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Autore: IShallWearMidnight    30/03/2005    4 recensioni
La Tokyo di oggi. La città che incarna i sogni e le speranze di molti, giovani o adulti che siano. Che invece, quando ogni faro effimero si è spento, non rimanga che il buio? Che, dietro alle vicende quotidiane che attraversano ogni giorno, un gruppo di adolescenti ben noti nascondano dentro di sé disillusione e disgusto? Ancora una volta, non avere nulla. Ancora una volta, non essere schiavo di nessuno. Ancora una volta, non avere legami. Ma vivere semplicemente per la tua vita è possibile se, quando chiudi gli occhi, qualcosa o qualcuno bisbiglia dal passato, o forse dal presente? O forse non puoi ignorare quei frammenti che ti trapassano il cuore, provenienti da quello specchio rotto che è il passato? La vita, alla fine, è davvero solo un inutile e disperato tentativo di resistenza?
@Iniziata la revisione dei capitoli. Capitoli rivisitati: 1/6, 11/13, 30/39@
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Nuovo Personaggio, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20 - Voices from the past

//Rebirth//


Capitolo 20 – Voices from the past


Shinobu si sedette sul letto, facendo attenzione a non urtare nuovamente il gesso con il relativo braccio rotto, come aveva fatto entrando dalla porta di casa.
Sì, quella era la sua stanza. Non era stata che poco in ospedale, ma si sentiva angosciata al solo ricordare i volti apatici, il puzzo di medicinali e disinfettanti, lo squallore di quella camera che inutilmente si cercava di rallegrare con fiori et similia.
Adesso era sul suo letto, soffice, confortevole, suo. Due giorni dopo sarebbe già tornata a scuola, non aveva senso restare a casa ulteriormente. E poi, era il braccio sinistro che non poteva usare.
Di certo, tutti l’avrebbero additata come la ragazza coinvolta nell’incidente con Sha’. Come se non la additassero già abbastanza. La notizia dell’incidente si era propagata a macchia d’olio, d’altronde Gojyo non era un ragazzo di cui passava inosservata l’assenza. Dopo poche ore dal suono della campanella, il giorno successivo all’incidente tutti sapevano cosa e come era successo, e ovviamente in molte si erano riversate in ospedale per trovarlo, con grande dispendio di liti, schiamazzi e lamentele degli altri degenti. Era intervenuto il primario del reparto in persona per sedare gli animi e, intuito l’andazzo, aveva interdetto l’orario visite a chiunque non dimostrasse di avere un legame più che stretto con Sha Gojyo. La cosa non riguardava lei e gli altri, perché ormai era tristemente famosa in ospedale la scena davanti alla sala operatoria.
La ragazza si lasciò scivolare fino ad appoggiare la testa sul cuscino; si sentiva esausta, ma tutto sommato tranquilla. I suoi ricordi andarono alla discussione con Gojyo, due notti prima.
Ormai non poteva più far finta di niente. I deja-vu e i sogni, e d’altronde anche quello che provava lei stessa, la portavano in un’unica direzione. Sui primi non sapeva proprio che pensare, poteva liquidare la questione con se stessa e con gli altri quanto voleva, ma nulla le impediva di pensare che Gojyo avesse un qualche indubbio legame con Kenren, che con ogni probabilità era l’uomo di cui aveva sognato tempo addietro…Shioka, poi…non sapeva ancora bene come incastrare i tasselli, forse aveva ragione Goku, chissà, ma su una cosa non c’erano dubbi: le sensazioni di quel sogno…e i deja-vu, sia al parco che due notti prima…le lasciavano sulla pelle una sensazione troppo simile per liquidare il tutto.
Riguardo a ciò che provava…non sapeva se si stesse lasciando suggestionare o meno, ma non lo credeva. Appisolandosi, si rese conto che non poteva più negare che l’idea che Gojyo morisse le aveva strappato ogni respiro, che quando aveva sentito le fatidiche parole ‘è fuori pericolo’ si era improvvisamente sentita rivivere, e che due notti prima, se avesse dato pienamente ascolto all’impulso, l’avrebbe probabilmente baciato, e non sulla fronte.
No. Dannazione, no.
Si contorse nel letto, nel dormiveglia. Aveva voglia di agitarsi, di fare qualunque cosa, pur di negare fortemente quel che provava, ma non le riusciva di muoversi più di così.
Non può essere successo, non con lui. Mi rifiuto di crederlo.
Fu avvolta improvvisamente dal sonno.


Le sensazioni erano troppo taglienti e pulsanti perché si trattasse di un sogno; ma la situazione non poteva che suggerire quell’unica soluzione.
Era un giardino bellissimo, composto quasi esclusivamente da alberi di ciliegio in fiore: il profumo non dava adito a dubbi. Il gorgoglio dell’acqua, piuttosto una melodia, tradiva la presenza di un ruscelletto.
L’erba era umida di rugiada, la sentiva sotto i piedi nudi: il suo corpo c’era ancora, spoglio da qualunque abito, e l’erba le solleticava le caviglie. Non percepiva la presenza di vita, però. un insetto, né un passero, né tantomeno una persona.
Le venne voglia di vedere il ruscello. Camminò, facendo frusciare l’erba sotto i piedi, finché non ne vide la sponda. L’erba era bagnata, adesso, più che umida, man mano che si avvicinava. Si inginocchiò, senza stupirsi di poter muovere il braccio che credeva rotto, presso l’acqua, chinandosi per sfiorarne la superficie con un dito. Quel posto doveva essere quello che aveva sognato già una volta. Il posto di Shioka e di Kenren, probabilmente.
Non appena ebbe formulato quel pensiero, la sua immagine riflessa tremò, poi mutò leggermente.
Sebbene fosse cambiato ben poco, Shinobu fu certa che l’immagine che il ruscello le rimandava non fosse la sua, che avesse qualcosa di profondamente diverso.
Il volto era più smagrito, il naso leggermente più spigoloso, il taglio di capelli diverso, così come pure la tonalità del colore. Ma ciò che più attirò la sua attenzione furono gli occhi: il taglio, l’espressione, e il colore: uno era verde, ma l’altro era dorato. Le ricordò quelli di Goku.
...chi era?
“…Shioka?”, mormorò, certa che così fosse.
La figura nell’acqua annuì dolorosamente. Aveva un’espressione di profonda sofferenza negli occhi.
Quella presenza non era la sua coscienza, ma non era nemmeno qualcosa di materiale. Sembrava qualcosa che esistesse solo in funzione di un ricordo.
Sono te.
“In che modo sei dentro di me? Perché invadi persino i miei sogni?”
Scusami. Credo che lo capirai presto.
La voce era calma e dolce, ma anche triste.
“Anche tu con questo ‘capirai’? Dunque non sono matura nemmeno per sapere la verità?”
…credimi. E’ meglio così.
Shinobu sospirò; ci mancava solo un principio di schizofrenia latente. Non era troppo giovane per questo? Le mancavano solo i sogni in cui si sdoppiava, avendo a che fare con un'altro aspetto della sua personalità...
“In me…c’è più di una personalità. Non sei solo tu: c’è…qualcos’altro”, disse guardandosi intorno, come temendo di veder oscurarsi il cielo d'un tratto e comparire una presenza oscura. Un'altra parte di sé.
Per fortuna, quel qualcos’altro è quasi interamente soffocato. In questo sei più forte di me.
Shinobu si sedette sulla sponda, giocando a far cerchi sull'acqua con le dita dei piedi.
“Io non capisco
…perché? Me, gli altri…Gojyo…lui è Kenren? E tu…Dimmi qualcosa, spiegami solo cos’è tutto questo”
Questa volta la figura scosse la testa, ma Shinobu fu certa di averle visto piegare le labbra in un sorriso divertito.
Pensa al presente, per il momento...Kenren, o Gojyo che dir si voglia…
“Allora sono davvero la stessa persona?!
Non ha importanza. Pensa al presente, ti ripeto. Accetta quel che provi, solo così ti ricongiungerai con una parte di te persa…
“Non ne ho alcuna intenzione. Gojyo è uno spirito libero, non potrei né vorrei mai…per uno stupido pensiero da ragazzina…”
Non è uno stupido pensiero. Provi qualcosa per lui da sempre…da quando i vostri sguardi si sono incrociati per la prima volta, la voce si abbassò fino a ridursi a quasi un sussurro, …da molto prima.
Shinobu aggrottò le sopracciglia. “Qualunque cosa tu sia, ti sei manifestata per farmi la predica o cosa?”
Sei ancora così immatura…proprio come lo ero io.
“Sono immatura, sì. Chissà, magari ho paura di essere rifiutata. O sono così orgogliosa che non voglio affrontare questo discorso con lui. Non ha importanza, in ogni caso”
Non è ancora venuto il momento, pare…
“Per cosa? Dimmelo!”
Provò un’improvvisa sensazione di tristezza, o forse di dolore, tanto che si portò le mani sul petto. Immerse completamente i piedi nell'acqua, e cancellò il riflesso che tanto la stava angustiando.
“Basta”, disse, ad alta voce.

Shinobu si risvegliò, come da normalità, nel suo letto. Solo, la sensazione di essersi quasi ricongiunta con una parte di sé dimenticata, e di averla poi perduta. Non ricordava nulla di quel che aveva sognato, ma si sentiva malinconica.
Ripensò al dormiveglia, a ciò che aveva realizzato.
Non poteva essersi affezionata a Gojyo a tal punto. Non doveva. Gojyo amava il sesso, amava le donne. Si sentiva idiota al solo pensiero di andare da lui e dirgli ciò che provava. Lui non aveva alcun interesse per lei come donna, e gliel’aveva più volte dimostrato. La proteggeva, sì, come si può proteggere una sorella.
Si sentiva l’incredibilmente idiota protagonista di uno shojo manga per ragazze con ancora la voglia e l’ingenuità di credere che il primo amore sia un principe azzurro, e che amore significhi uscire insieme, scrivere le iniziali con un cuore su un albero e fare l’amore per la prima volta sotto una palma, su una spiaggia al tramonto…
Poteva mai esserci cascata proprio lei? E proprio con Gojyo?
Si sedette sul letto; sì, c’era proprio cascata. Ma non avrebbe fatto nulla per cui Gojyo se ne sarebbe avveduto. Che tacessero tutti, Hakkai, Goku, e lei stessa.
Doveva solo ricacciare indietro quei pensieri per un po’. Sì, solo un po’, poi sarebbero andati via da soli. Doveva comportarsi come sempre, litigare con Gojyo, far pace con lui, litigare ancora e far pace di nuovo. Il resto sarebbe venuto da sé.
Le venne improvvisamente in mente qualcosa; corse alla sua scrivania, e ne trasse fuori un piccolo registratore; prese carta e penna, e tornò a distendersi sul letto.



La borsa ben stretta in spalla, Shinobu stava correndo per i lunghissimi corridoi dell’ospedale.
Ma che diavolo! E’ possibile che debba sempre perdermi?
Quel maledetto ospedale era un labirinto. Che ci faceva adesso in pediatria?
…aveva girato almeno tre piani, e non aveva ancora trovato il reparto esatto. Era tutto più semplice quando si trovava in radiologia: da lì si sapeva orientare…ma continuando così, avrebbe perso tutto l’orario visite in cerca della neurologia.
Si fermò di scatto: tanto valeva prendere l’ascensore, tornare alla reception e chiedere meglio…
Affrettò nuovamente il passo: fece per girare il corridoio, ma si scontrò con qualcuno che aveva appena girato l’angolo nella direzione opposta alla sua.
“Porca miseria
! Scusami!”. Sentì una voce che, per un momento, le sembrò di riconoscere.
Alzò lo sguardo verso quello che risultò essere un ragazzo alto, con capelli castani e diversi orecchini alle orecchie. Figo, e tatuato per giunta. Shinobu pensò che potesse essere un musicista.
“Scusami tu”, gli rispose. E senza dubbio aveva un che di familiare, a parte la voce. Magari era davvero un musicista, e l’aveva visto suonare da qualche parte.
“Mi dispiace di averti urtato”, ripeté lui, “Ma sono di fretta e mi sono perso. Di questo passo, prima di trovare il reparto che cerco se ne andrà l’orario visite…”
Shinobu sorrise di quella coincidenza: “Ti capisco. Sto vagando da almeno un quarto d’ora…”
“Cerchi
la radiologia? Ci sono passato due minuti fa”, chiese lui indicando il braccio ingessato di Shinobu.
“Per la miseria, no! Ci ho passato l’ultima settimana, e mi rifiuto anche solo di rimetterci piede! Tu che reparto cerchi?”
“Neurologia”
La ragazza ridacchiò
. “Anch’io! Vieni, andiamo a informarci alla reception”.
“Già fatto, e mi hanno detto ‘terzo piano, in fondo’
“Idem. Ma qui non c’è assolutamente nulla, se non marmocchi che piangono”, fece lei indicandosi intorno.
In quel momento, passò accanto a loro un medico con varie cartelle in mano. Il ragazzo le fece cenno di attendere, poi gli si avvicinò. Shinobu gli sentì chiedere: “Scusi, il reparto di neurologia non è in questo piano?”
“No. E’ al terzo piano dell’area B, proprio dalla parte opposta della reception”, rispose quello, con l’ovvia voce di chi ha molto da fare.
“Ci vuole tanto a mettere qualche indicazione in più, o almeno una receptionista che si ricordi di precisare in che area si trova?”
Il medico gli rispose con un’alzata di spalle indifferente, e si allontanò di fretta; il ragazzo si voltò nuovamente verso di lei e sorrise. “Forse non capisce la mia lingua”
Shinobu ridacchiò. “Scherzi a parte, non hai l’accento proprio di Tokyo. Da dove vieni?”
Kyoto
“Bel viaggetto!”, commentò la ragazza, ma non si sbilanciò chiedendogli il motivo della sua visita. In un ospedale, certe domande è meglio evitarle.
“Già”, sorrise amichevolmente l’altro. “Vengo a trovare mio fratello”, spiegò. Probabilmente non era un tipo eccessivamente discreto. “Comunque, il mio nome è Jien. Piacere di conoscerti!”, concluse porgendole la mano.
“Shinobu Ori”, gliela strinse. Molto affabile, di sicuro. Si incamminarono verso il reparto di neurologia. Si costrinse a non pensare che, entro pochi minuti, avrebbe visto Gojyo e avrebbe dovuto concentrare ogni sua energia per comportarsi come sempre.


Gojyo sbadigliò; si girò e rigirò nel letto, poi si mise più comodo. L’orario visite era iniziato da quasi venti minuti, ma ancora non si faceva vedere nessuno, nemmeno Shinobu, che il giorno prima era stata dimessa e gli aveva promesso di venire.
Si girò su un fianco, sorridendo nel trovarsi davanti un’infermiera piuttosto giovane e carina che stava sistemando il suo comodino. Non trovo nulla di più divertente da fare che toccarle il fondoschiena. La ragazza proruppe in un buffo gridolino, irrigidendosi, e, mormorando qualcosa di poco carino, uscì dalla stanza.
Poche decine di secondi dopo, ne entrò un medico. Gojyo sbuffò.
“Allora, signor Sha, la vogliamo smettere? Le infermiere si sono stancate di essere molestate da lei. La prossima volta le assegneremo la signora Tetsuka, che, dall’alto dei suoi cinquant’anni di esperienza, saprà certamente prendersi cura di lei molto meglio di quanto lo facciano le ragazze…tra l’altro, non si vergogna nel fare certe cose davanti la sua mogliettina?”
“Dottore, le dispiace smetterla di dire sciocchezze?”
Shinobu entrò in quel momento nella camera, accigliata. Per l’appunto, la triste scena davanti la sala operatoria era così celebre, che ormai medici e infermieri del reparto di neurologia erano, espressamente o meno, convinti che lei fosse la ragazza di Gojyo, e quelli più scherzosi facevano valere la loro opinione con battute che credevano divertenti.
“Come va il braccio, signorina Ori?”
“Sempre rotto”
“Via, che se l’è cavata con poco!”, le sorrise il medico, poi, salutandola con un cenno della cartella che teneva in mano, uscì dalla stanza.
Shinobu attese di sentire i passi del medico che si allontanavano. Guardò fisso per un paio di secondi il pavimento, poi rialzò il volto con un sorriso.
“Lieta di vedere che ti diverti!”, proruppe, sfilandosi la borsa dalla spalla. “Ecco qua! Di solito ai malati si porta la frutta, ma ho pensato che sigarette e saké andassero meglio”. Ne trasse un pacchetto di Hi-Lite e una lattina di saké, che tenne in mano, indecisa. “Le nascondo dentro il cassetto”
Il volto del ragazzo si illuminò. “Sigarette! Non mi ricordo più nemmeno che sapore abbiano!”
“Non alzarti finché non ti danno il permesso, chiaro? E non farti beccare”
“Solo tu potresti portare sigarette e saké ad un malato, e poi preoccuparti della sua salute”
“E solo tu potresti palpare le infermiere per passarti il tempo!”
“Perché ci hai messo tanto?”
“Perché mi sono persa e mi sono ritrovata in pediatria!”
Sentiva un vago chiacchiericcio dietro le sue spalle, proveniente dal corridoio, ma vi si concentrò solo quando qualcuno aprì la porta della camera. Ne entrò un’infermiera, che uscì subito dopo avergli fatto un cenno, e il ragazzo che aveva conosciuto poco prima in pediatria.
“Ah, sei tu! Hai poi trovato…”. Le parole le morirono in bocca, come se avesse appena realizzato che 2 + 2 = 4. Si voltò verso Gojyo e ne ebbe la conferma vedendo l’espressione sul suo volto.
“Jien…?”
“Gojyo…salve!”
Shinobu rimase qualche secondo con la borsa per aria, incapace di aprire bocca. Poi, senza una parola né un cenno, si defilò dalla stanza.
“E’
la tua ragazza? Ti sei trovato un tipo tosto. Molto!”, fece Jien come per introdurre una conversazione, voltandosi verso la porta.
“Taglia corto
. Perché appari adesso?”

Shinobu dondolava le gambe avanti e indietro, incredula di aver attraversato mezzo ospedale al fianco del fratello di Gojyo. Ecco perché le sembrava di riconoscere sia il timbro di voce, sia le fattezze. A parte il colore di occhi e capelli, che probabilmente Gojyo aveva preso dalla madre –magari era occidentale-, la costituzione fisica, i tratti del volto e l’espressione gioviale avrebbero dovuto farle capire subito con chi aveva a che fare.
“Shinobu?”
La voce di Hakkai la richiamò alla realtà. L’amico era accompagnato da Gojuin.
“Oh, Hakkai…Gojuin…buon pomeriggio a voi”
Cosa fai qua fuori?”, chiese Hakkai, ma a Shinobu parve di capire che già sapesse tutto, e paradossalmente, non solo lui.
“C’è suo fratello dentro”, rispose semplicemente. “Non volevo disturbare”
“L’hai chiamato davvero, allora…”, mormorò Hakkai, ma non a lei.
“Che ci trovi di strano? Pensavi che non lo avvertissi di quello che è successo?”
“Quello che mi chiedo, è con che diritto si presenti proprio ora, dopo che…”. Si accorse improvvisamente che stavano estromettendo Shinobu dal discorso, per cui tacque.
“So tutto. Gojyo me ne ha parlato alcune sere fa”, lo rassicurò la ragazza. “Ma hai fatto bene ad interromperti, immagino che non sia una cosa di cui parla volentieri”. Il suo sguardo saltò da Hakkai a Gojuin. “E tu, come…?”
L’albino si sedette due sedioline di plastica oltre Shinobu. Sospirò, come se ciò che voleva dire fosse difficile da ammettere. “Jien è mio cugino. Le nostre madri erano sorelle”
Shinobu aggrottò
le sopracciglia a quella rivelazione. “E…perché questo rapporto di assurda rivalità tra voi due? Cosa…?”
“Gojyo è cresciuto a casa mia, dopo che Jien se n’è andato
. Lui sperava di rifarsi una nuova vita…ma è sempre rimasto in contatto con me, chiedendomi notizie di suo fratello. Non giudicatelo male”
“Non sapevo che voi due foste rimasti in contatto”, l’interruppe Hakkai, perplesso.
“Perché allora Gojyo non vive più con voi?”
“Secondo te abbiamo l’aspetto di due persone che possono vivere sotto lo stesso tetto? Lo ha fatto per alcuni anni, o almeno ci ha provato. Fino ai quattordici ha abitato con la mia famiglia. Ma credo che si sia sempre sentito fuori posto…non ha mai accettato di essere stato raccolto dalla famiglia della stessa donna che l’aveva odiato. Era sempre in contrasto con i miei…finché non se n’è andato via. E io l’ho imitato poco tempo dopo. D’altronde, neanch’io provavo molto affetto verso i miei stessi genitori…”
Shinobu si appoggiò
alle ginocchia, senza sapere cosa pensare.
“E come lo vedi ora, era a casa: non parlavamo quasi mai, quelle poche volte che succedeva la cosa finiva in una lite, a volte in una rissa; lui poi sfogava la sua rabbia sulle persone fuori, e lo stesso facevo anch’io, come ben sai”.
“Non pensavo che vi conosceste a tal punto”
Infatti non ci conosciamo quasi per niente. Hai visto anche tu che, a scuola, ci trattiamo come due perfetti estranei. Ci trattavamo, almeno”, disse, guardandola fisso. “Certo, non gli dev’essere andato giù facilmente, il fatto che frequentassi i suoi stessi amici”.
Shinobu comprese all’istante tutte le implicazioni della situazione. Poi, tornando alla questione principale, la domanda le sorse spontanea. “Che pensi che voglia fare suo fratello?”
Gojuin scosse la testa. “Non lo so. Al telefono mi ha detto semplicemente ‘Vengo appena posso’. Ha spiazzato anche me, ma...”
In quel momento, Jien uscì dalla porta: non era rimasto poi molto. Si avvicinò ai tre ragazzi. “Ciao, Ryuho. Inutile che ne parli con te, immagino”. Si rivolse immediatamente alla ragazza. “Scusa, Ori, posso parlarti un attimo?”
La ragazza annuì e lo seguì, facendo cenno ad Hakkai e a Gojuin di entrare, non prima che Jien si rivolgesse nuovamente al cugino. “Ryuho, ho lo Shinkansen alle nove. Ti aspetto giù al bar, così ci facciamo una chiacchierata, d’accordo?”.
L’albino annuì e seguì Hakkai all’interno della camera. Jien iniziò subito a frugarsi nelle tasche, da cui trasse un mazzo di chiavi e un assegno, che le porse. “Dallo a Gojyo. E’ in bianco, non avrà problemi. E anche queste…capirà presto a che servono. Sono venuto apposta, ma da me non li accetterebbe mai, e ancora meno da Ryuho…vedi che puoi fare, d’accordo? Credo che tu sappia tutto: so di non essere stato un fratello modello, per tantissime ragioni, ma almeno adesso voglio poter fare qualcosa. Non credo che possa andare a lavorare in questo stato, quindi voglio fare ciò che posso almeno economicamente"
“Aspetta, aspetta”. Shinobu interruppe la fiumana di parole nervose. Probabilmente, il colloquio con Gojyo non doveva essere stato dolce. “Credi davvero che li accetterà da me?”
"Non lo so, ma non so a chi altro rivolgermi. Fammi questo favore...puoi cercare di convincerlo tu?"
Il volto del ragazzo era sincero, pentito.
Shinobu sospirò e annuì. "Vedrò quello che posso fare. Ma non ti assicuro niente, non sono la sua ragazza, e ben poche volte mi ascolta"
Jien fece un cenno di diniego con la mano, come a dire che non importava. "Grazie in ogni caso. Arrivederci, Ori…vado ad aspettare Ryuho giù".
E, così dicendo, si allontanò, lasciandola con gli oggetti in mano.
Shinobu guardò le chiavi e l’assegno: convincerlo ad accettarli…era una parola. Li avrebbe certamente tirati dal terzo piano. Gojyo era estremamente orgoglioso, e per di più non avrebbe accettato che un’estranea mettesse becco nelle sue faccende di famiglia. Sospirò, e fece per entrare.
“Gojuin, sei stato tu, vero?”, stava dicendo Gojyo.
“Ovvio. Andava avvertito”
“Perché non ti sei fatto i cazzi tuoi?”
“Era un suo diritto saperlo”
“Era un suo diritto anche sparire otto anni fa, quando avevo appena dieci anni?”. Gojyo si stava infervorando troppo perché non ne fosse rimasto almeno un po’ turbato.
Gojuin girò sui tacchi e, con un’alzata di spalle, fece per andarsene. Hakkai, dopo aver salutato Gojyo, ritenendo che non fosse aria, lo seguì.
Si sarebbe defilata volentieri anche lei, ma le cose che aveva in mano pesavano troppo.
“E tu che vuoi? Non vorrai farmi la predica anche tu?”
“No, affatto. Non sono fatti miei, in realtà. Ma, per quel che può servire, secondo me si sente in colpa e non sa come comportarsi”. Quanto si sentiva idiota...non sapeva che dire.
“Come facevi a conoscerlo?”
Vedi di non farti qualche brutto film, eh? Niente complotti contro la tua persona…Non sapevo chi fosse finché non è entrato qui. Ci siamo urtati mentre cercavo il reparto, e dato che c’eravamo persi entrambi, ci siamo presentati”
Gojyo la guardò non troppo convinto. Notò le cose che teneva tra le mani. “Devi dirmi qualcos’altro?”
Shinobu distolse lo sguardo.
“Ascolta…questi sono da parte sua”, disse avvicinandosi e porgendogli le chiavi e l’assegno. “Ti prego, accettali…credo che siano un simbolo di riappacificazione…non so cosa siano le chiavi, ma l’assegno ti sarà utile adesso che non puoi lavorare…”
Si sentiva estremamente stupida. Lei stessa, nella situazione del ragazzo, non li avrebbe mai accettati; poteva permettersi una simile ipocrisia? Altro che riappacificazione...qualunque ragione avesse avuto il fratello per andarsene, non aveva il diritto di comparire adesso e mostrarsi pietoso.
Gojyo le scostò violentemente la mano, reazione che lei si era aspettata. “Sei impazzita? Credi che accetterei denaro da una persona che, otto anni fa, mi ha abbandonato al mio destino?”
Aveva ragione. Ma anche quel ragazzo...avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.
“Si è sempre preoccupato per te…ha sempre chiesto tue notizie a Gojuin! Perché non puoi dargli l’occasione di dimostrarsi utile?”
“Poteva venire molto prima…per me non significa più niente. Credi che abbia bisogno della sua elemosina?”
Shinobu sospirò; “D’accordo...neanch’io li avrei accettati. Basta con l’ipocrisia. Ma non è vero che non lo consideri più tuo fratello…basti pensare a come tieni alla chitarra che lui ti ha regalato quand’eri piccolo. Non lo ammetterai mai, ma ti è mancata la sua presenza”
Gli si avvicinò. Per un attimo temette di ricevere qualche colpo, ma lui non si mosse né rispose.
“Prendili…”, ripeté ancora. Li posò sul comodino vicino al letto. “Credo che si farà vedere più spesso, d’ora in poi. Io torno domani, Gojyo…tu pensaci”
E, così dicendo, uscì dalla stanza e lo lasciò solo.

Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 06/03/08]

Ciao a tutti! Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì...probabilmente Jien (o meglio, Dokugakuji) apparirà ancora...anche se non ne sono del tutto sicura.
Oddio...ve li immaginate Gojuin e Gojyo che vivono insieme? Nitroglicerina allo stato puro...
Come abbiamo visto, qualcuno si è finalmente deciso a fare i conti con se stessa...nel prossimo capitolo, avrà luogo una discussione tra due testoni, mentre Hakkai parlerà con Shinobu.
Ci avviamo verso la resa dei conti...
Simona

Ps: Grazie ai commenti di Cleo “Makaitenjyo”, Francesca da Napoli, rox_koraen che mi hanno spedito delle mail; Pois, Ria, Kakashi, Kairi84, Eirinya, Nasty86 che commentano sempre e mi aiutano molto; la mia nee-chan Jastine a cui auguro tutto il bene del mondo!
Ps2. Anche se non c’entra nulla, dedico questo capitolo alla mia ‘ragazza’ Sylvie (la mia migliore amica), che oggi compie 18 anni, e al mitico Fede che ne compie 19. Auguri!!!

   
 
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