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Autore: giambo    25/08/2016    4 recensioni
Alaska, primavera del 1896.
Goku Bardacksson è un giovane svedese giramondo di 27 anni, apparentemente in cerca di avventure più che di ricchezza. Per una serie di circostanze, sarà costretto a fare società con Crilin McKame, un argonauta irlandese ormai disilluso nei confronti del Sogno Americano. I due andranno a nord, partecipando così alla sfrenata corsa all'oro del Klondike, l'ultima frontiera dove il progresso non è ancora arrivato. Qui, tra paesaggi magnifici e selvaggi, i due arriveranno a Dawson, dove incontreranno numerose persone, non tutte amichevoli: 18 Goldie, la magnifica proprietaria della Bolla D'Oro, la quale sogna di fare fortuna in Europa a spese degli sciocchi cercatori d'oro, suo fratello 17, elegante e spietato complice di lei, e Vegeta Prince, ultimo, violento, arrogante e spietato discendente di una nobile famiglia inglese ormai decaduta, il quale vuole costruirsi un patrimonio per tornare in Inghilterra.
La corsa all'oro è iniziata, ma solo uno otterrà la ricchezza tanto agognata. Solo uno potrà ambire al titolo di Re del Klondike, all'essere "Il più duro dei duri, il più furbo dei furbi". Tanti contendenti per un solo trono, ai confini del mondo conosciuto.
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 4

 

 

Dawson, estate del 1896

 

 

Rumore. Tanto, assordante, continuo.

Gli occhi di 17 si mossero pigramente, studiando attraverso l'aria viziata di fumo le facce dei suoi compagni di gioco. Attorno a loro la Bolla D'Oro rumoreggiava: grida, risate rauche, strilli delle ballerine, lo stridio delle sedie e dei tavoli che si spostavano. Il tutto sullo sfondo di un allegro motivetto suonato da un pianoforte in un angolo della sala. Una serata come tante nel locale più grande di Dawson, la feroce, anarchica e turbolenta capitale dell'oro.

Splendido nel suo scuro completo da uomo, 17 sedeva da oltre due ore ad uno dei tavoli da gioco che affollavano la sala principale. Il ragazzo sorrise ai propri avversari i quali non ricambiarono minimamente, fumando nervosamente i propri sigari, ed osservando la distribuzione delle carte in religioso silenzio. Attorno a loro si era radunata una piccola folla, curiosa di vedere il Gambler più famoso della città all'opera.

Una volta distribuite le carte, i giocatori presero a fissarle, stando ben attenti a non lasciar trapelare il minimo indizio ai loro avversari. L'unico che non toccò minimamente le proprie carte fu 17, che si limitò a fissare le facce sudate ed accaldate degli altri giocatori, che con lui erano sei. A colpirlo particolarmente fu colui che aveva appena finito di distribuire le carte: un giovane biondo, con occhi chiarissimi, che lo fissava con un sorrisetto di scherno, forte dei soldi che si accalcavano davanti a lui. Aveva già vinto tre mani contro 17, ma il moro non sembrava particolarmente preoccupato.

“Cinquanta.” borbottò quello a sinistra del fratello di 18, versando la quota minima prevista. Tutti lo imitarono, tranne il biondo, che verso subito altri cento dollari sul tavolo, gli occhi sempre fissi su quelli azzurri di 17. Quest'ultimo non batté ciglio, mettendo altri cento dollari, seguito da altri due. I restanti si limitarono a sputare per terra ed ad imprecare per la scalogna di quella sera.

“Carte.” esclamò il biondo, cambiandosene due, subito subito seguito dai restanti giocatori. Anche questa volta, 17 non mosse un muscolo, tenendosi le carte iniziali. Ciò non fece che aumentare la baldanza del giovine di fronte a lui, il quale si sentiva baciato dalla sorte quella sera.

“Duecento!” esclamò, sicuro di avere le carte giuste per far saltare il banco. “Più altri trecento!”

Uno dei due giocatori mollò, borbottando parole impronunciabili, e tirando uno schiaffo sulle chiappe di una delle ragazze al suo fianco, la quale scoppiò in una risatina acuta. Il barbuto cercatore sorrise: i soldi per una donna erano sempre ben spesi.

La partita proseguì, lentamente. Il ragazzo biondo rilanciava continuamente, sicuro di avere la mano giusta, seguito da 17, che metteva impassibile sul tavolo mucchi di banconote sempre più alti. Ben presto rimasero solo loro due a giocarsi la posta in palio, un succulento bottino di parecchie migliaia di dollari.

“Tremila!” sbottò infine il ragazzo, mettendo praticamente quasi tutto quello che possedeva sul tavolo. La sua baldanza era lentamente sparita durante il corso della partita, lasciando spazio al terrore di perdere tutto. L'orgoglio però gli imponeva di andare fino in fondo alla partita.

17 non rispose subito. Si mise in bocca un sigarello, accendendolo con uno zolfanello, ed aspirandone un paio di boccate. Attorno ai due giocatori era sceso un silenzio di tomba. Era palese che si stavano giocando le ultime battute di quella tesissima mano.

“Dimmi un po', ragazzo.” mormorò 17, aprendo bocca per la prima volta da quando era iniziata la mano. “Sei sicuro di poterti permettere una simile giocata?”

“I soldi li ho!” replicò subito il biondo. “Piuttosto... cosa fai? Giochi o ti ritiri? Mi pare che questa sera hai già perso abbastanza!”

17 sorrise, un sorriso che fece gelare il sangue agli spettatori. Molti iniziarono a capire come sarebbe finita la faccenda, e presero ad allontanarsi lentamente.

“Mi sono stancato di giocare per stasera.” mormorò il proprietario del locale. “Che ne dici se ci giochiamo tutto ciò che c'è su questo tavolo? Posso mettere sul piatto fino a quindicimila dollari.” era una somma enorme, che il moro stava agitando come un'esca davanti al suo avversario, il quale tentennava. Se 17 era pronto a mettere una simile cifra sul piatto, voleva forse dire che aveva una mano migliore della sua? Oppure era solo uno sconsiderato bluff da parte di un ricco ed annoiato Gambler?

Sul tavolo il silenzio aleggiò per molti secondi. Poi, senza dire una parola, il ragazzo mise sul tavolo dei biglietti da cento, uno dopo l'altro, andando a formare una piccola montagnola di denaro.

“Con questi la mia posta è di quindicimila.” osservò. “Ora mostrami le tue carte!”

17 pareggiò la cifra, come d'accordi, appoggiandosi successivamente allo schienale della propria sedia.

“A te l'onore.” dichiarò, soffiando fumo dalle narici.

Il ragazzo lo guardò con fare impassibile per dei lunghissimi secondi. Poi, lentamente, girò le proprie carte: aveva un full di donne. Una mano molto buona, anche se battibile. 17 non perse altro tempo, scoperchiando le proprie: un tris di assi.

Aveva perso.

Il ragazzo esplose in un ruggito di gioia, accompagnato dai mormorii di sorpresa degli spettatori. Allungò una mano per afferrare la propria vincita, ma subito dopo il suo urlo, da gioioso, divenne colmo di dolore, osservando la propria mano trafitta da un coltello.

“Ti avevo fatto una domanda prima.” esordì con voce vellutata 17, torcendo sadicamente la lama nella carne del biondo. Attorno a loro le ragazze strillarono, mentre gli avventori si allontanarono rapidamente, desiderosi di non essere immischiati nella situazione.

“Tu sei pazzo! Lasciami subito!” berciò l'altro, tentando di liberarsi, senza successo.

“Ti avevo chiesto se eri capace di giocare ad un certo livello, ma a quanto pare mi sbagliavo.” proseguì il moro. “Sai cosa penso? Penso che tu sia un baro, e da queste parti i bari fanno una gran brutta fine...”

“Stai mentendo!” replicò l'altro, sudando freddo, gli occhi spalancati. “Ho giocato pulito!”

“Ma davvero? Un giocatore così giovane e così abile... sono commosso...” gli occhi di 17 brillavano di una luce malsana, divertito dalla sofferenza che stava infliggendo all'altro. Nel frattempo, da dietro le quinte del palcoscenico, uscì fuori 18, splendida nel suo abito da scena. La bionda fissò con pigra curiosità la sceneggiata causata dal fratello, desiderosa di scoprire come sarebbe finita.

“Non ti conviene fare troppo il gradasso con me, Goldie!” ansimò il giovane, tirando fuori il sorrisetto di prima. “Sai anche tu per chi lavoro. Non puoi uccidermi.”

17 non rispose. Il suo volto divenne inespressivo, gli occhi freddi come il ghiaccio.

“Cosa credi, che potrai passarla liscia? Sai benissimo anche tu che ho giocato pulito. Molla quel coltello e fammi intascare la mia vincita, Gambler da strapazz...” il giovane biondo non finì la frase.

Nel locale risuonò uno sparo, zittendo immediatamente ogni rumore. Tutti si voltarono verso 17, il quale fissava impassibile il corpo, ormai privo di vita, del suo sfidante, un foro sanguinolento in mezzo alla fronte. Nella mano sinistra teneva una Derringer ancora fumante.

“Hai commesso due errori stasera.” mormorò, mentre liberava il pugnale dal tavolo, lasciando così scivolare a terra il cadavere. “Hai pensato di essere più furbo di me, ed hai tentato di minacciarmi.”

Soffiò fuori fumo dalle narici, mentre intascava la vincita e riponeva la pistola nella fondina. Nel frattempo, 18 ritornò nelle proprie stanze, capendo che lo spettacolo era finito.

Non sopporto gli spacconi. Nessuno mi minaccia, e poi sopravvive per raccontarlo in giro.

“Portate via questo schifo.” ordinò seccamente. “Mi da il voltastomaco.”

 

 

Poco dopo, quando tornò dietro le quinte, 17 si trovò davanti la faccia ansiosa e preoccupata di Yamcha.

“Hai commesso un grave errore.” esordì senza giri di parole.

Il moro non rispose subito, soffiando fumo in faccia all'altro.

“Di cosa stai parlando?”

Yamcha era a capo della sicurezza nel locale dei due gemelli. Praticamente il loro braccio destro. Era un uomo giovane, alto e molto bello, dai lineamenti del volto affascinanti. Portava i capelli lunghi, raccolti in una coda, che incorniciavano due occhi scuri ed attenti. I suoi vestiti erano di buona fattura. Alla vita portava un cinturone con una pistola.

“Parlo del tizio che hai freddato qualche minuto fa.”

“Ah!” un sorriso si allungo sulle labbra del Gambler. “Andiamo a prenderci da bere.”

Tornarono in sala, andando al bancone, dove entrambi presero un rum.

“Devi ascoltarmi, 17.” insistette Yamcha, un'espressione preoccupata sul volto. “Quel ragazzo era entrato nella banda di Prince. E dovresti sapere che quel pazzo furioso non sopporta chi tocca i suoi uomini.”

“Prince ed io abbiamo un accordo.” replicò 17, riaccendendosi il sigarello. “Lui non mette bocca nei miei affari, ed io gli permetto di ingrassare con le roulette nel mio locale. Perché dovrebbe mandare a monte un profitto sicuro per colpa di un moccioso dalla lingua lunga?”

“Spero che tu abbia ragione.” borbottò il moro, versandosi un secondo bicchiere di liquore. “Ma Prince non è uomo da lasciare correre un simile sgarbo. Hai mancato di rispetto alla sua fama, se non muovesse un dito si mostrerebbe debole.”

Il giovane Gambler non rispose subito, aspirando un profonda soffiata di tabacco.

“Di Prince me ne occupo io.” dichiarò infine. “Tu sei pagato affinché la gente spenda e non crei problemi qui dentro. Se Prince userà il cervello, vedrai che non farà niente. Ha troppo da perdere nel muoverci guerra.”

Il bodyguard non era ancora del tutto tranquillo.

“Sta diventando il padrone di Dawson, 17.” mormorò, mentre osservava le ragazze del locale iniziare a ballare sopra il palco della sala. “Presto diventerà troppo potente per essere controllato, e ti mangerà in un sol boccone. Sputandoti via quando ti avrà preso tutto.”

Gli occhi glaciali dell'altro si posarono sulla figura della sorella, magnifica nel suo vestito da ballo, intenta a cantare per il pubblico in sala.

“Questo è da vedere...” mormorò.

 

 

Crilin scivolò giù per il pendio terroso, bestemmiando selvaggiamente a causa delle rocce nascoste che gli perforarono la schiena. Dietro di lui, a monte, poteva udire il passo pesante del suo inseguitore. Dopo una discesa di circa un centinaio di piedi, l'irlandese si sdraiò sulla pancia, nascondendosi tra il fogliame della foresta. Sopra di lui, riusciva a sentire un profondo ansimare che scendeva lentamente, dandogli la caccia.

Quel micragnoso bastardo non molla. Rimpianse amaramente che il fucile fosse nelle mani di Goku: gli sarebbe stato estremamente utile in quel frangente.

Lentamente, il suo inseguitore si avvicinò al suo nascondiglio, fiutando. Quando ormai distava pochi metri, Crilin poté vederlo distintamente: un enorme orso, nero come l'inferno e grande tre volte un uomo adulto che si guardava intorno, i denti bianchi che scintillavano sotto il sole estivo.

Erano passate tre settimane dalla loro partenza da Dawson. Seguendo il corso del fiume Yukon, Crilin e Goku si erano addentrati nelle selvagge foreste del Klondike. Una terra incontaminata, fiera e selvaggia ma anche pericolosa.

Ormai era da tre giorni che quell'orso dava loro la caccia. Attratto dal cibo, ma più probabilmente furioso per l'invasione di così tanti umani nel suo territorio, aveva deciso di scaricare la sua rabbia sui due argonauti. I quali, dopo tre giorni passati a tentare di seminarlo, avevano deciso di dividersi, dandosi appuntamento alla grande cascata, cinque miglia più a nord. La mossa aveva permesso di costringere la bestia a scegliere, e questa aveva scelto di dare la caccia a Crilin. Il quale l'unica cosa che poteva fare era di mettere mano al proprio pugnale, con la speranza di portare con se la bestia all'altro mondo.

Bel posto per morire. Pensò amareggiato. In mezzo a boschi dimenticati pure da Dio.

L'orso alzò la testa di scatto. L'aveva fiutato. Crilin strinse con tutta la forza che aveva la propria arma, ogni muscolo del corpo teso fino allo spasimo. Ormai era questione di secondi prima che l'animale caricasse. L'unica chance che aveva era di colpire per primo.

Cadde il silenzio, il genere di silenzio che permea l'aria stagnante prima della tempesta. Crilin si riempì i polmoni d'aria, le labbra strette fino a diventare bianche, nel tentativo disperato di trattenere ogni oncia del folle coraggio che lo stava spingendo ad attaccare quella bestia immensa.

Non morirò, maledizione!

La tensione proseguì a trascinarsi stancamente, assottigliandosi, fino a quando, all'improvviso, essa si ruppe.

L'orso ruggì, iniziando a correre in direzione dell'irlandese, il quale fece l'unica cosa che possibile: uscì allo scoperto, lama in mano, pronto a conficcarla in mezzo agli occhi dell'animale. Poteva vedere il bianco degli occhi dell'animale quando udì un sibilo che gli bruciò l'orecchio destro.

L'orso stramazzò al suolo, scivolando per parecchi metri a causa del suo stesso impeto. Con un riflesso fulmineo, l'argonauta riuscì ad evitare di essere investito dal corpo, il quale, una volta fermatosi, non si mosse più.

“Ma sei scemo?!”

Crilin si girò di scatto. Davanti a lui, con un arco in mano, stava un uomo che lo fissava con sguardo non propriamente amichevole. Era basso, un po' in carne, e con lunghi e disordinati capelli neri che circondavano un volto strano: un misto di diverse razze. Gli occhi dal taglio obliquo facevano sospettare sangue indiano, così come la carnagione scura, ma gli abiti e l'accento sembravano originari della regione dei Grandi Laghi.

“Ma si può sapere cosa diavolo passa nella testa a voi Culibianchi?!” borbottò il nuovo venuto, raggiungendo la carcassa dell'orso. In mezzo al pelo del muso si poteva vedere il piumaggio bianco di una freccia, conficcata quasi per tutta l'asta tra gli occhi. “Adesso vi mettete pure ad attaccare gli orsi a mani nude!”

“Ero armato.” provò a replicare l'altro, ancora interdetto per quella fulminea comparsa.

“Mi dispiace deluderti amico, ma il mio uccello fa più paura di quello stuzzicadenti.” borbottò l'altro, estraendo la freccia dalla carcassa. “Non male... i Culibianchi di Dawson pagheranno una fortuna per il grasso e la pelliccia di questo bestione!”

“Si può sapere chi diavolo sei?” domandò leggermente scocciato Crilin. La paura stava lasciando il posto all'irritazione per i modi rozzi del nuovo arrivato.

“Yaji-robei.” borbottò il moro, estraendo il pugnale più lungo che l'irlandese avesse mai visto, ed iniziando a squartare la carcassa. “E non serve che tu ti presenti. Sei un cercatore d'oro, proprio come tutti gli altri imbecilli che vengono a morire qui.”

“Ma se non cerchi l'oro, tu cosa diavolo ci fai in queste terre senzadio?”

Yaji-robei alzò lo sguardo. I suoi occhi erano colmi di disprezzo e sfrontatezza nei confronti dell'argonauta.

“Ti sembro un cercatore d'oro?” domandò provocatorio.

“No, mi sembri un meticcio.” replicò gelido Crilin. Il volto dell'altro si contorse in una smorfia amara, ma non rispose. Essere un meticcio era l'equivalente di un bastardo, dato che nessun prete avrebbe consacrato il figlio di un pellerossa, indipendentemente che la madre fosse bianca o meno.

“Bene...” sibilò Yaji-robei, infilando la mano nel ventre squartato dell'orso, e riversando sul terreno le viscere dell'animale. “Questo sacco è ricolmo di merda. Ma almeno il grasso e la pelliccia sono di prim'ordine! A Dawson i Culibianchi mi riempiranno di whisky lo stomaco!”

Crilin ripose il pugnale nella fodera. Una volta sistematosi lo zaino sulle spalle, il ragazzo di girò, tentando di orientarsi. Non poteva perdere altro tempo con quello strano tipo.

“Se stai andando a nord ti consiglio di lasciar perdere.” borbottò il cacciatore, ancora impegnato nel pulire la carcassa dell'orso. “Sono settimane che gente di ogni tipo sta andando in quella direzione. Se c'è dell'oro, stai pur sicuro che l'hanno già trovato.”

“Non ho nessuna intenzione di arrendermi ora che sono qui.” rispose l'irlandese, accendendosi un sigaro. “Dimmi, meticcio... tu sai sicuramente quale direzione hanno preso gli altri cercatori.”

Yaji-robei alzò il volto, imbrattato di sangue, per fissare a lungo la schiena dell'argonauta.

“E a te cosa te ne frega?” domandò sospettoso.

“Andiamo... usa il cervello. Sempre se voi indiani lo possedete.” lo provocò l'altro, soffiando fuori fumo da un angolo della bocca.

I denti sporchi del meticcio si scoprirono, lasciando spazio ad un sorriso crudele.

“Sono andati lungo la sponda meridionale del fiume. Nessuna persona sana di mente si inoltrerebbe sull'altra, oro o non oro.”

“Perché, cosa c'è sulla sponda nord del fiume?”

“Un posto maledetto: il ghiacciaio dell'Alce, e sessanta miglia più a nord quello dell'Aquila.” Yaji-robei riprese il proprio lavoro, senza smettere di sorridere. “Se ti avventuri in quelle terre non torni più, te lo posso garantire. Tra lupi, orsi, fenditure seminascoste... ti ci vorrebbero le vite di un gatto per sopravvivere ad un inverno laggiù.”

Crilin non rispose, gli occhi che scintillavano. Dunque c'era un posto in quella terra incontaminato dalla presenza degli altri cercatori, con magari ricchi giacimenti d'oro che aspettavano solo di essere portati alla luce. L'idea di trovare un intero giacimento tutto per lui lo riempì di un fuoco capace di scaldargli addirittura le punte dei piedi intirizziti.

“Grazie per la dritta, meticcio. Se ci becchiamo a Dawson, ti offrirò da bere.” buttando via il sigarello, l'irlandese prese a muoversi verso nord, a passo spedito.

“Fai pure come vuoi. Tanto anche tu un giorno creperai, lurido Culobianco.” borbottò il meticcio, proseguendo nella sua opera di conciatura.

 

 

Crilin si muoveva rapido, seguendo le acque tumultuose del fiume Yukon verso nord. La sua intenzione era di non fermarsi alla cascata, come d'accordi con Goku, ma di dirigersi subito verso il ghiacciaio dell'Alce. Se era fortunato, non avrebbe mai dovuto dividere il suo futuro oro con lo svedese.

“Ti vedo di fretta.”

L'irlandese si girò di colpo, la mano già sul pugnale. Quando gli si parò di fronte la faccia sorridente di Goku, sul suo viso si dipinse un'espressione di stupore.

“E tu che ci fai qui?”

“Guardavo come te la cavavi con quell'orso.” rispose con semplicità il grosso svedese.

Il cervello di Crilin ci mise poco a capire.

“Aspetta... vuoi dire che tu eri lì, vicino a me, e non hai mosso un dito per salvarmi dalle fauci di quella bestia schifosa?!” l'idea di annegare Goku nel fiume non gli era parsa tanto buona come in quei frangenti.

“Lo stavo facendo, ma avevo già notato la presenza del tuo nuovo amico, ed ho preferito lasciare a lui il piacere di salvarti.” spiegò il moro, accendendosi un sigarello. “Da quello che mi è parso di capire, hai intenzione di andare proprio dove lui ti ha consigliato di non mettere piede.”

Crilin strinse con più forza l'elsa del suo pugnale, ma non agì. Infatti, casualmente, la mano destra di Goku era sulla sicura del fucile, e le canne erano rivolte contro di lui. L'irlandese fissò dritto negli occhi il socio, il quale fece un breve cenno di diniego, il volto sempre sorridente.

“Hai indovinato.” borbottò, mollando la presa sul pugnale. “Non ha senso litigarci un pezzetto di fiume con gli altri imbecilli. Io vado a nord, e tu verrai con me.”

“Davvero? Ti sei affezionato al sottoscritto?” domandò con finta ingenuità lo svedese.

“Ti voglio tenere d'occhio.” replicò l'altro. “Una parte degli strumenti da lavoro che porti li ho pagati io. Pertanto, fino a quando non troveremo dell'oro, tu verrai con me!”

“Non desidero altro.” rispose dolcemente il grosso svedese, accendendosi un sigarello.

Di nuovo ricongiunti, i due argonauti presero a risalire il corso del fiume, sulla riva settentrionale. Oltre le cascate del Castoro, oltre i declivi boscosi, lassù, in lontananza, dove si stagliava la cupa e scura sagoma del ghiacciaio dell'Alce.

 

 

18 si fissò allo specchio, intenta a togliersi accuratamente il trucco dal volto. Aveva sempre odiato impiastricciarsi la faccia con quella roba, ma comprendeva che era necessario per la buona riuscita dei suoi spettacoli. A nessuno sarebbe piaciuta una cantante con il volto struccato, per quanto brava e bella fosse, perché sarebbe stato indice di povertà.

Si passò attentamente lo struccante sul naso, per rimuovere il fondotinta, facendo ritornare il volto pallido come sempre. Erano passate ormai tre settimane dalla grande apertura della Bolla D'Oro, ristrutturato da cima a fondo, e gli affari andavano a gonfie vele, con il locale pieno fino a scoppiare ogni sera. Eppure, la bella, fredda e spietata 18 Goldie provava quasi insofferenza d'innanzi a tutta quella gente, che però le serviva per i suoi scopi. Presto avrebbe potuto abbandonare per sempre quell'angolo sperduto, e risplendere fulgida come una stella sui migliori palchi d'Europa.

L'Europa. 18 la sognava fin da quando aveva scoperto di avere un dono per il canto. Era una bambina che aveva udito parlare dei teatri immensi, giganteschi, fulgidi di luce della lontana Europa, dove i nobili ed i ricchi innalzavano verso la gloria cantanti, compositori e ballerini. La vecchia Europa, dove un artista poteva vivere nell'agio e nella ricchezza. Parigi, Londra, Berlino, Milano, San Pietroburgo. Un Eldorado sterminato, che presto si sarebbe inchinato innanzi al suo talento.

Un flebile sorriso le si dipinse sul volto. Si immaginò indossare un abito nero, di pura seta e filigrana d'argento, su un palco grande quanto Dawson, innanzi ai più ricchi e facoltosi uomini e consorti d'Europa. E brillava il suo talento, abbagliandoli, ed innalzandola verso la gloria eterna.

Il bussare alla sua porta la riportò alla realtà.

“Chi è?” domandò con voce irritata.

Non ci fu risposta. La porta si aprì, rivelando alla bionda la figura magra ed elegante del fratello.

“Cosa c'è?” domandò 18, continuando a ripulirsi il viso.

“Dopo il tuo numero non ti avevo più vista. Volevo assicurarmi che fosse tutto ok.” spiegò 17, andando a sedersi in un angolo, ed accendendosi un sigarello.

La ragazza sbuffò. Che 17 si preoccupasse di lei era un'idea troppo ridicola per prenderla seriamente in considerazione.

“Sono solo un po' stanca. Non avevo voglia di vedere nessuno.” tagliò corto, sperando che il gemello uscisse in fretta. 17 però, sembrava avere un'altra idea.

“Ho ricevuto notizie non molto confortanti.” disse il moro, soffiando fumo dalle narici. “Gli uomini di Prince sono piuttosto agitati. Ho detto a Yamcha di sbarrare porte e finestre dopo la chiusura, e di tenere pronti gli uomini per qualsiasi evenienza.”

18 non disse nulla. Una volta terminato di struccarsi, la bionda sistemò rapidamente i propri oggetti, alzandosi per andare a cambiare dietro al paravento.

“Non ti vedo particolarmente preoccupata.” constatò il gemello.

“Un tizio vuole ucciderci. Dov'è la novità?” borbottò lei, la voce soffocata dalla parete mobile. “Prince è solo un lupo, stupido ed avido per giunta. Non perderò certo il sonno a causa sua stanotte.”

17 sorrise.

“Sì, forse hai ragione. Ma Prince sembra avere delle zanne un po' troppo affilate per essere soltanto un lupo.” replicò con voce bassa. “Dovremo stare attenti. In questo momento, è lui il padrone di Dawson.”

“Per me se la può anche tenere questa schifosa città.” 18 uscì dal paravento, vestita con una leggera sottoveste, che risaltava le sue splendide forme. Andò a sedersi sulle gambe del fratello, rubandogli una sigaretta dalla tasca della giacca. “Tutto quello che mi interessa è avere abbastanza oro per andare in Europa.”

“Ah... l'Europa.” 17 abbracciò alla vita la gemella con un braccio, un sorriso sghembo sul volto. “Non ci hai ancora rinunciato, eh?”

“No.” rispose seccamente lei, soffiando fumo dalle narici. “E questo posto è la nostra grande occasione. Stiamo diventando ricchi, 17.” i suoi occhi divennero freddi come il ghiaccio. “Vedi di non rovinare tutto.”

L'argomento era rimasto lì, nell'aria, in mezzo al fumo passivo. Nessuno dei due disse quel nome, ma il significato di quella frase era evidente.

“D'accordo, sorellina.” rispose infine il moro. “Vedrò di non deluderti.”

Un sorriso freddo si delineò sul viso di 18, la quale si chinò a baciare sulla fronte l'amato fratello. L'immagine di lei che rifulgeva di luce dorata nei migliori palcoscenici d'Europa era ancora vivida nella sua mente. Non avrebbe permesso ad un borioso e stupido inglese di portargliela via.

“Siamo noi i padroni di Dawson.” sussurrò. “Andremo a ricordarglielo molto presto.”

 

 

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