, dopo ciò che è accaduto qualche sera fa…’’.

‘’Non sono impazzito. Quello è stato solo un momento di sconforto. Sto crescendo, e devi avere più fiducia in me’’. Sciolsi l’abbraccio, lestamente.

‘’Non ho fame, magari ceno più tardi, quando l’aristocratica madre e il figlio sono saliti in camera, così non li disturbo col mio brutto muso mentre giro per casa’’, mi limitai a dirle di nuovo, per poi deviarla e dirigermi verso il piano superiore.

‘’Ma…’’. Mia madre tentò di dirmi qualcosa, ma io non le badai. Anzi, mi volsi un attimo verso di lei, prima di cominciare a salire le scale.

‘’Mamma, uno dei fratelli di… di papà, si chiama Piero?’’, le chiesi, a bruciapelo.

Tentennai quando era giunto il momento di dire la parola papà, ma alla fine l’avevo detta lo stesso per agevolarmi la vita. Però, mi scocciava chiamare quel soggetto papà, anche se purtroppo lo era. Ed avevo bisogno di conferme, in fretta.

‘’Da quel che so, sì’’, mi rispose lei, annuendo, ma con fare molto incuriosito.

Cercò di chiedermi altro, visibilmente sorpresa dalla mia strana domanda, ma a quel punto avevo la risposta a ciò che mi aveva tormentato per tutto il viaggio in treno. A quanto pareva, era certo che agendo ero entrato in contatto con i familiari di mio padre, in modo del tutto involontario ed inaspettato. Anche quella volta Roberto non aveva sbagliato la sua previsione, effettuata solo il giorno prima.

Mi catapultai verso il piano superiore, felice per non aver incontrato nessun altro a parte mia madre, e cercando di celare la confusione che le nuove consapevolezze avevano generato nella mia mente.

 

Entrai in camera mia a passo baldanzoso; niente e nessuno, neppure il più maligno e pressante dei miei tormentati pensieri, mi avrebbe impedito di farmi una doccia dopo aver studiato un po’ per le verifiche dei giorni successivi.

Però, le sorprese non erano finite per quella giornata.

Accendendo la luce e chiudendo la porta dietro di me, quasi non mi accorsi che qualcuno mi aveva atteso nel buio.

‘’Alla buon ora’’, mi disse Federico, placidamente sistemato sulla sedia della mia piccola scrivania, a fianco del letto. Mi guardava con i suoi occhi porcini e perfidi, mentre ogni tanto si passava una mano tra i capelli ricci e ribelli.

Inspirai sonoramente, e restai immobile per una manciata di secondi, senza stupirmi troppo per quella presenza e imprecando contro la mia sbadataggine, che mi aveva portato a dimenticarmi di chiudere la porta della mia stanza da letto a chiave. Ma purtroppo, per tutta quella giornata la mia mente era stata altrove, ed in quel momento ne stavo pagando le conseguenze.

Federico, avendo abbassato la pressione su di me, mi aveva concesso una parvenza di precaria tregua ed io avevo abbassato la guardia, come un pivello stolto. E mai abbassare la guardia, quando si ha un nemico da combattere, poiché esso potrebbe tornare alla ribalta ancor prima di quanto lo si possa immaginare.

‘’Cosa vuoi?’’, gli chiesi, scocciato. Ero indeciso se aprire la porta e fare una scenata pazzesca, visto che in giro per casa dovevano esserci anche i suoi, oppure starmene buono.

‘’Non provare neppure a pensare di chiedere aiuto, perché se lo fai, ti balzo addosso alle spalle ancor prima che tu possa aprire la bocca e ti schiaccio come una mosca’’.

‘’Tranquillo’’, lo rassicurai, con un pizzico di cupa ironia, che stonava in quella situazione. In quel momento avevo già compiuto la mia scelta, ed era molto meglio per me starmene zitto ed ascoltare le sue sozze richieste.

‘’Senti, domani abbiamo la verifica di matematica. Dato che, come ben saprai, io non ho mai aperto libro e quaderno, e non ho la più pallida idea neppure dell’argomento che stiamo affrontando, vorrei farti una richiesta gentile; in poche parole, tu domattina in classe dovrai lasciarmi copiare. Nel modo che preferisci, ma devi lasciarmi copiare’’, mi disse, tutto d’un fiato.

Annuii, come un automa.

‘’Io un’idea ce l’ho; quando ci faranno spostare in banchi, tu sistemerai il tuo proprio davanti al mio. Dato che siamo in fondo all’aula, praticamente, il professore difficilmente si accorgerà quando io sfiorerò con un piede la tua sedia, e allora sentendo il contatto della mia scarpa alzerai leggermente il tuo foglio dal banco, in modo che io da dietro possa leggere e copiare ciò che tu hai scritto. Perché so che scriverai qualcosa nella verifica, dato che sai svolgere bene tutti i compiti a casa e ti impegni, fottuto secchione.

‘’E non ti azzardare a non fare ciò che ti ho detto, perché ne va della tua incolumità; se mi tiri un brutto scherzetto, sappi che prima meno te, poi spacco il tuo pianoforte, che ora è in mano di tuo padre e in balìa mia, se lo volessi, dato che lui si fida di me e mi lascia entrare nella saletta, e poi faccio uno scherzetto spiacevole anche a tua madre, spiacevole almeno come quello che tu hai tirato a me. Questa è una promessa’’, sibilò il mio nemico, alzandosi poi in piedi ed abbandonando furtivamente la mia stanza, passandomi a fianco dopo avermi donato un’occhiata colma di disprezzo.

Di nuovo solo, mi adagiai sul mio letto ed affondai il mio viso in uno dei miei cuscini, lasciandomi andare alla disperazione. Il destino pareva essersi accanito su di me e su ogni aspetto della mia vita, tutto d’un colpo, e stavo davvero vivendo un periodo che, sul momento, fui certo che prima o poi mi avrebbe mandato fuori di testa.

Tuttavia, mentre me ne stavo immerso nella mia disperazione, la mia mente continuò a cercare una via d’uscita, che lì per lì non riuscì a trovare.

Ancora non immaginavo quanto mi sarei cacciato nei guai a causa delle mie sconsiderate scelte, nei giorni successivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno, carissimi lettori e carissime lettrici!

Grazie per aver letto anche questo capitolo, e per continuare a seguire il racconto.

Continuo a sperare che la vicenda continui ad attirare il vostro interesse e ad offrire una gradevole e curiosa lettura.

Grazie infinite a tutti i favolosi, gentilissimi e cordialissimi recensori, che mi sostengono sempre con un’infinità di pazienza e di bontà!

Grazie di cuore per tutto e a tutti, e buon inizio di settimana. A lunedì prossimo!

   
 
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