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Autore: Ellery    24/08/2016    3 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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18. Unicorno di vetro
 

Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Parigi.
 

Marlo lo fece accomodare in una stanza quadrata, sufficientemente spaziosa, ma arredata con pessimo gusto. Davanti ad una scrivania di legno scuro stanziavano due sedie imbottite, mentre alcune librerie poggiavano alle pareti, rivestite da intonaco senape. La moquette, lungo il pavimento, era di un rosso acceso, mentre il soffitto stonava con il suo ceruleo. Due larghe finestre lasciavano filtrare la luce del giorno, affiancate da orrendi candelabri che assicuravano l’illuminazione nelle ore serali. La cattedra era accompagnata da una poltrona in pelle, mentre ai piedi del mobile si srotolava un pesante tappeto persiano blu e oro. A completare quell’accozzaglia di tonalità, diversi quadri ed arazzi erano appesi ai muri: alcuni raffiguravano scene di caccia, altri ancora sirene che nuotavano nei mari del sud o divinità greche intente a banchettare sull’Olimpo. Non esisteva una trama, né un collegamento tra quelle opere ed il gioco di colori e ombre era, semplicemente, “un pugno in un occhio”.

Erwin sedette su una seggiola, poggiando i polsi ammanettati sulla scrivania. Weilman si stava facendo attendere: pensava di metterci altri venti minuti a raggiungerlo? O preferiva lasciarlo nelle mani di quello zelante sottoposto che, al momento, si era schierato in silenzio accanto alla finestra.

Squadrò nuovamente il locale: Marlo non lo aveva fatto passare dall’ingresso principale della prefettura, preferendo una porta secondaria. Avevano utilizzato delle strette scale di servizio per raggiungere il terzo piano, senza incontrare nessuno; infine, erano sbucati direttamente in quell’ufficio, attraverso un’anta celata nel muro. Aveva chiesto il perché di quella, ma Freudenberg si era limitato a rispondere un “Ordini del comandante”. Ogni altro tentativo di cavare informazioni si era rivelato vano.
Posò lo sguardo azzurro sul pianale davanti a sé, ingombro di carte, mappe della città, lettere ancora sigillate. Una fotografia incorniciata ritraeva tre bambine intente a giocare con delle bambole; poco lontano, capeggiava un unicorno rampante di un verde acceso, modellato con del fragile vetro soffiato di fattura italiana.

«Io…» sussurrò, allungando le dita per sfiorare la statuetta «Questa roba la conosco»

La mente frugò rapidamente tra i ricordi: anche lui possedeva un soprammobile simile. Naturalmente, non lo aveva mai esposto: era talmente osceno che lo aveva chiuso in una credenza, coprendolo con un tovagliolo per celarlo agli sguardi indiscreti di eventuali ospiti. Un unicorno verde… era una reminescenza di un matrimonio, a cui aveva partecipato in gioventù: la bomboniera era quel terrificante cavallo color smeraldo. Però… cosa ci faceva lì?

«Non può essere…» disse, voltandosi immediatamente al sentire lo scatto della porta. Un sorriso soddisfatto si allargò sulle sue labbra quando scorse il nuovo arrivato: era un uomo alto, dal fisico asciutto ed il volto familiare; i capelli neri contornavano un cipiglio perennemente crucciato, ma fiero. Gli occhi sottili erano stretti in un’espressione severa, mentre un paio di baffi radi contornava le labbra carnose. La figura snella era avvolta dalla divisa nera, ove capeggiavano le mostrine da comandante.

«Nile!» esclamò, rilassando la schiena contro la seggiola. Era fortunato, decisamente fortunato! Lo conosceva dai tempi dell’accademia militare. Si erano separati subito dopo il diploma: Erwin aveva continuato la propria carriera nell’esercito, mentre Nile Dok aveva scelto di arruolarsi nella polizia militare. La Gestapo lo aveva accolto a braccia aperte: era un eccellente agente, attento e servizievole. Il genere di persona adatta a far carriera in ranghi tanto elitari. Si erano sempre scritti: Erwin riceveva frequentemente lettere dal suo ex-compagno di corso e, altrettanto celermente, gli rispondeva; con il trascorrere dei mesi, però, la corrispondenza si era fatta sempre più rara, ma il loro legame si era mantenuto solido e l’amicizia conservata negli anni. L’ultima volta che si erano sentiti, in effetti, era stato soltanto qualche mese prima, per scambiarsi gli auguri di Natale: all’epoca Nile era un promettente commissario nella sezione di controspionaggio. Da allora non si erano più contattati, ma mai avrebbe immaginato di ritrovarlo proprio a Parigi, investito del grado più alto. «Da quando sei comandante? Non me lo avevi detto!»

«Dall’inizio di febbraio.» fu la risposta «Lo avrei fatto, se tu non avessi avuto la brillante idea di finire nell’elenco dei peggiori ricercati. Si può sapere che diamine hai combinato?»

Lo osservò prendere posto nell’ampia poltrona e rivolgersi al sottoposto che, nel frattempo, era rimasto immobile e silenzioso:
«Siete passati dalla scala di servizio?» la voce di Nile conteneva una sfumatura preoccupata, come se temesse per la propria riservatezza.

«Sissignore»

«Vi ha visto qualcuno?»

«Nossignore»

«L’Inglese?»

«è scappato, ma Hitch è già sulle sue tracce»

«Bene. Puoi andare.»

Con un cenno di congedo, Marlo girò sui tacchi e sparì velocemente dalla stanza.

Erwin gli dedicò soltanto una occhiata, prima di tornare al suo interlocutore:
«Come mai tanta segretezza? Confesso che… mi aspettavo di trovare Weilman»

«Preferivi lui? Posso sempre rimediare»

Erano strani quei discorsi: era come se fossero tornati, in un lampo, ai tempi dell’accademia. Punzecchiamenti, ironie, piccole schermaglie erano all’ordine del giorno. Ancora rammentava le serate trascorse al Weinplatz di Berlino, a bere birra e contendersi i favori della locandiera: Marie era per metà francese; una ragazza carina, con lunghi capelli ricci e la carnagione color ambra. Il sole abbronzava le sue gote indipendentemente dalla stagione, donandole delle tenui sfumature caramello che sottolineavano gli occhi nocciola e le labbra soffici. I seni prosperosi erano sempre nascosti da camicie troppo larghe e da grembiuli colorati, intonati alle gonne voluminose. Non era magra, ma ben delineata: le forme scolpivano un fisico morbido, ma per nulla sgradevole. Possedeva una bellezza particolare, tipica delle donne del sud, baciate dall’aria salmastra del Mediterraneo e dai profumi della Provenza. L’aveva segretamente ammirata, quasi corteggiata, ma alla fine aveva desistito: non era adatto a lei. Non poteva garantirle alcun futuro: cosa sarebbe accaduto alla piccola Marie, quando la guerra l’avrebbe chiamato? Sarebbe stato costretto ad abbandonarla, a lasciarla con un bacio sulla soglia di casa. Non meritava niente del genere. Le occorreva stabilità e la sicurezza di un marito che potesse amarla e comprenderla… magari che potesse donarle qualche mocciosetto scalpitante. Quell’uomo non era lui.

Al contrario, Nile era la persona giusta: premuroso, attento, sempre pronto a correre dalla sua fidanzata. Le era rimasto accanto in ogni momento: quando la vita l’aveva messa alla prova, lui era lì a sorreggerla, a stringerle la mano, a cullarle le spalle. Quando aveva perso suo padre, quando si era vista costretta a vendere la locanda, quando aveva cercato disperatamente un nuovo lavoro senza successo… Nile era lì. Quelle attenzioni erano state ripagate nel più dolce dei modi: Marie aveva accettato di diventare la sua sposa, all’ombra di un pesco in fiore durante la migliore delle primavere. L’anno dopo si erano sposati: una cerimonia sobria, per i parenti e pochi amici intimi. Erwin vi aveva preso parte, non senza una punta di rimorso: avrebbe potuto esserci lui, al posto di Nile. Tuttavia, aveva preferito l’amore della patria al calore di una donna; non poteva rimpiangere quella scelta, per quanto amara.
Poi, però… quando Marie era apparsa accanto al marito – raggiante nell’abito bianco e nel ricamato con fiori delicati – ogni traccia di gelosia si era sciolta: erano entrambi splendidi, fatti l’uno per l’altra. Non poteva rammaricarsi, non più.  In quel momento, poteva soltanto essere felice per un amico.

Scosse il capo, cercando di accantonare quei ricordi e tornando bruscamente al presente: Nile lo stava ancora fissando perplesso. Cosa aveva detto? “Preferivi Weilman?”

«No, affatto!» si concesse una pausa, passando le dita sul dorso dell’unicorno di vetro «è solo che non immaginavo di vederti qui.»

«Nemmeno io, lo confesso. Da Maggiore a ricercato in meno di sette giorni. Un record!» la voce dell’altro aveva assunto una sfumatura irritata, come se quelle notizie fossero soltanto una grande seccatura «Ti dispiace smetterla di toccarlo? È delicato, lo sai» si vide sottrarre la statuina. Il cavallo verdognolo finì su una mensola vicina «Ce l’hai ancora? La mia bomboniera»

Quello schifo? Forse…in realtà, non ricordava dove l’avesse messa. Dopo un lungo soggiorno nella credenza, l’aveva infilata in uno scatolone e… nessuna idea di dove fosse finita. Magari l’aveva venduta in qualche mercatino di quartiere.

«Naturalmente! La tengo sul caminetto» mentì con disinvoltura, accompagnando il tutto con un breve sorriso «Sono sinceramente contento di vederti, Nile. Ti trovo bene»

«Io no» si aspettava una replica del genere «Ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai tradito la Germania. E per cosa? per aiutare un fottuto inglese… che diavolo ti è saltato in testa?»

«Conosci il debito che la mia famiglia aveva con Kenny Ackerman. Quel pilota è suo nipote. Ho pensato che salvargli la vita e riportarlo a Vichy fosse un buon modo per sdebitarmi»

«Mi stai dicendo che lo hai fatto solo per questo? Per una ridicola faccenda di quasi trent’anni fa?»

«Non solo…»

«E allora per cosa?»

«Davvero non te ne sei accorto da solo? Non vedi a cosa sta portando il nazismo? Siamo temuti, disprezzati. Il rispetto che abbiamo costruito è fasullo: gli Alleati ridono di noi, i Polacchi ci insultano, i Francesi ci detestano. È questa l’Europa che vogliamo edificare? Un mondo creato sul terrore, sull’odio, sul…»

Nile sollevò una mano, interrompendolo:
«So perfettamente dove vuoi andare a parare e cosa stai per dire: che non è questo ciò per cui abbiamo combattuto. Che gli ideali in cui credevamo erano diversi, più nobili e puri e che i nostri sogni sono stati infangati e spezzati. Che non dovremmo sporcarci ancora le mani per una nazione che non merita, né riconosce i nostri sforzi, che ha lasciato morire i nostri compagni nelle trincee, dimenticandosi poco dopo del loro sacrificio. Lo so. Sono consapevole della situazione e non mi stupisco che ti sia stancato» una pausa. Sulla scrivania comparve una piccola chiave argentata «Non credevo, però, che saresti arrivato a tanto: fuggire con un ricercato, aiutarlo a raggiungere gli Alleati, gettare al vento la tua carriera e forse la tua stessa vita. Pensi davvero che ne valga la pena, Erwin?»

«Sì, ne sono sicuro. Non ho mai avuto le idee tanto chiare come ora. Non voglio lasciare la Germania in mano a dei corrotti, a dei maiali che la divorano dall’interno, che soggiogano il loro stesso popolo e inculcano nella testa della gente solo menzogne e sciocchezze. Sto comunque cercando di servire il mio Paese, non credi?»

Colse uno sbuffo e poi uno scatto secco: Nile gli tolse le manette, gettandole in un cassetto della scrivania.

«Non lo so. Una parte di me crede che tu abbia ragione; quella parte che sarebbe pronta a lasciare tutto ed a seguirti in questa impresa disperata. Un po’ come ai vecchi tempi, quando eravamo due reclute sprovvedute dell’accademia»

«Perché non vieni con me, allora?»

«Perché non sono come te. Ho qualcuno da proteggere e non mi importa se questo mi obbligherà a chinare il capo, ad essere una marionetta nelle mani di Berlino. Io ho loro» il comandante ruotò il portafoto, permettendogli di osservare meglio le tre fanciulle che giocavano. Assomigliavano incredibilmente a Marie «Ho una moglie e tre figlie che meritano un mondo migliore, ma… non sarò io a costruirlo; lo farai tu per me. Se mi dovesse succedere qualcosa, che accadrà? Chi si occuperà di Marie e delle mie bambine? Non posso lasciare che il Reich si rivalga su di loro: le userebbero per ricattarmi o per punirmi dei miei errori.» la voce si spezzò lentamente e l’uomo nascose il viso tra le mani, come se quel pensiero fosse insopportabile da reggere «Non posso lasciare che succeda, Erwin. Perdonami. Ai tuoi occhi, devo essere un gran vigliacco. Un omuncolo senza spina dorsale. Non biasimarmi troppo: tu non hai nessuno. Io ho una famiglia. Sono un egoista, lo so… ma le loro vite» picchiettò l’indice sulla cornice «valgono più di tutta l’Europa per me»

Il Maggiore si massaggiò i polsi, riattivando la circolazione:
«Non ti sto giudicando. Capisco le tue motivazioni e… in parte le condivido: è vero, non ho più nessuno. Posso rischiare soltanto la mia vita, in questa strana scommessa, ma per te è diverso. Ti chiedo di scusa: non intendo coinvolgerti, né mettere in pericolo i tuoi cari.»

«Non sono un giocatore d’azzardo come te, Erwin. Sei sempre stato bravo in queste cose. Immagino che, dal tuo punto di vista, tutto questo sia come una enorme partita a scacchi. Non guardarmi così: ti si illuminano gli occhi quando li nomino. Stai nuovamente intavolando una sfida rischiosa, che probabilmente non potrai vincere, non da solo almeno»

«Che intendi dire?»

«Che ti servirà aiuto e che sono pronto a dartelo»

«Non capisco…»

«Non ti sei chiesto perché ti ho fatto passare dalle scale di servizio?» Ovviamente, ma non aveva trovato una risposta soddisfacente. Si fece attento, mimando un cenno d’assenso per permettere a Nile di proseguire: «Weilman è qui. È arrivato questa notte, furibondo. Ci ha tirato giù dal letto per aggiornarci sulla situazione: si è presentato con un mandato di cattura per te e per il tuo amico, dicendo che era assolutamente prioritario trovarvi prima che lasciaste la capitale. Ho sguinzagliato tutti i reparti, naturalmente. Solo… alla squadra d’élite ho assegnato un compito specifico: trovarvi prima degli altri; e quei ragazzi non mi hanno affatto deluso! L’ordine era di portarvi da me passando per l’entrata secondaria.»

«Fin qui tutto chiaro, ma…perché?»

«Avevo bisogno di parlarti, di capire le motivazioni di un gesto tanto sconsiderato. Sapevo che mi avresti convinto, che saresti stato nel giusto. In sintesi, non volevo che Weilman vi trovasse prima di me.»

«Non intendi consegnarmi?»

«Niente affatto. Mi credi capace di una carognata simile?»

Scosse il capo. Nile non era affatto cambiato: l’essere diventato comandante della Gestapo di Parigi non gli aveva impedito di rimanere, all’occorrenza, una persona semplice e generosa, pronta ad aiutare un compagno in difficoltà. Non era un giocatore d’azzardo, aveva detto, eppure stava comunque rischiando: se Herr Kapitan lo avesse scoperto, si sarebbe vendicato. Avrebbe trovato un modo per scavalcare la sua autorità, per estraniarlo dal caso e riprendere la caccia; eppure, non sembrava che questa possibilità lo preoccupasse. Evidentemente, era un match che sapeva condurre meglio del suo avversario.

«Quella recluta, Marlo… è una persona degna di fiducia?»

«Assolutamente sì. È un soldato capace ed obbedisce senza discutere; ho seguito personalmente il suo addestramento. Non ci tradirà»

«E la ragazza?»

«Hitch? È una detective eccezionale. Un po’ brusca nei modi, ma molto sveglia. Appartiene alla sezione Servizi Segreti, a cui può accedere anche se non ufficialmente arruolata.»

Naturalmente. Erano poche le donne che potevano entrare regolarmente nell’esercito. La maggior parte di loro si doveva accontentare di ruoli marginali o sotto copertura.
«Mi serve un…»

Le sue parole vennero interrotte da un secco tonfo: l’anta ricavata nel muro si era spalancata, lasciando scivolare Hitch nella stanza. La donna spinse a terra il suo prigioniero, sferrandogli un calcio alle caviglie. Levi si schiacciò al suolo, stringendosi il piede sinistro tra le mani legate:

«Puttana!» esclamò, ricavando solo un’altra pedata.

«Come mi hai chiamata?» Hitch sembrava a proprio agio in quel vivace scontro di insulti. Aveva privato il pilota della giubba nera, lasciandolo fradicio in maniche di camicia. Sotto l’inglese una larga pozza d’acqua andava infiltrando la moquette «La prossima volta che ti becco con addosso una di queste» sventolò giacca, prima di gettarla in un angolo «Te la strappo a morsi, hai capito?! Come osi spacciarti per uno di noi?… tu! Sudicio bastardo!» la voce si era tramutata in un sordo ruggito «Io ti…»
«Hitch! Basta così» Nile intervenne sfoggiando un inglese fluido e troncando la discussione «è sufficiente, credo che il nostro ospite abbia imparato la lezione. Puoi andare, ti ringrazio.»

«Quale lezione? Pizzetto del caz…» Levi tacque immediatamente al vedere l’occhiataccia del Maggiore Smith. Si rannicchiò a ridosso del muro, stringendo le ginocchia al petto, tra le braccia immobilizzate. Grondava acqua dai capelli, dal contorno del viso e dalle spalle, mentre spesse gocce scivolavano sulla sua schiena sino all’orlo dei pantaloni.

Hitch non aggiunse altro. Si limitò ad un saluto militare e sgusciò immediatamente via.

«Ti chiedo scusa per i suoi modi bruschi» il comandante riprese immediatamente il discorso «è un’ottima agente, come ti dicevo, ma ha un carattere dif…»

«Di merda» la fastidiosa voce dell’Inglese tornò a risuonare nella stanza. Erwin si voltò, scoccando una occhiata asciutta al compagno di viaggio:

«Piantala» disse solo, abbandonando la sedia per raggiungerlo. Scrutò attentamente i vestiti, cercando macchie sulla stoffa bagnata «Sei ferito?» domandò, infine.

«No. Sto bene. Mi hai spinto nel fiume…»

«Lo so»

«Ti è sembrata una mossa intelligente?»

«Ammetto che lì per lì mi era parsa un’idea geniale, ma… vista la facilità con cui ti sei lasciato catturare, direi che è stato solo tempo sprecato»

Sorrise alla sua agitazione: sapeva d’aver colpito nell’orgoglio, di averlo punzecchiato e ferito. Lo osservò chinare il capo ed arricciare sulle labbra, incapace di ribattere. Bene, aveva guadagnato qualche minuto di silenzio. Il tempo necessario per concludere la chiacchierata con Nile.

Fece indietreggiare, ma qualcosa lo trattenne: Ackerman gli aveva afferrato un lembo dei pantaloni, stringendolo tra le dita intirizzite.

«Puoi liberarmi?» gli chiese, tendendo i polsi ammanettati.

«Non devi chiedere a me»

«Che palle che sei! Ti diverti a rendermi la vita difficile?»

Sì, un po’ sì. Lo vide alzarsi e barcollare verso la scrivania, da cui Dok non si era ancora schiodato. Anzi, il poliziotto sembrava quasi deliziato da quel siparietto ed impaziente di prendervi parte:

«Vuoi che ti liberi?» domanda sciocca, ma evidentemente Nile sapeva come gestire quella strana situazione.

«Ovviamente.»

«Ovviamente cosa?»

«Ovviamente, per favore»

Il comandante si rigirò la chiave argentata tra le dita:
«Il mio pizzetto sta aspettando delle scuse»

«Che?! Il tuo pizzetto è un ammasso di peli tagliati col culo.» la chiave scivolò immediatamente in tasca «Però… no, aspetta! Va bene, che palle! Chiedo scusa per il mio comportamento. Così va meglio?»

«Potresti sforzarti un po’ di più, ma… credo che possa andare»

Un leggerlo “click” mise fine a quella discussione. Levi si accomodò nella seconda seggiola, sfregandosi le mani.

«Torniamo a noi» Erwin ignorò il borbottare nervoso del compagno, rivolgendosi nuovamente a Nile «Ci serve un mezzo di trasporto, qualcosa di rapido per lasciare Parigi. Levi deve tornare a Limoges al più presto.»

«Con Weilman che vi cerca ovunque? Difficile, molto difficile. Ha sguinzagliato metà esercito per trovarvi. Sostanzialmente, chiunque non sia stanziato al fronte vi sta dando la caccia.»

«Confortante... Pensavamo di noleggiare una macchina, da qualche parte. Conosci qualche rimessa che possa fare al caso nostro?»

«No. Gli autonoleggi sono un rischio: trattano spesso vecchi modelli, poco affidabili e più lenti di una tartaruga; inoltre, Weilman li sta facendo perquisire tutti e metterà sicuramente qualche uomo a guardia dei principali. Non possiamo rischiare che vi arrestino mentre affittate una bagnarola»

«Allora sono a corto di idee»

«Ti fidi di me, Erwin?»

«Non sarei seduto qui, altrimenti. Accetto suggerimenti»

«Bene. Ti chiedo solo ventiquattro ore di tempo: troverò un mezzo adatto per la vostra fuga. Nel mentre, ho delle commissioni da sbrigare» il comandante si alzò, dirigendosi all’ingresso principale dello studio «Vi chiedo di rimanere qui e non fare rumore. Non aprite la porta per nessun motivo. Questa sera, quando sarà buio, manderò Marlo a prendervi. Vi farò riaccompagnare a… avete un alloggio, no?»

«Sì. È una vecchia soffitta, ma ci siamo dovuti accontentare»

«Perfetto. Rimanete lì ed aspettate mie notizie. Se tutto va bene, domani notte potrete già lasciare Parigi»

Poco dopo, Nile sgusciò oltre l’uscio, lasciandoli soli.
 
***
 
«Ti fidi davvero di lui?» Levi aggirò la scrivania, scorrendo rapidamente i soprammobili poggiati sulle mensole. Ce n’erano davvero di orribili, anche se il peggiore era sicuramente l’unicorno rampante. Non che le matrioske di uomini barbuti fossero meglio: erano inquietanti con quei larghi baffi arricciati ed i colbacchi colorati.
«Perché non dovrei?»

«Ah, non lo so. Forse perché è il capo della Gestapo? Potrebbe essere in combutta con Weilman»

«Se così fosse ci avrebbe già consegnati»

Vero anche quello, ma Nile continuava a non convincerlo. Non gli piaceva: quell’aria sfrontata decisamente irritante, quella falsa sicurezza, gli occhi troppo piccoli e la fronte spaziosa contornata dai capelli unticci. Per tacere dei baffetti, accorciati come quelli di un adolescente alla sua prima esperienza con il rasoio. Gli dava l’idea di una persona viscida, infida… non come Weilman, no… ma comunque poco affidabile, pronta a promettere ed a ritrattare con la stessa rapidità. Il biondo, tuttavia, era convinto che Nile fosse in buona fede.

«Da quanto lo conosci?» domandò, passando l’indice sul muso del cavallo verde.

«Parecchio. Eravamo compagni di corso, in accademia»

«E questo credi basti a renderlo un uomo di fiducia?»

«Sì»

Era una affermazione che non ammetteva repliche, ma insufficiente a convincerlo del tutto:
«E se ci consegnasse? Se fosse andato ad avvisare Weilman?» Erwin stava prendendo sottogamba quella faccenda, ne era convinto! Insomma, fidarsi di un poliziotto in nome di una vecchia amicizia di…chissà quanti anni prima. Assurdo.

«E se una volta a Limoges, tu mi consegnassi agli Alleati?»

«Non farei mai una cosa del genere! Non sono così stronzo» si sentì quasi offeso: Smith lo stava paragonando ad un nazista qualunque? Ad un infido opportunista, un serpente pronto a morderlo dopo essere stato salvato e protetto?

«Questo lo dici tu, ma come faccio a saperlo? Come posso avere la certezza che non mi tradirai?»

«Io non sono fatto così» sussurrò, montando un broncio seccato «Non ti fidi di me? Benissimo! Allora vattene per la tua strada.»

«Al contrario! Mi fido e te lo sto dimostrando: nonostante siamo nemici, ti sto accompagnando alla tua base. Ho fiducia in te e vorrei che tu ne avessi in Nile: concedigli una occasione, per favore. Non giudicarlo troppo presto e negativamente: è una brava persona. Farà il possibile per aiutarci»

Sbuffò nuovamente, distogliendo l’attenzione dal Maggiore: Erwin aveva ragione, come al solito. Stava criticando Nile senza neppure conoscerlo, solo sulla base della divisa che portava: il comandante gli aveva fatto una cattiva impressione, ma solo esteriormente. In fondo, non li aveva destinati a Weilman, anzi… li aveva nascosti proprio sotto al naso di Herr Kapitan, nell’unico posto dove quel viscido bastardo non sarebbe mai andato a cercarli. Forse Nile meritava almeno un’opportunità.
«D’accordo» acconsentì infine «Gli darò una possibilità.» sussurrò, prendendo ad accarezzare lentamente il dorso dell’unicorno verde. Era davvero orrendo quell’affare! Fece correre le dita sulla coda, risalendo sino alla criniera ed al capo, per poi…

Un leggero tintinnio interruppe il silenzio, preceduto da un secco “crack”. Levi abbassò lo sguardo: il corno smeraldino era caduto sulla mensola, spaccato a metà della sua lunghezza. Sulla fronte dell’equino non rimaneva che un tozzo e ruvido spuntone, più simile ad una caciotta che ad un elegante ricciolo di vetro.

«Ops…» sussurrò, cercando inutilmente di riattaccare il pezzo.

«Che cosa hai fatto?!­» Erwin lo aveva raggiunto con un paio di falcate, l’espressione sbalordita e sconvolta.

«Credo che si sia rotto»

«Dimmi che stai scherzando, ti prego…» Perché Smith si preoccupava tanto? Era solo un orribile soprammobile «Nile ci tiene moltissimo! È la sua bomboniera di nozze»

«Questa merda?» si rigirò il corno tra le dita «Emh… forse potremmo aggiustarlo con… della colla e…» balbettò, in cerca di una possibile soluzione.

No, quell’affare non si poteva sistemare. L’unico modo era fondere di nuovo la statuina e ricrearla da zero. In alternativa, cercare qualcuno che ne possedesse una copia e sostituirla – cosa impossibile.
Scandagliò rapidamente la scrivania, alla ricerca di qualunque cosa potesse aiutarli: c’erano, però, solo graffette, fogli, penne e… «Quello, svelto! Passamelo!» tra le mappe spiegazzate faceva capolino uno scatolino di cartone spesso. Lo aprì rapidamente, recuperando una pallina bianca.

«Sai cos’è?» domandò, godendo dell’espressione stupita del tedesco «è un chewingum, detto anche gomma da masticare. Appiccica che è un piacere!» esclamò soddisfatto, infilando la cicca in bocca «Evidentemente al tuo amico piacciono i dolci americani. O forse l’ha presa per le figlie» aggiunse, accennando al portafoto, prima di affondare i denti nel chewingum.

In realtà, quella sfera era sin troppo dura: lo zucchero si era cristallizzato sulla superficie, rendendola quasi impossibile da masticare. Ruminò per alcuni minuti in silenzio, prima di riuscire ad ottenere una pasta filante.

«Sei sicuro che funzionerà?» Smith sembrava dubbioso.

«Shi…» biascicò, strappando una strisciolina candida dalle proprie labbra e modellandola a sfera. La premette sulla fronte del cavallo, coprendo interamente il moncone, prima di adagiarvi sopra il corno spezzato. Attese qualche minuto, il tempo necessario a far aderire lo zucchero al vetro, prima di avvolgere il punto di rottura con un altro pezzettino di gomma.

Si pulì le mani soddisfatto:
«Ecco fatto!» esclamò, spuntando la cicca nel vicino cestino «Nile non se ne accorgerà nemmeno! Sembra nuovo»

«Ne sei certo? A me sembra piuttosto evidente.» il tedesco sollevò un indice, mostrando la pasta intrisa di saliva «Si vede subito che qui è spaccato e che c’è della roba bianca sopra»

«Scemenze! Ho riparato un sacco di cose usando il chewingum! Funzionerà, ti dico»
 
***
 
Era quasi mezzanotte. Nile rientrò nel suo ufficio, abbandonando la giacca sulla poltrona e togliendosi le scarpe. Quella giornata era stata lunga e complicata; aveva incontrato Weilman e lo aveva rassicurato: naturalmente, le sue squadre stavano facendo il possibile per rintracciare i due fuggiaschi. Doveva essere comprensivo: Parigi era una città enorme e setacciarla tutta era difficile. Se li avessero trovati, però, sarebbe stato il primo a saperlo.

Rise a quell’idea: se quell’idiota avesse saputo che i suoi preziosi ricercati avevano passato il pomeriggio nascosti proprio nella prefettura avrebbe dato di matto! Fortunatamente, nessuno se n’era accorto e Marlo aveva riaccompagnato Erwin e Levi a casa, sfruttando il favore delle tenebre.

«Ah… ci vuole una bella birra, ora» disse, stiracchiando le braccia e controllando la mensola con i soprammobili. Era davvero deliziosa! Le matrioske in fila ordinata, il pendolino da tasca in oro bianco, il vaso di porcellana finemente decorato e completato da un fiore in argento, i cui petali di cristallo rilucevano di un pallido rosa; e infine…

Cos’era successo all’unicorno?! Il corno era tranciato quasi di netto e pendeva inerte da un lungo ed appiccicoso filo chiaro, che si avvolgeva attorno ad una protuberanza tondeggiante sulla fronte dell’animale.

Rimase a fissare la bomboniera, un misto di delusione e rammarico sul volto; provò a riavvicinare le due estremità spezzate, ma senza successo.
«Figlio di puttana» rise piano, scuotendo il capo e gettando l’equino di vetro nella spazzatura «Questa me la paghi. Ti spedirò in Italia a comprarmene uno nuovo, a grandezza naturale, e lo metterò in giardino.»


 


Angolino: buonsalve! torno ad aggiornare perchè tra ieri ed oggi ho avuto un pochetto di tempo per imbastire questo capitolo che, in realtà, contiene un altro di quegli strampalati siparietti. Mi sto abituando a scriverli (o, forse, approfitto soltanto del clima di distensione che temporaneamente si respira) XD
Allora, non ho molto da aggiungere, se non il solito grazie per la pazienza nel seguire questa storia. vi sono davvero grata, non potete immaginare quanto! *_* Menzione speciale per Auriga e Shige che mi hanno aiutato nella correzione (era il minimo, visto che ogni ritardo ingiustificato è colpa loro <3 ma sono tanto carine, quindi le perdonerò entrambe)
L'unico appunto storico che mi sento di fare riguarda il chewingum: leggendo su Wikipedia (grazie wiki) ho scoperto che venne inventato a fine 1800; possedeva la forma di una sferetta bianca, che ho tentato di replicare nella storia. è possibile, quindi, che Nile possedesse una scatoletta di gomme da masticare ed è possibile che Levi le avesse già assaggiate in precedenza (non credo, invece, che le abbia usate per riparare qualcosa XD ma è sorto un dibattito anche su questo con Auriga e Shige)
Penso d'aver messo tutto...vi ringrazio per aver letto sin qui e, come sempre, sono apertissima a tutti i pareri e suggerimenti ^^
Un abbraccio


 
  
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