//Rebirth//
Capitolo
20 – Voices from the past
Shinobu si sedette sul letto, facendo attenzione a non urtare nuovamente il gesso con il
relativo braccio rotto, come aveva fatto entrando dalla porta di casa.
Sì, quella era la sua stanza. Non era stata che poco in ospedale, ma si sentiva
angosciata al solo ricordare i volti apatici, il puzzo di medicinali e
disinfettanti, lo squallore di quella camera che inutilmente si cercava di
rallegrare con fiori et similia.
Adesso era sul suo letto, soffice, confortevole, suo. Due giorni dopo sarebbe già tornata a scuola, non aveva senso restare a casa
ulteriormente. E poi, era il braccio sinistro che non
poteva usare.
Di certo, tutti l’avrebbero additata come ‘la ragazza
coinvolta nell’incidente con Sha’. Come
se non la additassero già abbastanza. La notizia dell’incidente si era
propagata a macchia d’olio, d’altronde Gojyo non era un ragazzo di cui passava
inosservata l’assenza. Dopo poche ore dal suono della campanella, il giorno
successivo all’incidente tutti sapevano cosa e come era
successo, e ovviamente in molte si erano riversate in ospedale per trovarlo,
con grande dispendio di liti, schiamazzi e lamentele degli altri degenti. Era
intervenuto il primario del reparto in persona per sedare gli animi e, intuito
l’andazzo, aveva interdetto l’orario visite a chiunque
non dimostrasse di avere un legame più che stretto con Sha Gojyo. La cosa non
riguardava lei e gli altri, perché ormai era tristemente famosa in ospedale la
scena davanti alla sala operatoria.
La ragazza si lasciò scivolare fino ad appoggiare la testa sul cuscino; si
sentiva esausta, ma tutto sommato tranquilla. I suoi
ricordi andarono alla discussione con Gojyo, due notti prima.
Ormai non poteva più far finta di niente. I deja-vu e i sogni, e d’altronde anche quello che provava
lei stessa, la portavano in un’unica direzione. Sui primi non sapeva proprio
che pensare, poteva liquidare la questione con se
stessa e con gli altri quanto voleva, ma nulla le impediva di pensare che Gojyo
avesse un qualche indubbio legame con Kenren, che con ogni probabilità era
l’uomo di cui aveva sognato tempo addietro…Shioka, poi…non sapeva ancora bene
come incastrare i tasselli, forse aveva ragione Goku, chissà, ma su una cosa
non c’erano dubbi: le sensazioni di quel sogno…e i deja-vu,
sia al parco che due notti prima…le lasciavano sulla pelle una sensazione
troppo simile per liquidare il tutto.
Riguardo a ciò che provava…non sapeva se si stesse lasciando suggestionare o meno, ma non lo credeva. Appisolandosi, si rese conto che
non poteva più negare che l’idea che Gojyo morisse le aveva strappato ogni
respiro, che quando aveva sentito le fatidiche parole
‘è fuori pericolo’ si era improvvisamente sentita
rivivere, e che due notti prima, se avesse dato pienamente ascolto all’impulso,
l’avrebbe probabilmente baciato, e non sulla fronte.
No. Dannazione, no.
Si contorse nel letto, nel dormiveglia. Aveva voglia di agitarsi, di fare
qualunque cosa, pur di negare fortemente quel che
provava, ma non le riusciva di muoversi più di così.
Non può essere successo, non con lui. Mi
rifiuto di crederlo.
Fu avvolta improvvisamente dal sonno.
Le sensazioni erano troppo
taglienti e pulsanti perché si trattasse di un sogno; ma la situazione non
poteva che suggerire quell’unica soluzione.
Era un giardino bellissimo, composto quasi esclusivamente da alberi di
ciliegio in fiore: il profumo non dava adito a dubbi.
Il gorgoglio dell’acqua, piuttosto una melodia, tradiva la presenza di
un ruscelletto.
L’erba era umida di rugiada, la sentiva sotto i piedi nudi: il suo corpo c’era
ancora, spoglio da qualunque abito, e l’erba le solleticava le caviglie. Non
percepiva la presenza di vita, però. Né un insetto, né un passero, né tantomeno
una persona.
Le venne voglia di vedere il ruscello. Camminò, facendo frusciare l’erba sotto
i piedi, finché non ne vide la sponda. L’erba era bagnata, adesso, più che umida, man mano che si avvicinava. Si inginocchiò,
senza stupirsi di poter muovere il braccio che credeva rotto, presso l’acqua,
chinandosi per sfiorarne la superficie con un dito.
Quel posto doveva essere quello che aveva sognato già una volta. Il posto di
Shioka e di Kenren, probabilmente.
Non appena ebbe formulato quel pensiero, la sua immagine riflessa tremò, poi
mutò leggermente.
Sebbene fosse cambiato ben poco, Shinobu fu certa
che l’immagine che il ruscello le rimandava non fosse la sua, che avesse
qualcosa di profondamente diverso.
Il volto era più smagrito, il naso leggermente più spigoloso, il taglio di
capelli diverso, così come pure la tonalità del colore. Ma
ciò che più attirò la sua attenzione furono gli occhi: il taglio,
l’espressione, e il colore: uno era verde, ma l’altro era dorato. Le
ricordò quelli di Goku.
...chi era?
“…Shioka?”, mormorò, certa che così fosse.
La figura nell’acqua annuì dolorosamente. Aveva un’espressione di profonda
sofferenza negli occhi.
Quella presenza non era la sua coscienza, ma non era nemmeno qualcosa di
materiale. Sembrava qualcosa che esistesse solo in
funzione di un ricordo.
Sono te.
“In che modo sei dentro di me? Perché invadi
persino i miei sogni?”
Scusami. Credo che lo capirai presto.
La voce era calma e dolce, ma anche triste.
“Anche tu con questo ‘capirai’? Dunque
non sono matura nemmeno per sapere la verità?”
…credimi. E’ meglio così.
Shinobu sospirò; ci mancava solo un principio di schizofrenia latente. Non
era troppo giovane per questo? Le mancavano solo i sogni in cui si sdoppiava,
avendo a che fare con un'altro aspetto della sua
personalità...
“In me…c’è più di una personalità. Non sei solo tu: c’è…qualcos’altro”, disse
guardandosi intorno, come temendo di veder oscurarsi il cielo d'un tratto e comparire una presenza oscura. Un'altra parte
di sé.
Per fortuna, quel qualcos’altro è quasi interamente soffocato. In questo sei più forte di me.
Shinobu si sedette
sulla sponda, giocando a far cerchi
sull'acqua con le dita dei piedi.
“Io non capisco…perché? Me, gli altri…Gojyo…lui è Kenren?
E tu…Dimmi qualcosa, spiegami solo cos’è tutto questo”
Questa volta la figura scosse la testa, ma Shinobu fu
certa di averle visto piegare le labbra in un sorriso divertito.
Pensa al presente, per il
momento...Kenren, o Gojyo che dir si voglia…
“Allora sono davvero la stessa persona?!”
Non ha importanza. Pensa
al presente, ti ripeto. Accetta quel che provi, solo così ti
ricongiungerai con una parte di te persa…
“Non ne ho alcuna intenzione. Gojyo è uno spirito
libero, non potrei né vorrei mai…per uno stupido
pensiero da ragazzina…”
Non è uno stupido pensiero. Provi qualcosa per lui da sempre…da
quando i vostri sguardi si sono incrociati per la prima volta,
la voce si abbassò fino a ridursi a quasi un sussurro, …da molto prima.
Shinobu aggrottò le sopracciglia. “Qualunque cosa tu sia, ti sei
manifestata per farmi la predica o cosa?”
Sei ancora così immatura…proprio come lo ero io.
“Sono immatura, sì. Chissà, magari ho paura di essere rifiutata. O sono così orgogliosa che non voglio affrontare questo
discorso con lui. Non ha importanza, in ogni caso”
Non è ancora venuto il momento, pare…
“Per cosa? Dimmelo!”
Provò un’improvvisa sensazione di tristezza, o forse
di dolore, tanto che si portò le mani sul petto. Immerse completamente i piedi
nell'acqua, e cancellò il riflesso che tanto la stava angustiando.
“Basta”, disse, ad alta voce.
Shinobu si risvegliò, come da normalità, nel suo letto. Solo, la sensazione di
essersi quasi ricongiunta con una parte di sé dimenticata, e di
averla poi perduta. Non ricordava nulla di quel che aveva sognato, ma si
sentiva malinconica.
Ripensò al dormiveglia, a ciò che aveva realizzato.
Non poteva essersi affezionata a Gojyo a tal punto. Non doveva. Gojyo amava il sesso, amava le donne. Si sentiva idiota al solo
pensiero di andare da lui e dirgli ciò che provava. Lui non aveva alcun
interesse per lei come donna, e gliel’aveva più volte dimostrato. La
proteggeva, sì, come si può proteggere una sorella.
Si sentiva l’incredibilmente idiota protagonista di uno shojo
manga per ragazze con ancora la voglia e l’ingenuità di credere che il primo
amore sia un principe azzurro, e che amore significhi
uscire insieme, scrivere le iniziali con un cuore su un albero e fare l’amore
per la prima volta sotto una palma, su una spiaggia al tramonto…
Poteva mai esserci cascata proprio lei? E proprio con
Gojyo?
Si sedette sul letto; sì, c’era proprio cascata. Ma non avrebbe fatto
nulla per cui Gojyo se ne sarebbe avveduto. Che tacessero tutti, Hakkai, Goku, e lei stessa.
Doveva solo ricacciare indietro quei pensieri per un po’. Sì, solo un po’, poi
sarebbero andati via da soli. Doveva comportarsi come sempre, litigare con
Gojyo, far pace con lui, litigare ancora e far pace di nuovo. Il resto sarebbe
venuto da sé.
Le venne improvvisamente in mente qualcosa; corse alla sua
scrivania, e ne trasse fuori un piccolo registratore; prese carta e penna, e
tornò a distendersi sul letto.
La borsa ben stretta in spalla, Shinobu stava correndo per i lunghissimi
corridoi dell’ospedale.
Ma che diavolo! E’ possibile che debba sempre
perdermi?
Quel maledetto ospedale era un labirinto. Che ci faceva adesso in pediatria?
…aveva girato almeno tre piani, e non aveva ancora trovato il reparto esatto.
Era tutto più semplice quando si trovava in
radiologia: da lì si sapeva orientare…ma continuando così, avrebbe perso tutto
l’orario visite in cerca della neurologia.
Si fermò di scatto: tanto valeva prendere l’ascensore,
tornare alla reception e chiedere meglio…
Affrettò nuovamente il passo: fece per girare il corridoio, ma si scontrò con
qualcuno che aveva appena girato l’angolo nella direzione opposta alla sua.
“Porca miseria! Scusami!”. Sentì una voce che, per un momento, le sembrò
di riconoscere.
Alzò lo sguardo verso quello che risultò essere un ragazzo alto, con capelli castani
e diversi orecchini alle orecchie. Figo, e tatuato
per giunta. Shinobu pensò che potesse essere un musicista.
“Scusami tu”, gli rispose. E senza dubbio aveva un che
di familiare, a parte la voce. Magari era davvero un musicista, e l’aveva visto
suonare da qualche parte.
“Mi dispiace di averti urtato”, ripeté lui, “Ma sono
di fretta e mi sono perso. Di questo passo, prima di trovare il reparto che
cerco se ne andrà l’orario visite…”
Shinobu sorrise di quella coincidenza: “Ti capisco. Sto
vagando da almeno un quarto d’ora…”
“Cerchi la radiologia? Ci sono passato due minuti fa”, chiese lui
indicando il braccio ingessato di Shinobu.
“Per la miseria, no! Ci ho passato l’ultima settimana, e mi rifiuto anche solo
di rimetterci piede! Tu che reparto cerchi?”
“Neurologia”
La ragazza ridacchiò. “Anch’io! Vieni, andiamo a informarci alla reception”.
“Già fatto, e mi hanno detto ‘terzo piano, in fondo’”
“Idem. Ma qui non c’è assolutamente nulla, se non
marmocchi che piangono”, fece lei indicandosi intorno.
In quel momento, passò accanto a loro un medico con varie cartelle in mano. Il
ragazzo le fece cenno di attendere, poi gli si avvicinò.
Shinobu gli sentì chiedere: “Scusi, il reparto di neurologia non è in questo
piano?”
“No. E’ al terzo piano dell’area B, proprio dalla parte opposta della reception”, rispose quello, con l’ovvia voce di chi ha
molto da fare.
“Ci vuole tanto a mettere qualche indicazione in più, o almeno una receptionista che si ricordi di precisare in che area si
trova?”
Il medico gli rispose con un’alzata di spalle indifferente, e si allontanò di
fretta; il ragazzo si voltò nuovamente verso di lei e sorrise. “Forse non
capisce la mia lingua”
Shinobu ridacchiò. “Scherzi a parte, non hai l’accento proprio di Tokyo. Da
dove vieni?”
“Kyoto”
“Bel viaggetto!”, commentò la ragazza, ma non si
sbilanciò chiedendogli il motivo della sua visita. In un ospedale, certe
domande è meglio evitarle.
“Già”, sorrise amichevolmente l’altro. “Vengo a trovare mio fratello”, spiegò. Probabilmente non era un tipo eccessivamente discreto. “Comunque, il mio nome è Jien. Piacere di conoscerti!”, concluse
porgendole la mano.
“Shinobu Ori”, gliela strinse. Molto affabile, di sicuro. Si incamminarono
verso il reparto di neurologia. Si costrinse a non pensare che, entro pochi
minuti, avrebbe visto Gojyo e avrebbe dovuto concentrare ogni sua energia per
comportarsi come sempre.
Gojyo sbadigliò; si girò e rigirò
nel letto, poi si mise più comodo. L’orario visite era
iniziato da quasi venti minuti, ma ancora non si faceva vedere nessuno, nemmeno
Shinobu, che il giorno prima era stata dimessa e gli aveva promesso di venire.
Si girò su un fianco, sorridendo nel trovarsi davanti un’infermiera piuttosto
giovane e carina che stava sistemando il suo comodino. Non trovo nulla di più
divertente da fare che toccarle il fondoschiena. La ragazza proruppe
in un buffo gridolino, irrigidendosi, e, mormorando
qualcosa di poco carino, uscì dalla stanza.
Poche decine di secondi dopo, ne entrò un medico.
Gojyo sbuffò.
“Allora, signor Sha, la vogliamo smettere? Le infermiere si sono stancate di essere
molestate da lei. La prossima volta le assegneremo la
signora Tetsuka, che, dall’alto dei suoi cinquant’anni di esperienza, saprà certamente prendersi
cura di lei molto meglio di quanto lo facciano le ragazze…tra l’altro, non si
vergogna nel fare certe cose davanti la sua mogliettina?”
“Dottore, le dispiace smetterla di dire sciocchezze?”
Shinobu entrò in quel momento nella camera, accigliata. Per l’appunto, la
triste scena davanti la sala operatoria era così celebre, che ormai medici e
infermieri del reparto di neurologia erano, espressamente o
meno, convinti che lei fosse la ragazza di Gojyo, e quelli più scherzosi
facevano valere la loro opinione con battute che credevano divertenti.
“Come va il braccio, signorina Ori?”
“Sempre rotto”
“Via, che se l’è cavata con poco!”, le sorrise il medico, poi, salutandola con
un cenno della cartella che teneva in mano, uscì dalla stanza.
Shinobu attese di sentire i passi del medico che si allontanavano. Guardò fisso
per un paio di secondi il pavimento, poi rialzò il volto con un sorriso.
“Lieta di vedere che ti diverti!”, proruppe, sfilandosi la borsa dalla
spalla. “Ecco qua! Di solito ai malati si porta la frutta, ma ho pensato che
sigarette e saké andassero meglio”. Ne trasse un pacchetto di Hi-Lite e una
lattina di saké, che tenne in mano, indecisa. “Le nascondo dentro il cassetto”
Il volto del ragazzo si illuminò. “Sigarette! Non mi
ricordo più nemmeno che sapore abbiano!”
“Non alzarti finché non ti danno il permesso, chiaro? E non farti beccare”
“Solo tu potresti portare sigarette e saké ad un malato, e poi preoccuparti
della sua salute”
“E solo tu potresti palpare le infermiere per passarti il tempo!”
“Perché ci hai messo tanto?”
“Perché mi sono persa e mi sono ritrovata in pediatria!”
Sentiva un vago chiacchiericcio dietro le sue spalle, proveniente dal corridoio, ma vi
si concentrò solo quando qualcuno aprì la porta della
camera. Ne entrò un’infermiera, che uscì subito dopo
avergli fatto un cenno, e il ragazzo che aveva conosciuto poco prima in
pediatria.
“Ah, sei tu! Hai poi trovato…”. Le parole le morirono in bocca, come se avesse
appena realizzato che 2 + 2 = 4. Si voltò verso Gojyo
e ne ebbe la conferma vedendo l’espressione sul suo
volto.
“Jien…?”
“Gojyo…salve!”
Shinobu rimase qualche secondo con la borsa per aria, incapace di aprire bocca.
Poi, senza una parola né un cenno, si defilò dalla stanza.
“E’ la tua ragazza? Ti sei trovato un tipo tosto.
Molto!”, fece Jien come per introdurre una conversazione, voltandosi verso la porta.
“Taglia corto. Perché appari adesso?”
Shinobu dondolava le gambe avanti e indietro, incredula di aver attraversato
mezzo ospedale al fianco del fratello di Gojyo. Ecco perché
le sembrava di riconoscere sia il timbro di voce, sia le fattezze. A
parte il colore di occhi e capelli, che probabilmente
Gojyo aveva preso dalla madre –magari era occidentale-, la costituzione fisica,
i tratti del volto e l’espressione gioviale avrebbero dovuto farle capire
subito con chi aveva a che fare.
“Shinobu?”
La voce di Hakkai la richiamò alla realtà. L’amico era accompagnato da Gojuin.
“Oh, Hakkai…Gojuin…buon pomeriggio a voi”
“Cosa fai qua fuori?”, chiese Hakkai, ma a Shinobu
parve di capire che già sapesse tutto, e paradossalmente, non solo lui.
“C’è suo fratello dentro”, rispose semplicemente. “Non volevo disturbare”
“L’hai chiamato davvero, allora…”, mormorò Hakkai, ma non a lei.
“Che ci trovi di strano? Pensavi che non lo avvertissi
di quello che è successo?”
“Quello che mi chiedo, è con che diritto si presenti
proprio ora, dopo che…”. Si accorse improvvisamente che stavano estromettendo
Shinobu dal discorso, per cui tacque.
“So tutto. Gojyo me ne ha parlato alcune sere fa”, lo
rassicurò la ragazza. “Ma hai fatto bene ad
interromperti, immagino che non sia una cosa di cui parla volentieri”. Il suo
sguardo saltò da Hakkai a Gojuin. “E tu, come…?”
L’albino si sedette due sedioline di plastica oltre
Shinobu. Sospirò, come se ciò che voleva dire fosse difficile da ammettere.
“Jien è mio cugino. Le nostre madri erano sorelle”
Shinobu aggrottò le sopracciglia a quella rivelazione. “E…perché questo
rapporto di assurda rivalità tra voi due? Cosa…?”
“Gojyo è cresciuto a casa mia, dopo che Jien se n’è andato. Lui sperava
di rifarsi una nuova vita…ma è sempre rimasto in
contatto con me, chiedendomi notizie di suo fratello. Non giudicatelo male”
“Non sapevo che voi due foste rimasti in contatto”, l’interruppe
Hakkai, perplesso.
“Perché allora Gojyo non vive più con voi?”
“Secondo te abbiamo l’aspetto di due persone che possono vivere sotto lo stesso
tetto? Lo ha fatto per alcuni anni, o almeno ci ha provato. Fino ai quattordici
ha abitato con la mia famiglia. Ma credo che si sia
sempre sentito fuori posto…non ha mai accettato di essere stato raccolto dalla
famiglia della stessa donna che l’aveva odiato. Era sempre in contrasto con i
miei…finché non se n’è andato via. E io l’ho imitato
poco tempo dopo. D’altronde, neanch’io provavo molto affetto
verso i miei stessi genitori…”
Shinobu si appoggiò alle ginocchia, senza sapere cosa pensare.
“E come lo vedi ora, era a casa: non parlavamo quasi mai, quelle poche volte
che succedeva la cosa finiva in una lite, a volte in una rissa; lui poi sfogava
la sua rabbia sulle persone fuori, e lo stesso facevo anch’io, come ben sai”.
“Non pensavo che vi conosceste a tal punto”
“Infatti non ci conosciamo quasi per niente. Hai visto
anche tu che, a scuola, ci trattiamo come due perfetti
estranei. Ci trattavamo, almeno”, disse, guardandola
fisso. “Certo, non gli dev’essere
andato giù facilmente, il fatto che frequentassi i suoi stessi amici”.
Shinobu comprese all’istante tutte le implicazioni della situazione. Poi, tornando
alla questione principale, la domanda le sorse spontanea. “Che
pensi che voglia fare suo fratello?”
Gojuin scosse la testa. “Non lo so. Al telefono mi ha detto
semplicemente ‘Vengo appena posso’. Ha
spiazzato anche me, ma...”
In quel momento, Jien uscì dalla porta: non era
rimasto poi molto. Si avvicinò ai tre ragazzi. “Ciao, Ryuho. Inutile che ne
parli con te, immagino”. Si rivolse immediatamente alla ragazza. “Scusa, Ori,
posso parlarti un attimo?”
La ragazza annuì e lo seguì, facendo cenno ad Hakkai e
a Gojuin di entrare, non prima che Jien si rivolgesse nuovamente al cugino.
“Ryuho, ho lo Shinkansen alle nove. Ti aspetto giù al
bar, così ci facciamo una chiacchierata, d’accordo?”.
L’albino annuì e seguì Hakkai all’interno della
camera. Jien iniziò subito a frugarsi nelle tasche, da cui trasse un mazzo di
chiavi e un assegno, che le porse. “Dallo a Gojyo. E’ in bianco, non avrà problemi. E
anche queste…capirà presto a che servono. Sono venuto apposta, ma da me non li
accetterebbe mai, e ancora meno da Ryuho…vedi che puoi fare, d’accordo? Credo
che tu sappia tutto: so di non essere stato un
fratello modello, per tantissime ragioni, ma almeno adesso voglio poter fare
qualcosa. Non credo che possa andare a lavorare in questo stato, quindi voglio
fare ciò che posso almeno economicamente"
“Aspetta, aspetta”. Shinobu interruppe la fiumana di parole nervose.
Probabilmente, il colloquio con Gojyo non doveva essere stato dolce. “Credi
davvero che li accetterà da me?”
"Non lo so, ma non so a chi altro rivolgermi. Fammi questo favore...puoi cercare di convincerlo tu?"
Il volto del ragazzo era sincero, pentito.
Shinobu sospirò e annuì. "Vedrò quello che posso fare. Ma non ti assicuro
niente, non sono la sua ragazza, e ben poche volte mi ascolta"
Jien fece un cenno di diniego con la mano, come a dire
che non importava. "Grazie in ogni caso. Arrivederci, Ori…vado ad
aspettare Ryuho giù".
E, così dicendo, si allontanò, lasciandola con gli
oggetti in mano.
Shinobu guardò le chiavi e l’assegno: convincerlo ad accettarli…era una parola.
Li avrebbe certamente tirati dal terzo piano. Gojyo era estremamente orgoglioso, e per di più non avrebbe accettato che un’estranea
mettesse becco nelle sue faccende di famiglia. Sospirò, e fece per entrare.
“Gojuin, sei stato tu, vero?”, stava dicendo Gojyo.
“Ovvio. Andava avvertito”
“Perché non ti sei fatto i cazzi tuoi?”
“Era un suo diritto saperlo”
“Era un suo diritto anche sparire otto anni fa, quando
avevo appena dieci anni?”. Gojyo si stava infervorando troppo perché non ne
fosse rimasto almeno un po’ turbato.
Gojuin girò sui tacchi e, con un’alzata di spalle, fece
per andarsene. Hakkai, dopo aver salutato Gojyo, ritenendo che non fosse aria, lo seguì.
Si sarebbe defilata volentieri anche lei, ma le cose che aveva in mano pesavano troppo.
“E tu che vuoi? Non vorrai farmi la predica anche tu?”
“No, affatto. Non sono fatti miei, in realtà. Ma, per
quel che può servire, secondo me si sente in colpa e non sa come comportarsi”.
Quanto si sentiva idiota...non sapeva che dire.
“Come facevi a conoscerlo?”
“Vedi di non farti qualche brutto film, eh? Niente
complotti contro la tua persona…Non sapevo chi fosse
finché non è entrato qui. Ci siamo urtati mentre
cercavo il reparto, e dato che c’eravamo persi entrambi, ci siamo presentati”
Gojyo la guardò non troppo convinto. Notò le cose che teneva tra le mani. “Devi
dirmi qualcos’altro?”
Shinobu distolse lo sguardo.
“Ascolta…questi sono da parte sua”, disse avvicinandosi e porgendogli le chiavi
e l’assegno. “Ti prego, accettali…credo che siano un simbolo di
riappacificazione…non so cosa siano le chiavi, ma l’assegno ti sarà utile
adesso che non puoi lavorare…”
Si sentiva estremamente stupida. Lei stessa, nella
situazione del ragazzo, non li avrebbe mai accettati; poteva permettersi una
simile ipocrisia? Altro che riappacificazione...qualunque ragione avesse avuto il fratello per andarsene, non aveva il diritto
di comparire adesso e mostrarsi pietoso.
Gojyo le scostò violentemente la mano, reazione che lei si era aspettata. “Sei
impazzita? Credi che accetterei denaro da una persona che, otto anni fa, mi ha
abbandonato al mio destino?”
Aveva ragione. Ma anche quel
ragazzo...avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.
“Si è sempre preoccupato per te…ha sempre chiesto tue notizie a Gojuin! Perché
non puoi dargli l’occasione di dimostrarsi utile?”
“Poteva venire molto prima…per me non significa più niente. Credi che abbia
bisogno della sua elemosina?”
Shinobu sospirò; “D’accordo...neanch’io li avrei accettati. Basta con
l’ipocrisia. Ma non è vero che non lo consideri più
tuo fratello…basti pensare a come tieni alla chitarra che lui ti ha regalato
quand’eri piccolo. Non lo ammetterai mai, ma ti è mancata
la sua presenza”
Gli si avvicinò. Per un attimo temette di ricevere qualche colpo, ma lui non si
mosse né rispose.
“Prendili…”, ripeté ancora. Li posò sul comodino vicino al letto. “Credo che si
farà vedere più spesso, d’ora in poi. Io torno domani, Gojyo…tu pensaci”
E, così dicendo, uscì dalla stanza e lo lasciò solo.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 06/03/08]
Ciao a tutti! Vi è piaciuto il capitolo?
Spero di sì...probabilmente Jien (o meglio, Dokugakuji) apparirà ancora...anche se non ne sono del tutto sicura.
Oddio...ve li immaginate Gojuin e Gojyo che vivono
insieme? Nitroglicerina allo stato puro...
Come abbiamo visto, qualcuno si è finalmente deciso a fare i conti con se
stessa...nel prossimo capitolo, avrà luogo una
discussione tra due testoni, mentre Hakkai parlerà con Shinobu.
Ci avviamo verso la resa dei conti...
Simona
Ps: Grazie ai commenti di Cleo “Makaitenjyo”, Francesca da Napoli, rox_koraen
che mi hanno spedito delle mail; Pois, Ria, Kakashi, Kairi84, Eirinya,
Nasty86 che commentano sempre e mi aiutano molto; la mia nee-chan
Jastine a cui auguro tutto il bene del mondo!
Ps2. Anche se non c’entra nulla, dedico questo
capitolo alla mia ‘ragazza’ Sylvie (la mia migliore
amica), che oggi compie 18 anni, e al mitico Fede che ne compie 19. Auguri!!!